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La teoria della generatività naturale

Nel documento Immagine (pagine 70-75)

Riconoscere in immagine

2. La teoria della generatività naturale

La prima teoria contemporanea della raffigurazione che mobilita la nozione di riconoscimento è quella di Flint Schier (1953-1988). Schier muove dall’esigenza, come abbiamo visto condivisa da molti autori, di trovare una distinzione tra rappresentazioni verbali e rappresentazioni iconiche. Tale distinzione però per lui non può avvenire a livello di singole rappresentazioni, ma piuttosto di sistemi rappresentazionali. Ciò che fa di un sistema rappresentazionale un sistema rappresentazionale pittorico e lo distingue dai sistemi verbali è il fatto che, a differenza di questi ultimi, è dotato di generatività

naturale. La generatività naturale consiste in questo. Supponiamo che qualcuno sia

arrivato a comprendere un membro di un determinato sistema rappresentazionale nel suo valore rappresentazionale. In prima battuta, come sia effettivamente arrivato a questa comprensione poco importa; possiamo supporre che, almeno in molti casi, sia necessaria una sorta di allenamento. Per Schier, questo sistema è pittorico se e solo se una volta che qualcuno sia arrivato a una tale comprensione, egli possa comprendere un qualsiasi altro membro di quel sistema, a condizione che possa riconoscere l’oggetto rappresentato da quel membro221. In un sistema pittorico, in realtà, anche la prima

comprensione simbolica mobilita un riconoscimento: la comprensione della prima immagine, infatti, per Schier avviene attraverso il rinvenimento in tale immagine di tracce che attivano la capacità di riconoscere l’oggetto da essa rappresentato222.

Chiaramente, un sistema verbale non ha generatività naturale perché non consente una siffatta comprensione immediata di un qualsiasi membro del sistema. Poniamo che un soggetto abbia compreso una certa rappresentazione verbale, supponiamo che abbia imparato una frase inglese come:

(1) The cat is on the mat (il gatto è sul tappeto)

Ora, la comprensione del significato di (1) non consente a tale soggetto di comprendere un qualsiasi altro enunciato dell’inglese, non solo un enunciato dal significato lontanissimo da quello di (1) come:

(2) Snow is white (la neve è bianca) ma anche il più vicino:

(3) The cat is on the table (il gatto è sul tavolo).

Questo perché per comprendere il significato di tali enunciati occorre comprendere il significato dei loro costituenti (data una certa struttura sintattica), il che non si può certo desumere dal significato di (1) e dei suoi costituenti. Non solo bisogna sapere il significato di “snow” (neve) e di “white” (bianco) per comprendere (2), ma anche se si conosce via (1) il significato di “cat” (gatto), bisogna anche sapere il significato di “table” (tavolo) per comprendere (3), e questa conoscenza non è desumibile dalla conoscenza del significato di “mat” (tappeto) altresì presente in (1).

Prendiamo invece una qualsiasi raffigurazione di una Madonna col Bambino, ad esempio il giovanile capolavoro che rivelò Piero della Francesca ai suoi contemporanei. Ebbene, passato per così dire un periodo di addestramento con le immagini (che, nei bambini sembra essere molto breve: già a partire dal primo anno di vita i bambini sono in grado di afferrare il valore figurativo delle immagini223), chi è in grado di interpretare

tale raffigurazione almeno come un ritratto di una donna col suo bambino è altresì in grado di comprendere una qualsiasi altra rappresentazione posta all’interno dello stesso sistema pittorico non importa quanto distante nel suo contenuto dalla prima, poniamo il famoso quadro di Claude Lorrain rappresentante la campagna romana intorno a Tivoli. Ora, se tale rappresentazione pittorica fosse un enunciato, per comprenderla bisognerebbe comprenderne i costituenti, gli elementi pittorici che nel loro complesso costituiscono il quadro. Invece, l’unica condizione per una la comprensione in questo caso è che si sappia riconoscere indipendentemente quanto tale quadro rappresenta, vale a dire, si sappiano identificare le cose della realtà che il quadro presenta qualora ci si imbatta davvero in esse: poiché il quadro del Lorenese rappresenta delle rocce, della vegetazione, un fiume e delle case a comporre il paesaggio di sfondo, nonché delle figure umane poste in primo piano, per comprenderlo come rappresentazione di una scena così assemblata occorre saper riconoscere nella realtà tutti questi elementi.

