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Erving Goffman: la "carriera morale del malato mentale" e la questione dello stigma

All'interno del paradigma interazionista si inserisce il pensiero di Erving Goffman, autore sui generis che si è impegnato nell'elaborazione di una "sociologia della vita quotidiana", dove assumono rilevanza le interazioni faccia a faccia e vengono privilegiati gli aspetti della comunicazione e dell'interazione consapevole. L'autore ricorre alla metafora drammaturgica60: il mondo è un gioco complesso, un teatro all'interno del quale gli attori

sono impegnati a rappresentare se stessi nel modo migliore possibile mediante una manipolazione cosciente dell'interazione (Pitch 1975). In una tale concezione ciò che rileva non è la realtà in quanto tale, che non può mai essere esaminata, ma le apparenze, le rappresentazioni messe in atto dai soggetti.

É chiaro il richiamo al processo meadiano Io-Me generalizzato, ma ciò che viene messo in evidenza è il fatto che il self non esiste in quanto tale, non è stabile e costituito, è invece in continua costruzione, determinato di volta in volta dalle situazioni, dagli altri attori dello spettacolo e dal pubblico. Ne deriva l'utilizzo di una metodologia di analisi basata sullo studio etnografico, sulla partecipazione e sull'osservazione, attenta agli aspetti microsociali e di interazione faccia a faccia.

L'analisi goffmaniana, da considerarsi in quest'ottica, si sofferma, nell'ambito dello studio della malattia mentale, sui meccanismi di esclusione e di violenza perpetuati dalle Istituzioni Totali, definite come istituzioni che agiscono con un potere inglobante, totale appunto, simbolizzato nell'impedimento allo scambio sociale e all'uscita verso il mondo esterno, spesso concretamente fondato nelle stesse strutture fisiche dell'istituzione. La "categoria dei malati mentali" è da intendersi, precisa l'autore, "in senso strettamente sociologico. In questa prospettiva la valutazione psichiatrica di una persona assume significato solo nel momento in cui essa ne alteri il destino sociale - alterazione che diventa fondamentale nella nostra società quando, e soltanto quando, la persona viene immessa nel processo di ospedalizzazione" (Goffman 1972 : 154).

L'opera Asylums raccoglie diversi saggi tra i quali La carriera morale del malato mentale, in cui l'autore analizza in maniera attenta e minuziosa l'ingresso e la vita dell'internato

99 nell'istituzione psichiatrica, cogliendo e soffermandosi sui processi di profanazione, di mortificazione e di degradazione ai quali viene sottoposto il sé del paziente. "La carriera morale di un individuo di una data categoria sociale implica un susseguirsi standardizzato di mutamenti nel modo di giudicarsi includendo – in maniera significativa - il modo di concepire il proprio "sé". Questo processo quasi sotterraneo può essere seguito studiando le sue esperienze morali - cioè i fatti che segnano una svolta nel modo in cui egli considera il mondo – sebbene sia difficile stabilire le particolarità di questo modo di concepirlo" (Goffman 1972 : 153) .

La carriera del malato mentale comprende, precisa l'autore, tre fasi principali: una precedente all'ospedalizzazione, definita "fase del predegente", una propria del periodo del ricovero, la "fase degente", e una successiva alla dimissione, quando questa avviene, definita fase "postdegente".

"Se si pensa che i «malati di mente» che vivono liberamente fuori dagli ospedali si avvicinano, come numero - se addirittura non lo superano - a quelli che sono invece ricoverati, si potrebbe concludere che ciò che distingue i secondi dai primi non è il tipo di malattia, quanto piuttosto un certo numero di contingenze." (Goffman 1972 : 161)

La storia di molti pazienti psichiatrici, infatti, evidenzia come nel periodo precedente all'ospedalizzazione i loro comportamenti siano, utilizzando un termine di Lemert, comportamenti di deviazione primaria, infrattivi di alcune norme del vivere sociale. Decisivi per l'avvio dell'internamento sono da una parte quelle che l'autore definisce come "contingenze di carriera", ossia circostanze sociali di vario tipo, quali la clamorosità della trasgressione, il livello di tolleranza manifestato da parenti, amici e vicini o le condizioni economiche61, dall'altra il circuito di agenti e di enti che influiscono sul destino del soggetto

nel passaggio dallo status civile a quello di degente62. "L'ultimo passo della carriera del

predegente può corrispondere alla sua presa di coscienza - più o meno giustificata - di essere

61Goffman fa esplicito riferimento agli elementi individuati da Lemert.

