Il contenuto morale riconosciuto da Uberto come valore intrinseco del diritto e come punto di riferimento per la legge – secondo le linee appena esposte – è all’origine dell’ulteriore motivazione adducibile in favore della giustezza dello statuto limitativo degli ornamenti. Per quanto non spetti alla norma statutaria di perseguire e punire il peccato, tuttavia ad essa compete di impedire e vietare tutto ciò che nella civitas possa condurre al peccato. Si affaccia, dunque, in questa parte della
quaestio ubertina, un problema di iurisdictio, affrontato del resto
espressamente, poco più sotto, con riguardo alla legittimità della pena della scomunica. L’ornamento femminile è peccato e provoca il pecca- to, perciò lo statuto che limiti gli ornamenti è giusto perché impedisce di peccare. A parte le auctoritates teologiche allegate per mostrare nuo-
vamente che l’uso di vesti preziose e di ornamenti oltre una certa misu- ra è comportamento peccaminoso, in questo caso si deve por mente so- prattutto alle allegazioni canonistiche. Da lì si comprende la ‘natura giurisdizionale’ della questione. La lunga serie di fonti tratte dal
Decretum e dal Liber Extra, citate al riguardo, sono tutte indirizzate a
fissare il principio secondo cui è giusta, alias legittima e coercitiva, la
lex che proibisce il male20:
Quod prohibicio peccati sit iusta probatur extra, de consti., Nam concupiscentiam (X 1.2.4), de offi. or., c. primo (X 1.31.1), III di.,
Omnis <autem> lex, ‘aut precipit’ (D.III c.4)21, c. primo, IX di. (D.IX
c.1), <XXXIII d.> Prohibete fratres (D.XXIII c.21), XI, q. III, Imperatores (C.XI q.3 c.98), secunda, q. prima, Multi (C.II q.1 c.18), LXXXIII di., per totum (D.LXXXIII cc.1-6), C. XXIII q. 4, Ecce (C.XXIII q.4 c.4), eciam q. VI, Quod erraverat (C.XXIII q.6 c.2), cum si.
Poiché il peccato è male, ne consegue che la legge giustamente proibisce quanto conduce al peccato. Fino al punto che – per via del processo circolare tra morale religiosa e diritto attraverso cui si manife- sta la coscienza giuridica medioevale – è peccato persino trasgredire la legge che vieta di peccare. Ciò è chiarito in X 1.2.4, in cui il passo di Agostino super epist. ad Romanos, che ne costituisce il testo, appare ripresentato nel quadro nuovo della rilevanza giuridica del Liber
Extra22. Parimenti, tra le ulteriori fonti di argomentazione simile, spicca per chiarezza e generalità l’allegazione del c.1 della D.IX. Qui di nuovo è citato un passo agostiniano per stabilire che le buone leggi secolari spaventano i sediziosi e correggono i saggi. E dovranno sopportare grandi supplizi quanti non obbediranno alle buone leggi degli imperato-
20 Ibid., sub 9in fi.
21 D.III c.4in fi.: «Omnis autem lex aut permittit aliquid, ut: vir fortis petat premi- um; aut vetat, ut: sacrarum virginum nuptias nulli petere liceat; aut punit, ut: qui cedem fecerit, capite plectatur: eius enim premio aut pena vita moderatur humana; aut precipit ut: “Dilige Dominum Deum tuum”».
22 X 1.2.4: «‘Nam concupiscentiam nesciebam, etc.’ Hoc enim elegit Apostolus ge- nerale, unde omnia mala oriuntur. Bona est ergo lex, quae, dum hoc prohibet, omnia mala prohibet».
ri23. D’altra parte pecca non soltanto chi compie il male, ma anche chi non si oppone ad esso. Questo principio teologico, cui è dedicata tutta la D.LXXXIII grazianea, nel contesto della quaestio di Uberto finisce per sottolineare la necessità della legge proibitiva del male: pecchereb- be il legislator se omettesse di vietare ciò che provoca il male della ci-
vitas. Questa ulteriore riflessione getta il seme per nuove argomenta-
zioni, o meglio per dare nuovo impulso all’idea platonica – che noi ab- biamo trovato in san Tommaso – secondo cui è dovere del principe oc- cuparsi degli artificia cittadini. Del resto, soltanto qualche decennio più tardi sarà Bartolo ad avvalersi del tema della moralità dei costumi come punto di forza per fissare il paradigma del bonus rex, che egli intende come bonus iudex: «Debet ergo bonus rex esse fidelis, Christianus, iustus, non pomposus, non subditorum gravator, non luxuriosus, non avarus nec superbus»24.
Infine, sempre forte dell’auctoritas agostiniana ritratta dal Decreto, il nostro canonista ricorda che la legge non può obbligare a compiere il bene, ma deve impedire il male25:
Ymmo iustius prohibetur malum quam precipiatur bonum, quia nemo invitus bonum facere compellitur. Set malum facere prohibetur, XXIII, q. V, Ad fidem (C.XXIII q.5 c.33).
In questo caso l’allegazione di sostegno (C.XXIII q.5 c.33) ha in ar- gomento esattamente i mores. Ed è di nuovo Agostino, alla cui esclusi- va auctoritas il Decreto grazianeo affida la materia suntuaria, a segnare i caratteri della legge disciplinatrice del costume:
[C.XXIII q.5 c.33]: Numquid, quia mores optimi libertate uoluntatis eliguntur, ideo mores pessimi non legis integritate puniuntur? Sic igitur que adversus uos leges constitutae sunt, non eis benefacere cogimini,
23 Il testo della D.IX c.1, nelle parti salienti, così corre: «Imperatores… quando au- tem pro ueritate contra falsitatem constituunt bonas leges, terrentur seuientes et corri- guntur intelligentes. Quicumque legibus imperatorum, que pro Dei veritate feruntur, obtemperare non uult, acquirit grande supplicium».
24 Cfr. BARTOLO, Tractatus de regimine civitatis, ed. D. QUAGLIONI, p. 161. 25 UBERTO DA CESENA, Questio disputata Bononie, sub 10.
sed malefacere prohibemini. Nam benefacere nemo potest, nisi elegerit, nisi amauerit, quod est in libera uoluntate.
Se i buoni mores possono essere scelti mediante il libero esercizio della volontà, ciò non significa che la legge non possa punire i cattivi
mores. In altre parole, la volontà è libera soltanto se giusta, non invece
se è volta al male. Anche per questo aspetto, nel contesto particolare della quaestio qui studiata, si riconosce la sottostante relazione di sepa- razione tra ‘pubblico’ e ‘privato’, cui più sopra si accennava. La
voluntas del singolo, in ordine alla scelta dei buoni costumi, non è ele-
mento su cui possa intervenire coercitivamente la legge. Quest’ultima, tuttavia, può e deve intervenire non in relazione alla libertà di scelta individuale, ma in relazione alla prevenzione e repressione del male comune, cioè a dire con riguardo alla libera volontà dei soggetti consi- derati non uti singuli, come membri invece appartenenti alla comunità:
uti cives.
5. La receptio della disciplina suntuaria per mores utentium: una que-