Bartolo si spinge addirittura oltre e dichiara espressamente che i co- stumi sfuggono alle leggi perché non tollerano, per loro natura, di esse- re irrigiditi in una legislazione limitativa dello stile di vita dei soggetti (Hii legis uicem non obtinent et uitas hominum non constringunt): un motivo di più per mettere in discussione la validità delle norme dello
47 La dottrina bartoliana è di derivazione tomista: «Come il princeps governa la cit- tà, così il pater familias regge la propria casa (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I IIae, Qu. 90, A. 3). Il testo tomistico che avvicina il reggitore della città al pater
familias introduce un’analogia, anzi per certi aspetti un’omologia, che ci mette diretta-
mente a contatto con il nostro problema: quando si nomina un soggetto, questi non è un individuo qualsiasi, ‘eguale’ a qualsiasi altro, ma un individuo che si definisce per i rapporti diseguali di cui è parte. Questi rapporti si dispongono entro uno spazio che costituisce un baluardo della civiltà medievale: la casa, di cui il pater familias è il
gubernator» (cfr. P. COSTA, Civitas. Storia della cittadinanza in Europa, I: Dalla civil-
tà comunale al Settecento, Roma-Bari, 1999, p. 37).
48 BARTOLO DA SASSOFERRATO, Tractatus de tyranno, in D. QUAGLIONI (ed.), Poli-
tica e diritto nel Trecento italiano. Il “De tyranno” di Bartolo da Sassoferrato (1314- 1357), Firenze, 1983 (Il pensiero politico. Biblioteca, 11), p. 183: «in domo propria
potest dici patremfamilias habere aliquid iuris regalis… Item maior seu antiquior domus habet quodammodo quandam iurisdictionem in uxorem, liberos et servos…». Il passo si legge ora in traduzione italiana in D. RAZZI (a cura di), Trattato sulla tirannide, prefazione di D. QUAGLIONI, traduzione di A. TURRIONI, Perugia, 2017 (Piccola Biblio- teca del Pensiero Giuridico), pp. 37-39.
49 Cfr. sul punto M. CAVINA, Il potere del padre, I: Configurazioni e ‘ius corrigen-
di’: lineamenti essenziali nella cultura giuridica italiana preunitaria (1804-1859), Mi-
lano, 1995 (Pubblicazioni della Facoltà di Giurisprudenza. Dipartimento di Scienze giuridiche. Università di Modena, 301), pp. 29-30.
statuto disciplinanti gli ornamenti. L’intera argomentazione è legata piuttosto al praeceptum iuris che recita «honeste vivere», laddove l’honestas diviene temperantia50:
Ostenditur hoc unum iuris preceptum, est scilicet honeste uiuere, quod interpretatum est: quo ad se. Hec autem honestas temperantie species est et ideo sicut et uirtutes cetere consistit in medio utique secundum quod sapiens et bonus uir determinabat.
Si torna così all’elemento della medietas incluso nella temperanza. Proprio a questo riguardo Bartolo estende il ragionamento esattamente alla questione dell’abbigliamento51:
Et hoc ex multis comprehenditur… Et ex vestibus, ut nec nimis delicatis nec sordidis utatur, sed medium, quod secundum persone qualitatem et regionis morem obseruetur.
E ancora52:
Et in incessu, ut uel solus uel sociatus mediocriter tamen secundum suam conditionem et regionis morem incedat et quod potibus et cibis congruis in qualitate et quantitate et congruis horis secundum persone conditionem utatur… In hiis fere tota secularium hominum honestas consistit…
La moderazione nell’abbigliamento e nel cibo è rivelatrice del- l’honestas della persona, e riceve dunque la giusta collocazione nel- l’ambito dei boni mores che sorreggono idealmente la dottrina etico- giuridica medioevale. Bartolo accoglie implicitamente, ma chiaramente, la lezione di quella parte della canonistica classica secondo cui non ob- bliga la legge che «non generi un obbligo di osservanza nel foro della coscienza», non sia cioè entrata nell’uso attraverso i mores utentium: purché i mores non siano contrari alla morale, siano per l’appunto boni
