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Feticismo epistolare nel romanzo barocco

Capitolo 4: Ethos e pathos

4) Feticismo epistolare nel romanzo barocco

Dall’analisi degli esempi precedenti si evince che la retorica della lettera patetica mira essenzialmente alla costruzione di un’immagine virtuosa del personaggio, tale da rendere la sua sconfitta una prova dell’insopportabile cattiveria del mondo. Il ricorso a uno stile sobrio, l’intonazione apologetica e la scelta degli argomenti servono a confermare la grandezza dell’eroe e dell’eroina, per suscitare al tempo stesso pietà e ammirazione nei suoi confronti. Se ne può

396 N.M. C

dedurre perciò che a essere sfruttata in questi casi sia la portata etica della lettera, ovvero la sua capacità di suggerire qualcosa circa il carattere dell’autore.

L’epistolografia rinascimentale aveva preparato anche in questo senso la strada al romanzo barocco. Il libro di lettere cinquecentesco, così come era stato imposto sul mercato dal prototipo aretiniano, univa all’esemplarità linguistica quella umana dell’autore, il cui ritratto doveva emergere dalla successione delle lettere, in un’aurorale forma di autobiografia.397 Dell’autobiografia vera e propria l’epistolografia a stampa anticipava il carattere romanzesco, per la consapevolezza con cui i documenti originali venivano selezionati, modificati e se necessario del tutto inventati,398 allo scopo di controllare e idealizzare l’immagine dell’autore. Quello che finivano per conoscere i fruitori dell’opera non era perciò propriamente lo scrittore, ma un personaggio fittizio i cui caratteri coincidevano solo in parte con quelli della persona reale. Se il futuro del libro di lettere guardava con un occhio all’autobiografia, il suo passato affondava le radici nella cultura classica, avendo svolto l’epistolario di Cicerone un ruolo fondamentale nell’aiutare l’Umanesimo e il Rinascimento a definire i rapporti tra lettere, esemplarità e scrittura biografica.399

Anche l’idea della lettera specchio dell’uomo era giunta agli uomini del Seicento in eredità dalla cultura greco romana: ne parlano infatti lo Pseudo Demetrio nel trattato Dell’elocuzione, Cicerone nelle Epistulae ad familiares e Seneca nelle Lettere a Lucilio, solo per citare le voci più autorevoli.400 La teoria non faceva però altro che dare sistemazione e razionalità al luogo comune ampiamente diffuso secondo cui la lettera, come prodotto dell’essere umano, ne

397

G. GENOVESE, La lettera oltre il genere, cit., p. xxvi.

398Ivi., pp. 31-42. 399 T.O. B

EEBEE, Epistolary fiction in Europe, cit., pp. 23-25.

400 P.A. R

sarebbe un equivalente ovvero un’estensione. 401 Tale intuizione, riflesso del pensiero analogico, trova nel romanzo due tipi diversi di applicazione: la prima è quella del feticismo epistolare, mentre la seconda consiste nella costruzione dei caratteri per mezzo dello stile.

L’espressione ‘feticismo epistolare’ è stata coniata dagli studiosi per indicare l’attribuzione alle lettere di un valore simbolico derivato dalla loro prossimità a chi le ha scritte.402 In letteratura ciò si traduce nell’uso figurato della lettera come metafora della persona o come sua metonimia: nel primo caso è trattata come un sostituto dell’interlocutore assente per ragioni di somiglianza, nel secondo a creare l’equivalenza è invece il rapporto di continuità tra il soggetto e la sua emanazione.403 In virtù di tale simbolismo l’oggetto missiva si presta a essere usato dai narratori come uno strumento potentemente drammatico per la rappresentazione dei sentimenti dei personaggi. Due pietre miliari nella preistoria del romanzo epistolare come i Quattro-Cinquecenteschi Cárcel de amor di Diego de San Pedro e Processo de cartas di Juan de Segura consentiranno di illustrare le funzioni narrative di questa forma di feticismo e a testimoniare le origini della sua fortuna. L’opera di Diego de San Pedro si conclude con la tragica decisione dello sfortunato protagonista Leriano di bere da una coppa le lettere di Laureola, suo ultimo gesto prima della morte e chiara allusione al finale della novella di Tancredi e Ghismunda, in cui la protagonista muore dopo aver bevuto da un calice il cuore dell’amante. Il modello boccacciano sceglieva il cuore come metonimia del personaggio cui l’eroina desiderava dare sepoltura entro di sé per dimostrare una totale fusione amorosa, funzione svolta nell’imitazione spagnola dalle lettere,

