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Il decorum come ragione di variatio

Capitolo 3: La scrittura esibita

4) Il decorum come ragione di variatio

Per scrivere una lettera a regola d’arte non bastava scrivere in maniera elegante e originale, ma bisognava anche tenere conto delle differenze gerarchiche tra i corrispondenti.285 La legge del decorum, che prescriveva di non rivolgersi allo stesso modo a un superiore, a un pari grado o a un sottoposto, era considerata di particolare importanza dai teorici del Cinque e Seicento, età molto attenta a sottolineare le distinzioni di classe.286 Tommaso Costo riassumeva il precetto consigliando di tenere conto nello scrivere una lettera di almeno tre cose: «la prima è per chi si scrive, la seconda di che, e la terza a chi».287

Le questioni di rango e parentela determinavano la scelta dello stile del testo, complicando ulteriormente il gioco della variatio e rappresentando per molti autori un’ulteriore occasione per dimostrare bravura e fantasia. Nei romanzi del Seicento, una successione ravvicinata di lettere identiche nel contenuto ma diverse dal punto di vista formale poteva comparire nel corso di situazioni in cui un unico mittente si trovasse nella necessità di scrivere a più personaggi legati a lui da relazioni sociali differenti. Poiché stupire il lettore era l’obiettivo più importante, gli autori tendevano a rendere la lista dei corrispondenti lunga e variegata, come fece Antonio Masucci introducendo, in corrispondenza di uno snodo

284Ivi, p. 199. 285 L. M

ATT, Teoria e prassi dell’epistolografia italiana, cit., p. 34.

286

J. BASSO, La representation de l’homme en societé, cit., pp. 139-141.

287 T

OMMASO COSTO, Discorso pratico fatto ad un suo nipote intorno ad alcune qualità che debbe

aver un buon segretario, in T. COSTO, MICHELE BENVENGA, Il segretario di lettere, Palermo, Sellerio, 1991, p. 80.

fondamentale de Lo sfortunato infelice overo l’Abido, una sequenza di lettere sul medesimo soggetto, scritte dal re Gargore rispettivamente al cognato Florideo, alla figlia Martenissa e alla moglie Clorisba. Per rendere ancora più copiosa la rassegna, il plico di lettere era preceduto da un biglietto di Rosalbo, cugino di Florideo, nel quale venivano annunciati i punti salienti del carteggio:

Aprendo poscia Florideo il foglio a sé drizzato di Rosalbo, lo trovò di questo tenore: Sire,

la Fortuna già si è dichiarata straccia di travagliarvi. Anzi pentita de’ passati travagli che vi ha dati, tutto insieme ha voluto collocarvi sull’auge della sua ruota. Primieramente vi felicita nell’aver fatto ritrovare con modo maraviglioso il Principe Abido vostro figlio stimato morto. Per questa ricuperazione si è reso umano a tal segno Gargore che con voi, con la prencipessa vostra sposa e con la regina Clorisba vuole guerre di baci, e non cimenti di armi. Ha pubblicata con voi la pace, con dichiarazione che vi sospira figliuolo, non vi brama inimico. In attestazione di ciò, ha inviato a voi con gli annessi fogli (che vi trasmetto per Armillo) Armiraspe suo ambasciadore, il quale trovandosi lontano, have meco, come vostro luogotenente, adempita la sua ambasceria, e ora vi attende in Maronta. Perdona a voi e alla signora prencipessa tutte le offese, alla regina Clorisba la fuga, e ad Arimondo il tradimento. E perché da questa ora mi persuado che in cotesto cielo averete già ritrovata la vostra stella, sarei di parere che senza aspettare altro accidente veleggiassimo a questa volta per coronarvi re della Galizia, e abbracciare il risuscitato vostro figliuolo. Darà poi da mia parte i saluti più affettuosi e riverenti alla prencipessa mia cognata e regina Clorisba mia signora, insieme con la prencipessa mia Lisandra, con cui riverente lo inchiniamo,

