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3 La rivoluzione degli anni ‘60

3.2 Franco Basaglia

È in Italia, che per la prima volta nel mondo, si realizza la progressiva deistituzionalizzazione dei manicomi prevista dalla legge 180 del 1978, legata al nome di Franco Basaglia, legge che, per usare le parole dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, "[…] ha restituito alle persone i loro diritti. Ha abolito ogni forma di segregazione e discriminazione". In realtà, come riconosce lo stesso Basaglia quando la legge viene approvata, questa rappresenta sì uno spartiacque tra il precedente trattamento repressivo della malattia mentale, e quello nuovo, comprensivo, che si stava facendo strada, e tuttavia apre una serie di problematiche che rimangono ancora in gran parte insolute.

67 Lo psichiatra Basaglia si forma nelle aule dell'Università, nei circoli accademici, dove ancora la psichiatria rafforzava la funzione sociale del manicomio come contenitore di sicurezza per mantenere l'ordine pubblico. Le terapie elettroconvulsionanti di Cerletti, la psico-chirurgia e la successiva psico-farmacologia, l'utilizzo della camicia di forza e dei letti di contenzione, erano il riflesso della volontà da parte di chi deteneva le cattedre accademiche di confermare la prassi custodialistica e repressiva operata dai nosocomi mentali.

L'uomo Franco Basaglia si è spinto oltre, si è spinto all'interno di quei manicomi che voleva chiudere, proponendo un metodo di approccio alla malattia mentale che è il frutto di riflessioni che intrecciano vari ambiti: psicologico, psichiatrico, filosofico, sociologico, politico. L'uomo Basaglia parla della necessità di una "lotta di liberazione [...] che parte da una critica della scienza, dei suoi dogmatismi, delle sue istituzioni, della sua falsa neutralità, per arrivare ad una critica ed un coinvolgimento dell'organizzazione sociale di cui scienza e istituzioni sono uno dei sistemi di controllo. Critica e coinvolgimento nate dallo scontro con una realtà che non deve più esistere: il manicomio" (Basaglia 1953-68 : IX).

Accanto all'uomo Basaglia, sempre, fino alla sua morte, sua moglie, Franca Ongaro Basaglia, autrice di svariati saggi, coautrice insieme al marito di cinque volumi, compagna di vita, di studio e di lotta.

Lo psichiatra veneziano, direttore prima del manicomio di Gorizia, poi di quello di Parma e, infine, di Trieste, integra sempre prassi e pensiero, proponendo un’alternativa concreta alla psichiatria tradizionale, ritenuta da lui profondamente antiterapeutica, anzi, dannosa. Il suo pensiero è l'esito del suo costante dialogo intellettuale con l'universo filosofico, in particolare con la fenomenologia filosofica di Husserl, quella antropologica di Binswanger37 e con il pensiero di Heidegger nonché di Sartre.

Basaglia si guarda bene dal definirsi "antipsichiatrico", come alcuni dei colleghi inglesi a lui contemporanei. Egli rifiuta qualsiasi forma di etichettamento o classificazione: prassi e pensiero devono essere rivolti solo ai bisogni della persona, del malato, del cittadino che non riesce a far valere i propri diritti38.

37Ludwing Binswanger, psichiatra svizzero, con L'analisi dell'esserci punta a superare la scissione tra soggetto e

oggetto nel processo conoscitivo con una descrizione dell'esserci dell'uomo nel suo originario esserci nel mondo. Così, spiega Basaglia, "l'opposizione tra soggetto e oggetto non è più assoluta in quanto il soggetto esiste solo nella misura nella quale "è" nel mondo. É solo nel cogliere la proiezione dell'essere nel mondo di un individuo, il suo progetto, la maniera nella quale egli si apre al mondo, che potremo avere una visione del perché egli c'è: così il "progetto del mondo" e il "progetto di sé" vengono a coincidere. (F. Basaglia, Il mondo dell'"incomprensibile" schizofrenico attraverso la Daseinanalyse, Presentazione di un caso clinico, 1953 in: Basaglia 153-68 : 5).

