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1 Edwin Lemert: le nozioni di "devianza primaria" e "devianza secondaria"

1.1 Devianza secondaria e reazione sociale: la dinamica di un processo

In Devianza, problemi sociali e forme di controllo, Edwin Lemert, dopo aver definito la devianza come un comportamento "diverso" che in un certo periodo è disapprovato, sposta la sua analisi sulle modalità attraverso cui le forme di tale disapprovazione, siano esse quelle della segregazione o della semplice sanzione, possono accrescere, decrescere, o comunque condizionare la forma che la diversità primaria prenderà (Pitch 1975). "Noi partiamo dall'idea che le persone e i gruppi siano differenziati in vari modi, alcuni dei quali producono sanzioni sociali, rifiuto e segregazione. Queste sanzioni e reazioni di esclusione da parte della società o della comunità sono fattori dinamici che aumentano, diminuiscono e condizionano la forma assunta dall'iniziale differenziazione e deviazione" (Lemert 1967 : XIX).

Lemert, così, compie una distinzione tra quella che lui definisce deviazione primaria e deviazione secondaria.

É devianza primaria quel comportamento dell'individuo che viene percepito come socialmente contrastante o infrattivo rispetto alla rete di regole, implicite o esplicite, che governano le relazioni tra i membri di una data società. L'accento è posto, però, su come sia la reazione sociale, e in particolare le istituzioni adibite al controllo sociale, a dare forma e significato alla devianza, giungendo a stabilizzarla come devianza secondaria. É devianza

secondaria, dunque, la devianza che consegue alla reazione sociale, all'etichettamento di

una persona come deviante realizzato dagli agenti del controllo sociale. La deviazione primaria, afferma l'autore, "è poligenetica, ossia è il prodotto di tutta una serie di fattori sociali, culturali, psicologici o fisiologici, che si combinano in forme occasionali o ricorrenti [...], presenta implicazioni marginali per lo status e la struttura psichica della persona interessata [...]. La deviazione secondaria concerne una particolare classe di risposte, socialmente definite, che le persone danno ai problemi creati dalla reazione sociale nei confronti della loro devianza. [...] Il loro effetto generale è quello di rendere differente l'ambiente simbolico e interattivo al quale la persona risponde, in modo da influenzare in misura determinante la socializzazione" (Lemert 1967 : 87-88).

92 Il controllo sociale, attraverso interventi e sanzioni, dunque, anzi che essere un effetto reattivo al comportamento deviante, funziona come "causa" della deviazione secondaria che, in effetti, è la vera deviazione. In altre parole, le forme di controllo messe in atto da una società che reagisce ad un comportamento di deviazione primaria "sotto l'egida del pubblico benessere e della pubblica difesa in molti casi provocano drammantiche ridefinizioni del sé e del ruolo di deviante che potrebbero o no essere state desiderate" (Lemert 1975 : 121). Lemert, dunque, si allontana dalla sociologia tradizionale "che tendeva a rimanere ancorata all'idea che è la devianza a dar luogo al controllo sociale" arrivando a sostenere l'idea inversa "e cioè che è il controllo sociale a dar luogo alla devianza" (Lemert 1967 : 1).

L'affermazione è chiaramente provocatoria: essa esprime la volontà dell'autore di spostare la ricerca sociologica da una prospettiva orientata all'eziologia della devianza primaria ad una prospettiva che tenga conto dei processi di definizione ed interazione che coinvolgono gli individui devianti e le istituzioni deputate al loro controllo. L'originalità del contributo di Lemert consiste nell'incoraggiare una riflessione su come e quanto l'assegnazione degli stereotipi di malattia o delinquenza, l'inserimento di un soggetto in un processo di disapprovazione, di degradazione e di isolamento, o il suo divenire oggetto di assistenza, cure e di progetti rieducativi, risultino rilevanti ai fini del rafforzamento e della stabilizzazione della primitiva devianza56.

In un primo momento (1951) Lemert propone una versione piuttosto rigida della sequenza delle interazioni che conducono alla stabilizzazione della deviazione primaria in deviazione secondaria, descrivendola come un processo a stadi: 1) una devianza primaria, un primo atto deviante; 2) sanzioni sociali; 3) un'ulteriore devianza, definita dall'autore ancora primaria; 4) ulteriori sanzioni sociali e rifiuti più forti; 5) un'ulteriore deviazione, accompagnata da crescente ostilità e senso di ingiustizia nei confronti di coloro che mettono in atto le sanzioni; 6) crisi del quoziente di tolleranza, espressa in un'azione formale di stigmatizzazione del deviante ad opera della comunità; 7) rafforzamento della condotta deviante in risposta alla stigmatizzazione ed alle punizioni sociali; 8) definitiva accettazione dello status sociale di deviante e tentativi di adattamento al tale ruolo (Pitch 1975 : 110- 111).

