Capitolo 2: La lettera nella macchina del racconto
8) Malintesi e intercettazion
La lettura da parte di terzi esalta la forza autenticante della lettera, in contrasto con la sua capacità di ingannare e mentire. Impadronirsi di uno scritto altrui può servire a rivelare la verità o ad argomentare con una ‘prova tecnica’ la validità delle proprie affermazioni. Ma nemmeno l’intercettazione, per quanto inaspettata, può garantire senz’ombra di dubbio che la lettera sia sincera.
E’ proprio il valore apparentemente comprovante degli scritti epistolari a spingere molti personaggi a ordire intrighi basati su lettere contraffatte, esibite come prove contro degli innocenti. Tra le possibili combinazioni di varianti, quella che unisce una situazione di tipo 1b o 2a con una di tipo 2c è forse tra le più comunemente usate per rendere più stringente e difficile da sciogliere un equivoco. Oltre a complicare la trama, l’unione tra i due schemi serve anche ad arricchire la storia da un punto di vista didattico, offrendo agli autori l’occasione per mettere in guardia il pubblico da un uso troppo incauto delle testimonianze autografe. Nell’Ormondo di Francesco Pona, Gelinda invidiosa fa credere al re che la moglie Dorispina sia innamorata del cognato Ulieno, componendo delle false lettere fatte poi intercettare.
Acquistò fede alla scellerata menzogna con lettere intercette per avviso di lei ad uno maliziosamente soddotto, vergate dalla sua destra bugiarda, così ben mentito il carattere che Dorispina medesima, mirando lo scritto, era costretta confessarlo per suo. La iniquità trionfò allora dell’innocenza: corse Dorbrando al ferro per insanguinarlo nel seno di Dorispina.201
201 F. P
Similmente, nell’Istoria spagnuola, il pascià Zaido ordisce un tranello ai danni di Ramiro che prevede il recupero di alcune sue lettere autografe insieme a un ritratto di Diana,
acciocché poscia un uom di Zaido, dotto imitator dell’altrui mano, quella di Ramiro in guisa falseggiasse che apparisse chiaro lui passar maneggi in pro del re cristiano e in danno del moresco con Celimauro: il qual Celimauro mostrerebbono col mezzo del ritratto di Diana, essere stato spinto dall’amor di lei ad operar perfidia contro il suo re. E per tale effetto dicea Zaido di aver modo da far coglier di ordine di Albumazarre Celimauro con le lettere e ’l ritratto addosso, senza che di avercele ei sapesse nulla.202
La scoperta di una presunta verità spinge i personaggi a reagire prendendo provvedimenti contro i supposti colpevoli, oppure lottando per smentire il contenuto dei documenti contraffatti, se oggetto della calunnia. A questo scopo può rivelarsi utile un’altra intercettazione, ma di lettere sincere. La contrapposizione tra fatti e menzogne come origine e soluzione di un nodo equivoco è al centro di un drammatico episodio raccontato nella Taliclea di Ferrante Pallavicino. Per vendicarsi del re di Pamfilia la regina Tigriharpe decide di insinuare delle accuse di tradimento nei confronti del principe Geonarco. A tale scopo compone una lettera in cui finge di rispondere a un precedente messaggio del giovane, accettando la sua proposta di matrimonio e approvando l’idea di uccidere il re di Pamfilia. La lettera non deve essere realmente spedita a Geonarco, ma recapitata a suo padre da Mirsaflaso, come prova di quanto spietato sia il principe. Il re, raccontando la vicenda, spiega:
la lettera del figliuolo, che precedente a questa contrassegnavo, scatenò quelle più fiere passioni che tormentar possano un cuor umano, gl’occhi aprendomi purtroppo al tradimento. Il non averne mai sospettato impietà tale, operò sì che, sforzato ora a crederla, violentato fui ad odiarlo.203
202 A.G. B
RIGNOLE SALE, L’Istoria spagnuola, cit., p. 182.
203 F. P
Pamfilio non ha dubbi sulla sincerità della lettera e dà ordine che Geonarco sia giustiziato. Una volta morto il principe, il padre comincia però a nutrire qualche rimorso: forse è stato precipitoso a dar credito alle parole di Tigriharpe e l’uccisione del principe potrebbe essere stata un errore. Diversi indizi accrescono la sua incertezza, fino a quando una nuova intercettazione di lettere non spazza ogni dubbio sulla gravità dello sbaglio fatto.
Ma finalmente, ad onta d’ogni frode ma a danni purtroppo di me stesso, alla certezza pervenni quasi per sentieri, per le linee ch’uscendo dal centro della maligna invenzione terminavano alla circonferenza di quanto era successo: entro una lettera dimostravano compito il tradimento. Questa era dal perfido Mirsaflaso scritta a Tigriharpe come narrazione del fatto, nella quale però intesi quanto v’ho detto, delle particolari condizioni di lui per altra parte informato. Fu intercetta in vigor di quei comandi soliti a secretamente imporsi quando corrispondenza tra nemico principe e uno de’ nostri si teme, di ritenersi cioè le lettere fuori dello Stato incamminate.204
La rivelazione arriva purtroppo quando il delitto è già stato commesso e a Pamfilio non resta che rimpiangere la propria avventatezza. La storia del principe Geonarco dimostra che anche nella stessa vicenda la lettera intercettata può funzionare sia come strumento di menzogna, per la creazione di un equivoco, che come veicolo di verità, per la sua soluzione.
