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4 La malattia mentale nel paradigma costruttivista

4.2 David Rosenhan: una ricerca

A tale proposito appare particolarmente incisivo il contributo dello psicologo statunitense David Rosenhan, che pubblica nel 1973 su "Science" un articolo dal titolo Essere

sani in posti insani, esito di un esperimento che lo ha visto coinvolto in prima persona. Già

l'incipit dell'articolo lascia comprendere il motivo per il quale sia riuscito a provocare forti reazioni e numerose critiche75: "If sanity and insanity exist, how shall we know that?"

(Rosenhan 1973). L'esperimento è così strutturato: otto persone "sane" vengono segretamente ricoverate in dodici diversi ospedali psichiatrici, di buon livello e di cui solo uno privato, distribuiti in cinque diversi stati, lamentando di udire voci sconosciute non chiare pronunciare, per quanto fosse loro possibile capire, le parole "vuoto", "vacuo", "tonfo"76. Tali

psudopazienti, oltre ad inventare tali sintomi e a falsificare il proprio nome e la propria occupazione77, non effettuarono nessun altro cambiamento sulla loro storia personale e, una

volta ammessi nel reparto psichiatrico tutti con una diagnosi di schizofrenia e solo uno con quella di sindrome maniaco-depressiva, cessarono di simulare qualunque sintomo di anormalità, dimostrandosi anzi collaborativi e amichevoli. I pazienti furono poi dimessi con una diagnosi si schizofrenia "in remissione", e in nessun caso fu mai messa in discussione una loro possibile simulazione, né da parte dei medici né da parte dello staff78.

Il mancato riconoscimento della loro sanità in fase di "accettazione" è in parte spiegabile, afferma Rosenhan, con il fatto che "è chiaramente più pericoloso fare una diagnosi errata di malattia che di salute. Meglio dunque sbagliare per un eccesso di prudenza e sospettare la malattia anche fra i sani" (Rosenhan, 1973 : 110)79. Nonostante questa

possibile spiegazione, un tale risultato viene considerato dall'autore una dimostrazione della fallibilità del processo diagnostico, che mal si concilia con l'efficacia della diagnosi in termini

75Le critiche si possono trovare, con una sua replica, in un suo successivo articolo dal titolo The contextual

nature of psychiatric diagnosis, pubblicato nel 1975 nel quinto numero di "Journal of Abnormal Psycology".

76La scelta di tali sintomi era dovuta alla loro somiglianza apparente con sintomi esistenziali, che sembrano

nascere da sentimente dolorosi di percezione di una mancanza di senso nella propria vita.

77Nome ed occupazione furono falsicati per evitare possibili conseguenze per i soggetti in seguito alla diagnosi

psichiatrica e al ricovero.

78Era invece abbastanza comune che i veri pazienti si accorgessero della sanità degli pseudopazienti, e che

alcuni di essi espressero con forza tali dubbi: "Tu non sei pazzo. Sei un giornalista o un professore" (Rosenhan 1973 : 110).

79Rosenhan dimostra con un altro esperimento come tale tendenza possa essere invertita quando si metta in

palio per i medici una posta alta in termini di prestigio e di acume diagnostico. Dopo aver informato un ospedale a indirizzo didattico e di ricerca del fatto che nei successivi tre mesi si sarebbero presentati uno o più pseudopazienti tentando di essere ammessi, a ogni membro del personale fu chiesto di classificare ciascun paziente che si presenteva in base alla probabilità (su una scala a 10 pt con 1 o 2 che indicano "probabilità elevata) che fosse uno pseudopaziente. A 41 pazienti su 193 ammessi venne assegnato un punteggio di 1 o di 2 da almeno un membro dello staff, 23 vennero dichiarati "sospetti" da almeno uno psichiatra. In realtà nessun vero pseudopaziente si presentò.

114 di produzione di una realtà. Il ruolo importante che il labeling assume nelle valutazioni psichiatriche è confermato dai dati raccolti dagli pseudopazienti nel periodo della loro degenza. Il modo di percepire le circostanze di vita da questi raccontate in modo veritiero, veniva interamente fondato a partire dalla diagnosi: i fatti furono distorti dallo staff affinchè risultassero coerenti con le teorie note sulla dinamica dello sviluppo della schizofrenia. Anche i "normali" comportamenti da loro tenuti all'interno del reparto, venivano reinterpretati come segni patologici: il loro prendere appunti, ad esempio, era visto come un comportamento compulsivo che spesso è correlato alla schizofrenia.

Sebbene l'autore riconosca come il trattamento dei malati di mente sia notevolmente migliorato nel corso degli anni, permangono alcuni aspetti, evidenti all'interno dell'ospedale psichiatrico, che contribuiscono a rendere l'ambiente insano e appaiono senza dubbio antiterapeutici, al punto che le loro conseguenza spersonalizzanti80 si sono rese evidenti

anche sugli pseudopazienti.