401

J. GURKIN ALTMAN, Epistolarity, cit., p. 19.

402 B. B

RAY, Treize propos sur la lettre d’amour, cit., p. 45 ; M.C. GRASSI, Lire l’épistolaire,cit., p. 96.

403 J. G

sentite non meno del cuore come un equivalente simbolico di Laureola. Anche nel

Processo de cartas il feticismo epistolare accentua il patetismo delle scene finali

mettendo a nudo l’equivalenza tra lettere e corrispondenti. Mano a mano che la situazione dei protagonisti precipita la regolare comunicazione tende a essere sostituita dall’uso della lettera oggetto non più come veicolo ma come segno: la penultima lettera è scritta dalla dama servendosi del proprio sangue al posto dell’inchiostro, mentre l’ultimissima, un panno intriso da cinque gocce di sangue, rinuncia del tutto alla struttura testuale per affidarsi alla sola forza del simbolo. Ad agire sono al tempo stesso una metafora e una metonimia, poiché nella lettera sporca di sangue si può riconoscere da una parte il desiderio della dama di presentare sé stessa all’amante come anima/corpo ferito e dall’altra la volontà di rendere tangibile, attraverso l’invio effettivo di una parte di sé, il carattere sineddotico dello scritto.

Il ricorso al sangue come sistema per esacerbare la drammaticità di una scena epistolare è assai frequente nella narrativa barocca. Nel Sogno paraninfo di Agricoletti, il suo impiego al posto dell’inchiostro è spiegato in termini razionali: Algamirto, infatti, rinchiuso in carcere e privato dei normali strumenti di scrittura, non trova sistema migliore per comunicare con l’esterno che procurarsi una ferita e intingervi il pennino.404 La scelta è imposta al personaggio da fattori esterni e non implica la sua consapevolezza dei significati simbolici del gesto, ma riesce ugualmente a comunicare il senso dell’urgenza e della sofferenza che lo spingono a scrivere.405 Deliberato è invece l’uso simbolico del sangue entro contesti

404 F

RANCESCO AGRICOLETTI, Il sogno paraninfo, istoria scitica, Roma, Girolamo Barbèri, 1647, pp. 161-162.

405 Un caso affine è quello della lettera vergata con il sangue da Cretaneo e affidata a Onfalia in

ricordo del suo amore, con la richiesta di consegnarla al destinatario (F.M. SANTINELLILe donne guerriere, cit., pp. 224-226)

sentimentali,406 nei quali può alludere e dare concretezza a figure retoriche abitualmente collegate con l’atto di scrivere, come la metafora dello «svenamento» con cui gli amanti indicano l’insostenibilità della loro angoscia, o la convinzione metonimica che spinge i mittenti ad avvicinarsi ai destinatari inviando loro una parte del proprio corpo. Una lettera-feticcio di questo genere è quella indirizzata da Felismena a Celimauro insieme con una ciocca dei suoi capelli, esplicitamente definita dalla donna una specie di reliquia.

Felismena, come sola fu rimasta, assisesi ad un tavolino e con la penna avea già attinto il calamaio, quando dentro il cuor nascendole novel pensiero: «Or come?» disse, «Non sarà che a quel crudele e adorato io mandar sappia testimonio della fede mia più vivo e spiritoso che un inchiostro freddo e insensato nel mio morire? Sì, sì, saprò. Vegga il disleale di qual tempra sia quel sangue ch’egli ha tradito.» Così dicendo si snudò per fino al gomito il sinistro braccio e con lancetta di uno astuccio che avea addosso, perforatasi una vena, fissò il guardo nell’avorio, già dal tepido vermiglio ricamato, e disse: «Oh, sangue di quel cuore di cui mai non fu ne sia il più fido, già non meritavi tu di rimanere estinto senza aver chi della nobilissima tua lealtade fosse l’erede.» Quindi, terso dalla penna il nero, nella viva porpora l’intrise, poi mischiando il sangue delle luci tratto a quel del braccio, vergò tai note:

«Ecco, oh Celimauro (siami lecito, quantunque esser nol vogli più, questa sol volta ancora, giacch’ella è l’estrema, chiamarti mio) ecco in questo foglio il saggio di quel sangue che alla tua salvezza, principal mia deità, son per sagrificar del tutto fra poche ore sotto il carnefice. Voglio sperar pure che se quei colori mentiti che tu mi lasciasti in quel ritratto furon sì efficaci in figurar al vivo la tua perfidia, non debba esser debol testimonio della mia lealtade il mio vivo sangue. Leggi dunque in questo foglio i testimoni spiritosi e ultimi dell’amor mio, né temer già che spiacciano alla tua Diana tai caratteri mentre essi sono scritti col sangue mio, né altro son che un testamento fedelissimo, in virtù di cui può ella giustamente ereditarmi nel possederti. [...]

Addio Celimauro amato. Tengano legata a te qualche memoria della sfortunata Felismena queste misere reliquie di una testa, la cui bocca in breve avrà fornito di spirare chiamando te.»407

Stabilita l’equivalenza con la persona che l’ha scritta, la lettera può diventare un elemento rivelatore dei sentimenti provati dall’interlocutore nei suoi confronti. Chi lo possiede tratta il foglio con le stesse cure e attenzioni che riserverebbe al suo autore, mostrando così i suoi interni affetti. Giovan Battista Rinuccini, in

406 L’uso del sangue come inchiostro non era limitato al solo universo romanzesco. Presso la

Universiteitsbibliotheek di Leiden è conservata una lettera d’amore datata 27 agosto 1627 dello scrittore Pieter C.Hooft alla moglie Leonora Hellemans, firmata con il sangue dell’autore. Segnalato da P.C. SUTTON, Love letters, cit., p. 38.

407 A.G. B

qualità di narratore del Cappuccino scozzese, parla per esempio con devozione dell’ultima lettera di frate Arcangelo, scritta poco prima della sua partenza da Livorno, e rappresenta indirettamente la propria venerazione per il sant’uomo raccontando di aver ricevuto il biglietto con grandissima gioia e di averlo conservato tra i suoi beni più preziosi «come oggetto e bersaglio d’un incomparabile amore.»408

Il culto della reliquia è uno dei tanti risvolti che può assumere il feticismo epistolare, forma di comunicazione non verbale che trasferisce i gesti dalla persona alla cosa. Non sono esclusi atti violenti, specialmente se l’autore del messaggio è qualcuno di particolarmente odiato. Armidonte, invitato a duellare dal virtuoso Cordimarte,

avventossi e colle mani e colla bocca contra il foglio e ’l pugnale che di chiodo in guisa sostentavalo, e dividendogli in più brani dimostrossi avido tanto di battaglia quanto fu sollecito incominciare ad isfogar la sua rabbia su le cose insensate.409

La distruzione di un biglietto troppo audace è scena frequente soprattutto nella narrativa amorosa, dove assume un carattere topico e indica senza dubbio il rifiuto completo da parte del destinatario di comunicare con il mittente. Vi è anche nel gesto un’allusione alla volontà di ferire chi ha osato scrivere, attraverso la cosa che in quel momento lo sostituisce e rappresenta. La valenza simbolica dell’atto, generalmente taciuta, è dichiarata esplicitamente in questo esempio tratto da una novella di Giovan Francesco Loredano.

Aleria, acquietato il suo animo da quelle prime confusioni che rubatole il sangue al cuore ne avevano lasciate le macchie nel volto, quando le parve tempo, superata quella curiosità ch’è connaturale delle donne, stracciò in mille pezzi la lettera, quasi che quella fosse rea delle colpe che meritava l’ardire di colui che gliel’aveva data. Arderico, provando negli

408 G.B. R

INUCCINI, Il Cappuccino scozzese, cit., p. 227.

