Capitolo 2 – L’assistente sociale
2.4. La disciplina del servizio sociale: da disciplina di sintesi a disciplina autonoma
2.4.2. Dalle teorie ai modelli teorico-operativi
Il servizio sociale, quindi, ha adottato da altre discipline i saperi che riteneva potessero essere utili per essere utilizzati come guide operative. Queste guide operative sono i cosiddetti modelli teorici di riferimento del servizio sociale231. Secondo la definizione di Bartolomei e Passera, “Il modello è
lo schema teorico di riferimento che ha una funzione euristica ed orientativa della prassi”232. Si tratta di “mappe cognitive”233 che indirizzano l’osservazione, l’analisi, la descrizione e
l’interpretazione dei fenomeni, di strutture che sono orientate alla pratica e che guidano l’intervento dell’assistente sociale e la sua valutazione, ovvero guide per l’azione che permettono cioè di
225 ivi, p. 89. 226 ivi, p. 89. 227 ivi, p. 93.
228 Gui L., 2004, op. cit., pp. 94-95. 229 ivi, pp. 88-95.
230 ivi, p. 110.
231 Dal Pra Ponticelli M., I modelli teorici di servizio sociale, Astrolabio Ubaldini, Roma, 1985. 232 Bartolomei A., Passera A. L., op. cit., p. 123.
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avanzare ipotesi conoscitive e operative modificabili continuamente attraverso l’analisi della loro adeguatezza234.
L’elaborazione di questi modelli è legata a una serie di variabili e al modo con cui queste variabili vengono messe in relazione tra di loro. Le variabili a cui si fa riferimento sono quattro e sono l’insieme delle teorie di riferimento, l’insieme del sapere derivante dallo studio e dalla rielaborazione delle esperienze professionali nei vari ambiti di intervento, i principi e valori del servizio sociale, e il contesto temporale e spaziale in cui si interviene235.
Nella storia del servizio sociale si è assistito, fin dalla prima metà del Novecento, ed in particolare nei Paesi anglosassoni (dove la teorizzazione di servizio sociale aveva una lunga tradizione) allo svilupparsi di più modelli teorici di riferimento e che sono stati introdotti in Italia solo a partire dagli anni Cinquanta236.
In estrema sintesi è possibile dire che a inizio secolo si poneva l’enfasi sui condizionamenti ambientali e successivamente negli anni Venti, sullo studio della personalità umana (scuola diagnostica). I modelli operativi degli anni seguenti focalizzavano l’attenzione sugli aspetti psicosociali della personalità, e tra gli anni Quaranta e gli anni Sessanta sorgevano, infatti, numerosi modelli teorico-operativi che, pur avendo comuni idee di fondo, hanno mostrato alcune specificità. Si fa riferimento a quei modelli che si caratterizzano per una impostazione di tipo medico (presuppongono cioè l’esistenza di una patologia) e per un approccio di tipo individuale. Solo negli anni Settanta hanno cominciato nel servizio sociale ad emergere modelli orientati ad una visione integrata237.
Secondo Bartolomei e Passera238, in linea sempre molto generale, è possibile dire che i modelli elaborati dagli anni Venti agli anni Novanta dello scorso secolo sono riconducibili a due fasi di sviluppo: una prima fase dominata dal modello medico e una seconda fase in cui si assume la teoria
dei sistemi come quadro esplicativo dei fenomeni239.
234 Una delle funzioni dei modelli è la cosiddetta “funzione esplicativa” della realtà perché permette di costruire la teoria
a partire dall’osservazione della realtà. Ad essa fanno riferimento sia le tecniche induttive che, partendo dalla osservazione diretta della realtà, arrivano a formulare generalizzazioni, sia tecniche deduttive che, a partire dalla costruzione teorica, cercano di illustrare e spiegare la realtà. Crf, Zilianti A., Rovai B., op. cit., p. 55.
