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Dal Medioevo all’Età moderna: Antonio Roselli

evolutive della questione suntuaria: dal sumptus al lusso.

1. Dal Medioevo all’Età moderna: Antonio Roselli

Nei primi anni ’30 del secolo scorso, Noël Denholm-Young e Her- man Kantorowicz, editori del De ornatu mulierum (1447) del giurista aretino Antonio Roselli, ricevevano da quello scritto la seguente im- pressione1:

Formally original we may call it, because to discuss the legal validity of a type of ordinance, which popes and bishops, cities and princes had long been issuing uncontroverted was contradictory to the medieval spirit of authority and especially unusual for a medieval jurist and Pro- fessor of Canon Law.

Questo giudizio appare essere il punto d’avvio degli studi sulla di- sciplina suntuaria: come spiegare che un giurista della tradizione di ius

commune possa mettere in discussione la validità dello statuto episco-

pale, per giunta avente ad oggetto una questione morale quale è il

sumptus? In realtà proprio qui sta il nocciolo della questione: la quaestio di frater Ubertus era stata la prima ad abbattere questo muro, a

ragionare non sulla potestas iurisdictionis ma sui limiti cui è sottoposto l’officium iudicis, ancorché si tratti del vescovo iudex. Ed in ciò forse

1 N. DENHOLM-YOUNG, H. KANTOROWICZ, De ornatu mulierum. A Consilium of Antonius de Rosellis with an Introduction on Fifteenth Century Sumptuary Legislation, estratto da La Bibliofilia, 35 (1933), p. 12, poi in H. COING, G. IMMEL (Hrsgg. von),

Rechtshistoriche Schriften, Karlsruhe, 1970 (Freiburger Rechts - Und Staatswissen-

sta la ragione della risonanza che dettero alla solutio ubertina giuristi del calibro di Alberico da Rosciate e Giovanni d’Andrea ed altri. Ma l’interpretatio di Uberto doveva ulteriormente essere liberata dal- l’hortus conclusus dello statuto episcopale e di quello ius maritorum che era in grado di fermare la forza coercitiva delle disposizioni statuta- rie suntuarie soltanto con riguardo alle donne sposate. La dottrina di Bartolo era riuscita a compiere il passaggio successivo, a fare tesoro della soluzione del frater, ripensata con riferimento al paterfamilias ed ai mores singulorum de civitate: i costumi personali non possono essere oggetto di legislazione, ma possono divenire giudizialmente perseguibi- li quando siano contrari all’honeste vivere in cui la civitas – con le di- versità di status da cui è composta – si riconosce.

Il Roselli, forte delle sole fonti canonistiche e civilistiche, senza ci- tare la posizione dottrinale degli autori precedenti, mostra di aderire alle soluzioni nuove di Bartolo rispetto a quelle professate da frater Ubertus e dai seguaci. Egli si spinge fino al punto di esprimere a chiare lettere l’invalidità delle disposizioni statutarie restrittive del sumptus praticato dalle donne tutte, per un fine buono2. In questo modo – sebbene non dichiaratamente – il Roselli, con la medesima energia con cui lo sculto- re rifinisce la figura prima abbozzata nel blocco di marmo, contribuisce a dare massimo rilievo alla communis opinio bartoliana: la maniera per cercare di arginare il sumptus non è quella della legge, ma quella della tutela del precetto honeste vivere. Per il Roselli lo statuto restrittivo de- gli ornamenti è sempre invalido, laddove si possa presumere l’assenza di concupiscenza e vuota ostentazione3:

Ex istis ergo concluditur quod ubicumque est presumptio quod mulieres non utantur istis ornamentis ut homines alios quam proprios maritos ad coitum provocent, vel ut aliis quam maritis placeant, nec faciunt ad inanem gloriam et jactantiam, ibi statutum locum non habet, cum peccatum nullum sit, et statuta debent pati interpretationem passivam a iure communi…

2 Si veda il testo più oltre, in questo stesso paragrafo.

3 ANTONIO ROSELLI, De ornatu mulierum, ed. N. DENHOLM-YOUNG, H. KANTORO-

Il sumptus praticato ad bonum finem non comporta mai peccato, per- lomeno non peccato mortale, come è detto nel prosieguo del testo4:

…statuta debent pati interpretationem passivam a iure communi, ut supra dixi, licet si fecerent ad pompam vel jactantiam aut vanitatem peccarent mortaliter, iuxta illud: Hodisti omnes observantes vanitates supervacue (Psalm. 30, 7), set deus non habet odio nisi peccantes mortaliter que sunt extra gratiam dei, etiam in odio. Nota textum psalmiste quia vanitates dampnant supervacuas, unde que faciunt tales vanitates ad bonum finem non peccant saltem [non] mortaliter.

Il ‘buon fine’ citato dal Roselli per indicare il criterio di legittimità degli ornamenti rappresenta una categoria interpretativa assai ampia, al- l’interno della quale il desiderio della donna di compiacere il marito è solamente un esempio, e grazie alla quale persino la mera vanità non implica un comportamento gravemente peccaminoso. Sul piano del di- ritto ciò si giustifica per il prevalere della consuetudo – attraverso cui la

civitas esprime i propri valori morali – sulla constitutio episcopale5:

Ad ultimum dico quod si esset elapsum tantum tempus quod contra statutum iam confectum esset inducta contraria consuetudo illa prevaleret constitutioni episcopi…

Occorre piuttosto notare che la soluzione del Roselli è al tempo stes- so uguale e contraria a quella esposta da Pietro d’Ancarano, nello stesso giro di anni e a partire dalle medesime argomentazioni: uguale, perché il sumptus è trattato come questione di ius commune; contraria, perché il d’Ancarano – nel solco della quaestio ubertina da cui deriva il pro- prio argomentare – è mosso dall’obiettivo di stabilire il principio gene- rale della validità degli statuti suntuari, ad eccezione che per le donne sposate6. Il Roselli invece fissa il principio dell’invalidità assoluta degli statuti suntuari, salvo che si rinvenga l’uso cattivo degli ornamenti. In questa diversità si intravede il travaglio del pensiero giuridico, nel pas- saggio dal Medioevo all’Età moderna.

4 Ibid.

5 Ibid., pp. 38-39.