409 G. A

stracci di quella carta dilacerato il proprio cuore, disperò per l’avvenire d’ogni invenzione per farla certa del suo amore.410

Per contro, una scena di feticismo ripetuta instancabilmente è quella degli amanti che riempiono di baci le lettere dei loro amanti. Anche questo comportamento è dovuto all’accostamento simbolico tra la lettera e il reale destinatario delle effusioni, associazione di cui alcuni personaggi risultano consapevoli. Elviro racconta, avendo visto Giustidora baciare il suo biglietto:

Invidiai più e più volte la carta, come quella che prelibò le primizie de’ baci, ma poi fugai dal pensiero tal vanità col giudicar ciò esser stato da lei effettuato per mostrarmi che baciava il manuscritto per non poter baciare lo scrittore.411

Anche Lerilla riconosce la funzione feticistica della lettera nel chiudere così il suo messaggio a Silandro:

Orsù compagno amatissimo, finisco e invece della tua bocca, già che non posso, bacio questa carta. Baciala ancora tu per amor mio e considera nella fragilità di lei quant’è stata fragile la nostra sorte!412

L’atto di baciare le lettere, talmente comune da essere dato quasi per scontato, unisce all’analogia tra lettere e corpo un’allusione al legame tra lettere ed espressione dei sentimenti. Osservando le occorrenze in cui la lettera compare come sostituto metaforico dell’individuo è facile notare che, oltre ad accostare genericamente lo scritto alla persona nel suo insieme, gli autori tendono a assimilare il foglio a parti specifiche del corpo umano quali il cuore e il viso, tradizionali sedi degli affetti. Uno degli esempi più comuni di scambio tra la lettera e il volto è proprio l’atto di baciare la carta come se fosse dotata di guance

410 G.F. L

OREDANO, Novella prima, nella seconda parte delle Cento Novelle Amorose, cit., p. 3.

411 M

ARCO GIROLAMO BELLINI, La Giliandra, Venezia, Ad’Instanza del Turrini, 1653, p. 130.

412 L. A

e di labbra, ma più ricca di implicazioni teoriche è l’associazione dell’epistola al viso per il tramite del ritratto.

Un legame antico unisce la lettera all’effige del volto. Patricia Rosenmeyer cita come esempio precoce di equiparazione della missiva al dipinto una scena del

Romanzo di Alessandro ove alcuni ambasciatori, preso atto della decisione del

protagonista di non scrivere alcuna lettera di sottomissione, preparano un ritratto del re da riportare in patria.413 Dell’accostamento tra lettera e ritratto troviamo qualche traccia anche nel romanzo del Seicento, benché limitata a fugaci commenti. Il parallelismo più esplicito tra scrittura epistolare e ritrattistica compare nell’Eroina intrepida di Francesco Fulvio Frugoni come argomento per applaudire la scrittura della protagonista. L’episodio è quello del carteggio tra Aurelia e Ercole Grimaldi, promessi sposi, completato dal canonico scambio di ritratti. Al termine del passaggio dei doni, Frugoni racconta che Aurelia ringraziò il fidanzato

con caratteri così assennati, che spiravano la vivacità contemperata dalla modestia. In poche linee racchiuse gli spiriti più famigliari della sua nativa eloquenza, per incantar con la maraviglia e trasformar coll’amorevolezza lo spirito dello sposo nel suo. La lettera venia dettata da un cuore tutt’ingegnoso, da un ingegno tutto cordiale, ond’era così luminosa come avvampante, così sviscerata come discreta.

Il brano si chiude, dopo aver descritto sommariamente il contenuto del messaggio, con la seguente lapidaria considerazione sulla qualità del testo:

Basta il dire, ch’ella s’effigiò meglio nella pittura della sua lettera che non l’avea colorita il dipintore nel piano della sua tela.414

413 P.A. R

OSENMEYER, Ancient epistolary fictions, cit., p. 175.

