5.1 Evidenze morfologiche
5.1.1 Confusione col genitivo
Dall'analisi dei testi su papiro presi in esame risulta evidente come il dativo fosse avvertito, già a partire dal II d.C., come un caso di difficile utilizzo, spesso confuso con il genitivo:
(8) P. Yale inv 663 (I-II d.C.)
rr. 12-13 ἀσπάζεταί σε ἡ μήτη ρ μ [ου καὶ οἱ ἀδελφοί μοι.
'ti salutano mia madre e i miei fratelli'
(9) B.G.U. III 801 (P. Berol. Inv. 8636) (II d.C.) rr. 12-17 κό μισαι παρὰ τοῦ ἀναδιδόντι σοι ταύ- την <τὴν> ἐπιστολὴν τραγήματα ἀρι- θμῷ ἑκατὸν ἑξή- κοντα
'ricevi da chi ti consegna questa lettera confetti in numero di centosessanta'
(10) P. Mich. III, 216 (III d.C.)
rr. 1-2 Παν[ί]σκος τῇ συμβίου κ[α]ὶ τῇ θυγατρὶ πολλὰ χαίρειν.
'Panisco porge i suoi saluti affettuosi alla moglie e alla figlia'
39 Mariarosaria Zinzi
(11) P. Mich. III, 218 (III d.C.)
r. 1 Πανίσκος τῇ συμβίου πολλὰ χαίρειν. 'Panisco porge i suoi saluti alla moglie'
ma (12) P. Mich, III, 219
r. 1 [Πανί]σκος Ἀϊῶν̣[ι] τ̣ῷ ἀδελ̣φ[ῷ πολλὰ χ(αίρειν)]. 'Panisco porge i suoi saluti affettuosi al fratello Aion'
(13) P. Oxy. XXXIV, 2727 (III-IV d.C.) rr. 6-8 καὶ δηλώσας μοι τὴν ποσό-
τητα 'τῆς τιμῆς' καὶ ὡσαύτως Ἀπολλω- νίου καὶ Θεοδώρου· [...]
'e mostrandomi l'enti-
tà del prezzo e allo stesso modo ad Apollo- nio e a Teodoro'
Nell'esempio (8) la forma μ [ου è una congettura, quindi poco utile ai fini dell'analisi. Probabilmente l'editore ha letto e trascritto μου per via della possibilità, che esisteva in greco classico, di esprimere il possesso anche col dativo. Per tutti gli altri casi bisogna pensare ad una motivazione diversa che giustifichi la presenza del genitivo anche dopo l'articolo determinativo, come negli esempi (9), (10) e (11) e (12). Gli antichi dittonghi si andavano trasformando: ωι perse presto il secondo elemento e, assieme ad ου, a partire dal IV a.C. “s'écrivent ου et se prononcent [o] long fermé, puis [u] à l'époque de la koiné” (Tonnet 2003: 51). La confusione tra genitivo e dativo singolare della seconda declinazione può essere stata, dunque, in un primo momento dovuta a motivi fonetici: se il parlante già non faceva distinzione nel pronunciare i due suoni, è facile che non operasse questa distinzione anche nella lingua scritta o che qualche errore rispetto alla norma penetrasse nel testo. La confusione di tipo fonetico spiegherebbe perché nell'esempio (10) leggiamo τῇ συμβίου e subito dopo τῇ θυγατρὶ, in (11) τῇ συμβίου e in (12) τ̣ῷ ἀδελ̣φ[ῷ20: il caso
20 I papiri appartengono tutti al carteggio di un certo Panisco: le lettere sembrano essere state scritte da
dativo non era ancora scomparso, ma al singolare, quando erano utilizzati sostantivi della seconda declinazione, tendeva a essere confuso con il genitivo. In P. Mich. III 216 è scritto συμβιου e in P. Mich. III 218 συμβιυ: è chiaro che ormai ου e ω erano pronunciati entrambi [u], e potevano, quindi, essere facilmente confusi nella lingua scritta. Scrive Gignac (1981: 22):
Fluctuation between – ου and – ω(ι) in the gen. and dat. sg. cannot be considered significant for morphology. It is caused partly by the confusion of ου and ω in the speech of some writers and partly by a syntactic confusion of the gen. and dat. cases.
Che la motivazione fonetica sia stata alla base della confusione tra dativo e genitivo sembrerebbe essere ulteriormente giustificato da due fattori: in primo luogo dalla presenza, nella maggior parte dei casi, dell'articolo determinativo al dativo accanto al sostantivo al genitivo (la mancata concordanza sarebbe stata inaccettabile) e in secondo luogo dal fatto che, in uno stesso testo, dativo e genitivo sono utilizzati con la medesima funzione: in (13) leggiamo, ad esempio, δηλώσας μοι e subito dopo καὶ ὡσαύτως Ἀπολλωνίου καὶ Θεοδώρου.
