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La teoria semiotica di Goodman

Nel documento Immagine (pagine 88-94)

L’immagine come tipo particolare di segno 1 La teoria raffigurativa del linguaggio

3. La teoria semiotica di Goodman

Goodman riprende le mosse proprio dal punto cui erano arrivati il secondo Wittgenstein e Putnam: ciò che fa di un’immagine l’immagine di qualcosa, ciò che dà all’immagine la sua intenzionalità, non è la somiglianza tra l’immagine e il suo raffigurato. Ma, come già sappiamo dal I capitolo, egli va ben oltre questo punto: per lui nemmeno la stessa pittorialità di un’immagine, ciò che fa di un’immagine l’immagine di qualcosa, può essere spiegata in termini di una siffatta somiglianza.

Vi sono oggi pochi dubbi sul fatto che l’intenzionalità di un’immagine non vada spiegata nei termini di una somiglianza tra l’immagine e il suo raffigurato: come si è detto, questo è un punto acclarato nella teoria della raffigurazione. Da questo punto di vista, possiamo dire che una lezione duratura di Goodman sta nell’idea qui già ricordata (cfr. capitolo IV) secondo cui l’intenzionalità di un’immagine è derivata, almeno nel senso che non si può leggere automaticamente dall’immagine stessa di che cosa essa sia immagine. Da questo punto di vista, non c’è una differenza di principio tra rappresentazioni pittoriche e rappresentazioni verbali, nel senso che anche gli enunciati di una lingua storico-naturale sono il paradigma di ciò che non reca in sé il proprio significato, ma lo attende da un’assegnazione convenzionale di significato alle parti sub- enunciative degli enunciati stessi. Molti però aggiungerebbero che l’aspetto figurativo dell’immagine vincola la sua intenzionalità – si veda paradigmaticamente Wollheim, il quale come abbiamo visto sostiene che l’intenzionalità dell’immagine è data da ciò che

vi si può vedere correttamente (cfr. capitolo II)277. Inoltre, come si è rilevato nel capitolo

I, qualche dubbio si può ancora nutrire sul fatto che Goodman sia riuscito a mettere fuorigioco l’idea che una somiglianza oggettiva tra l’immagine e il suo soggetto spieghi la pittorialità della prima.

Dunque, affinché Goodman possa, da un lato, legittimamente considerare l’intenzionalità dell’immagine come puramente convenzionale proprio come quella di un’espressione verbale e dunque come del tutto svincolata dalla sua pittorialità e, dall’altro lato, sottrarre alla pittorialità dell’immagine un fattore di somiglianza al raffigurato, occorre vedere qual è la pars construens che egli mette in campo riguardo alla questione della pittorialità dell’immagine: la sua teoria strutturalista o come alcuni (come Wollheim) la chiamano, la teoria semiotica della raffigurazione278. Questa sarà

una teoria che, nel far perno su che tipo di segno è un’immagine e quindi sulle sue caratteristiche strutturali, esclude che sia possibile dar conto della pittorialità dell’immagine in termini percettivi e quindi a fortiori in termini di somiglianza tra l’immagine e il suo soggetto.

Fino ad un certo punto, per Goodman immagini ed espressioni verbali vanno di pari passo nell’ottenere la loro significazione. Non solo è convenzionale per entrambe essere immagini o espressioni di qualcosa, essere cioè in una relazione non naturale di designazione con un certo oggetto279; ma per nessuna delle due il significato si esaurisce

nel designare qualcosa, visto che ci sono tanto immagini quanto espressioni verbali vuote, simboli cioè che non designano alcunché. Per esempio, mentre tanto il nome “Silvio Berlusconi” quanto un ritratto di Berlusconi designano Silvio Berlusconi, tanto l’espressione “il cavallo alato” quanto un quadro del cavallo alato non designano per Goodman alcunché, e tuttavia hanno, come la coppia di rappresentazioni precedente,