62L'autore si sofferma sulla descrizione di alcuni ruoli di agente che permettono l'avvio del processo di

ricovero: per prima è determinante la "persona di fiducia" (next-of-relation), solitamente un parente stretto, colui che il malato considera il più accessibile e disponibile in caso di bisogno; in secondo luogo c'è l'"accusatore", che non agisce solitamente in veste istituzionale ed è colui che per primo ha dato l'avvio alla serie di contingenze che portano il paziente all'ospedalizzazione; infine i "mediatori", l'insieme di agenti ed enti ai quali il soggetto viene segnalato e che lo segue nel suo procedere verso l'ospedale: polizia, clero, medici generici, psichiatri, personale di cliniche, legali, assistenti sociali, insegnanti scolastici, ecc. "Solo uno di questi personaggi avrà il mandato legale di consegnare il paziente all'ospedale, mentre gli altri avranno soltanto partecipato ad un processo le cui conseguenze non erano ancora definite. Quando i mediatori escono dalla scena, è allora che il predegente diventa un degente, affidato ad un unico agente che è il direttore dell'ospedale" (Goffman 1972 : 170-171).

100 stato abbandonato dalla società e tagliato fuori da ogni rapporto" (Goffman 1972 : 172) ed è proprio con l'inizio dell'internamento che inizia socialmente la carriera del paziente, quindi a prescindere dal momento in cui si colloca l'inizio psicologico della sua malattia.

L'autore parla di "carriera morale del malato di mente" come una destrutturazione del self risultante da una complessa interazione tra le reazioni degli altri, lo staff dell'istituzione, le loro definizioni e l'intervento consapevole del soggetto sulla propria immagine. Il malato è posto per tutto il suo periodo di internamento in una condizione umiliante e degradante: "E' qui che si incomincia ad apprendere quanto sia limitata l'estensione entro la quale può essere mantenuto il concetto di sé, qualora l'insieme di sostegni abituale venga improvvisamente a mancare" (Goffman 1972 : 174). Il men del soggetto, cioè quella parte della personalità che è l'assunzione soggettiva delle reazioni degli altri all'io, subisce un processo di oggettivazione e alienazione, venendo "rivendicato dallo

staff come di sua esclusiva competenza e da questo rigidamente definito" (Pitch 1975) e l'io,

la percezione soggettiva di sé, ne risulta profondamente modificato, coinvolto in una dinamica oggettivante e alienante.

Sottostando a tali esperienze degradanti, il degente impara a muoversi secondo la vita del reparto, sviluppando quelli che Goffman interpreta come adattamenti secondari, "adattamenti abituali, per mezzo dei quali un membro di un'organizzazione usa mezzi od ottiene fini non autorizzati, oppure usa ed ottiene entrambi, sfuggendo a ciò che l'organizzazione presume dovrebbe fare ed ottenere, quindi a ciò che dovrebbe essere. Gli adattamenti secondari rappresentano il modo in cui l'individuo riesce ad evitare il ruolo di sè che l'istituzione gli assegna naturalmente" (Goffman 1972 : 212).

All'interno dell'ospedale psichiatrico "il degente", afferma Goffman, "si trova completamente spogliato di ogni convinzione, soddisfazione e difesa abituali, soggetto com'è ad una serie di esperienze mortificanti": egli deve adeguarsi a ritmi di vita, agli orari e alle regole del reparto sulle quali non ha alcun potere decisionale, viene spogliato dei suoi abiti e privato dei suoi oggetti personali, deve apprendere che ogni sua parola, azione e reazione potrà essere interpretata come sintomo. Tali restrizioni e privazioni fanno parte intenzionale della cura, rappresentano, cioè, la risposta, a ciò di cui il paziente ha in quel momento bisogno e quindi, afferma l'autore, "sono espressione del livello di degradazione cui è arrivato" (Goffman 1972 : 176). Qanto più l'ospedale è moderno e "avanzato" dal punto di vista medico, quanto più si sforzi di assolvere la sua funzione terapeutica piuttosto che limitarsi alla sola funzione custodialistica, tanto più il personale sarà qualificato, e mostrerà al malato "come il suo passato sia stato un fallimento; che il suo atteggiamento verso la vita

101 è sbagliato e che se vuole essere un uomo, dovrà mutare il tipo di rapporti che instaura e l'immagine che ha di se stesso" (Goffman 1972 : 176).