A prima vista, una definizione come quella precedentemente data di sistema pittorico non sembra fornire né condizioni (disgiuntamente) necessarie né condizioni (congiuntamente) sufficienti perché un sistema sia tale. Da una parte, rispetto alla mancanza di condizioni necessarie, si può obiettare che un bambino piccolo potrebbe comprendere una fotografia a colori senza comprendere una fotografia in bianco e nero. Eppure entrambe le rappresentazioni non sarebbero membri dello stesso sistema pittorico, un sistema fotografico? Dall’altra parte, rispetto alla mancanza di condizioni sufficienti, in sistemi a scala graduata come può essere un sistema termometrico, chi è in grado di comprendere la rappresentazione di una temperatura può comprendere una qualsiasi altra rappresentazione termometrica. Eppure, sistemi del genere non sono pittorici. Lo stesso dicasi per sistemi ancora più affini a quelli pittorici, come quelli costituiti da diagrammi, grafici, o cartine mute stilizzate (fatte solo di linee e punti).

Il secondo problema, quello relativo alle condizioni sufficienti, non è un vero problema per Schier, anzi gli serve per sottolineare il carattere riconoscitivo della sua teoria. La comprensione di un sistema termometrico consiste nella capacità di catturare co-variazioni tra la temperatura esterna e indici su una scala graduata, di modo che ad ogni differente indice sulla scala dovrà corrispondere una diversa temperatura. Ma tale comprensione non dipende affatto da un riconoscimento percettivo indipendente di temperature; altrimenti detto, l’interpretazione del termometro non è determinata da un riconoscimento (visivo) della temperatura segnalata dal termometro. Dunque, il sistema termometrico non è un sistema pittorico. Analogamente si dica per ogni sistema di diagrammi, grafici o cartine mutestilizzate224.

Al primo problema, quello sulle condizioni necessarie, Schier risponde che non dobbiamo classificare i sistemi pittorici in termini di meccanismi rappresentativi, come il meccanismo fotografico, o di altre categorie (in termini stilistici, per esempio), in quanto è la competenza a stabilire l’identità di un sistema: dire che un sistema differisce

da un altro significa che la competenza in uno non comporta la competenza nell’altro225.

Dunque, se davvero si desse un caso come quello precedentemente ipotizzato, dovremmo dire che nel caso delle fotografie in bianco e nero e di quelle a colori sono in gioco differenti sistemi pittorici. Ma in realtà casi del genere possono darsi raramente, perché la competenza che entra in gioco a proposito dell’identità di un sistema pittorico ha un’ampia estensione, per cui l’estensione del sistema è a sua volta ampia. Così infatti Schier dà le condizioni di identità di un sistema pittorico: due simboli S e S* sono membri dello stesso sistema se e solo se o i) una comprensione di S e una capacità di riconoscere l’oggetto O o lo stato di cose p simboleggiati da S* sono sufficienti perché un interpretante P sia in grado di interpretare S*, oppure ii) c’è un qualche simbolo S** tale che la capacità di interpretarlo e la capacità di riconoscere ciò che S e S* simbolizzano è sufficiente a P per interpretare S e S*226. Il secondo disgiunto della

definizione serve per consentire un’individuazione ‘ampia’ di un sistema pittorico. Supponiamo che S sia una rappresentazione schematica di un essere umano – quelle che tipicamente fanno i bambini piccoli – e S* una rappresentazione ricca di dettagli come un quadro di Jeronymus Bosch. Ebbene, perché S e S*, che sembrano così lontani nelle loro capacità raffigurative, facciano in realtà parte dello stesso sistema pittorico basta che all’interno di una determinata popolazione vi sia qualcuno che, oltre ad essere in grado di riconoscere gli esseri umani da una parte e i vari tipi di soggetti di un quadro di Bosch dall’altra, sia anche in grado di comprendere una raffigurazione S** intermedia tra S e S* (poniamo, un quadro di Marc Chagall, che è un po’ meno stilizzato della rappresentazione schematica di un omino ma un po’ più stilizzato di un quadro di Bosch); in tali condizioni infatti costui comprenderà anche S e S*, di modo che questi faranno parte di uno stesso sistema simbolico. Parliamo qui di qualcuno che appartiene a una popolazione, perché il P menzionato nella definizione riportata appena sopra non è un individuo ma una popolazione di individui.

