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L’emendamento di Kulvick

Nel documento Immagine (pagine 94-100)

L’immagine come tipo particolare di segno 1 La teoria raffigurativa del linguaggio

4. L’emendamento di Kulvick

Recentemente, John Kulvicki ha suggerito una revisione delle condizioni di pittorialità di Goodman in maniera da ovviare ai problemi che la proposta strutturalista di Goodman solleva.

Kulvicki parte dalla nozione di proprietà sintatticamente rilevanti per i segni che appartengono a un certo sistema rappresentazionale. Queste sono le proprietà su cui sopravviene l’identità sintattica di un tale segno, nel senso che se si cambia l’identità sintattica di un segno cambieranno anche alcune delle sue proprietà sintatticamente rilevanti, ma il contrario non vale: ci sono cioè dei mutamenti in tali proprietà che non intaccano l’identità sintattica di un segno. Così, se si vuole mutare l’identità sintattica di una lettera, bisogna mutare la sua forma, anche se due repliche della stessa lettera possono essere diverse in forma senza che questo per l’appunto alteri l’identità sintattica della lettera. Analogamente per quanto riguarda le immagini, per cambiare l’identità sintattica di un’immagine bisogna cambiarne forma e colore295.

Sulla base di questa nozione, Kulvicki può rivedere le condizioni di pittorialità proposte da Goodman. Per Kulvicki, un sistema rappresentazionale ha natura pittorica solo se i suoi segni sono: a) relativamente sensibili sintatticamente, b) semanticamente ricchi, c) relativamente pieni* (usiamo l’asterisco accanto all’aggettivo “pieno” per indicare, come si vedrà subito, la diversità della proposta di Kulvicki rispetto a quella di Goodman). Partiamo da b): un sistema rappresentazionale è semanticamente ricco se e solo se ci sono almeno tante possibili designazioni nel sistema quanto sono i suoi tipi sintattici296. Così concepita, la condizione b) non distingue tra un sistema verbale e un

sistema pittorico. Di questo si incarica la condizione a): un sistema rappresentazionale è

sintatticamente più sensibile di un altro se e solo se i mutamenti delle proprietà

sintatticamente rilevanti per cambiare l’identità sintattica di un segno del secondo sistema sono inclusi nei mutamenti delle proprietà sintatticamente rilevanti per cambiare l’identità sintattica di un segno del primo sistema, ma non viceversa. Secondo tale definizione più sensibile è un sistema, meno l’identità sintattica dei suoi segni tollera cambiamenti nelle proprietà sintatticamente rilevanti297. In questo possiamo vedere una

differenza tra un sistema pittorico e uno verbale. I cambi di forma rilevanti per l’identità sintattica di un segno verbale sono inclusi nei cambi di forma rilevanti per l’identità sintattica di un segno iconico, ma non viceversa. Se scriviamo il segno “Alfred Hitchcock” in quattro fonts diversi, le repliche che otteniamo sono quattro repliche dello stesso nome – quei mutamenti formali non avranno inciso sul mutamento di identità

sintattica del nome. Ma quelle stesse repliche sono quattro repliche di quattro immagini diverse, se le prendiamo come fotografie di iscrizioni – quegli stessi mutamenti formali incidono sul mutamento di identità sintattica di un’immagine. Così intese, le condizioni a) e b) consentono di includere le immagini digitali nel novero delle rappresentazioni pittoriche, che le prime due corrispondenti condizioni di Goodman invece escludevano. Non solo le immagini analogiche, ma anche le immagini digitali sono sintatticamente sensibili e semanticamente ricche; da questo punto di vista, non c’è più nessuna differenza rilevante tra immagini analogiche e immagini digitali298. Tuttavia, né a) né b),

come in Goodman, distinguono un sistema pittorico da un sistema diagrammatico o grafico. A questo scopo occorre la condizione c). Un sistema rappresentazionale è

pieno* rispetto ad un altro sistema se e solo se: i) c’è un’intersezione tra l’insieme delle

proprietà sintatticamente rilevanti del primo sistema e l’insieme delle proprietà sintatticamente rilevanti del secondo sistema; ii) l’insieme delle proprietà sintatticamente rilevanti del primo sistema meno questa intersezione ha cardinalità più grande (è maggiore) dell’insieme delle proprietà sintatticamente rilevanti del secondo sistema meno tale intersezione299. Grazie alla definizione di pienezza* relativa, quelli

che erano controesempi per Goodman svaniscono, perché grazie all’intersezione delle loro proprietà sintatticamente rilevanti, si è legittimati a dire che, a differenza delle foto in bianco e nero, un diagramma a colori non è un sistema pittorico, proprio perché è un sistema meno pieno* del sistema delle foto in bianco e nero: tolte le proprietà sintatticamente rilevanti che condividono, il primo sistema ha meno proprietà sintatticamente rilevanti del secondo. Analogamente si potrà dire rispetto al confronto tra un diagramma a colori e uno schizzo a inchiostro.