Goffman deduce quindi che gli effetti a cui va incontro il soggetto che viene trattato come un malato mentale possono essere ritenuti distinti da quelli ai quali egli andrebbe incontro per il suo stato psicopatologico. "I malati che si ricoverano negli ospedali psichiatrici variano fra di loro nel tipo di malattia, nel grado di gravità diagnosticato dallo psichiatra e nelle caratteristiche con cui li descriverebbe un profano. Pure, una volta immessi in questa dimensione, si trovano ad affrontare circostanze del tutto analoghe, cui reagiscono in maniera del tutto analoga. Siccome però queste analogie non derivano dalla malattia mentale, si potrebbe dire si verifichino suo malgrado. E' quindi un riconoscimento del potere delle forze sociali il fatto che la condizione uniforme di «malato mentale» sia in grado di determinare in un insieme di persone, un destino e quindi un carattere comune, tenendo anche presente che questo tipo di pressione sociale si verifica sul materiale umano più ostinatamente diverso che si possa raggruppare" (Goffman 1972 : 55).

"Il soggetto della cura", commenta Salvini, "viene ad essere inserito in un circolo vizioso: l'istituzione lo priva della facciata personale, questo innesca un processo di disconferma del sé che, alla fine, porterà l'individuo stesso a sentirsi svuotato, irreale, privo di una identità personale. Allora nel soggetto, divenuto paziente, l'adeguamento alle nnuove modalità di essere se pienamente realizzate renderanno impossibile il suo fututo reinserimento nella società" (Salvini 1983 : 189).

In questo senso è possibile affermare che il self non sia una sorta di proprietà esclusiva del soggetto, quanto piuttosto risieda nella dinamica del controllo sociale esercitato su di esso, da esso stesso e da coloro che lo circondano.

L'individuo che ha subito tale destrutturazione, una volta dimesso, si trova a dover affrontare un ulteriore processo di degradazione e mortificazione anche all'esterno dell'ospedale. Spesso infatti l'esperienza di degente lascia un segno indelebile e visibile sulla persona, "uno stigma", come lo definisce Goffman, affermando che "una volta risulti che egli è stato in ospedale psichiatrico, la maggior parte del pubblico, sia formalmente - in termini di riduzione di impiego - che informalmente - in termini del trattamento quotidiano generale - lo considera una persona da respingere; gli mette addosso uno stigma" (Goffman 1972 : 370).

Proprio all'analisi dello stigma sociale Goffman dedica un'opera, Stigma. L'identità

negata, pubblicato per la prima volta nel 1963. Il termine deriva dal greco stigma, che

significa "marchio", "macchia": lo stigma era un segno che veniva inciso con il coltello o impresso con il fuoco sul corpo di chi si doveva evitare perchè, appunto, segnato (venivano

102 segnati gli schiavi, i criminali, i traditori). É stata poi la cultura cristiana a far circolare la parola con un doppio significato: i segni corporei della Grazia, ma anche i segni corporei del Demonio, che indicano un disordine di tipo morale.

"Oggi", afferma Goffman, "il termine è largamente usato in quello che potremmo chiamare il suo originario senso letterale, ma si applica più alla minorazione che alle prove fisiche di essa" (Goffman 1963 : 1). Come è nello stile di Goffman, il libro indaga in modo minuzioso come la società costruisca l'identità dei soggetti a partire dai micro-sistemi, dalle interazioni faccia a faccia, dalle situazioni con cui l'individuo si trova ad interagire con l'altro.