56Lemert preciserà: "I sociologi devono, più che della definizione delle caratteristiche essenziali della

deviazione, quali i disturbi mentali e l'alcolismo, occuparsi dei processi mediante i quali le organizzazione giungono a considerare o a non sonsiderare tali deviazioni come colpe morali o come malattie" (Lemert 1967 : 83).

93 Il meccanismo operante in questo processo è quello di ridefinizione del self così come illustrato da Mead: il soggetto che subisce le punizioni sociali tende a reiterare e rafforzare la condotta deviante poichè gli "altri" contribuiscono alla creazione del suo me. Egli intraprenderà, dunque una carriera deviante durante la quale "divengono centrali le reazioni di disapprovazione, degradazione e isolamento messe in atto dalla società" che, diventando fatti centrali della sua vita, "alterano la (sua) struttura psichica e danno luogo ad una nuova e particolare organizzazione dei ruoli sociali e degli attegiamenti nei confronti del sé" (Lemert 1967 : 66). Tutte le azioni compiute dal soggetto durante questa carriera saranno azioni di deviazione secondaria, saranno cioè gli esiti del suo adattamento ai mezzi e ai fini che le agenzie di controllo sociale gli rendono disponibili, dove non rilevano, perciò, le cause originarie della deviazione, ma acquisiscono importanza, invece, la stigmatizzazione, le sanzioni, l'isolamento e la segregazione. Al termine della carriera deviante egli accetterà definitivamente lo status sociale deviante che gli era stato assegnato e qualcosa, come afferma Lemert, cambia nella sua "pelle" (Lemert 1967 : 65).

Tuttavia in seguito (1967) l'autore abbandonerà l'idea di costruire un modello progressivo di comportamento deviante muovendo una critica proprio al concetto di carriera

deviante elaborato da Howard Becker, espositore della labeling theory.

Becker, nel saggio Outsiders (1963), evidenzia come un passo determinante nella carriera del deviante sia proprio l'essere definito tale. Una simile definizione, infatti, impone un cambiamento nell'identità pubblica del soggetto così che ogni suo comportamento e atto verrà rivalutato e interpretato sulla base di un giudizio sulla sua personalità che si poggia su tale definizione. Proprio la stigmatizzazione, infatti, provoca isolamento ed esclusione, che impediscono al soggetto stigmatizzato, ormai sprovvisto di mezzi, di perseguire i propri fini (Becker 1963). Becker , afferma Lemert, arriva ad esporre una teoria "secondo la quale i gruppi sociali producono la devianza, ed è deviante quel comportamento che viene etichettato come tale" (Lemert 1967 : 21), teoria accusata di "rozzo determinismo sociologistico" (Lemert 1967 : 21). Becker e la labeling theory vengono criticati dall'autore in quanto si pongono su posizioni estreme che fanno della devianza una sorta di artificio prodotto dal controllo sociale, interpretato come arbitrario, e finiscono quasi con il sostenere che "là dove non esistono etichette, non esiste neppure la devianza", scadendo "in un idealismo di stampo relativistico" (Young 1975 : 230). Tali teorie descrivono il processo attraverso il quale si diventa devianti come un processo ineluttabile all'interno del quale "i devianti perdono la propria identità per divenire simili ad organismi vuoti che vengono a colpo sicuro etichettati dagli altri" (Lemert 1967 : 24). Al contrario, afferma Lemert, "anche

94 l'individuo che è rassegnato all'attribuzione di uno status deviante può cercare di neutralizzare o di mitigare il controllo dell'informazione e la diminuzione della visibilità o vistosità della devianza" (Lemert 1967 : 24)57.

Inoltre, afferma l'autore, non tutti i comportamenti devianti diventano un problema di controllo sociale, lo diventeranno soltanto quelli che non potranno essere normalizzati.