50 BARTOLO, Tractatus testimoniorum, p. 289. 51 Ibid.
mores53. Sembra dunque portato a compimento un principio cui frater
Ubertus in precedenza aveva accennato, senza però riuscire ad elevarlo
ad elemento dirimente nella questione della disciplina suntuaria54. Impostata in questo modo la questione giuridica degli ornamenti – collocata cioè la disciplina del sumptus a metà tra i mores sottratti alle leggi, e il principio generale dell’honeste vivere – Bartolo finisce per dare al problema della tutela dei mores un’impronta profondamente differente rispetto alle soluzioni che si sono studiate attraverso Uberto da Cesena e i suoi seguaci. Il difetto dell’officium iudicis che, per questi ultimi, costituisce il limite processuale alla possibilità di vedere tutelata la disciplina suntuaria55, non è più l’elemento decisivo nel ragionamen- to di Bartolo. Ciò che può essere portato in giudizio perché fonte di re- sponsabilità non è la fattura di una veste o la ricchezza di un ornamen- to, quanto piuttosto lo stile di vita, l’honestas comandata nel precetto
honeste vivere, valutata in relazione ai mores dei singoli soggetti della civitas. Il giudice dunque non metterà in campo il proprio officium,
giacché non dovrà soppesare l’eventuale violazione suntuaria in rela- zione alla norma statutaria. Il giudice dovrà avvalersi del proprio
arbitrium esercitato in relazione al precetto di diritto honeste vivere.
Quasi a far riemergere l’antica opinione del Piacentino, secondo cui la prova dei boni mores «se trouve abandonnée au profit de la probatio jurisprudentielle»56, e a dare rilievo giuridico alla dottrina espressa da Alberto Magno nel De homine (a. 1242) sul libero arbitrio e i mores57,
53 L’argomento è studiato da O. CONDORELLI, Ragione, autorità, consenso: costanti
e varianti nella dottrina canonistica della norma giuridica (Spigolature storiche), in Glossae, 10 (2013), pp. 161-185, in particolare le pagine 165-169, poi in N. CAPIZZI, O. CONDORELLI (a cura di), Processi di formazione del consenso: atti del Convegno di
studi organizzato dallo Studio teologico S. Paolo di Catania e dal Dipartimento semi- nario giuridico dell’Università degli studi di Catania. Catania, 18-19 aprile 2013, Ca-
tania, 2014 (Quaderni di Synaxis, 31), pp. 117-126. 54 Cfr. nel precedente capitolo il § 4.
55 Cfr. supra, cap. V, §§ 6 e 7.
56 Cfr. A. GOURON, “Non dixit: Ego sum consuetudo”, in Zeitschrift der Savigny-
Stiftung für Rechtsgeschichte, kan. Abt. 74 (1988), p. 140.
57 Secondo Alberto Magno un’intera tradizione teologica afferma il principio se- condo cui l’honestas può essere valutata solamente mediante liberum arbitrium. Il pas- so è il seguente: «…Similiter iudicium liberum arbitrium est de honesto et inhonesto,
in Bartolo l’apprezzamento della testimonianza giudiziale può valida- mente esplicarsi soltanto in relazione all’honestas dello stile di vita, differentemente interpretato a seconda della condizione di ciascuno58:
Apparet igitur probandos esse mores respectu ad alios, uite honestatem respectu sui, sine hiis hac iconomica prudentia non contingit esse prudentem. Ad testium dicta super hiis uenientes dico, quod si testes dixerint aliquem esse prudentem diligentemque patremfamilie, quia per triennium uidit eum diligenter gerere negotia sua et bene et honeste uiuere, quod satis sufficienter probant. Hec enim diligentia et honesta uita in communem hominum notitiam cadunt, unde recte per uisum causam deponit, etiam si actus singulariter non exprimatur. Nec hiis obstat, quod per triennium continuo testis eum uidere non potuit, quia etiam si testis expresse dicit continuo se uidisse, debet intelligi de illa continua uisione, que cadit in socium uel uicinum, non quod omni momento uidisse exigatur… Et si testes particulariter interrogantur, quos actus eum facere uiderint, debent respondere, ut puta quia uidit ad modum patrisfamilie diligentis suam familiam regere…
Se si tiene conto che al sintagma ius maritorum-statutum – da cui deriva il limite dell’officium iudicis denunciato da frater Ubertus – Bar- tolo preferisce la coppia paterfamilias-honestas, e se è vero che il pa-
terfamilias è equiparabile al princeps nel governo della casa – non può
dunque essere limitato nell’espletare il proprio regimen familiae, come chiarito nei passi più sopra letti – ne consegue che la voluntas del pater, al pari di quella del princeps stesso, non può manifestarsi in modo con- trario al precetto honeste vivere. L’officium iudicis dunque non incon- trerà il limite dello ius maritorum, né oggetto del iudicium sarà la misu- ra specifica dell’abbigliamento – ad esempio il numero dei bottoni o la lunghezza dell’abito etc., come di solito stabilito negli statuti comunali – quanto piuttosto il comportamento della persona, ispirato o meno al
quod probatur ex hoc quod ab omnibus auctoribus liberum arbitrium ponitur principium in moribus»: H. ANZULEWICZ, J.R. SÖDER (edd.), Alberti Magni de homine, Colonie, 2008 (Alberti Magni Opera Omnia, t. XXVII. 2), p. 508a. E quale sia la definizione del libero arbitrio è spiegato da Alberto in molti modi, il primo dei quali riferisce la lezione di sant’Agostino: «ʽLiberum arbitrium est facultas rationis et voluntatis, qua bonum eligitur gratia assistente et malum ea deserente’… Liberum arbitrium non erit potentia animae per se separata a ratione et voluntate» (cfr. ibid., p. 508b).
