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Il ‘Tractatus testimoniorum’ di Bartolo: la medietas e il mos

La discussione sugli ornamenti di Bartolo da Sassoferrato (1314- 1357), grazie al quale si può dire si compia la trasformazione e sistema- zione definitiva della dottrina tomista nel quadro giuridico-civilistico, riparte dal problema della prova giudiziale. L’occasione per seguire la consonanza tra il teologo e il giurista, sulla questione degli ornamenti, è offerta dal tema della virtù e della prudenza, per come essi sono affron- tati nel ‘Tractatus testimoniorum’26. Bartolo riflette su come si debba procedere, in giudizio, per raccogliere la testimonianza circa la virtù di una persona. Egli sembra dunque ‘mettere il dito nella piaga’ della que- stione suntuaria, vale a dire tenta di indicare le linee guida attraverso cui procurare la difficile prova della violazione suntuaria: «la questione diventa… complessa quando la testimonianza sia resa ‘de vita et moribus alicuius’, per il rischio che in essa non siano sufficienti gli elementi oggettivi di giudizio, e che il ‘mihi videtur’ del teste, in quanto riferentesi ‘ad iudicium intellectus, quod iudici congruit, non testi’, venga a sostituirsi al giudice nell’accertamento della verità processua- le»27. In relazione a questa difficoltà, il giurista reimpiega la traditio canonistica, alla quale aggiunge il fondamento aristotelico. Reimpiega cioè il concetto tradizionale della medietas: la misura del comportamen- to. La premessa per la soluzione finale è data dall’idea aristotelica della virtù, intesa come ciò che in medietate consistens quoad nos, al contra- rio dei vizi che in extremitatibus consistunt28. Ma la medietas è diffe-

legalitaria del potere, con speciale riferimento alla funzione legislativa: concezione elaborata per il potere sovrano del princeps, cioè dell’imperatore, ma che si applicherà egualmente agli ordinamenti particolari» (D. QUAGLIONI, ibid., pp. 63-64).

26 Il ‘Tractatus testimoniorum’ fu composto da Bartolo (1314-1357) negli anni della maturità, come si legge nello studio introduttivo dell’edizione di S. LEPSIUS, Der Rich-

ter un die Zeugen. Eine Untersuchung anhand des Tractatus testimoniorum des Bar- tolus von Saxoferrato, Frankfurt am Main, 2003 (Studien zur europäischen Rechtsges-

chichte, 158), p. 47. Da questa edizione cito d’ora in poi.

27 Cfr. D. QUAGLIONI, Diritto e Teologia nel “Tractatus Testimoniorum” bartolia-

no, in «Civilis sapientia», cit., pp. 113-114.

28 BARTOLO, Tractatus testimoniorum, p. 278: «Est autem virtus ut Aristoteles dicit

habitus electiuus immediate consistens quoad nos, determinata ratione et ut sapiens determinabit… Ex eo quod dicit in medietate consistens, differt a uitiis, que in

rente a seconda della condizione della persona. Spinge a questa conclu- sione il fatto che, secondo l’insegnamento aristotelico, si tratta di que- stione coinvolgente in forma immediata la persona (quoad nos)29:

Ex eo quod dicit quoad nos, apparet quod secundum diuersa conditiones personarum diuersificatur medium.

Tant’è che Bartolo, nel prosieguo, cita proprio l’uso delle ricchezze per precisare che la spesa moderata del ricco differisce dalla spesa mo- derata del povero30:

Alia enim est moderata expensa in nobili et diuite, alia in rustico et paupere et ideo iura hec moderantur secundum nobilitatem natalium et patrimonii quantitatem, et idem de aliis.

L’apprezzamento della testimonianza giudiziale, resa circa la mode- razione nelle spese, dovrà dunque essere condotta in relazione alla no- biltà dei natali e alla quantità del patrimonio di ciascuno. Che si tratti di una valutazione di natura giuridica consegue da quel «iura hec mode- rantur» in cui si coglie appieno la necessità di considerare validamente testimoniata la circostanza di fatto, ovvero il comportamento della per- sona indagata, soltanto se esso sarà correttamente correlato alla condi- zione della medesima. Questa soluzione si inserisce nel quadro generale del discorso economico bassomedioevale31, ed è in stretta relazione con

extremitatibus consistunt, ut nil largiri auaritia est, omnia largiri prodigalitas est, et utrumque uitium tenere medium temperantia est et hec uirtus est, idem in similibus» (sub cap. 66, ‘De uirtutibus’).