Sembra chiaro perché nella sua definizione Schier deve fare riferimento a una popolazione di individui piuttosto che a singoli individui. Se il riconoscimento degli oggetti o degli stati di cose rappresentati deve contribuire alle condizioni di identità di un sistema pittorico, conviene che questo riconoscimento non sia quello di un individuo determinato, che può non riconoscere quegli oggetti o stati di cose in quanto non li ha mai visti prima. Data questa situazione idiosincratica, infatti, individui diversi non potrebbero mai condividere lo stesso sistema pittorico: a differenza di un australiano, un occidentale che non avesse mai visto e quindi non sapesse riconoscere un ornitorinco non potrebbe mai comprendere un’immagine di ornitorinco come appartenente allo stesso sistema pittorico di un’immagine di un essere umano227. Ma se consideriamo

occidentali e australiani come appartenenti alla stessa popolazione, il problema non si porrà; ci sarà sempre qualcuno all’interno di questa popolazione che comprende l’immagine di ornitornico perché sa riconoscere ornitorinchi.

Non è detto però che questa mossa di Schier elimini il problema per cui, dato un sistema pittorico, qualcosa che intuitivamente dovrebbe farvi parte non vi appartenga e non sia quindi un’immagine (almeno relativamente a quel sistema). Se neppure una persona in una popolazione ha mai visto e dunque riconosciuto ornitorinchi, com’era il

caso di tutti gli occidentali fino alla fine del XVIII secolo, nel sistema pittorico relativo all’intera popolazione un’immagine di ornitorinco non sarà tale.

Schier replicherebbe che anche questo non è un vero problema. Il riconoscimento del rappresentato che la comprensione di una nuova immagine presuppone non dev’essere, secondo lui, esercitato rispetto al rappresentato in carne ed ossa; un riconoscimento che abbia luogo per mezzo di un’immagine di quel rappresentato andrà bene lo stesso228. Gli occidentali che non avessero mai visto

ornitorinchi comprenderebbero comunque un’immagine di ornitorinco nella misura in cui avessero già riconosciuto ornitorinchi per mezzo di altre immagini. Ma questo modo di mettere le cose rischia di rendere vuota la condizione necessaria di riconoscimento presente nella definizione originaria che dovrebbe catturare la generatività naturale di un sistema pittorico229. Come abbiamo visto, secondo quella definizione, se si

comprende un’immagine si comprende altresì una qualsiasi ulteriore immagine appartenente a quel sistema, a patto che si sia in grado di riconoscere il rappresentato di quest’ultima. Ora, se quest’ultima condizione non significa altro che "a patto che si comprenda questo rappresentato in immagine", la condizione non pone alcun vincolo sostanziale alla comprensione dell’immagine. Torniamo ancora al caso dell’ornitorinco. Se si dicesse che gli occidentali pre-ottocenteschi, in grado di comprendere immagini di castori, furetti e volpi, avrebbero compreso anche un quadro di ornitorinco giunto dal Continente Nuovissimo in quanto avrebbero riconosciuto un ornitorinco in quel quadro, si produce una spiegazione vacua. La domanda ovvia infatti sarebbe: e come avrebbero potuto riconoscere l’ornitorinco in quel quadro?

La mossa di Schier a questo punto è intendere in maniera disposizionale la capacità di riconoscimento. Anche chi di noi non ha mai visto ornitorinchi è in grado di riconoscerli; se li vedesse, li identificherebbe come quel tipo di cose. Una popolazione di incompetenti pittorici ovviamente non comprenderebbe il quadro di ornitorinco giunto fino ad essa, non sapendo comprendere immagine alcuna; ma la popolazione di occidentali pre-ottocenteschi invece sì, perché la capacità di comprendere altre immagini (come quelle degli animali non-ornitorinchi già ricordati) mostra che questa popolazione è in grado di riconoscere ornitorinchi direttamente: li identificherebbe come tali se li vedesse230.