Innanzitutto, sebbene si utilizzi il termine malattia mentale per equiparare lo stato di chi soffre perchè afflitto da disturbi psichici a quello di chi è colpito da malattia fisica, gli atteggiamenti delle persone, in particolare degli operatori del settore nei confronti dei malati di mente, sono ambivalenti, caratterizzati da un lato da paura e ostilità, anche a livello inconscio, e dall'altro da intenzioni benevole. "I malati di mente", considera Rosenhan con un pessissimismo purtroppo condivisibile, "sono i lebbrosi della società" (Rosenhan 1973 : 116), sono allontanati, da loro si cerca di sfuggire. Tale atteggiamento ambivalente si rende evidente proprio nei luoghi adibiti alla loro cura, i reparti psichiatrici, al cui interno pazienti e personale sono rigidamente separati. I dati raccolti dagli pseudopazienti dell'esperimento di Rosenhan mostrano come le interazioni con lo staff siano ridotte al minimo, il personale, infatti, esce dalla propria sezione solo per prestare cure, somministrare i farmaci, come se i disturbi dei pazienti fossero contagiosi. Proprio l'utilizzo massiccio dei farmaci psicotropi contribuisce alla spersonalizzazione, poichè crea nello staff la convinzione che un trattamento curativo sia stato impartito, e che non sia quindi necessario un ulteriore contatto con il paziente.

I medici, all'apice della gerarchia della struttura ospedaliera, hanno il minimo contatto con i pazienti, raramente frequentano i reparti , e con tale comportamento ispirano il resto del personale.

115 "Né gli aneddoti né i dati quantitativi", afferma Rosenhan, "possono rendere il profondo senso di impotenza che invade un individuo esposto di continuo alla spersonalizzazione dell'ospedale psichiatrico"81; è l'ambiente stesso dell'istituzione dunque,

a determinare l'impotenza e la spersonalizzazione del paziente, tale processo acquista una propria dinamica autonoma e, una volta avviato, non può più essere controllato né dai pazienti né dai soggetti che vi partecipano82.

"Un'etichetta psichiatrica", afferma, dunque, l'autore, "produce la propria realtà e con essa l'effetto che gli è proprio. Una volta che si sia formata l'impressione che il paziente è schizofrenico, ciò che ci si aspetta è che continui ad essere schizofrenico"83 (Rosenhan

1973 : 114) finchè "Il paziente stesso finisce con l'accettare la diagnosi, con tutto il suo corredo di significati e di aspettative, e si comporta di conseguenza. Nel momento in cui fa questo, egli si adegua a questa costruzione di una "realtà" interpersonale" (Rosenhan 1973 : 114).

Tale etichetta, anche dopo le dimissioni, rimane incollata alla pelle degli ex pazienti come un marchio di inadeguatezza, con l'aspettativa non dichiarata che prima o poi il soggetto si comporterà di nuovo come un malato, influenzando per sempre gli atteggiamenti di parenti e amici nei suoi confronti.

Rosenahn è ben consapevole di quanto i bisogni legati alla diagnosi e alla cura dei problemi comportamentali e emotivi siano grandi, e di quanto sia necessario conoscere per poter intervenire. É altrettanto consapevole, tuttavia, che le diagnosi spesso non sono utili e neppure affidabili, ma che raramente si scoprono sbagliate: la realtà che producono è incredibilmente reale.

I sani, dice l'autore, non sono sempre sani, come i folli non sono sempre folli. Si tende ad attribuire ad alcuni tratti della personalità il carattere di follia quando non conosciamo le

81Il paziente, afferma l'autore, è privato dei sui diritti legali, è privo di credibilità in virtuù della sua etichetta

psichiatrica, non ha libertà di movimento, non può avviare nessuna interazione con lo staff, ha una privacy minima: la sua igiene personale e i suoi bisogni fisici vengono spesso controllati, il suo alloggio, i suoi effetti personali possono essere ispezionati in qualsiasi momento e la sua storia personale sono a disposizione di qualunque membro dello staff che voglia leggere la sua cartella clinica a prescindere da qualsiasi rapporto terapeutico (Rosenhan 1973 :120).

82L'autore sottolinea più volte come il personale degli ospedali psichiatrici nei quali l'esperimento ha preso sede

fosse competente e si impegnasse seriamente nel proprio compito di assistenza: "Quando sbagliavano [...] era piuttosto da attribuire all'ambiente in cui anch'essi si trovavano piuttosto che a una loro insensibilità" (Rosenhan 1988 : 125).

83Anche Lemert evidenzia questa aspetto sottolineando come il paziente che si comporti in modo conforme

viene spesso sospettato di essere un simulatore, o di aver conseguito soltanto una "guarigione istituzionale". "Una sovrintendente di un ospedale psichiatrico del Midwest", scrive l'autore, commentò maestosamente, una volta, in presenza di chi scrive: "Questi dannati pazienti fingono di essere sani"" (Lemert 1981 : 99).

116 origini e gli stimoli che danno luogo ad un comportamento, quando esso ci appare immodificabile. Così se un soggetto sotto l'effetto di un farmaco ha delle allucinazioni, si dirà che le sue allucinazioni sono indotte dal farmaco; ma quando gli stimoli delle allucinazioni del soggetto sono ignoti, si parlerà di schizofrenia o di pazzia. "Ma piuttosto di riconoscere che siamo solo impegnati a capire, continuiamo a classificare i paziente come "schizofrenici", "maniaco-depressivi" e "folli", come se in queste parole avessimo catturato l'essenza della comprensione del fenomeno...Sappiamo di non poter distinguere la sanità mentale dalla follia. É triste pensare a come questa informazione viene utilizzata" (Rosenhan 1973 : 123).

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5 Il Manuale Diagnostico e statistico dei Disturbi Mentali: i pericoli