Capitolo 4: Ethos e pathos
1) Dalle Heroides alle ‘lettere eroiche’, e oltre
Esigenza non meno sentita da parte dei lettori esterni era quella di conoscere i sentimenti dei personaggi e di provare leggendo forti emozioni. Nonostante la complessità dell’intreccio ne sia la cifra più caratteristica, il romanzo barocco ambiva infatti a coinvolgere il pubblico non solo da un punto di vista intellettuale, ma anche emotivo,335 secondo una tendenza comune alla letteratura di quegli anni facilmente riconducibile all’influenza del modello tassiano.336 Sistema prediletto per aprire nel racconto uno squarcio patetico fu l’introduzione di lettere effusive la cui stesura e ricezione interrompeva per un momento la sequenza delle avventure, a tutto vantaggio della varietas e della comprensione dei moventi passionali da cui sgorgava anche la più politica delle azioni.
335 A. A
SOR ROSA, La narrativa italiana del Seicento, cit., 1997, p. 166.
336 D. C
ONRIERI, Il romanzo ligure dell’età barocca, in «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia», serie III, vol. IV, 3, 1974, pp. 948-949.
L’uso della lettera a scopo patetico non deve essere pensato come alternativo al suo impiego in funzione della commistione con l’epistolografia letteraria, con cui non entra di certo in conflitto essendone in realtà un proseguimento. Più che dall’osservazione di pratiche quotidiane, l’associazione tra lettere e passioni nasceva infatti da una tradizione letteraria che da secoli applicava alla forma epistolare i contenuti e gli obiettivi dell’elegia, finendo per imporre un topos di lunghissima durata. Il primo a intuire le potenzialità al tempo stesso patetiche e narrative del genere fu Ovidio che con le sue Heroides, dialoghi mancati in cui le eroine del mito ripercorrevano piangendo un episodio doloroso della loro biografia, regalò al mondo un potentissimo archetipo. Si deve a lui perciò la propensione di tante protagoniste della letteratura occidentale a confidare a un foglio i loro più strazianti segreti, incoraggiate dall’esempio di Saffo, Arianna, Medea, le cui lettere immaginarie furono da subito oggetto di imitazione.337
Tutto il Medioevo europeo rimase affascinato dall’invenzione ovidiana, ma fu il Rinascimento a riportare definitivamente le Heroides al centro della ribalta culturale per mezzo di nuovi volgarizzamenti e di svariate edizioni a stampa.338 Anche il fenomeno delle imitazioni fu incessante (si pensi ad esempio all’influenza esercitata sugli scritti di Boccaccio)339 sebbene fino al Seicento nessuno abbia osato sfidare apertamente il modello. A quanto pare fu Giovan Battista Marino ad avere per primo l’audacia di gareggiare con Ovidio applicando il suo schema a nuove coppie di amanti. L’accanimento con cui lo scrittore rivendicò la paternità del nuovo genere delle ‘lettere eroiche’ non basta però a eliminare i dubbi sul suo primato, così come non bastano tante controverse
337
C.E. KANY, The Beginnings of the Epistolary, cit., pp. 3-5.
338 A. Q
UONDAM, Dal “formulario” al “formulario”, cit., p. 60; C. GUILLÉN, Notes toward the
Study, cit., p. 89.
339 C. G
testimonianze340 e la pubblicazione nel 1619 di una Lettera di Rodomonte a
Doralice, unico superstite di un presunto più vasto progetto di raccolta.341 E’ difficile stabilire la reale posizione di Marino rispetto a uno scenario che vedeva in quegli anni tanti scrittori interessati a una attualizzazione delle Heroides. Tra i vari sospetti vi è quello relativo all’attività di Francesco della Valle, la cui pubblicazione nel 1622 di una raccolta di Lettere delle dame e degli eroi342 potrebbe avere provocato nel rivale la convinzione di essere stato plagiato.343 La silloge conteneva infatti quindici componimenti in versi ispirati all’Orlando
furioso, alla Gerusalemme liberata e alla Venezia edificata di Giulio Strozzi,
innalzati così al rango di miti contemporanei in grado di competere con quelli dell’antichità.
Infranto il tabù del rifacimento, gli scrittori si sfidarono in una gara a chi osava maggiormente nell’estendere il bacino delle fonti a generi sempre più lontani da quello inizialmente impiegato da Ovidio. A scrivere lettere eroiche non furono più solo gli eroi e le eroine dell’antichità o dell’immaginario cavalleresco, ma anche quelli della storia, della Bibbia, della pastorale, della cronaca, come mostrano le epistole contenute nella raccolta più rappresentativa del genere, composta da Antonio Bruni e pubblicata per la prima volta nel 1627. Pietro Michiel attribuì una coppia di lettere ai protagonisti della Dianea di Giovan Francesco Loredano,344 quasi per rivendicare la nobiltà letteraria del romanzo eroico-galante e non sembra un caso che a cimentarsi nel nuovo genere siano stati
340 L. M
ATT, Teoria e prassi dell’epistolografia italiana, cit., pp. 89-90.