L’ascrizione di disposizioni, però, è sempre una cosa complicata. Forse gli occidentali pre-ottocenteschi avevano la capacità di riconoscere ornitorinchi, anche se non ne avevano mai visti, perché gli ornitorinchi sono esseri di media grandezza. Ma noi abbiamo la capacità di riconoscere dinosauri o qualunque altro ente gigantesco nel senso che posti di fronte a un ente siffatto l’avremmo identificato? Chissà. Certamente, però, ci facciamo immagini di dinosauri, come il successo di film quali lo spielberghiano Jurassic Park abbondantemente manifesta. Qualora venisse fuori che non abbiamo questa capacità di riconoscimento, quale estensione del nostro cervello dovremmo allora ipotizzare per ascriverci correttamente tale capacità? O per formulare lo stesso problema in modo diverso, che tipo di disposizioni al riconoscimento dobbiamo presupporre in creature aliene che non abbiano mai visto astronavi, pianeti ed umani perché abbia senso mandare nello spazio, come tempo fa ha fatto la NASA, la

navicella spaziale Pioneer 10 recante l’immagine di un’astronave proveniente da un pianeta del sistema solare su cui abitano esseri umani231?

Fig. 1 – Placca commemorativa sulla Pioneer 10

Come via alternativa, Schier potrebbe dire che anche un oggetto o una situazione mai vista prima possono essere riconosciuti se se ne afferrano le parti, perché le si è già viste. Così gli occidentali pre-ottocenteschi avrebbero potuto capire le immagini di ornitorinchi nella misura in cui sono immagini di esseri composti da arti, tronco, testa ecc., tutti elementi riconoscibili perché già visti. Ma la comprensione di un complesso per comprensione dei suoi elementi funziona in un sistema pienamente composizionale, mentre, come abbiamo già visto, per Schier un sistema pittorico non lo è. In un’immagine possiamo effettivamente notare dei costituenti, ma il contenuto dell’immagine è determinato olisticamente: i costituenti rappresentano quel che rappresentano soltanto all’interno di un’immagine determinata, per cui, data una differenza nell’immagine complessiva, gli stessi costituenti prendono un altro significato. Ad esempio, gli stessi punti che nello schizzo schematico di un viso stanno per gli occhi, nell’immagine tecnica di una presa elettrica stanno per i due fori della corrente. Come ammette Schier, i sistemi pittorici sono solo debolmente, non

fortemente composizionali come i sistemi linguistici. In un sistema linguistico la

comprensione di un simbolo richiede la precedente comprensione del significato convenzionale delle parti e la conoscenza delle regole sintattiche per combinarle, mentre in un sistema iconico la piena comprensione del tutto simbolico si limita a implicare la comprensione delle sue parti232.

Se poi ammettiamo, come abbiamo fatto finora, che oltre a immagini generiche, il cui soggetto è semplicemente un oggetto di qualche tipo – come il quadro di un delfino o di un ornitorinco – vi siano anche immagini specifiche di un oggetto determinato – come un ritratto di Napoleone o una foto di Madonna – il problema che abbiamo ripetutamente discusso si radicalizza. Se in una popolazione si comprende un quadro di un cielo di notte, si comprenderà anche una foto telescopica di Alpha Centauri, a patto di saper riconoscere Alpha Centauri. Ma non solo nessuno ha ovviamente mai visto Alpha Centauri, cioè nessuno è in grado di distinguere Alpha da una stella a lei molto simile. Si sarà probabilmente in grado di comprendere quella foto

come una foto di una stella, perché si è in grado di riconoscere stelle, ma dalla comprensione dell’immagine per via di caratteristiche generali dell’oggetto da essa rappresentato non si giungerà mai alla comprensione specifica, alla comprensione dell’immagine come immagine di quel particolare rappresentato che è Alpha; che è quello che invece vorremmo233.

A questo punto, di fronte a queste ripetute difficoltà appare ovvio che cosa deve fare una teoria riconoscitiva della raffigurazione: svincolare la dipendenza della comprensione dell’immagine dalla capacità di riconoscere il suo soggetto, intesa come una capacità anteriore alla comprensione dell’immagine, per fare di quella comprensione stessa una manifestazione a pieno titolo di quella capacità.

Nel documento Immagine (pagine 70-75)