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1 Verso una nuova cultura della salute mentale

1.2 Lo sviluppo di servizi orientati al "recovery"

Sebbene all'interno di tale rinnovata concezione della salute mentale sia opinione comune che i servizi della rete psichiatrica debbano essere orientati al supporto e al sostegno del soggetto in recovery, tali convininzioni, tuttavia, sembra facciano ancora fatica a trovare realizzazione in campo pratico nelle modalità operative ed organizzative delle reti psichiatriche stesse. Mi riferisco al fatto che i servizi istituiti nei vari paesi, come diversi autori hanno evidenziato (Anthony, Cohen, Farkas, et al., 2002; Bond, Becker, Drake, et al., 2001) si limitano, nel fornire assistenza al malato, a cercare di respingere le eventuali ricadute della malattia e a impedire il deterioramento psichico del malato stesso, costringendolo ad uno stato di inerzia che ha come solo risultato il mantenimento e la stabilizzazione del soggetto nel ruolo del malato mentale.

La letteratura sul tema mostra un consenso generale sull'importanza dello sviluppo di un modello di presa in carico dei servizi che sia orientato ai bisogni della persona, ai suoi

92 desideri e alle sue naturali propensioni (Borg 2007), come Basaglia aveva intuito e più volte sottolineato.

Nella prospettiva del recovery si assiste allo spostamento dell'attenzione dal tentativo di "curare" la "malattia" così come essa viene presentata dalla diagnosi, al supporto ed aiuto alla parte sana della persona, affinchè la persona stessa possa concentrarsi sullo sviluppo di un sè al di là della malattia, riscoprendo le proprie capacità e possibilità. In realtà quanto più un servizio è istituzionale, tanto più aumenta il rischio che esso si riveli controproducente per l'uscita dei soggetti in carico dallo stato di inerzia che caratterizza il ruolo di malato e che, come Goffman evidenzia nella sua analisi sulle istituzioni totali, può avere conseguenze estreme di spersonalizzazione e annichilimento (Goffman 1967).

Nonostante il recovery non sia un tipo di intervento che i servizi possano erogare, tuttavia essi sono in grado di contribuire a tale esperienza personale di recupero, agevolandone la buona riuscita.

Sulla base di tali convinzioni, la Farkas (2007) propone quattro coordinate, da lei definite "core recovery values", che i servizi dovrebbero seguire per essere di supporto al processo di recovery degli utenti: person orientation, person involvement, self-

determination/choice and growth potential, hope (Farkas, Anthony, Cohen 1989).

Il person orientation invita i professionisti a focalizzare la propria attenzione non sulla malattia e sulla sintomatologia, ma sulle capacità e sui punti di forza della persona stessa, considerata non più solo un paziente da curare ma anche e soprattutto un soggetto da supportare.

Il person involvement nella pianificazione e nell'organizzazione dei servizi rende possibilile l'assunzione da parte dell'utente di una centralità nel proprio percorso di cura, sviluppando, tra l'altro, il suo empowerment e accrescendo la sua autostima. Lo slogan del movimento dei consumers è "Nothing about us without us" (Farkar 2007), a dimostrazione della volontà di occupare un ruolo attivo nei rapporti con i professionisti.

Self-determination/choice and growth potential sono le pietre miliari del processo di recovery. Alcuni programmi di salute mentale e alcune pratiche, come l'abitare supportato e

i circoli sociali, mirano proprio a stimolare le facoltà decisionali dell'utente e, di conseguenza, la sua uscita dallo stato di inerzia che la malattia impone.

Hope nel futuro, infine, si presenta come un elemento essenziale che devono

possedere sia gli utenti dei servizi, sia i professionisti che vi operano all'interno. Il processo di recovery, come la letteratura dimostra, può essere un processo molto lungo e può presentare nel tempo delle battute di arresto e delle retrocessioni. É importante, tuttavia,

93 conservare la fiducia nella sua riuscita, pertanto gli operatori hanno un ruolo importante nel motivare gli utenti lungo il percorso.

Se i servizi saranno orientati a questi valori, conclude la Farkas, l'obiettivo raggiungibile per i soggetti affetti da disturbi mentali non sarà più quello della sopravvivenza o del mantenimento, ma quello della costruzione di una vita ricca di significato (Farkas 2007). L'approccio del recovery, dunque, richiede strutture di servizi decentrate e territoriali, orientate a stimolare l'empowerment degli utenti, e, non meno importante, non gerarchizzate. Agli operatori, infatti, che lavorano a stretto contatto con l'utenza e ne conoscono necessità ed esigenze, si assegnano responsabilità nella gestione del rapporto con essa, e nell'organizzazione dei servizi stessi.

In molti paesi, soprattutto anglosassoni, si sono sviluppate politiche e linee guida che includono alcuni principi comuni volti ad orientare i servizi psichiatrici, in particolare i Centri Diurni, al recovery approach96. In Italia, nonostante il nostro paese sia stato il primo ad aver programmato la chiusura dei manicomi e la costruzione di una rete psichiatrica di tipo territoriale, tale tipo di approccio non trova legittimità nelle politiche e, quindi, concretezza. La questione, probabilmente, è di tipo ideologico-politico poichè persiste la convinzione che il disturbo psichico provochi una disabilità della quale è il sistema sanitario a doversi occupare primariamente. Già nel 2001 l'International Classification of Functioning, Disability and Health (ICF) della World Health Organization aveva proposto un confronto tra quello che viene definito "modello medico" di approccio alla disabilità e quello che, invece, viene definito "modello sociale"97, sintetizzando le posizioni da più parti espresse.

