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Il problema probatorio delle violazioni suntuarie

Da un lato la questione dell’invalidità delle norme suntuarie per le donne sposate, dall’altro la questione della voluntas maritale rappresen- tano i temi centrali su cui Alberico si confronta con Giovanni d’Andrea. Per seguire l’obiettivo albericiano di dare particolare forza alle ragioni civilistiche che consentono di leggere la quaestio suntuaria con riferi- mento non solo al vescovo ma anche al potestas cittadino, si deve far

21 UBERTO DA CESENA, Questio disputata Bononie: «Episcopus vel alter superior precepit vel statuit, propter honestatem conservandam, quod nulla mulier, in loco iurisdicionis sue, utatur ornamentis fucati coloris…» (ed. NATALINI, sub n. 2); GIOVANNI D’ANDREA, Novella in titulum de regulis iuris: «Episcopus vel alter superior precepit vel statuit quod, propter honestatem melius conservandam, nulla mulier, in loco sue iurisdictionis, utatur ornamentis fucati coloris…» (ibid.); ALBERICO DA RO-

SCIATE, Quaestiones Statutorum: «Episcopus vel alter superior statuit propter honestatem quod mulieres certe condictionis et status, in loco sue iurisdictionis, non utantur ornamentis fucati coloris…» (ibid.).

attenzione alla rosa delle allegazioni autoritative. Alberico ripropone

verbatim la base morale su cui poggia la giustezza degli statuti, la forza

precettiva del più alto in grado, la necessità del requisito dell’officium del soggetto che impone la norma suntuaria. Tutti temi, questi, presi a prestito da Uberto e da Giovanni d’Andrea, ma ai quali Alberico ag- giunge ulteriormente il fondamento civilistico giustinianeo. Così, nel punto in cui si afferma che «in moribus nostris attenditur non solum iustitia sed honestas», Alberico non si accontenta di allegare, come gli altri, le autorità ritratte dallo ius canonicum, ma aggiunge Cod. 11.46(45)un.22. La ratio di questo frammento del Codex, sfruttato per individuare il criterio di validità della norma statutaria, è contenuta nel- la finalità per la quale gli imperatori Arcadio e Onorio concessero lo svolgimento degli antichi giochi in onore della dea Maia: «ut servetur honestas et verecundia castis moribus perseveret». La conservazione della morale diviene la condizione e l’obiettivo perseguito dalla dispo- sizione imperiale, alias dallo statuto. Similmente, laddove nella

quaestio ci si chiede se la moglie debba obbedire al vescovo o al marito

con riguardo agli ornamenti, Alberico ribadisce la regola generale del- l’obbligo di obbedienza al maior, forte però – a differenza degli altri

doctores – del passo del Digesto (Dig. 42.1.54.1) in cui si esclude la

dichiarazione di contumacia per il soggetto che non si sia presentato in giudizio perché chiamato presso un tribunale maggiore23. Da qui ci si potrebbe chiedere: il potestas cittadino è da considerare maior rispetto al marito? D’altra parte, Alberico ‘taglia’ la parte della quaestio in cui Giovanni d’Andrea, e prima ancora Uberto, avevano dato rilievo alla legislazione decretalistica per indicare la necessità di procedere all’ac- certamento della volontà del marito caso per caso. Si può pensare che alla sensibilità pratica di Alberico, questo requisito appaia superfluo, di fronte alla difficoltà di risalire all’autorizzazione maritale, laddove non prestata espressamente. Sembra cioè prevalere l’elemento dell’invalidi-

22 ALBERICO DA ROSCIATE, Quaestiones statutorum, cit., sub 7in fi.: «Et in moribus nostris attenditur non solum iustitia sed honestas, extra, de vita et hone. clericorum, c. <Clerici> officia (X 3.1.15), de sponsalibus, Iuvenis et c. Ad audientiam (X 4.1.3 et 4), et c. de Ma., l. unica, libro XI (Cod. 11.46.un)».

23 Dig. 42.1.54.1: «Is, qui ad maius auditorium vocatus est, si litem inchoatam deseruit contumax non videtur».

tà dello statuto in materia suntuaria per via della carenza di officium. Anche per lo ius civile l’officium è la conditio sine qua non al fine di stabilire la validità di qualsiasi disposizione. Fa a questo caso – come si è osservato più sopra – la regola fissata nel ‘De diversis regulis iuris antiqui’ del Digesto (Dig. 50.17.170: Factum a iudice etc.): non più la dotta glossa del canonista Giovanni Teutonico24, ma piuttosto la regula civilistica offre ad Alberico la base d’appoggio per escludere che il ve- scovo possa disciplinare il sumptus, almeno con riguardo alle donne sposate. Ma ancora ci si chiede: può attribuirsi al potestas cittadino l’officium di disciplinare ciò che travolge i diritti dei terzi (iura alio-

rum), soprattutto di fronte alla difficoltà di risalire alla voluntas viri? La

sottrazione della moglie alla soggezione del marito non rappresenta soltanto un pericolo di natura religiosa, ma anche di natura civile. Di- viene così ancor più verosimile la possibilità che neppure al potere civi- le, almeno con riguardo alle donne sposate, possa riconoscersi l’officium di disciplinare gli ornamenti. E si spiega quel «parum utilis» con cui Alberico definisce la questione, e con cui si chiarisce in verità un aspetto importante dei modi condenda statuta25.

24 Cfr. supra, cap. V, nota 34.

25 La questione dei modi condenda statuta – entrata a far parte di quella letteratura specialistica che, fin dai tempi dell’Oculus pastoralis (1122), è sensibile all’esigenza di ritrarre il fenomeno statutario entro l’orbita non soltanto della potestas statuendi ma anche dell’auctoritas statuendi – è principio assoluto di legittimità di ogni esperienza giuridica. La statutaria, nella nuova dimensione pubblicistica del secolo XIV, ambisce a ripetere direttamente dalle auctoritates canonistiche e civilistiche l’autorevolezza dalla quale può trarre la legitimità della propria potestas. Attraverso la messa a punto della disciplina dei modi condenda statuta passa in verità «un potere enorme, che l’Oculus

pastoralis, tanto per citare un testo significativo, già nel 1122 definiva con una formula

tratta da un noto luogo isidoriano accolto nel Decretum» (cfr. D. QUAGLIONI, Legisla-

zione statutaria e dottrina della legislazione: le “Quaestiones Statutorum” di Alberico da Rosciate, in ID., «Civilis sapientia». Dottrine giuridiche e dottrine politiche fra Me-

dioevo ed Età moderna, Rimini, 1989, p. 55). Il passo dell’Oculus pastoralis ripete, per

l’appunto, il testo del c.2 e del dictum post c.2 della D.IV grazianea, cioè a dire la fonte invocata da frater Ubertus, e poi dai giuristi successivi, per dirimere la questione della validità delle norme suntuarie. In sostanza, a prescindere dalla permissio imperiale, è all’atto pratico che si misura l’autorevolezza dello statuto nella tensione tra potestas e

auctoritas, tant’è che la scienza giuridica stessa elabora i limiti entro cui riconoscere la