414 F.F. F

Altri esempi di accostamento della lettera al dipinto ci vengono offerti dall’Ermidauro di Carlo Della Luna e dall’Annibale di Antonio Lupis. Nel romanzo di Lupis, la metafora della lettera/ritratto è incrociata con quella della lettera come immagine del cuore, per indicare la carica passionale del messaggio, frutto dell’acceso sentimento provato dal protagonista per la destinataria Aldimaura. Scrive infatti l’autore che Annibale, ripresosi da un malore dovuto alle ripulse dell’amata,

spronato pure dalla speranza che l’allettava in tante afflizioni, volse arrischiar l’ultime prove con inviarle le seconde preghiere. Pennelleggiate queste sulla tela d’un foglio, così dimostravano i ritratti della mano e ’l personaggio del cuore.415

Nel caso dell’Ermidauro, la metafora compare invece in un contesto apertamente feticistico di culto della lettera come surrogato dell’amante assente. Il narratore descrive Dorcelia, resa inquieta dalla lontananza del protagonista, nell’atto di cercare sollievo alla propria agitazione rifugiandosi nelle lettere di Ermidauro, quasi riuscissero ad annullare la distanza che lo separa da lei.

Onde scossi da sé i lini che la coprivano e recatasi in mano la lettera d’Ermidauro avria portato pericolo d’accenderla co’ sospiri se non l’avesse resa umida con le lagrime. E le labbra, anch’esse scorgendo quel foglio ricco di pregiatissime perle profuse dagli orientali oceani de’ suoi begl’occhi, vollero, colmandolo di replicati baci, arricchirlo non avare de’ rilucenti rubini di sé medesime. Gli affetti di Dorcelia, che si conobbero alla presenza del conte contenuti tra i limiti poco spaziosi del cuore dalle redini della modestia, precipitarono poi, sola, in un abisso così profondo di tenerezze che sono invalidi i dettami della mia penna a ridir pienamente com’essa della privazione d’Ermidauro si dolesse. E perché miravalo quasi che da sé medesimo pennelleggiato al vivo su quella carta, volle presentarglisi anch’essa con la risposta affinché egli dai dolori dell’animo si riscotesse: e perché col possesso di quella carta gli sortisse più lieve il trascorrer libero il pelago cruccioso delle sciagure. 416

415 A. L

UPIS, L’Annibale, cit., p. 295.

416 C. D

ELLA LUNA, L’Ermidauro, cit., pp. 188-190.

Un altro esempio nell’Aristo di G. UGOLINI, cit., pp. 45-46, dove Erminia, carezzando la lettera di Aristo, esclama: «Quest’inchiostri son pure i ladri Apelli, se sanno dipingermi ognun di loro un Aristo. Ma fra l’ombre delle loro negrezze me l’involano ancora, sì che non posso nemmeno sugger da di lui labbra un bacio.»

Complementare alla metafora della lettera/ritratto è quella del viso come lettera o come foglio di scrittura, ugualmente presente nel romanzo barocco. L’associazione nasce dalla corrispondenza tra le espressioni facciali e particolari emozioni, che rende il volto un sistema di segni interpretabile al pari di uno scritto. Sulla base di questa analogia Nufulcone può, anche senza lettere, rassicurare Demetrio che Anticira lo ama ancora. Ella

avrebbevi scritto, ma impallidisce sul pensare che forse la terreste per ardimentosa. In ogni caso, bastevole foglio è la candidezza del suo volto, ove a caratteri di mille alterazioni e pallori, potete benissimo leggere in che stato ella è per voi.417

Una diversa ma altrettanto interessante metafora del volto come lettera compare infine nel Floridoro di Brancaleone Cesarelatino, dove viene usata per indicare l’evidente nobiltà del sembiante della misteriosa Roselinda («Giaceva non lungi nel proprio sangue involto tale, che nel soprascritto di bellissimo volto portava impressi caratteri di non ordinaria fortuna.»)418 Il viso della fanciulla è paragonato dal narratore alla soprascritta di una lettera, alla parte utile cioè a identificare la persona del mittente. E’ la sua bellezza a rivelare, come se fosse scritto su una pagina, che la donna è aristocratica e dotata di qualità al di fuori del comune. Tratti somatici e tratti epistolari si fondono nel brano sulla base della condivisa capacità di indicare il carattere e le qualità del proprietario.