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CIL VI 12737 Una simile coincidenza potrebbe far pensare che, nelle epistole, il nominativo adoperato per il nome

6. La situazione nei papir

6.6 I contesti complet

6.6.1 L'infinito in contesti complet

L'infinito è attestato almeno fino al IV d.C. in contesti completivi, nonostante la tendenza a sostituirlo con modi finiti fosse già forte e spiccata nel greco neotestamentario.

Come spiega Joseph (1983: 47-48), l'impiego dell'infinito in contesti completivi comprendeva fondamentalmente tre diversi tipi sintattici: le cosiddette EQUI- constructions, in cui il soggetto del verbo reggente coincideva con il soggetto dell'infinito e non era perciò necessario che fosse ripetuto; il tipo che comportava Object Deletion, per cui il soggetto della proposizione principale veniva a coincidere con l'oggetto dell'infinito ed era perciò “cancellato”; il tipo che comportava Object Raising, in cui il soggetto della proposizione principale è percepito come l'oggetto “of an underlying sentential subject proposition” (Joseph 1983: 48).

Dall'analisi dei papiri è risultato che i verbi servili reggevano pressoché sempre l'infinito (l'unico caso in cui il verbo θέλω regge un congiuntivo è analizzato all'esempio (90)). Nei casi in cui il complemento del verbo modale era identico al soggetto del verbo principale, il complemento/soggetto era normalmente cancellato, secondo il procedimento definito EQUI subject deletion, e il verbo retto era all'infinito. Nei casi in cui il soggetto del verbo principale e quello del verbo dipendente non venivano a coincidere, il secondo soggetto veniva reso nel caso

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accusativo e il verbo dipendente era sempre all'infinito. Non ho rilevato occorrenze in cui la proposizione retta dal verbo servile fosse costruita con un verbo finito, tantomeno occorrenze del verbo θέλω seguito da una completiva retta da ἵνα, come mi sarei aspettata: la mancanza del costrutto (che sarebbe stato alla base della creazione dell'attuale futuro in greco moderno) potrebbe indicare che non era ancora adoperato nei secoli ai quali sono databili le epistole su papiro, e che rappresenta, invece, un'innovazione più tarda.

Resiste ancora la perifrasi μέλλω+infinito, con significato di 'stare per/avere intenzione di': (81) P. Oxy. 935 (III d.C.) rr. 12-13 ἔμελλον δ[ὲ] καὶ αὐτὸς ἀναβῆναι 'avevo intenzione di giungere anch'io' (82) P. Flor. 127 (256 d.C.) (rr. 7-10) καὶ γάρ προῃ- ρήμεθ[α] παρὰ σοι καταχθήναι ἐπεὶ καὶ τὰ ὑπόλοι- πα χω[ρ]ίδια ἐπιθεωρεῖν μέλλομεν καὶ παρὰ σοι διατ[άξ]αι.

'E infatti abbiamo scelto

di restare a casa tua, dal momento che abbiamo intenzione sia di ispezionare le fattorie rimaste sia

disporre il lavoro nella tua zona'.

La costruzione con μέλλω rappresenta un caso di Subject-to-Subject Raising e, a differenza di alcuni verbi che in età tarda potevano reggere tanto l'infinito quanto una costruzione con modo finito, i verbi caratterizzati da questo tipo sintattico

potevano reggere solo l'infinito (allo stesso modo si comportavano anche ὀφείλω, δύναμαι e ἄρχομαι53).

La costruzione μέλλω+infinito veniva talvolta adoperata per sostituire il futuro semplice:

(83) P. Par. 43 (154 a.C.)

(rr. 2-3) συγγέγραμμαι τῆι Ἑσπέρου θυγατρί, μέλλω δὲ ἰσάγειν ἐν τῷ Μεσορὴ μηνί

'Ho stipulato un contratto con la figlia di Espero, intendo sposarla/la [prenderò in sposa nel mese di Mesore'

(84) P. Oxy. 935 (III d.C.) (rr. 12-13) ἔμελλον δ[ὲ]

καὶ α[ὐτὸ]ς ἀναβῆναι τ[ῇ .] 'intendevo invece

arrivare/arriverò anch'io il ...'.

La sostituzione del futuro per mezzo di perifrasi verbali costruite con ἔχω, μέλλω, βούλομαι, ὀφείλω+infinito divenne sempre più frequente a partire dalla tarda antichità, e procedette di pari passo con la tendenza ad esprimere un'azione futura tramite il congiuntivo, preceduto o meno da congiunzione: “In post-classical and byzantine diction it becomes the general rule owing to the gradual retreat of the future proper” (Jannaris 1987: 48654).