235 Dal Pra Ponticelli M., 1985, op. cit.. 236 Dal Pra Ponticelli M., 1985, op. cit., p. 19.
237 A. Perino, Il servizio sociale. Strumenti, attori e metodi, Franco Angeli, Milano, 2010.
238 Secondo Bartolomei e Passera i modelli più diffusi nella pratica del servizio sociale sono: Il modello problem-
solving, il modello psico-sociale, il modello funzionale, il trattamento centrato sul cliente o modello rogersiano, il modello centrato sul compito, il modello di modificazione del comportamento, il modello esistenziale, il modello unitario, il modello integrato, il modello unitario centrato sul compito, il modello sistemico relazionale, il modello di rete. Crf Bartolomei A., Passera A. L., op. cit. pp. 126-145.
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Durante la prima fase dominata dal modello medico il servizio sociale operava prevalentemente nella logica della “cura”: quest’ultima era l’obiettivo della presa in carico di situazioni problematiche, da risolvere appunto in un’ottica terapeutica240. Il lavoro dell’assistente sociale
consisteva nel trattare una “malattia sociale” ed era caratterizzato dalla sequenza in fasi “studio- diagnosi-trattamento”, entro un approccio lineare causa-effetto, in cui i sintomi erano interpretati come indicatori di conflitti intrapsichici e in cui l’individuo veniva considerato un sistema chiuso. Era quello il periodo in cui il lavoro degli assistenti sociali era influenzato e orientato dalle teorie centrate fondamentalmente sulla persona, come la psicoanalisi, gli approcci diagnostico-terapeutici e l’orientamento psicosociale241. Questi modelli teorici vedevano il prevalere di interventi settoriali,
ovvero interventi che si differenziavano per la tipologia dei destinatari dell’azione sociale: lavoro con il singolo (case work), lavoro con i gruppi (group work), lavoro con la comunità (community
work)242.
Durante la seconda fase si è assunta la teoria dei sistemi come quadro esplicativo dei fenomeni, la quale tiene conto del contesto di vita dell’utente e di lavoro del professionista243. Secondo Gui “È
questa una fase di svolta in cui vengono elaborati modelli teorici molto più organici e complessi rispetto ai precedenti modelli medici e in cui diviene sempre più evidente l’influenza delle teorie sistemiche ed ecologiche, ma anche costruttiviste, cognitiviste ed umanistiche, che riuscivano ad integrarsi e armonizzarsi intorno ad alcuni concetti di fondo comuni” 244. I “concetti di fondo
comuni” a cui si riferisce Gui fanno riferimento al rifiuto di specifiche forme di determinismo nello sviluppo della personalità e nel suo agire quotidiano. L’individuo è poi considerato come un sistema aperto che interagisce e si influenza reciprocamente con il contesto ambientale, quest’ultimo considerato fondamentale tanto per l’insorgenza dei problemi, tanto per la ricerca di soluzioni agli stessi: l’individuo percepisce la realtà attraverso i suoi costrutti cognitivi, facendo progetti e ipotizzando soluzioni. Tra gli assunti di fondo vi è anche l’orientamento verso la dimensione relazionale-sistemica, della persona, del contesto ambientale, dell’organizzazione dell’assistenza e dell’operatore al suo interno che ha il compito di attivare un aiuto, attraverso ciò che Gui chiama “una rete integrata di supporti”245. Infine c’è la concezione del ruolo del professionista sociale non
più come “esperto” che, utilizzando uno specifico orientamento teorico è in grado di conoscere la
240 ivi, p. 127. 241 ivi, p. 128.
242 Una classificazione quest’ultima che come mette in evidenza Cellentani, era già presente nel 1951 quando Gordon
Hamilton scriveva “Il servizio sociale ha da tempo perfezionato tre distinte branche di lavoro chiamate rispettivamente case-work, group-work, community-organisation perché esistono esigenze e soluzioni di massa, esigenze e soluzioni di
gruppo, esigenze e soluzioni individuali”. Crf Cellentani, O., op. cit., p. 27.