Rosalbo. Quella poi di Gargore diretta a Florideo diceva così:

Figliuolo,

non ha voluto il Cielo che più lungamente durasse ostilità tra un padre e un figlio. La ritrovata del fanciullo Abido vostro parto e mio nipote è stata la copula ch’have uniti questi estremi, per prima cotanto contrari. Gargore non più si raccorda le offese da voi ricevute, perché al presente si rammenta ch’è padre, e non offeso. I modi prodigiosi coi quali il bambino è stato sottratto dalla Provvidenza Suprema alle mie vendette doveva per prima farmi avveduto che un tal successore me lo dava il Fato con ispecialità di concorso. Lo stimolo dello onore all’ora mi rese cieco per questo conoscimento; ma finalmente la ragione già si è sviluppata da simile cecità. Ritornate dunque in Tarassa, ch’è vostra reggia, con la vostra sposa a pigliare il possesso e a stringere al seno il grazioso Abido, che con regia educazione io fo allevare. Non tardate, che impaziente vi attende,

il re Gargore vostro padre. Quello poi di Gargore a Martenissa era del seguente tenore:

Figliuola,

il principino Abido vostro figlio, con modo strano da me riacquistato, have ottenuto il perdono a gli errori della madre. Questo fanciullo mi ha fatto dimenticare che voi sì vivamente mi offendeste, mentre con la sua presenza sol mi raccorda che io son vostro

padre. Condono dunque le vostre passate colpe e anco vi rimetto la pena, perché così vuole il Cielo con tanti argomenti che mi ha prodotti. Mi contento che il principe Florideo sia vostro sposo e mio erede, e qui in Tarassa vi attendo per celebrare con la dovuta solennità e pubblicamente le vostre nozze e la vostra coronazione di questo regno. Non tardate a venire, acciò compite goda le mie consolazioni, che ora mi riescono imperfette per la vostra lontananza e della regina Clorisba vostra madre. Rimetto anco ad Arimondo il commesso tradimento dell’essere stato complice della vostra fuga. Tutta questa città con desiderio aspetta la venuta vostra e del vostro sposo, acciò viva sicura del sostegno che doverà mantenerla dopo la mia morte. Incontrate dunque col ritorno i sentimenti di un padre affettuoso, rimettendomi nel di più ad Armiraspe mio ambasciadore, e qui teneramente vi abbraccia col cuore,

Gargore. Quello poi drizzato alla regina Clorisba veniva vergato da questi caratteri:

Signora,

se erraste a scompagnarvi da quel marito, a cui fede di unione eterna giuraste, non moltiplicate gli errori col differire il ritorno, già che io vi perdono la colpa primiera. E se l’affetto della figliuola vi fu stimolo alla fuga, mentre ella ripartirà col suo sposo, anche voi fatele compagnia. Vi serva anco di sprone al venire il raccordarvi che qui trovarete il vostro nipote, così vezzoso che dolci vi farà sembrare le molestie della vecchiaia. Il Cielo me l’ha restituito con mezzo maraviglioso, onde ci insegna che unitamente dobbiamo allevarlo con regia cura per sostegno della nostra canizie. Quando sarete qui giunta trovarete ch’ha mutato temperamento vostro marito, onde non vi riuscirà molesto finire i vostri anni senili al fianco suo. Già la guerra è finita, perchè in pace vuo’ terminare i miei giorni, e a’ miei desiri veggo che corrisponde il Cielo con l’opre sue. Darete orecchio nel di più ad Armiraspe mio ambasciadore, mentre col fine affettuosamente vi abbraccia,