significato. Ora, mentre il significato dei simboli che designano qualcosa, siano questi immagini o espressioni, è dato in modo relazionale – c’è qualcosa di cui sono simboli – per il secondo tipo di simboli, le immagini o le espressioni vuote, il loro significato è dato in modo non relazionale – non c’è qualcosa di cui sono simboli, ma entrambi sono meri segni-di-qualcosa, dove i trattini stanno ad indicare per l’appunto la non- relazionalità del loro significare, ovvero il loro avere un contenuto generico: per esempio, tanto l’espressione “il cavallo alato” quanto un quadro del cavallo alato non designano alcun cavallo particolare, ma hanno significato in quanto sono segni-di- cavallo-alato, in quanto entrambi esprimono uno stesso contenuto generico; si potrebbe dire, entrambe esprimono il modo alato di essere cavallo. Tuttavia, aggiunge Goodman, anche i simboli ‘pieni’, oltre ad avere un significato relazionale ne hanno uno non- relazionale; sia che abbiano a che fare con un designatum oppure no, tutte le rappresentazioni, immagini come espressioni, sono rappresentazioni-come, ossia esprimono tutte un contenuto generico. Così, anche “la regina d’Inghilterra” o una foto di Elisabetta II colta nelle sue funzioni istituzionali, oltre a significare entrambe Elisabetta Windsor in quanto la designano, hanno significato in quanto sono segni-di- regina, esprimono regalità. In altri termini, sono si rappresentazioni di Elisabetta ma

come regina280.

C’è una vulgata che intende Goodman, in quanto rappresentante di una teoria semiotica delle immagini, come un sostenitore dell’idea che le immagini sono una sorta di linguaggio, perché la più parte di esse designano qualcosa e tutte hanno comunque un significato. Ma in realtà, per Goodman le analogie tra rappresentazioni verbali e rappresentazioni pittoriche finiscono qui. Tanto le immagini relazionali quanto le immagini non relazionali, quelle prive di designatum, simboleggiano in modo diverso rispetto a come simboleggiano espressioni verbali, tanto relazionali quanto non relazionali. Il punto, dice Goodman, è che le immagini e le espressioni verbali simboleggiano diversamente nella misura in cui appartengono a sistemi simbolici di tipo diverso. Questo immediatamente significa che ciò che per Goodman fa di un’immagine un’immagine, così come per converso fa di un’espressione verbale un’espressione verbale, non è una sua proprietà intrinseca, ma il fatto che esse appartengano a due sistemi simbolici diversi, caratterizzati dal fatto di avere strutture diverse281. In questa

peculiare spiegazione della pittorialità abbiamo il nucleo della teoria strutturalista della raffigurazione.

Per capire questo punto, partiamo da un ottimo esempio di John Kulvicki. Se noi prendiamo il segno seguente:

affinità

possiamo vedere tale segno come un’occorrenza di un’espressione verbale, la parola “affinità”. In tal caso, tale segno sarà simile in forma al segno:

che non è che un’altra occorrenza della stessa parola semplicemente in un font diverso, e simile in contenuto al segno:

somiglianza

in quanto occorrenza di un’altra parola dal significato vicino a quello della parola “affinità” (entrambe sono segni-di-somiglianza, potremmo dire). Ma potremmo prendere lo stesso segno di partenza come una fotografia di un’iscrizione, quindi come appartenente ad un sistema pittorico di rappresentazione. Se facessimo lo stesso anche con gli altri due segni, non vi sarebbe più alcuna affinità di forma o di contenuto del primo segno con alcuno di essi: avremmo tre fotografie completamente diverse di cose completamente diverse, ossia di tre iscrizioni differenti. Piuttosto, ciò a cui quel primo segno sarebbe da vedere affine sarebbe per esempio il seguente:

a99inità

preso a sua volta come una fotografia di un’iscrizione analoga282.

L’idea che soggiace a quest’esempio è che i sistemi rappresentazionali pittorici e verbali hanno differenti caratteristiche strutturali. Un sistema verbale è un sistema notazionale, i cui caratteri sono indefinitamente ripetibili, in cui dunque un simbolo tipo è ripetibile in un’infinità di repliche. In qualità di sistema notazionale, un tale sistema dev’essere tanto sintatticamente quanto semanticamente non denso, ossia essere tale da essere composto da caratteri che, tanto dal punto di vista sintattico quanto dal punto di vista semantico, sono disgiunti e finitamente differenziati. Sintatticamente, i caratteri di un sistema notazionale sono disgiunti, ossia per ogni segno di quel sistema ci dev’essere solo un carattere cui quel segno appartiene. Ecco qua tre segni: s, s e j. I primi due sono segni della lettera S – due occorrenze della stessa lettera tipo, possiamo dire – il terzo è invece un segno della lettera J. Poniamo peraltro che qualcuno abbia una brutta grafia, per cui non è facilmente riconoscibile se una linea un poco oblunga tracciata da costui è un segno di S o un segno di J. Ebbene, dev’essere l’una o l’altra cosa, nella misura in cui S e J intervengono a comporre espressioni sintatticamente del tutto diverse283.