341 G
IOVAN BATTISTA MARINO, Lettera di Rodomonte a Doralice, Venezia, appresso Uberto e Piero Faber, 1619.
342
FRANCESCO DELLA VALLE, Lettere delle dame e degli eroi, Venezia, Ciotti, 1622.
343 J. B
ASSO, Le genre épistolaire, cit., p. 509.
344 Incluse nelle Epistole eroiche a partire dal 1640, furono pubblicate anche come appendice a
scrittori come Anton Giulio Brignole Sale,345 Giovan Battista Bertanni346 e Giuseppe Artale,347 tutti impegnati anche sul fronte del romanzo.
Nemmeno la prosa fu immune alla febbre ovidiana, estesasi rapidamente a tanti segretari galanti la cui proposta didattica fu ridotta a paravento di più gustose finalità di intrattenimento piacevole. Lettere esemplari in prosa e traduzioni delle
Heroides comparirono le une accanto alle altre entro miscellanee composte di
missive, poesie e, in ambito francese, carteggi reali come quello tra Eloisa e Abelardo.348 Per quel che riguarda invece l’Italia, a risentire dell’infatuazione per le Heroides fu soprattutto il romanzo, sempre più propenso a ospitare sulle proprie pagine lamenti di amanti e di donne abbandonate. Più di tutti singolare fu la ripresa del modello da parte di Ferdinando Donno nella sua Amorosa Clarice, che pur essendo principalmente una rivisitazione in chiave controriformista dell’Elegia di Madonna Fiammetta,349 suo illustre precedente,350 ambisce anche a tradurre in prosa la novità della lettera eroica. Lo schema seguito dall’autore è senza dubbio più simile a quello di Boccaccio – la protagonista non scrive all’amato, ma si rivolge alle «pietose donne» raccontando loro del suo amore infelice per Lelio e della propria risolutrice conversione religiosa – che a quello ovidiano, al quale non mancano tuttavia nell’opera numerosi riferimenti. Un’occasione è data dal racconto di quando Clarice scrisse a Lelio per sfogare la propria gelosia, simile alla «misera Deianira ingelosita dell’amor d’Ercole verso
345 Un’epistola ispirata alla Gerusalemme liberata del Tasso si può leggere nelle Instabilità
dell’ingegno, cit., pp. 96-98.
346 G.B. B
ERTANNI, Epistole amorose historiate, Padova, Sardi, s.d. [1645]
347
G. ARTALE, Dell’Enciclopedia poetica, Venezia, Giacomo Batti, 1660.
348 R. D
UCHENE, Comme une lettre à la poste, cit., pp. 55-56.
349 G
INO RIZZO, Ferdinando Donno di Manduria e le sue opere, in FERDINANDO DONNO, Opere,
Lecce, Milella, 1979, pp. 32-34.
350
La parentela con l’antecedente boccacciano era sottolineata dalla scelta del titolo, ricalcato su quello di Amorosa Fiammetta con cui l’Elegia circolò a partire dal 1545. Anche il nome della protagonista, alludendo alla chiarezza e dunque alla luce, potrebbe essere un omaggio a quello dell’eroina boccacciana.
Iole»,351 alla protagonista cioè della nona epistola delle Heroides. Un’altra si presenta invece quando l’eroina descrive in che modo il morboso compiacimento per la propria miseria la conducesse a cercare tra le pagine di Ovidio un aculeo alla nostalgia.
E leggendo nel sulmonese Nasone i lamentevoli e tristi amori di Penelope verso Ulisse, di Briseida verso Achille, di Fedra verso Ippolito, d’Ippolito verso Amazona, di Paride verso Elena, d’Aconzio verso Cidippe; alle di costoro querele raddoppiandosi ogni mia doglia, con le fiamme di cotestoro accompagnando le fiamme mie, sentiva quelle pene più gravi, qual sentono l’alme de’ rei dannati tra i chiusi argini dell’Inferno; e dell’istesso attenta leggendo gl’infiniti medicamenti all’amorose piaghe giovevoli, maravigliavami grandemente com’egli la ferita crudele fattagli dalla bella Corinna medicare non seppe.352
La lettura delle Heroides non lascia la giovane indifferente, ma provoca in lei un sentimento di profonda empatia, creando all’interno del romanzo un’immagine ideale di ciò che lo scrittore si aspettava di ottenere dall’immissione di lettere patetiche.