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La teoria del far finta

Nel documento Immagine (pagine 46-49)

Fingere di vedere qualcosa

2. La teoria del far finta

Walton ha sviluppato la sua personale teoria della raffigurazione all’interno di un quadro più generale di una teoria del far finta, che intende render conto di qualunque attività rappresentativa volta a fini estetici. Secondo Walton, le rappresentazioni hanno una funzione sociale nella misura in cui per loro mezzo si può far finta che le cose stiano in un determinato modo; far finta, infatti, è un’attività sociale che ha a che fare con l’applicazione di norme, entro i cosiddetti giochi di far finta, a una generale attività di immaginazione. Far finta che p significa prescrivere, mediante l’utilizzo di alcuni supporti (props) di cui le rappresentazioni sono il caso prototipico, di immaginare che p,

di modo che impegnarsi in una tale immaginazione è il modo giusto di giocare il gioco che coinvolge quei supporti162. Quello che facciamo da grandi quando leggiamo

romanzi, sentiamo musica o andiamo a teatro è un’attività dello stesso tipo di quella che ci coinvolge da piccoli quando giochiamo a guardie e ladri, con le bambole o andando a cavallo su un manico di scopa. In tutti questi casi, infatti, ci impegniamo in giochi di fare finta in cui, dati alcuni principi di generazione che riguardano i supporti del gioco, cioè i principi che stabiliscono di che cosa quei supporti sono supporti – per cui ad esempio certi bambini contano come guardie e altri come ladri, una bambola conta come un essere umano e un manico di scopa conta come un cavallo163 – otteniamo che

le verità reali che riguardano tali supporti determinino delle verità fittizie, verità all’interno del mondo di finzione istituito dal gioco. Queste ultime verità sono quanto va immaginato nel gioco se lo si vuole giocare correttamente. La funzione dei supporti è così quella di mettere un vincolo all’immaginazione in modo tale che ciò che va immaginato nel gioco dipende da ciò che è vero nella realtà relativamente a questi supporti. Per esempio, se è vero nella realtà che ci sono dieci bambini, i protagonisti del gioco a guardie e ladri, è vero nel (mondo del) gioco di finzione che le guardie e i ladri sono a loro volta dieci in tutto; se è vero nella realtà che alla testa della bambola è appiccicata della stoppa gialla, è vero nel (mondo del) gioco di finzione che la regina è bionda; e se è vero nella realtà che c’è un manico di scopa nell’angolo, è vero nel (mondo del) gioco di finzione che nell’angolo c’è un cavallo. Queste sono tra le cose che bisogna immaginare in quei giochi di finzione se si vuole giocarli bene164.

L’idea di Walton è che le raffigurazioni, in quanto casi particolari di rappresentazioni, raffigurano in quanto anch’esse sono immerse in particolari giochi di finzione aventi anch’essi i propri supporti e principi di generazione: nella fattispecie, in giochi visivi di far finta. Nel caso dei giochi con rappresentazioni pittoriche, il ruolo del supporto è svolto prima di tutto dai veicoli delle immagini, dalle immagini nella loro materialità. L’intrico di colori e forme che nella realtà costituisce una certa tela determina, nel gioco di finzione che si gioca a partire da quella tela, che cosa sia vero nel mondo di finzione costituito dalla scena rappresentata da quella tela e dunque quali siano le mosse corrette da immaginare in quel gioco. Ad esempio, che sia vero nella realtà che occorra una certa distribuzione di forme e colori nella parte alta del più famoso quadro di Leonardo fa sì che sia vero nel mondo de La Gioconda che Monna Lisa abbia un sorriso enigmatico. Che Monna Lisa abbia quel sorriso è dunque quel che si deve immaginare se si vuole giocare correttamente con La Gioconda165.

Questa situazione, commenta Walton, è ciò che consente di fare vere e proprie scoperte relativamente a quanto rappresentato da una tela, di scoprire cioè verità fittizie che non si erano scorte a prima vista166. Il caso seguente esemplifica in modo molto

vivido questo punto. Il restauro conclusosi nel 2011 di un celebre affresco medievale a Massa Marittima, il murale dell’Albero della fecondità, ha reso più che mai evidente quello che un occhio distratto potrebbe non scorgere, ossia che dall’albero pendono oltre che foglie anche genitali maschili. È questa una verità fittizia nel mondo di quell’opera che si aggiunge alle altre verità fittizie che ognuno può invece facilmente cogliere, come quella che vi sia un albero con delle donne in sosta sotto le sue foglie.