É, dunque, ormai opinione diffusa che, essendo l'oggetto dei servizi psichiatrici, ovvero la sofferenza detta mentale, parte di una condizione umana molto più vasta (Piro 1987), che tocca diversi ambiti, un sistema di cure volto al recupero del soggetto debba integrare l'agire psichiatrico con altre risorse terapeutiche, intendendo con esse quelle del volontariato e quelle, ad esempio, rappresentate dai gruppi di auto-aiuto.

96Si vedano, ad esempio, le direttive indicate dal Dipartimento della Salute del Regno Unito nel 2006:

promuovere la recovery; promuovere la partecipazione alla vita della comunità locale; ridurre l'isolamento sociale; offrire opportunità agli utenti di supportarsi a vicenda e di gestire i servizi che utilizzano;

massimizzare le possiilità di scelta e l'autodeterminazione; andare incontro ai bisogni di diversi gruppi sociali (si noti lo sviluppo si esperienze di servizi di eccellenza, ad esempio, su Centri Diurni volti al supporto specifico delle donne); assicurare che i servizi siano accessibili alle persone che sono seriamente disabilitate dai loro problemi di salute mentale; coinvolgere gli utenti e coloro che se ne prendono cura; aumentare la tipologia delle agenzie coinvolte nell'erogazione del servizio (massimizzare il contributo del volontariato o di altri settori indipendenti); migliorare la collaborazione tra settori diversi. (Pocobello 2011)

94 Proprio i gruppi di auto-mutuo-aiuto, promossi dal movimento degli utenti, rappresentano, secondo White, Boyle e Loveland (2005), il contesto sociale ed ecologico del

recovery. Tali gruppi, offrendo uno spazio protetto di possibilità di dialogo tra persone

accomunate da rapporti paritari e permettendo la condivisione delle esperienze, favoriscono l'empowerment dei soggetti. Essi si inseriscono all'interno del generale cambiamento di paradigma secondo cui, mentre nel precedente l'unico esperto riconosciuto era il medico psichiatra, ora l'utente diventa "esperto per esperienza" (Barnes 1999), perciò ritenuto capace di aiutare. Data l'attuale varietà dei gruppi di auto-aiuto, dare una definizione ed una classificazione univocamente accettata risulta difficoltoso. Può essere utile, tuttavia, tenere presente la definizione generica proposta da Katz e Bender (1976): "I gruppi di auto-aiuto sono strutture organizzate in piccoli gruppi a base volontaria, finalizzate al mutuo aiuto e al raggiungimento di particolari scopi. Essi sono di solito costituiti da pari che si uniscono tra loro per assicurarsi reciproca assistenza nel soddisfare bisogni comuni, per superare un comune handicap o un problema di vita oppure per impegnarsi a produrre desiderati cambiamenti personali e sociali. I promotori e i membi di questi gruppi hanno la convinzione che i loro bisogni non siano, o non possano essere soddisfatti da o attraverso le normali istituzioni sociali. I Gruppi di auto-aiuto enfatizzano le interazioni sociali faccia a faccia e il senso di responsabilità personale dei membri. Essi assicurano assistenza materiale e sostegno emotivo: tuttavia, altrettanto spesso appaiono orientati verso una qualche "causa", proponendo un'ideologia o dei valori sulla base dei quali i membri possano acquisire o potenziare il proprio senso di identità personale" (Katz, Bender 1976 : 16). I Gruppi di auto- aiuto, così definiti, rappresentano uno strumento valido non solo in ambito psichiatrico, ma possono essere utili in vari altri ambiti, medici e sociali98. L'attuale assistenza psichiatrica

prevede brevi periodi di ospedalizzazione in seguito ai quali il paziente fa ritorno nella comunità e si trova a dover gestire la propria malattia. Il gruppo rappresenta, dunque, uno strumento efficace per lo scambio di esperienze, per l'apprendimento di tecniche di comportamento, per la conoscenza di informazioni sui farmaci e sulla gestione dei loro effetti collaterali, e per fornire supporto emotivo.

L'Associazione l‘Alba (Amore Libertà Bisogno Aiuto) nasce, fisicamente ed ideologicamente, proprio da un gruppo di auto-aiuto che aveva come protagonisti gli utenti

98Emerick, che ha focalizzato la sua attenzione sui gruppo psichiatrici, ha suddiviso in varie categorie i Gruppi

di auto-aiuto in base al loro rapporto con gli operatori dei servizi. I gruppi i cui membri rifiutano la partecipazione degli operatori e dei familiari vengono definiti "radicali separatisti", mentre quelli che ammettono la presenza degli operatori in forma di supporto e sostegno "conservatori di supporto".

95 della Clinica Psichiatrica di Pisa, e conserva nelle sue modalità operative il principio guida del movimento che li ha fondati: la ricerca di un ruolo attivo per soggetto sofferente nella gestione del proprio disagio.

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2 L'Alba sul territorio pisano: tra insegnamenti basagliani e