L'infinito era attestato nei papiri anche in costruzioni di significato fattitivo in dipendenza da ποιέω 'fare' (manipulative verb, secondo la classificazione di Givón

53 Cfr. Joseph (1983: 52).

54 Per una ricostruzione dell'evoluzione del futuro in greco rimando all'Appendice IV di Jannaris

(1987).

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(1990)), spesso all'imperativo: il soggetto della completiva era sempre espresso all'accusativo:

(85) P. Flor. 127 (256 d.C.)

rr. 4-5 τὸ βαλανεῖον παντὶ τρόπῳ ποίησον ὑποκαυθῆ- ναι

'fa' in modo che in ogni maniera il bagno sia riscaldato'.

La stessa costruzione la ritroveremo nell'esempio (87).

(86) P. Oxy. XIV 1681 (sec. III) rr. 20-22 ἐλπίζω οὖν μετὰ

τρεῖς καὶ ἐγὼ πρὸς ὑμὰς ἐλθεῖν 'spero dunque di arrivare anch'io presso di voi tra tre giorni'

(87) P. Oxy. 123 (sec. III/IV)

(rr. 9-12) γενοῦ πρὸς τὸν ἀδελφόν

μου Θεόδωρον καὶ ποίησον αὐτὸν σκυλῆναι πρὸς Τιμόθεον μεταδῶναι αὐτῷ τὸ ἕτοιμον αὐτοῦ ποιῆσαι εἴνα[ι] εἰσβῇ προσεδρεῦσαι. 'vai da mio fratello

Teodoro e fai in modo che lui si dia pena per Timoteo e comunicagli di fare i preparativi per iniziare la seduta'.

In (86) il soggetto della proposizione principale e quello della proposizione secondaria vengono a coincidere: è facilmente spiegabile quindi la presenza dell'infinito perché siamo in presenza di una cosiddetta EQUI structure: la coreferenza di soggetto della frase reggente e di quella completiva, infatti, permette la cancellazione (deletion) del Soggetto stesso nella proposizione dipendente e l'impiego del verbo all'infinito. La costruzione ἐλπίζω+infinito era quella più frequente in greco classico.

In (87) troviamo una serie di infiniti che hanno, di volta in volta, funzioni diverse. Il primo, σκυλῆναι, è in dipendenza dall'imperativo ποίησον ('fai in modo che'), che regge il sintagma accusativo+infinito, ed è il solo infinito ad essere chiaramente retto da un modo finito. La costruzione di ποιέω con accusativo+infinito è una costruzione già conosciuta in greco classico. L'infinito che segue, μεταδῶναι, è svincolato da ogni reggenza e ha chiaramente significato di comando: abbiamo già visto che in attico l'infinito semplice poteva essere impiegato con lo stesso significato di una seconda persona singolare dell'imperativo, e Mandilaras (1973: 316) sottolinea che, tra le attestazioni su papiro, l'infinito imperativo è ben attestato nei documenti ufficiali, negli editti, nei regolamenti e nelle lettere private. Da μεταδῶναι dipende ποιῆσαι, che a sua volta regge εἴνα[ι]. Se accettiamo l'integrazione [ι] dobbiamo pensare ad una traduzione del tipo 'digli di fare in modo che sia (tutto) pronto per iniziare': ci troveremmo di fronte ad una lunga serie di infiniti interrotta solo dal congiuntivo εἰσβῇ che rappresenterebbe perciò una sorta di variatio nell'elenco di ordini che il mittente impartisce al destinatario della lettera. Per due volte, inoltre, il verbo ποιέω sarebbe adoperato in senso causativo: la reiterazione della costruzione avrebbe senso proprio perché ci troviamo in ambito epistolare privato, e verosimilmente la scrittura riflette abitudini del parlare quotidiano, che può tendere alla ripetizione. Se tuttavia non accettiamo l'integrazione [ι], εἴνα non è più parte del verbo essere, quanto piuttosto una scrittura errata per la congiunzione ἵνα (errore dovuto alla confluenza degli esiti di /ei/ e /i/ in [i]). Il testo dovrebbe essere allora tradotto in modo diverso: 'e digli di fare i preparativi affinché si inizi'. La serie di infiniti sarebbe perciò meno lunga e intervallata da una finale al congiuntivo che reggerebbe poi προσεδρεῦσαι, l'ultimo infinito.

I due papiri sono databili tra il III d.C. e il IV d.C., e mostrano utilizzi dell'infinito già conosciuti in età classica. È legittimo pensare che fino a questa data il modo sopravvivesse e che il parlante fosse in grado di adoperarlo propriamente, ma che andasse lentamente scomparendo dall'uso a favore delle più trasparenti costruzioni con modi finiti.

107 Mariarosaria Zinzi