senso generale di moralità introiettato dalla civitas. Ne consegue che la prova giudiziale della violazione dell’honestas non sarà di difficile rile- vazione, come lo è invece la violazione della norma suntuaria. E la pro- cedura inquisitoriale esperita sulla base della fama della persona ben potrà rispondere all’esigenza di tutela dei boni mores59. Sarà sufficiente provare la fama di cui la persona gode, naturalmente tenuta a riferimen- to la condotta del buon padre di famiglia: «et testes… debent respondere ut puta quia vidit ad modum patrisfamilie diligentis suam
familiam regere».
In conclusione, la soluzione presentata da Bartolo, con il togliere di mezzo la questione della validità degli statuti suntuari, apre la possibili- tà di vedere di fatto trascinati in giudizio la donna, e perfino l’uomo, che con il proprio stile di vita, riguardato anche dal punto di vista del
sumptus, infrangano l’onestà dei costumi della civitas.
Un caso a parte costituiscono invece gli statuti dei magistri
gramaticae: lo statuto può legittimamente disciplinare i mores, ma non
può imporre sanzioni pecuniarie ai trasgressori60:
Magistri gramaticae faciunt statuta inter scholares… Circa quod breviter dico quod magistri gramaticae habent iurisdictionem in scholares… Item habent modicam correctionem seu leuem… Aut ergo magistri faciunt statuta pertinentia ad decisionem causarum… Aut faciunt statuta circa mores. Et hic aduerte quia talia statuta habere consueuerunt duas partes. Prima est quia prohibent vel praecipiunt aliquid fieri secundum bonos mores, et haec statuta valent et eis debet obediri sicut praecepto patris… Ergo sicut patri debet obediri… ita et
59 Come ha scritto L. IKINS STERN, Public Fame: A Useful Canon Law Borrowing, in M. BELLOMO, O. CONDORELLI (a cura di), Proceedings of the XIth Congress of Me-
dieval Canon Law, Catania 30 July - 6 August 2000, Città del Vaticano, 2006
(Monumenta Iuris Canonici, Series C, Subsidia 12), p. 668, «from the time of Innocent, public fame had moved to the center of inquisition procedure and had become one of its indispensable building blocks. The reason for this is that public fame could be used as a method of investigating crimes for which there were no witnesses of sight or conclusive proof, and could, in fact, be used to investigate crimes for which information was very scant».
60 BARTOLO, Commentaria in primam digesti veteris partem, Lugduni, 1547, f. 11rb (sub tit.12: ‘Magistri grammaticae possunt facere statuta circa bonos mores et poenalia alicuius coercitionis, non tamen poenalia pecuniaria’).
magistro. Secunda pars est quae imponit poenam contra facienti. Et tunc aut imponitur poena pecuniaria, vt quidam magistri faciunt propter lucrum, et non valet, cum ob mores non debeat fieri pecuniae receptio, ut Cod. de rei vx. ac., l. I, § taceat. Aut imponitur poena alterius coercitionis, et non valet ante tempus, vt supra dixi. Sed cum casus evenit hoc debet facere suo arbitrio, non excedendo modum. Eadem possent quaeri et dici de statutis quae paterfamilias facit domo pro corrigendis moribus filiorum et filiarum.
Nella comunità studentesca il ruolo del paterfamilias spetta al
magister. Dunque è il magister che legittimamente può indicare, attra-
verso norma statutaria, i limiti da imporre ai mores. Tuttavia si tratta di una iurisdictio correttiva che si esprime all’atto pratico attraverso mo- diche punizioni, e mai attraverso il pagamento di somme di denaro, an- corché – avverte Bartolo – ciò di fatto avvenga.