Rivedendo le condizioni di Goodman nei termini delle condizioni a)-c), Kulvicki ritiene di aver fornito condizioni necessarie di pittorialità, perché come abbiamo visto anche le immagini digitali soddisfano tali condizioni. Ora però, sebbene c) permetta di distinguere meglio che in Goodman grafici e diagrammi dalle immagini, neppure le condizioni a)-c) sono condizioni congiuntamente sufficienti di pittorialità, perché si espongono agli stessi controesempi cui si esponevano le analoghe condizioni goodmaniane. Stando al modo in cui le nuove nozioni di Kulvicki sono caratterizzate, anche il puzzle derivato dalla ricomposizione caotica delle tessere di un mosaico è relativamente sensibile sintatticamente, semanticamente ricco, relativamente pieno*, ma come già sappiamo non è un’immagine300.

In un quadro strutturalista occorre dunque aggiungere una quarta condizione di pittorialità che sia individualmente necessaria e insieme alle altre congiuntamente sufficiente: quella che Kulvicki chiama la trasparenza strutturale. Per Kulvicki, un sistema rappresentazionale è trasparente se e soltanto se per ogni rappresentazione R presente in esso, ogni rappresentazione di R nello stesso sistema è dello stesso tipo sintattico di R; altrimenti detto, entro quel sistema una certa rappresentazione e una sua metarappresentazione coincidono nelle proprietà sintattiche rilevanti per determinarne l’identità sintattica301. Così è per l’appunto nei sistemi pittorici. Prendiamo una

fotografia e facciamone una fotografia i cui confini coincidano con quelli della prima fotografia. Vedremo che la prima fotografia e la seconda fotografia, che è una fotografia della prima, hanno gli stessi colori e forme, dunque sono sintatticamente identiche. Non

è così ovviamente coi sistemi verbali. Se prendiamo una qualsiasi espressione verbale, poniamo una descrizione definita – “il re di Francia” – e di questa facciamo a sua volta una descrizione – “l’espressione che comincia con l’articolo ‘il’ … e finisce col nome proprio ‘Francia’” – è evidente che le due descrizioni, la prima descrizione e la descrizione di quella descrizione, sono sintatticamente diverse302. Ma, cosa più

interessante ai presenti fini, i controesempi tanto a Goodman quanto alle precedenti condizioni a)-c) come condizioni congiuntamente sufficienti di pittorialità svaniscono. Prendiamo una fotografia, tagliamola a pezzettini e ricomponiamo questi pezzettini in modo caotico. A sua volta, facciamo una fotografia di questo puzzle, ritagliamola a pezzettini e ricomponiamo a loro volta questi ultimi in modo caotico. È evidente che le due ricomposizioni, la ricomposizione di partenza e la ricomposizione di quella ricomposizione, non condividono le proprietà sintattiche rilevanti e dunque sono sintatticamente diverse; in altri termini, il sistema di puzzle caotici non è strutturalmente trasparente303. Provare per credere, dice Kulvicki. Due rappresentazioni sintatticamente

identiche sono anche tali semanticamente. Per lui, con le rappresentazioni pittoriche è proprio così; se si fa una fotografia di una fotografia, la seconda condivide lo stesso soggetto della prima304. Ma nel caso della ricomposizione caotica non è così. Prendiamo

una foto di un cavallo, tagliamola a pezzettini e ricomponiamo questi ultimi a caso; facciamo una foto di questa ricomposizione, tagliamo a pezzettini anche questa e ricomponiamo i nuovi pezzettini a caso; qualunque sia il soggetto, se ve n’è uno, della prima ricomposizione, non può essere il soggetto, se ve n’è uno, della seconda ricomposizione. Quindi, dato che il sistema di puzzle caotici non è strutturalmente trasparente, un qualunque rompicapo del genere non è un’immagine305.

Basterà questa quarta condizione? C’è chi ne dubita, proponendo ulteriori controesempi proprio all’idea che la trasparenza strutturale sia insieme alle precedenti condizioni a)-c) condizione sufficiente di pittorialità. Per esempio., una lettera di un alfabeto più articolato dell’inglese come il tedesco, diciamo la lettera ß, non solo rende questo sistema semanticamente ricco e tanto sintatticamente più sensibile quanto relativamente più pieno* dell’inglese, ma lo rende anche strutturalmente trasparente, nella misura in cui tale lettera rappresenta anche se stessa (nella forma citazionale; nell’esempio, si usa ß per menzionare ß medesima). Ma ovviamente, un sistema alfabetico non è un sistema pittorico. E addirittura, se si accetta una concezione delle proprietà sintatticamente rilevanti per cui anche proprietà disgiuntive di forma e proprietà disgiuntive di colore risultano essere tali, anche il nostro vecchio sistema di rompicapo caotici è strutturalmente trasparente306.