É la società a distinguere i "normali" da quelli che non lo sono: "definirò normali quelli che, tutti come noi, non si discostano per qualche caratteristica negativa dai comportamenti che, nel caso specifico, ci aspettiamo da loro" (Goffman 1963 : 5); al contrario quando "un individuo che potrebbe facilmente essere accolto in un ordinario rapporto sociale possiede una caratteristica su cui si focalizza l'attenzione di coloro che lo conoscono alienandoli da lui, spezzando il carattere positivo che gli altri suoi attributi potevano avere", egli "ha uno stigma, una diversità non desiderata rispetto a quanto noi avevamo anticipato" (Goffman 1963 : 5). Lo stigma, dunque, non è esattamente una caratteristica personale, quanto piuttosto un marchio d'infamia posto su quanti non sono considerati all'altezza dei modelli condivisi; su coloro la cui identità sociale virtuale (ciò che dovrebbero essere secondo le attese normative deglia altri) non coincide con l'identità sociale attualizzata (ciò che sono, con gli attributi che è legittimo assegnare ); è quell'attributo personale la cui conoscenza suscita negli altri un dubbio sull'identità sociale del soggetto, in quanto pone il problema dell'adeguatezza fra identità virtuale e attualizzata. L'autore analizza poi le strategie messe in atto nelle varie situazioni dal soggetto stigmatizzato per gestire lo scarto tra le due dimensioni della sua identità al fine di riuscire a presentare un'accettabile immagine di sé, controllando l'informazione sociale nelle interazioni, strategie che sono volte o a servirsi dello stigma stesso quando questo è riconoscibile o palese, oppure a evitare lo svelamento quando questo è nascosto. Uno degli aspetti più interessanti sottolineati è quello che riguarda la consapevolezza del proprio elemento stigmatizzante da parte del soggetto: egli ha interiorizzato dalla società quei criteri che gli permettono di essere consapevole di quelle che gli altri ritengono caratteristiche negative. "Ciò provoca inevitabilmente in lui, anche solo in certi momenti, la convinzione di non riuscire ad essere ciò che dovrebbe" (Goffman 1963 : 23), provocando frustrazione e afflizione.

L'opera di Goffman ha avuto il merito di mostrare come sia possibile un'indagine dell'interazione che non abbia come oggetto di studio l'individuo e la sua interiorità, quanto

103 piuttosto "le relazioni sintattiche esistenti tra gli atti di persone che vengono a trovarsi in contatto diretto" (Salvini 1983 : 193).

Il concetto di stigma introdotto dall'autore ha riscosso un grande successo anche in ambiti non specificatamente sociologici. In particolare è stato adottato dalla psichiatria sociale ed utilizzato per definire l'insieme di connotazioni negative che vengono pregiudizialmente attribuite ai soggetti che hanno sofferto o che soffrono un disagio psichico a causa della loro diagnosi psichiatrica. Si ritiene, infatti, che la diagnosi psichiatrica favorisca il processo di stigmatizzazione e che, in alcuni casi, in particolare nel caso della schizofrenia (Finzen 1996), si può parlare di stigma come di una "seconda malattia" associata al quadro psicopatologico del soggetto che lo subisce. All'esperienza della malattia, lo stigma sociale aggiunge, oltre ad una dimensione di sofferenza, una maggiore difficoltà per il soggetto di essere accettato dalla comunità, di trovare al suo interno degli spazi, e una ridotta possibilità di trovare un'occupazione o una sistemazione abitativa. É ormai opinione condivisa che le condizioni di vita soggettive e oggettive delle persone con disagio mentale non dipendano solo dalla gravità del proprio disturbo, ma anche dal grado di accettazione all’interno della famiglia e della società in generale. Il soggetto stigmatizzato, dunque, vede diminuita la propria qualità di vita, così come anche l'autostima percepita, elementi che ostacolano il proprio processo di cura e di recovy (Corrigan, Penn 1999). Lo stigma, inoltre, non colpisce soltanto il soggetto affetto da disturbo mentale, ma crea piuttosto un circolo vizioso di alienazione e discriminazione che coinvolge anche i familiari del soggetto e l'ambiente ad essi circostante, deteriorandolo e provocando marginalizzazione63.

Per tali motivi la lotta allo stigma si delinea come uno degli obiettivi principali per la tutela della salute mentale, da attuarsi innanzitutto tramite campagne informative volte a sensibilizzare la società verso il superamento dei pregiudizi diffusi nei confronti dei soggetti sottoposti a cure psichiatriche. Pericolosità, inguaribilità, incomprensibilità, improduttività e irresponsabilità sono gli stereotipi comuni che l'Organizzazione Mondiale della Sanità, muovendosi in questa direzione, ha individuato essere d'ostacolo al processo di integrazione dei soggeti stigmatizzati, invitando i governi a fare quanto possibile per creare i presupposti per superarli.

63Il processo per il quale una persona è stigmatizzata in virtù di un’associazione con un altro individuo

stigmatizzato viene definito quale stigma di cortesia o stigma associativo (S. Mehta, A. Farina, Associative stigma: perceptions of the difficulties of college-aged children of stigmatized fathers, J Soc Clin Psychol 1988; 7: 192-202)

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