243 Bartolomei A., Passera A. L., op. cit., p. 130. 244 Gui L., 2004, p. 59.
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persona per dirle che cosa sia bene per lei, ma l’assistente sociale diventa il “...professionista che si
siede accanto alla persona e mette al suo servizio la propria capacità di ascolto, di dialogo, di empatia, elabora con lui il progetto e lo sostiene – ricoprendo anche il ruolo di mediatore – durante l’intero percorso”246. Il professionista sociale è l’ “agente di cambiamento” e in questa fase
diventano concetti chiave la “complessità”, la “multifattorialità”, l’ “equilibrio” e il “cambiamento”. L’obiettivo del cambiamento (che può essere personale, familiare o sociale) sostituisce gli obiettivi di cura del modello medico247. E’ in questa fase che avanza l’idea di un “progetto sociale” o “progetto di intervento”: partendo dalla comprensione della dinamica sociale e psicologica in cui si trova l’utente, l’assistente sociale ha il compito di definire una strategia di intervento in cui sono precisati gli obiettivi (di cambiamento) da raggiungere e i mezzi per conseguirli248.
Con il passaggio da un approccio medico-terapeutico a un approccio sistemico si assiste al graduale passaggio da una visione antropocentrica al riconoscimento della persona come soggetto attivo e inserito in un contesto con cui egli interagisce: la persona non è più considerata come destinataria passiva e consumatrice dell’aiuto, ma come protagonista attiva, responsabile e consapevole dell’intervento249.
Alle idee di fondo riportate da Gui si rifanno tutta una serie di modelli250 elaborati negli anni Settanta e che si sono poi evoluti integrando ulteriori acquisizioni teoriche: in particolare negli anni Ottanta-Novanta il servizio sociale ha avvertito l’esigenza di rivedere i modelli teorici integrandovi nuovi orientamenti teorici e all’inizio del Millennio sta cercando di individuare nuovi schemi operativi251.
Per quanto riguarda il servizio sociale italiano, a partire dagli anni Ottanta si è affermata la concezione di un modello unitario, declinabile nelle differenti realtà operative di servizio sociale. Come afferma Gui, , pur nella medesima coerenza ai valori di riferimento (trifocalità, responsabilità condivisa, centralità e autoderminazione della persona, orientamento verso l’integrazione di differenti discipline teoriche), tale unitarietà si è svolta sinora in sistematizzazioni teoriche di
246 ivi, p. 60.
247 Bartolomei A., Passera A. L., op. cit., p. 132. 248 Dal Pra Ponticelli M., 1985, op. cit., p. 46. 249 Bartolomei A., Passera A. L., op. cit., p. 132
250 Gui elenca il modello esistenziale, il modello cognitivo umanistico, il modello integrato, il modello centrato sul
compito, il modello unitario. Crf Gui L., Le sfide teoriche del servizio sociale. I fondamenti teorici di una disciplina. Carocci Faber, Roma, 2004, p. 60.
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diverso orientamento: modello unitario centrato sul compito, il modello relazionale di rete, il modello sistemico relazionale, il modello cognitivo umanistico252.
Dopo avere chiarito e argomentato la tesi a inizio paragrafo secondo cui il servizio sociale ha adottato da altre discipline ciò che riteneva essere utile assemblando concetti e definizioni per utilizzarli come guide operative e dopo avere dato una spiegazione rispetto ai “modelli teorici di riferimento”, si avvia ora la riflessione circa la costruzione del sapere del servizio sociale passando attraverso un processo di implementazione biunivoca e circolare tra la teoria e la prassi per arrivare ad affrontare il tema dell’esigenza percepita dagli assistenti sociali di passare da un servizio sociale quale disciplina di sintesi a un servizio sociale quale “disciplina autonoma”.