Ma tale verità fittizia non ci sarebbe se non fosse realmente vero che su certe zone della tela sono disposti certe forme e colori.

Fig. 1 – L’albero della fecondità

Le cose però per Walton non possono fermarsi qui, perché altrimenti non ci sarebbe alcuna differenza tra rappresentazioni pittoriche e rappresentazioni verbali. Anche i romanzi, come dicevamo, istituiscono giochi di fare finta in cui ciò che va immaginato è a sua volta determinato dagli opportuni supporti, che in questo caso sono costituiti dai testi che sono alla base dei romanzi. Prendiamo ad esempio le ultime pagine dell’Iliade e mettiamole a confronto con una qualunque rappresentazione pittorica del combattimento tra Achille ed Ettore, quale la si può trovare in una serie cospicua di vasi antichi. In entrambi i casi è vero per finta, in quanto indotto dalle opportune verità reali rispettivamente relative al testo omerico e ad uno qualsiasi di quei vasi antichi, che Achille combatte contro il soccombente Ettore. Ma che cosa fa sì che, a differenza di uno di questi vasi, il testo sia solo una rappresentazione verbale e non pittorica della scena fittizia che Omero ci chiede di immaginare?

Ebbene, la risposta di Walton mette in gioco il differente ruolo che l’esperienza del veicolo dell’immagine svolge rispetto all’esperienza di un testo. Prima di tutto, a differenza della percezione del testo, la percezione del veicolo svolge un ruolo di supporto nel gioco relativo: percepire realmente il veicolo determina che si percepisca fittiziamente la scena in esso rappresentata. La percezione del veicolo determina un’ulteriore verità fittizia nel mondo di immaginazione determinato dal rilevante gioco di finzione, ossia che sia fittiziamente vero che si percepisce la scena rappresentata in tale veicolo, una verità che si deve immaginare se si vuole giocare correttamente il gioco di finzione in questione. Ritorniamo all’esempio precedente. Che sia realmente vero che si percepisce un certo vaso antico determina che sia fittiziamente vero che si percepisce Achille che combatte contro il soccombente Ettore. Niente del genere avviene con la lettura del testo dell’Iliade. Il testo omerico rende fittiziamente vero che Achille combatte contro il soccombente Ettore. Certamente, nel leggere il testo, ci si può altresì immaginare di vedere quella scena che il testo stesso racconta. Ma l’esperienza che si fa in tale lettura non determina tale immaginazione; a differenza che

nel gioco col vaso, nel mondo dell’Iliade non è quindi una verità fittizia che si veda la scena in questione167.

Ma Walton non si ferma neppure qui. Gli si potrebbe infatti obiettare che anche nel caso di una rappresentazione verbale, la lettura del testo induce il lettore non solo a immaginare la scena rappresentata, ma anche ad immaginare di vederla. Tuttavia, commenta Walton, c’è sicuramente qualcosa nel caso della rappresentazione pittorica che non ha luogo nel caso della rappresentazione verbale. Nel gioco che coinvolge la prima c’è un’ulteriore verità fittizia, un’ulteriore verità che si deve immaginare a partire dalla percezione del veicolo dell’immagine. Si tratta della verità fittizia che proprio la

percezione del veicolo sia la percezione della scena in esso rappresentata; nel gioco in

questione si fa infatti anche finta che la prima percezione abbia il contenuto della seconda168.

Torniamo al nostro esempio. Vedo il vaso antico; per giocare bene il gioco di finzione che lo riguarda devo anche immaginarmi che la percezione di tale vaso sia la percezione di Achille ed Ettore che combattono. Questo sicuramente manca nel caso della rappresentazione verbale. Non è una verità nel mondo del gioco di finzione che si instaura con tale rappresentazione che la percezione del testo sia la percezione della scena da esso rappresentata. Per giocare bene il gioco di finzione che riguarda il testo, non devo immaginarmi che la percezione del testo sia la percezione della scena che rappresenta, cioè abbia per contenuto quella scena invece che quel testo. Quando leggo l’Iliade, posso immaginarmi di vedere Achille ed Ettore che combattono, ma non devo certo immaginarmi che la percezione delle macchie di inchiostro che sto leggendo sia la percezione di questo combattimento.

In generale, allora, per Walton si può sostenere la tesi seguente: una rappresentazione P è una rappresentazione pittorica solo se, in virtù del percepire direttamente P, si fa finta, ossia si prescrive di immaginare, che quella percezione sia la percezione del soggetto da essa raffigurato169.

Nel documento Immagine (pagine 46-49)