Inoltre, sempre sintatticamente i caratteri di un sistema notazionale sono finitamente differenziati, ossia dev’essere in linea di principio possibile stabilire a quale carattere un segno appartiene, se dev’essere un segno di quel sistema. Così, i caratteri di un sistema notazionale non possono essere ad esempio dei trattini di lunghezza tale che sia in linea di principio impossibile stabilire se un certo segno cada sotto l’uno o l’altro carattere (prendiamo ad esempio un segno di una lunghezza grosso modo intermedia tra le diverse lunghezze di due trattini-caratteri; dato che le lunghezze si dispongono lungo un

continuum numerico, non è in linea di principio possibile determinare se il segno

appartiene al primo o al secondo carattere)284. Ma anche semanticamente, un sistema

notazionale è non denso. Nessun diverso carattere di un tale sistema deve avere la stessa designazione, ed è sempre possibile in linea di principio stabilire qual è la designazione di un carattere, se ve n’è una285.

Ebbene, a differenza di un sistema verbale, un sistema pittorico è tanto sintatticamente quanto semanticamente denso. È denso sintatticamente, perché dati due caratteri è sempre possibile che tra loro ve ne sia un terzo, così da avere un’infinità di caratteri in modo tale che non è possibile per un segno di quel sistema appartenere solo a un carattere né è possibile in linea di principio stabilire a quale carattere esso appartenga286. Intuitivamente, l’idea è che se si fa anche un’alterazione minuscola ad

un’immagine, essa conterà come una nuova immagine. Se cambio appena colore anche a una minuscola parte di un quadro, avrò un nuovo quadro. Idealmente, vado al Louvre a ritoccare appena La Gioconda … ed ecco che ottengo, à la Marcel Duchamp, La

Gioconda coi baffi. Ancora, un sistema pittorico è denso semanticamente, per analoghe

ragioni: i suoi caratteri sono tali che le loro designazioni sono infinite perché dati due di essi con le loro rispettive designazioni ce n’è sempre un terzo che ha un’altra designazione, di modo che differenti caratteri hanno la stessa designazione e non è possibile in linea di principio stabilire qual è la designazione di un carattere287.

Intuitivamente, l’idea è che un’alterazione minuscola a un’immagine con un certo contenuto produce un’immagine con un nuovo contenuto. Idealmente, ritocco come appena indicato il quadro di Leonardo, ed ecco che dal ritratto di Monna Lisa passo ad avere il ritratto di un altro e più inquietante personaggio.

Fig. 2 – Leonardo da Vinci, La Gioconda; Marcel Duchamp, La Gioconda coi baffi Messe assieme, densità sintattica e semantica determinano il carattere analogico di un sistema rappresentazionale288. Altrimenti detto, l’idea intuitiva che ci sono sistemi le cui

rappresentazioni si collocano lungo un continuum e non sono individualmente discrete, come in un sistema digitale (nel famoso esempio, si pensi ai modi diversi di indicare l’ora da parte rispettivamente di un orologio con lancette e di un orologio con display numerico), viene per Goodman espressa dal fatto che tale sistema rappresentazionale è denso, tanto sintatticamente quanto semanticamente.

Se però la densità afferra solo la pittorialità delle immagini analogiche, si genera immediatamente un problema che forse ai tempi in cui Goodman scriveva non era ancora molto avvertito, ma al giorno d’oggi è lampante, visto che, grazie allo straordinario impatto della nuova tecnologia computerizzata, le immagini che per l’appunto chiamiamo digitali, le immagini composte da un numero sì enorme ma

comunque discreto di pixels, costituiscono la stragrande maggioranza delle immagini. Ebbene, nella misura in cui queste ultime immagini non sono analogiche e quindi a

fortiori non sono dense, la densità non fornisce condizioni necessarie di pittorialità. Per

tali immagini, infatti, non può darsi che per ogni due caratteri ve ne sia un terzo in posizione intermedia tra essi289.