Perché l’intercettazione crei un malinteso non serve che la lettera sia falsa: estrapolare lo scritto dal suo contesto originale può bastare a generare equivoci addirittura mortali. La novella della contessa Elena nella Lucerna di Francesco Pona sceglie questo tema come monito a chi, pur mantenendo una condotta irreprensibile, rischia per sua leggerezza di sembrare colpevole. Benché sposa onestissima, Elena si lascia convincere dalla nutrice a ricevere le lettere di Alessandro, cavaliere senese innamorato di lei. La donna è convinta che non vi sia nulla di male nell’accettare la corte del giovane ma non ha pensato ai sospetti che
il suo gesto potrebbe fomentare nel marito. Un giorno il conte rientra improvvisamente a casa mentre Elena sta leggendo un audace biglietto di Alessandro, nascosto in tutta fretta fissandolo con uno spillo dietro a un arazzo. Per uno strano caso il conte nota la spilla appuntata alla tela e decide di servirsene. La lettera amorosa
al levarne la spilletta cadde e fu dal conte raccolta subito; il quale, letta che la ebbe, salito in quello sdegno ch’era proprio della sua ferocità, chiamata me e datami la carta in mano, mi comandò, senza che giovasse lo iscusarmi o il negare, che tutta dovessi leggerla forte. Non era carattere, in quella lettera, che non mi paresse uno strale che volasse a ferirmi il petto. E nel candor della carta mi pareva già di vedermi sotto gli occhi il proprio corpo senza sangue e senza anima. Non ebbi finito appena di trascorrere quelle parole mortifere ch’egli, senza altro aspettare, sotto la manca poppa il pugnale che a lato aveva mi fisse e refisse più di una volta; e così morta mi si fece cadere a’ piedi.205
Elena non ha tempo per spiegare al marito che Alessandro non è il suo amante e muore sotto i colpi del conte, cui la carta è sembrata una prova sufficiente di impudicizia.
L’episodio narrato da Pona, arricchito di particolari e inserito in una situazione molto più complessa, è stato oggetto di un rifacimento negli Amori fatali di Nicolò Maria Corbelli. Nella storia raccontata da Serpidoro, principe d’Egitto, la sultana Silenia convince Lucildo a rispondere alla proposta di Rosina di fuggire insieme. Mentre i due stanno componendo la lettera, irrompe nella stanza il sultano e Silenia, per non far trovare il foglio al marito,
alzò un pezzo d’arazzo d’oro tessuto, che serviva di addobbo alla stessa camera: sotto questi nascose la lettera e con sottil spilla, che cortesemente un velo le porse, la fermò dalla parte di fuori con ogni prestezza.206
205 F. P
ONA, La lucerna, a cura di Giorgio Fulco, Roma, Salerno Editrice, 1972, p. 258.
206 N
ICOLÒ MARIA CORBELLI, Gli Amori Fatali, Venezia, Appresso Carlo Conzatti, 1667, pp. 57- 58.
Come prevedibile, il sultano trova la spilla fissata all’arazzo e, staccandola, lascia cadere la lettera a terra. Poi, dopo averla raccolta, incomincia a leggerla e, poiché manca nello scritto qualsiasi riferimento diretto a Rosina, ritiene che sia stata indirizzata a Silenia.
Rilesse di nuovo il viglietto, lo rivolse or ad una or all’altra parte, forse non contento di quello che ritrovato avea: ma non scorgendo che quei caratteri contaminar lo potessero in avvantaggio, altamente gridando: «Non più, basta così!» Silenia, genuflessa, apriva la bocca per disingannarlo, ma egli di nuovo replicò interrompendola: «Sappiamo tanto che basta. I tradimenti già si sono da per sé stessi scoperti chi gli ordì, questa carta da sé stessa parla tanto che non ha bisogno d’interpreti per dizifrarla. Lucildo il traditore la scrisse, di sua man la firmò; chi la ricevé fu Silenia, ambi intenti a tradirmi con la loro fuga. E l’uno e l’altra morranno in questo punto.»207
Il pregiudizio del sultano, unito all’ambiguità della lettera e della situazione in cui viene ritrovata, crea una falsa apparenza che Corbelli, al contrario di Pona, decide di ribaltare prima che porti alla morte di Silenia e di Lucildo. Alerico, infatti, padre di Silenia, giunge a corte poco prima dell’esecuzione e rivela non solo che la lettera era in realtà indirizzata a Rosina, ma che Lucildo è una donna e per giunta sorella di Silenia. Ogni equivoco viene così risolto e l’intreccio si conclude con un lieto fine.