38In un’intervista, parte di un reportage del 1978 di Piero Dal Moro Psichiatria e Potere, Basaglia così si esprime

a questo proposito: "Se Cooper vuole inventare delle altre etichette per riciclare una scienza antica, per dare questi nomi, “antipsichiatri” e “non-psichiatria”, a noi non deve interessare. Quello che interessa a noi,

68 Quella che propone Basaglia è una nuova psichiatria che avrà un approccio radicalmente nuovo al mondo del disagio mentale. Sarà necessario, per questo, che si segni un profondo passaggio: quello dalla patologia della psicologia di chi guarda solo ai tratti morbosi che alterano una presunta "normalità psichica", alla psicologia della patologia che mira a capire e aiutare il diverso essere al mondo di chi è considerato, appunto, "diverso" (Colucci, Di Vittorio 2001 : 42). Ma Basaglia fa anche di più, mettendo "tra parentesi la malattia mentale", fa sì che il "problema della "follia", prima allontanato negli isolati manicomi, trovi di nuovo spazio all'interno della società che, maggiormente inclusiva, deve guardare ad esso con minore timore. Si tratta, quindi, di "rompere le barriere tra interno e esterno, producendo attraverso questa rottura una trasformazione del rapporto fra sano e malato, che metta contemporaneamente in discussione la definizione di salute e malattia come strumento di discriminazione in un contesto sociale fondato sulla divisione di classe e del lavoro. Una volta che l'istituzione venga rotta e il suo contenuto si mescoli con la realtà sociale, si creeranno delle situazioni che non possono che continuare a modificarsi e ad evolversi, di pari passo con la relatività della definizione di norma" (Basaglia 1953-68 : XXVII- XXVIII).

Si tratta, a ben guardare, di una doppia liberazione: liberare il malato dall'istituzionalizzazione che, lungi dall'essere terapeutica, è causa per lui di profondo malessere esistenziale aggravando e spesso provocando proprio quella malattia mentale per la quale si dovrebbe meritare di essere rinchiusi39; e liberare, anche, la società tutta dai

propri fantasmi, riavvicinando a sé spazialmente e interiormente quelle contraddizioni che fino ad allora aveva provveduto a segregare lontano dalla vista.

É la società nel suo complesso, quindi, che deve occuparsi del "problema" del malato di mente, allestendo strutture terapeutiche, centri di assistenza, di aiuto e ascolto, luoghi di

ripeto, è innanzitutto rispondere ai bisogni della persona. La persona ricoverata nei manicomi ha dei bisogni, ma noi non li conosciamo, perché vediamo solo la miseria dell’internato. Il problema è che quando l’internato si libera esprime qualche cosa, vuole qualche cosa. Questo voler qualche cosa, questa voce prepotente che si esprime anche attraverso degli atti di rottura che l’internato causa e che non sono più repressi o violentati sono degli atti che noi dobbiamo comprendere. Questo è il sapere su cui può fondarsi una nuova disciplina."

39Si veda a tale proposito la Comunicazione di Basaglia al primo Congresso Internazionale di Psichiatria Sociale

tenutosi a Londra nel 1964: "dal momento in cui oltrepassa il muro dell'internamento, il malato entra un una nuovo dimensione di vuoto emozionale (risultato della malattia che Burton chiama "institutional neurosis" e che chiamerei semplicemente istituzionalizzazione); viene immesso, cioè, in uno spazio che, originariamente nato per renderlo inoffensivo ed insieme curarlo, appare in pratica come un luogo paradossalmente costruito per il completo annientamento della sua individualità". (Basaglia, La distruzione dell'ospedale psichiatrico come luogo di istituzionalizzazione. Mortificazione e libertà dello "spazio chiuso". Considerazioni sul sistema "open door.", "Annali di Neurologia e Psichiatria", 49, I, 1965, oggi in: Basaglia 1953-68 :250).

69 socializzazione, incentrati sui bisogni un soggetto libero, con dei diritti, non di un oggetto tenuto sotto custodia.

Per realizzare questo incontro tra le due comunità (quella esterna e quella interna), è necessario che i "normali" cittadini superino i propri pregiudizi che attribuiscono al malato una pericolosità che non gli appartiene: il binomio malattia mentale-pericolosità compariva nella legge del 1904 ma ancora di più si rendeva evidente nell'opinione pubblica e nell'immaginario collettivo. Si trattava, dunque, di rompere questo binomio, avvicinando ai "normali" quegli individui che loro tanto temevano, mostrandone il lato umano: il malato, affermava Basaglia, non è pericoloso se inserito in reti relazionali stabili e inclusive.

A lui è affidata nel 1974 'introduzione alla traduzione italiana dell'opera di Goffman

Asylums. Egli ne propone una lettura in chiave politica, una lettura di classe, che però appare

assente nelle intenzioni dell'autore, il quale non chiarisce fino a che punto l'istituzione totale sia una realtà storicamente determinata.

Basaglia attribuisce alla ricerca di Goffman una polemica antiistituzionale nei confronti di una società che sostiene l'apparato psichiatrico, di una scienza che è braccio della classe dominante e dei suoi valori. Il suo appello, quindi, è rivolto agli psichiatri stessi, che devono sottrarsi a questo gioco di potere e recuperare il vero significato della loro "missione".