A fianco di questo problema si colloca immediatamente il problema opposto, quest’ultimo sì, a differenza del precedente, notato già dallo stesso Goodman, e cioè che l’analogicità, o in altri termini la densità, non è condizione sufficiente di pittorialità. Consideriamo ancora una volta, come abbiamo già fatto nel capitolo precedente, sistemi affini a quelli pittorici ma diversi da questi, come i sistemi diagrammatici o grafici; prendiamo ad esempio un termometro analogico che rappresenta temperature lungo una scala continua. Ebbene, tale termometro sarà tanto sintatticamente quanto semanticamente denso; dati due caratteri, ve ne sarà sempre un terzo, che avrà un’altra designazione – un’altra temperatura – rispetto alle designazioni dei primi due290.

La mossa di Goodman per mettere fuori gioco questi controesempi del fatto che la densità sia condizione sufficiente per la pittorialità è individuare un’altra caratteristica che i sistemi pittorici non condividerebbero con gli altri sistemi analogici, caratteristica che insieme alla densità fornisca le condizioni non solo necessarie, ma congiuntamente sufficienti di pittorialità. Questa caratteristica è la pienezza relativa. Dati due sistemi rappresentazionali, un sistema è più ricco dell’altro quando avrà più proprietà rappresentazionalmente rilevanti, ossia quando avrà più proprietà per caratterizzare ciò che le sue rappresentazioni rappresentano. Ora, secondo Goodman un sistema pittorico è sempre più ricco di un qualsiasi altro sistema analogico. Prendiamo un grafico in cui due linee rappresentino l’andamento nel 2012 del differenziale di rendimento dei buoni del tesoro italiani rispetto ai bund tedeschi. Solo l’andamento di queste linee conta ai fini rappresentazionali; lo spessore delle linee, il loro colore e altre caratteristiche sono irrilevanti. Non ci sono paragoni rispetto alla varietà di sfumature cromatiche, di brillantezza e di saturazione di colori con cui nella Gioconda Leonardo rappresenta la sua enigmatica donna sullo sfondo di un classico paesaggio mediterraneo291. Ecco

perché, a differenza delle immagini, sistemi rappresentazionali meramente analogici, meramente densi dunque, non sono fatti di rappresentazioni pittoriche.

Ancora una volta, tuttavia, è dubbio se la pienezza relativa costituisca una condizione necessaria di pittorialità. Prendiamo un grafico in cui ciò che oltre all’andamento delle linee conta rappresentazionalmente è il fatto che le linee abbiano colore diverso (per tornare all’esempio precedente, questa differenza cromatica sarebbe utile se volessimo rappresentare rispetto all’andamento dei bund tedeschi non solo quello dei buoni italiani, ma anche quello dei bonos spagnoli). Come confrontarlo con una fotografia in bianco e nero? Come stabilire chi è rappresentazionalmente più ricco, visto che non hanno proprietà in comune? Eppure certamente la fotografia è un’immagine e il grafico no (ancora una volta, è soltanto una rappresentazione analogica)292. E ancora, prendiamo degli schizzi in inchiostro o a matita; questi sono

immagini, ma sicuramente hanno meno proprietà rappresentazionalmente rilevanti di un grafico in cui dal punto di vista rappresentativo oltre all’andamento delle linee conta per l’appunto il loro colore293.

Ma il problema più serio è nuovamente sul lato delle condizioni sufficienti. Prendete un mosaico e scompaginatene tutte le tessere in modo da ottenere un puzzle informe. Quest’ultimo sarà certamente denso sia sintatticamente che semanticamente, e sarà anche relativamente più pieno di un grafico o di un termometro analogico, mettendo in gioco più proprietà rappresentazionalmente rilevanti. Ma è difficile sostenere che, a differenza del mosaico di partenza, il puzzle sia un’immagine294.

Dunque, le caratteristiche strutturali proposte da Goodman per i sistemi pittorici non sembrano fornire condizioni congiuntamente sufficienti di pittorialità.

Nel documento Immagine (pagine 88-94)