Per ragioni diverse, entrambi i controesempi sono discutibili (la citazione è una forma di raffigurazione? Le proprietà disgiuntive sono proprietà genuine?). Indipendentemente da questo, però, occorre valutare se la proposta di Kulvicki garantisce l’assunto di fondo dello strutturalismo, ossia l’idea che si possa spiegare la pittorialità dell’immagine del tutto indipendentemente da considerazioni che fanno riferimento alla percezione di immagine, come Kulvicki stesso ribadisce307. Ora, è noto

che a fianco del concetto strutturale di trasparenza la letteratura sulle immagini ha mobilitato un concetto percettivo di trasparenza, applicato alle cosiddette immagini

pittoriche diverso dai quadri, gli schizzi e i disegni (cfr. Introduzione). Secondo il concetto percettivo di trasparenza, un’immagine è trasparente in quanto si vede il suo soggetto attraverso di essa – come se l’immagine fosse un paio di occhiali, in cui le lenti lasciano per l’appunto trasparire il soggetto che un individuo vede per loro mezzo. Ora per Kulvicki, il concetto strutturale di trasparenza ha priorità esplicativa su quello percettivo. Immaginiamo di avere un sistema fotografico digitale o che produce foto sfocate, e confrontiamolo con un sistema fotografico a bassa risoluzione o che riproduce i soggetti da una prospettiva obliqua. Immaginiamo ancora di prendere una foto con questi sistemi, fare una foto di quella foto, fare una foto di quella foto di foto e così via. È probabile che nei sistemi di secondo tipo già dalla prima metafotografia non vedremo più per suo mezzo il soggetto della foto di partenza, mentre nei sistemi di primo tipo ciò succederà solo a partire da una metafotografia di grado n. Ma questa differenza nella trasparenza percettiva di tali differenti sistemi dipenderà dal fatto che nei sistemi di secondo tipo la metafotografia è rilevantemente diversa dal punto di vista sintattico rispetto alla foto di cui è foto; dunque vi sono buone ragioni di tipo strutturale per classificare solo i sistemi di primo tipo come trasparenti308.

Naturalmente il percettivista potrebbe pensare che il discorso si può rovesciare. In tutti quei sistemi, la prima metarappresentazione è comunque sintatticamente diversa dalla foto di partenza – vuoi perché i colori sono più incerti, o le forme sono più sgranate e così via. Come si stabilisce quando tale diversità sintattica sia rilevante per l’identità sintattica di due rappresentazioni, se non mediante un criterio percettivo? Incidentalmente, poco cambia se abbiamo a che fare con immagini trasparenti, immagini il cui soggetto si vede attraverso l’immagine medesima come le fotografie, o con immagini opache come i quadri, il cui soggetto si vede nell’immagine – del resto, come si è visto nell’Introduzione, la distinzione in questione presa come distinzione tra generi diversi di immagine è problematica. Se qualcuno facesse un quadro in stile impressionista di un quadro impressionista, poniamo di un paesaggio di Giverny dipinto da Claude Monet, non si potrebbe dire che i due quadri sono sintatticamente diversi nella misura in cui nel secondo non si vede più il soggetto del primo – il famoso giardino delle ninfee, poniamo?

In realtà, è lo stesso Kulvicki ad ammettere che la teoria della raffigurazione deve mantenere un ruolo per la percezione di immagine. Vediamo perché.

Prima di tutto, la tesi di Kulvicki, precedentemente ricordata, secondo cui il contenuto semantico di un’immagine sopravviene sull’identità sintattica di un’immagine sarebbe di per sé alquanto dubbia, se volessimo che il contenuto semantico di un’immagine abbia una grana fine. Prendiamo due foto di due gemelli. Quanto alla loro intenzionalità, queste foto sono certamente diverse: la prima foto è la foto del primo

gemello, la seconda è la foto del secondo gemello. Però, se i gemelli sono

indistinguibili, così saranno le loro foto. Addirittura, una foto della prima foto sarà indistinguibile da ciascuna delle due foto e altresì da una foto della seconda foto. Ora per Kulvicki tale indistinguibilità percettiva è spiegata dal fatto che tutte queste foto sono sintatticamente identiche. Ma se vogliamo mantenere quella tesi di sopravvenienza, il contenuto che tutte queste foto sintatticamente identiche possono condividere non potrà mettere in campo la diversa intenzionalità delle due foto di

partenza – il fatto che la prima sia la foto del primo gemello, la seconda la foto del secondo gemello – perché tale differente intenzionalità renderebbe differente il rispettivo contenuto di quelle foto.