Scienza e società si alimentano a vicenda poiché "se la prima classifica e discrimina in base alla norma come valore, la seconda si fonda sulle indicazioni fornite dalla scienza tracciando l'immagine sociale della malattia mentale, elemento fondamentale per lo sviluppo della stessa malattia" (D'Alessandro 2008 : 66). La malattia mentale, prosegue Basaglia, opera come un grande capro espiatorio di un modello socio-economico che necessita di aree di compenso per sopravvivere: "sotto la copertura del modello medico, in realtà, l'istituzione psichiatrica tradizionale non è che un'istituzione carceraria, deputata a gestire gli elementi di disturbo sociale"(Basaglia 1974 : 10).

La psichiatria, dunque, ha fallito la sua missione sociale: anzi che restituire al malato salute ed equilibrio, ha costruito per lui una nuova identità esclusa. "Il malato è stato isolato e messo tra parentesi dalla psichiatria perché ci si potesse occupare della definizione astratta di una malattia, della codificazione delle forme, della classificazione dei sintomi" a tal punto che "la diagnosi psichiatrica ha inevitabilmente assunto il significato di un giudizio di valore, quindi di un etichettamento" (Basaglia 2014 : 142). Ma l'individuo non è solo, egli è inserito nell'ambiente sociale in cui vive, immerso in rapporti interpersonali. Le sofferenze di ordine psichico, quindi, vanno osservate nel loro presentarsi all'interno del contesto di vita del

70 soggetto, e la malattia mentale diventa, così intesa, un comportamento sociale più o meno alterato.

A differenza dei suoi colleghi inglesi, che operano in strutture esterne a quelle manicomiali, Basaglia dà avvio a quel processo di liberazione che auspica proprio dall'interno di uno di quei manicomi che vuole chiudere.

Nel 1961 viene nominato direttore dell'ospedale psichiatrico di Gorizia che dal 1911 ospitava "mentecatti". Aiutato da collaboratori da lui scelti e da sua moglie da avvio ad una radicale trasformazione dell'aspetto dell'ospedale fino a comprendere la necessità di uscire fuori dalle mura asilari per "contaminare" l'intera collettività. Saranno i malati stessi ad abbattere le barriere fisiche, le reti e le grate, permettendo il "riannodamento dei legami con l'esterno" (Basaglia 1973 : 10)40

Si cessa inoltre di fare uso di camice di forza e dei letti di contenzione: grazie ad un uso misurato di farmaci, si lascia ai pazienti la libertà di muoversi liberamente per i reparti. Il farmaco appare come elemento in grado di restituire al paziente la libertà che gli era stata tolta dalla sua malattia e, eliminando le contestazioni, permettono di distinguere i danni provocati dalla malattia stessa da quelli provocati, invece, dall'istituzionalizzazione. Basaglia, al I Congresso Internazionale di Psichiatria Sociale, tenutosi a Londra nel 1964, si esprime così a riguardo: "dopo che i nuovi farmaci hanno creato una nuova dimensione fra il malato e la sua malattia, facendolo apparire ai nostri occhi -liberi dai vecchi schemi delle sindromi clamorose- in una sfera completamente umana, non è più possibile isolarlo nel cerchio dei folli e non considerarlo semplicemente un uomo malato41". Il farmaco, quindi, si riconosce il

merito di limitare la crisi provocata dalla malattia permettendo di instaurare un rapporto diverso con il paziente42.

40Basaglia impone l'apertura delle porte secondo il sistema open door. Il malato, così, può appropriarsi di uno

spazio di cura e terapia all'interno del quale instaurare un rapporto umano con i curanti e con gli altri degenti. Il sistema open door dimostra la fiducia del medico nei confronti del malato: questi, a sua volta, è aiutato da questo sentimento che può diventare reciproco e rendere il rapporto terapeutico più funzionale. Inoltre "la porta aperta diventa un'indicazione per una presa di coscienza sul significato della porta, della separazione, dell'esclusione di cui i malati sono oggetto in questa società. Essa assume un valore simbolico oltre il quale il malato di riconosce come "non pericoloso a sé e agli altri" e questa scoperta non può non spingerlo a domandarsi perchè mai sia costretto, allora ad una condizione tanto infamante e perchè lo si escluda"(Basaglia F., Basaglia, F. O., Il problema dell'incidente, in: L'istituzione negata, 1968 : 367)

41F. Basaglia, La distruzione dell'ospedale psichiatrico come luogo di istituzionalizzazione.Mortificzione e libertà

dello "spazio chiuso". Considerazioni sul sistema "open door", in: L'utopia della realtà, F Ongaro basaglia (a cura di), introduzione di M. G. Giannichedda, Einaudi, Torino, 2005, p. 20.