29 Ibid. 30 Ibid.

31 G. TODESCHINI, I linguaggi medievali dell’economia come strumenti della cresci-

ta politica europea, in P. MAFFEI, G.M. VARANINI (edd.), Honos alit artes. Studi per il

settantesimo compleanno di Mario Ascheri, III: Il cammino delle idee dal medioevo al- l’antico regime. Diritto e cultura nell’esperienza europea, Firenze, 2014, p. 412, così

scrive: «Nel discorso economico bassomedievale, in effetti, non era esistito un solo modo di raffigurare il denaro e la circolazione della ricchezza, ma piuttosto si era giunti a definire gli oggetti economici, fossero essi beni commerciabili o unità di misura che ne definiscono il valore di scambio, a partire dalla qualità sociale ossia dal significato politico che tali oggetti potevano assumere, perché attivati da gruppi o persone identifi-

la tendenza della politica fiscale comunale del secolo XIV ad attribuire un ‘valore’ ai cives32. Nel caso specifico, l’opinio Bartoli risulta essere il corollario della dottrina tomista del giudizio ‘vivente’, cioè a dire del- l’arbitrium iudicis fondato sul discernimento dell’intenzione della per- sona nel compimento delle proprie azioni33.

Inoltre, per Bartolo come per Tommaso, il fine cui è ordinato il comportamento rivela l’esistenza della virtù o del vizio34:

Ex eo uero quod dicitur determinata ratione, apparet quod habitus electiuus debet fieri in finem boni. Bonum enim est debita ratio et causa omnium, si enim fieret in malum finem, non esset uirtus, ut dicetur inferius.

L’importanza decisiva del fine, nella valutazione della condotta umana, risulta dalla locuzione «determinata ratione», intorno a cui si incentra la virtù aristotelica. Soltanto la scelta consapevole compiuta in vista di un fine buono permetterà di giudicare il comportamento come virtuoso. E questo perché il fine prefisso è, in realtà, la causa del nostro operare. Nell’ambito della nota dottrina causale sviluppatasi sull’onda della dottrina aristotelica, la causa, il fine e la virtù agiscono come cas- sa di risonanza della valenza giuridica del mos. Perciò virtù e vizio si giudicano per actus extrinsecos, e sarà il giudice a procedere in questo apprezzamento35:

cati come credibili e affidabili. Si potrebbe forse dire brevemente che l’approccio al- l’economia presente nelle fonti medievali e organizzato dai lessici medievali è un ap- proccio fortemente selettivo». Per uno sguardo storiografico sui mutamenti avvenuti a partire dal XIII secolo in relazione alla funzione socialmente positiva della ricchezza cfr. P. PRODI, Il mercato come sede di giudizio sul valore delle cose e degli uomini, in ID. (a cura di), La fiducia secondo i linguaggi del potere, Bologna, 2007, pp. 158-164.

32 Sul punto cfr. M. VALLERANI, Il valore dei cives. La definizione del valore negli

estimi bolognesi del XIV secolo, in ID. (a cura di), Valore delle cose e valore delle per-

sone. Dall’Antichità all’Età moderna, Roma, 2018 (I libri di Viella, 312), pp. 241-270.

33 Cfr. M.-D. GOUTIERRE, Le juge, justice vivante. Le jugement selon S. Thomas

d’Aquin, in Ius Ecclesiae, 22 (2010), pp. 186-191.

34 BARTOLO, Tractatus testimoniorum, pp. 278-279. 35 Ibid., p. 279.

Ex eo uero quod dicit ut sapiens determinabit, apparet hoc commissum esse arbitrio boni uiri, hoc est iudicis, qui sapiens et bonus uir apud nos est… Apparet igitur ex predictis, quod cum habitus anime non possit probari, nisi per actus extrinsecos.

Il giudice impersona il bonus vir, è cioè quell’arbiter in senso lato al quale spetta la capacità di valutare i boni mores36. Più che la legge, dunque, è il giudice a discernere il comportamento dei soggetti. L’habitus animae può essere considerato e giudicato soltanto attraverso la considerazione delle azioni, vale a dire in concreto, mediante un giu- dizio reso caso per caso.