L'importanza del cambiamento fonetico nel riassetto della morfologia nominale del greco è evidente, e la dimostrano anche errori sporadici che possono essere rintracciati nei papiri:
(14) P.S.I. XIV 1423 (IV d.C.) rr. 12-14 δέδη-
κα δὲ αὐτὰ ἐν τ̣ὼ σ<τ>ιχάριών μου τὼ λινοῦν
'li ho
avvolti nella mia tunica di lino' (15) rr. 22-23 καὶ δέξασθαι τῷ αὐτῷ πλοίου σάμφατον οἴνου 41 39
'e che riceverete con la stessa imbarcazione un recipiente di vino'
In (14) leggiamo ἐν τ̣ὼ σ<τ>ιχάριών μου τὼ λινοῦν al posto di ἐν τῷ στιχαρίῳ μου λινῷ: il -ν finale si è perso (e non viene più pronunciato) e lo scriba fa confusione tra la desinenza del dativo singolare e quella del genitivo plurale della seconda declinazione, o probabilmente ἐν è qui inteso come costruito con l'accusativo: la differenza di quantità delle vocali era scomparsa e il sintagma sarebbe stato originato dalla confusione tra l'espressione classica del complemento di stato in luogo con ἐν+dativo e la costruzione alternativa, più tarda, con εἰς+accusativo. In (15), invece, è chiara la confusione tra ου e ω, entrambi pronunciati [u] nel sintagma τῷ αὐτῷ πλοίου. La confusione fonetica è qui la causa della perdita di trasparenza delle forme e, quindi, del loro utilizzo improprio.
I nomi propri sono tra i primi ad essere interessati dall'innovazione, la quale procede, perciò, seguendo una scala di animatezza; citando Comrie (1981: 179): “some languages treat proper names as being 'higher in animacy' than common noun phrase, although again strictly speaking there is no difference in literal animacy between William Shakespeare and the author of 'Hamlet”:
(16) P. Fond. Rein. Élis. IV, in Chron. D'Ég. 13 (1938), 378 rr. 1-2 [Τῷ ἀγα]π ιτῷ καὶ εὐλαβεστάτῳ
[ἀδ]ελφῷ ἄπα Ὥρου.
'Al mio amato e reverendissimo fratello abba Oros'
(17) P. Lond. 417 (circa 346 d.C.)
r. 6 π[ερὶ] Παύλω τοῦ στρατιότῃ
'riguardo al soldato Paolo' ma
r. 7 περὶ τῆς φυγῆς
(18) B. G. U. III, 948 (IV/V d.C.)
r. 1 Τῷ υἱοῦ μου Θεοδούλου.
'A mio figlio Teodoulos'.
Possiamo ipotizzare che l'innovazione fosse già abbastanza diffusa verso la fine del IV d.C., poiché in un'attestazione leggiamo:
(19) P. Grenf. II 76 (305-306 d.C.)
Σοῦλις νεκροτάφος τοπαρχίας Κύσε[ως] Σενψάις θυγατρὸς Ψάιτος ἐκ μητρὸς Τεοῦς νεκροτάφις ἀπὸ τῆς αὐτῆς χαίρειν.
'Soulis becchino della toparchia di Kysis porge i suoi saluti a Senpsais, figlia di Psais, la cui madre è Tees, becchina della stessa toparchia'
Il verbo χαίρειν è costruito con il genitivo Σενψάις θυγατρὸς: in questo caso non si può più parlare di confusione tra i due casi per ragioni fonetiche, ma bisogna rilevare che il genitivo andava gradualmente sostituendo il dativo nella sua funzione di Oggetto Indiretto.
5.1.2 Confusione con il nominativo
I nomi propri sono interessati anche da un altro fenomeno: nell'indicazione del destinatario, nei saluti iniziali, sono spesso riportati al nominativo e non al dativo:
(20) P. Oxy. VIII, 1160 (III-IV d.C.) rr. 1-2 Κυρίῳ μου πατρὶ Ὡριγένης
Τρόφιμος πολλὰ χαίρειν.
'Io Trofimo porgo i miei affettuosi saluti a mio padre e signore Origene'
(21) P. Lond. VI, 1916 (330-340 d.C.) rr. 1-5 τοῖς παν[? αγίοις̣ [καὶ γλυ-
43 41
κυτάτοις [Παι]ηοῦτι πρεσβ[υτέρῳ καὶ] Διόσκορο[ς καὶ] Ἱέραξ καὶ [
καὶ ἄπα Σ̣ουρ οῦ καὶ πᾶσ [ι τοῖς ἀδελ- φοῖς [...]
'ai santissimi e caris- simi presbiteri Paieout e Dioscoto e Ierace e abba Souro e tutti i fratel- li'.
La ricorrenza di destinatari al nominativo può essere facilmente spiegata: la persona a cui viene spedita la lettera è apostrofata dal mittente come in un dialogo reale, e viene quindi marcata al vocativo, la cui forma spesso coincide con quella del nominativo21, piuttosto che al dativo. Singolare è il caso di (20) in cui πατρί,
apposizione di Ὡριγένης, è al dativo, diversamente dal nome proprio a cui si riferisce, che invece è al nominativo.
21 Cfr. Blake (1994).
La mancata concordanza di caso tra i due membri del sintagma nome proprio+apposizione potrebbe essere spiegata in altro modo: in latino tardo, ad esempio, spesso solo il nome proprio era marcato al caso desiderato, mentre l'apposizione era al nominativo (cfr. Löfstedt (1956: 81 ss.)). Il fenomeno sarebbe proprio anche di altre lingue (per quanto riguarda il greco, Löfstedt rimanda ad un articolo di Havers (Havers W. 1928, Zur Syntax des Nominativs, «Glotta» XVI: 94-127, soprattutto da p.105 ss.)).
La somiglianza tra il greco dei papiri e il latino tardo sembrerebbe ulteriormente confermata da un esempio riportato dallo stesso Löfstedt, nel quale, all'interno di una sequenza di nomi propri che seguono un'apposizione, è propriamente flesso solo il primo, il più vicino alla Testa (come accade in (21)):
M. Attius Ias fecit... coniugi et filiis suis: Vitrasiae, Luciane, Attia Kalliste, Attius Crescens et Attius Iunianus, Attius Vitrasius Faustinianus, Attia Vitrasia Luciane …
CIL VI 12737.