Un tale tipo di approccio, come sottolinea l'autore, si inserisce all'interno di un paradigma interpretativo (interpretative paradigm) che si differenzia dal paradigma normativo (normative paradigm) nelle modalità di definizione della realtà: se il paradigma normativo postula l'esistenza di un sitema di simboli condiviso e stabile (Parsons) all'interno del quale l'individuo integra e soddisfa i suoi bisogni concordandoli con aspettative normative condivise basate sui ruoli sociali, il paradigma interpretativo assume che la realtà sia una costruzione interindividuale fondata su alcune regole fondamentali (basic rules). Gi etnometodologi, e in particolare Garfinkel, riconoscono che tali regole costitutive dell'interazione sociale non sono immediatamente visibili, come volevano i funzionalisti, ma si deducono dal comportamento "normale", abituale, della vita di tutti i giorni (gli etnometodologi utilizzano l'espressione everyday life). La realtà, pertanto, emerge dalla continua definizione e ridefinizione di simboli ed elementi significativi di situazioni, definizione che nasce da un processo interpretativo in cui sono coinvolti gli attori in una determinata situazione. Per comprendere la realtà, dunque, è necessario guardare al comportamento effettivo degli attori attraverso l'interpretazione dell'interazione come reciproca tipificazione58.

Le implicazioni di una tale concezione della realtà nello studio della devianza sono evidenti: per stabilire se un comportamento viene considerato normale o deviante, non sarà sufficiente esaminarne le caratteristiche esteriori, ma sarà necessario conoscere le regole che fondano l'interazione sociale. Nel momento in cui tali regole costitutive, che si trovano a dirigere l' interazione quotidiana, vengono infrante, la situazione diventa confusa e può dar luogo a diverse forme di reazione: i soggetti possono ritirarsi dall'interazione o ridefinire il proprio comportamento non conforme alle aspettative "nei termini di significati alternativi relativamente a ciò che costitutivamente "normale" o accettabile. L'interazione che avviene

57A tale proposito pertinente è l'analisi di Erving Goffman che si concentra sulle tecniche di gestione dello

stigma da parte del soggetto stigmatizzato che analizzerò in seguito.

58Per tipificazione si intende l'astrazione da un accumulo di dati sensibili secondo schemi acquisiti in precedenza

95 in tali frangenti, e che culmina nella mutua accettazione delle nuove regole costitutive, viene detta normalizzazione (Lemert 1967 : 69). Perchè la normalizzazione sia possibile, è necessario che l'interazione avvenga tra persone legate da un sentimento di fiducia, o vincolate da esigenze reciproce (è il caso della famiglia, dell'amicizia, dei rapporti di lavoro) o da legami informali all'interno di organizzazioni formali. Ciò accade poichè l'entità delle gratificazioni dei valori connessi al legame dell'interazione continua ad essere percepita dai soggetti come superiore rispetto a quella dei valori che tale normalizzazione impone di sacrificare. In altre parole, se l'attore in interazione recepisce significati accettabili da attribuire alla condotta deviante, allora tale comportamento verrà normalizzato: esso sarà percepito come una normale variazione, un problema di vita quotidiana. Tale tendenza a normalizzare il comportamento dei propri membri di fronte ad una violazione di regole costitutive, è molto presente nei gruppi primari, dove maggiore è la necessità e l'esclusione è considerata una misura drastica che rompe il rapporto di fiducia.

Quando invece il comportamento deviante comporta alti costi e impone un grande sacrificio di valori, ad esso vengono attribuiti significati "inaccettabili", il comportamento sarà definito come deviante e saranno attuabili azioni di controllo. Al soggetto autore di tale comportamento verrà assegnato lo status deviante, una modifica di status nel senso della degradazione che lo porterà a stabilizzarsi in comportamenti la cui devianza è ora mutata qualitativamente in deviazione secondaria.

"Il deviante secondario", afferma Lemert, "a prescindere dalle sue azioni, è una persona la cui vita e identità sono organizzate intorno ai fatti della devianza" (Lemert 1967 : 88): l'assegnazione di tale status è ciò che permette alla devianza di stabilizzarsi, tanto che è possibile affermare che "da deviazione si genera deviazione" (Lemert 1967 : 82).

Se, dunque, in una concezione puramente strutturale della devianza, quale era quella elaborata da Merton, il controllo sociale rappresenta una modalità costante di reazione sociale nei confronti della deviazione, nella concezione "processuale" di Lemert, il controllo sociale come forma di reazione viene "ritenuto una variabile indipendente" e diventa, come già detto, "causa, piuttosto che effetto, della entità e delle diverse forme di deviazione" (Lemert 1967 : 67).

La stigmatizzazione pubblica incide profondamente sulla definizione e ridefinizione del soggetto stigmatizzato: egli acquisirà uno status moralmente inferiore, delle conoscenze specifiche e delle abilità proprie di tale status, una differente visione del mondo, e una particolare immagine di sè che si baserà sull'immagine che gli viene rimandata dagli altri con i quali interagisce.

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1.2 L’utilizzo del concetto di devianza secondaria nella ricerca sui comportamenti