Il punto è che il contenuto semantico sopravveniente sull’identità sintattica di un’immagine non è un contenuto a grana così fine come un contenuto singolare quale quello appena menzionato nell’esempio dei gemelli – per cui una delle foto in questione è una foto di un certo gemello – e probabilmente neppure un contenuto generico a grana un po’ meno fine – per cui tanto la prima quanto la seconda foto sono foto di persona

con certe caratteristiche. Si dovrà trattare dunque di un contenuto che immagini cui

ascriviamo a vario titolo un’intenzionalità differente possono condividere.

Qui Kulvicki va a ripescare la già ricordata distinzione di Haugeland tra contenuto essenziale e contenuto arricchito di un’immagine. Se però Haugeland, come abbiamo visto in precedenza, usava questa distinzione per distinguere in termini di contenuto le rappresentazioni pittoriche dalle rappresentazioni verbali – le prime hanno per lui un tipo di contenuto essenziale diverso dalle seconde – a Kulvicki invece interessa riprendere l’idea di un contenuto essenziale delle immagini per indicare il tipo di contenuto che può sopravvenire sull’identità sintattica di un’immagine: immagini sintatticamente identiche ma dalla differente intenzionalità avranno differente contenuto arricchito ma medesimo contenuto essenziale309. Perché ciò possa avvenire il contenuto

essenziale dovrà essere, come voleva Haugeland, un contenuto molto povero – essenzialmente, un contenuto fatto di invarianti prospettiche quanto alla forma e di proprietà cromatiche. Infatti, sostiene Kulvicki, quel contenuto consiste in proprietà che l’immagine stessa, in quanto veicolo, esemplifica: il veicolo ha quei stessi colori e forme che il suo contenuto possiede310.

Ora, scrive Kulvicki, è in realtà il condividere questo contenuto che fa da spartiacque, rispetto ai casi precedentemente visti di immagini sfocate, a bassa risoluzione ecc., tra il caso in cui una metaimmagine è sintatticamente identica all’immagine di cui è immagine e il caso in cui non lo è311. Ma allora, e questo è il punto

cruciale, tale contenuto sarà composto di quelle proprietà che rendono l’immagine

percepibile, come ammette lo stesso Kulvicki312. Così come il contenuto di una

percezione qualsiasi, il contenuto essenziale di un’immagine è infatti per Kulvicki

verticalmente articolato, cioè si struttura lungo una serie di livelli di astrazione che sono

tutti direttamente estraibili, e non inferibili, dall’immagine. Così per esempio, se vedo in una scena reale una sfumatura di rosso, vedo anche direttamente del rosso, o comunque qualcosa di più chiaro di un altro colore. Ma lo stesso avviene se vedo quella sfumatura in un’immagine313. Da qui il passo è breve per sostenere che, poiché immagini dal

contenuto arricchito differente, come abbiamo già visto, possono ben condividere lo stesso contenuto essenziale, il criterio per determinare l’articolazione di quest’ultimo contenuto sia determinato da ciò che un soggetto percipiente può riconoscervi in esso314.

Se così stanno le cose, però, la distinzione tra contenuto essenziale e contenuto arricchito di un’immagine finisce per coincidere con la distinzione tra contenuto figurativo e contenuto intenzionale di un’immagine, dove il primo corrisponde a ciò che si può vedere in un’immagine e quindi ne dà la pittorialità, mentre il secondo corrisponde a ciò che viene negoziato, attraverso una qualche sorta di convenzione,

come ciò su cui l’immagine verte e quindi dà l’intenzionalità di un’immagine. Il primo contenuto è molto più ampio del secondo, perché esso è identico a ciò che tutti i differenti candidati che si possono vedere in un’immagine hanno in comune, mentre il secondo è più specifico perché coincide con quello che tra tutti quei candidati è stato trascelto come ciò su cui l’immagine verte, come l’effettivo soggetto dell’immagine. In un esempio più volte ricordato in questo libro, se nell’affresco di Piero si può vedere tanto San Ludovico di Tolosa quanto Michael Schumacher, il suo contenuto figurativo sarà quel contenuto generico che consente entrambe le possibilità, anche se il suo contenuto intenzionale sarà soltanto San Ludovico (perché Piero ha voluto così e noi fruitori abbiamo accolto questa sua intenzione)315. Ma questo in sintesi significa che lo

strutturalismo rimanda a una qualche forma di percettivismo; come dire che una buona analisi di ciò che fa di un’immagine l’immagine del suo soggetto vuole una collaborazione, non un’opposizione, tra questi paradigmi interpretativi316.

Nel documento Immagine (pagine 94-100)