Gargore.288

Le lettere inviate dal re di Galizia ai familiari promettono il perdono e riferiscono le circostanze che hanno causato il miracoloso cambiamento nell’animo del monarca, senza aggiungere tuttavia particolari che non siano già noti ai lettori esterni attraverso il racconto delle pagine precedenti. Non è perciò il loro valore informativo a spiegarne la presenza, ma l’opportunità che offrono a Masucci di mostrare fino a che punto sia in grado di inventare modi diversi di esporre un medesimo soggetto e di adattarlo al tipo di relazioni gerarchiche esistenti tra il mittente e il destinatario. Le lettere indirizzate a Martenissa e Clorisba, ad esempio, sono più affettuose rispetto a quella per Florideo, mentre il tono

288 A

NTONIO MASUCCI, Lo sfortunato felice, overo l’Abido. Istoria Gallicena, Napoli, Egidio Longo, 1666, pp. 334-338.

utilizzato da Gargore con la figlia è più autoritario rispetto a quello adottato con la moglie.

La fluttuazione tra stili diversi dovuta alla posizione sociale dei corrispondenti è quasi ostentata nella già menzionata novella di Ferrante Palmerini, le cui tre protagoniste appartengono a strati sociali diversi: Eucopiste è una donna aristocratica, frequentatrice della corte imperiale, Cronilide appartiene al ceto medio, mentre Aurilde è di estrazione plebea. Il giorno in cui, trovandosi all’improvviso fuori città, il giovane è costretto a scrivere loro per scusarsi di non poterle incontrare, la consapevolezza di questa disparità lo spinge a elaborare tre biglietti leggermente diversi fra loro:

Bellissima Eucopiste,

non dovrete maravigliarvi che con la solita divozione io non verrò per alcuni giorni ad assicurarvi personalmente de’ miei ossequi. Sono state violenze insuperabili quelle che m’hanno allontanato, benché per breve tempo, dalla città, privandomi della vostra gratissima presenza. Serva l’avviso in guisa che, col mancare dal mio debito, io non discapiti la vostra grazia quale singolarmente ambisco non meno che l’onore de’ vostri desiderati comandi.

Servo di cuore Bimauro. Graziosissima Cronilide,

dimorarete alcuni giorni senza le solite attestazioni con le quali notificavo quotidianamente il mio affetto. Ascrivetene la colpa non a diminuzione delli amorosi ardori, ma a quelli sforzi che mi rapiscono fuori della città per sottrarmi a quel cielo felice sotto di cui godo gl’influssi benigni de’ vostri favori. Sarà presto il ritorno e in questo mentre vi conservarò nella mia memoria, per non essere né pur un momento senza voi. Vi riverirò col cuore, se non con la penna. Assistetemi voi ancora con l’anima, già che vedermi non potrete cogli occhi. Amatemi. Tutto dedito alla vostra beltà.

Bimauro. Cara Aurilde,

s’interrompe il corso delle nostre contentezze dalla mia partenza, riuscitami non meno improvvisa che necessaria. Trattenuto fuori di città alcune notti, sarò privato delle soavi delizie che gustavo nel vostro seno. Siate certa che non per mancamento d’appetito ne vivo digiuno, ma per far la vigilia della festa con cui solennemente potremo ben tosto rigoderci. Abbiatemi a cuore, e non vi molesti il non vedermi, mentre sete avvertita quale ne sia la cagione. Mantenetemi vivo coll’amarmi, già che sete l’anima mia.

Bimauro.289

289 F. P

La distanza gerarchica che separa Eucopiste da Cronilide e Aurilde induce il giovane a rivolgersi alla prima con un tono rispettoso e sostenuto; familiare e concettoso alla seconda; più confidenziale e allusivo alla terza. Le differenze più vistose si trovano però nell’intestazione e nella sottoscrizione, i passaggi maggiormente investiti dal compito di indicare il dislivello sociale tra i corrispondenti: se per Eucopiste e Cronilide Bimauro sceglie di accostare il nome della destinataria ad aggettivi superlativi, la povera Aurilde dovrà accontentarsi di un semplice «cara». La firma sarà soltanto «Bimauro» per l’amante mediana e quella inferiore, ma si trasformerà in un reverenziale «Servo di cuore» nella lettera destinata alla nobildonna.