42Anche Basaglia, tuttavia, in un colloquio tenutosi alla fine del 1977 (dal titolo La nave che affonda. Psichiatria

e antipsichiatria a dieci anni da "L'istituzione negata": un dibattito) riconosce il potere istituzionalizzante e repressivo del farmaco: "Anche nel 1950, quando si scoprì il Largactil, si parlò di un elemento di liberazione. Ma poi è stato usato in maniera talmente opprimente e repressiva che in sostanza ha cronicizzato le persone".allo stesso tempo però crede che il farmaco possa divenire una fonte di legame psicologico positivo tra infermiere paziente: Poi ho voluto fare un’inchiesta fra gli operatori e mi sono accorto che alcuni

71 Anche l'antica divisione tra il reparto femminile e quello maschile viene abbattuta: uomini e donne sono ora liberi di relazionarsi le une con gli altri e, anche, di iniziare rapporti amorosi.

Il personale, composto da infermieri e medici, viene rieducato nella pratica quotidiana. La rieducazione deve essere teorica e, soprattutto, umana: lo staff deve iniziare ad osservare il paziente come un soggetto, abbandonando il vecchio paradigma all'interno del quale esso era un paziente-oggetto, riconoscendogli una dignità e dei diritti.

Si inizia, poi, a parlare di "riabilitazione sociale" del soggetto: vengono attivati gruppi di lavoro in cui l'attività cessa di essere un semplice passatempo ed è vissuta come una vera e propria funzione, poiché il lavoro è inteso come un mezzo di sviluppo personale, un luogo dove poter avviare la creazione di una propria identità, riscoprire la propria utilità sociale e toccare con mano i risultati del proprio impegno. All'interno del manicomio viene anche organizzata una scuola, con un insegnante concesso dall' Ispettorato Scolastico, consapevoli del fatto che la conoscenza rende l'individuo preparato ad affrontare la realtà nel suo complesso e l'esistenza nella sua complessità.

Insieme a tre medici e ad un assistente sociale , Basaglia inaugura un servizio di igiene mentale che si svilupperà poi con ambulatori periferici, strutturandosi in modo capillare sul territorio per seguire i soggetti anche al di fuori della pratica ospedaliera. Prende avvio anche la pratica del Day hospital, anticipazione di una delle strutture di base della futura riforma del '78 che tenterà di sostituire gli strumenti interni di segregazione con luoghi esterni di terapia situati sul territorio (D'Alessandro 2008).

Si costituisce, infine, all'interno dell'ospedale, una Comunità Terapeutica che si riunisce regolarmente due volte a settimana e a cui prendono parte più di cinquanta pazienti. Si segna così il passaggio dalla piramide gerarchica alla strutturazione orizzontale, in cui i pazienti non sono subordinati ai curanti ma hanno riconquistato un ruolo attivo nel loro processo di cura.

Lo stesso Basaglia, però, ben lontano da posizioni utopistiche che proiettano sulla comunità terapeutica l'immagine di un'isola di uomini e donne libere e felici, senza problemi e preoccupazioni, individua il rischio di idealizzazione e afferma che "la comunità terapeutica vuole essere appunto la negazione di questo mondo ideale. Essa è un luogo nel quale tutti i

dicevano cose come “Io faccio una fleboclisi all’alcolista perché, se no, che rapporto ho con l’alcolista?”. Che cosa vuol dire questo? Vuol dire che la fleboclisi era un mezzo attraverso il quale questi infermieri riuscivano a instaurare un rapporto con l’alcolizzato, e non uno strumento di oppressione. E allora dare un farmaco per poter parlare con una persona,anche se non è la situazione ottimale, è sempre un passaggio estremamente importante per l’inizio di un rapporto diverso» (Basaglia 1977 : 85-91).

72 componenti […] -malati, infermieri e medici- sono uniti in un impegno totale dove le contraddizioni della realtà rappresentano l'humus dal quale scaturisce l'azione terapeutica reciproca. E il gioco delle contraddizioni -anche a livello dei medici tra loro, medici e infermieri, infermieri e malati, malati e medici- che continuano a rompere una situazione che, altrimenti, potrebbe facilmente portare ad una cristallizzazione dei ruoli" (Basaglia 1973 : 20).

Il modello comunitario viene analizzato dallo psichiatra veneziano che ne evidenzia difetti e limiti, primo tra tutti lo spirito paternalistico che lo genera: l'errore è nel fatto che la libertà si realizza come frutto di una concessione, mentre questa dovrebbe essere frutto di una conquista affinché sia autentica e definitiva. La comunità terapeutica rappresenta una soluzione provvisoria al problema della trasformazione delle istituzioni psichiatriche ma è necessario che essa sia solo una tappa verso uno sviluppo successivo. Questa ha messo in mostra tutte le contraddizioni della realtà istituzionale, ma la vera via d'uscita viene individuata nella presa di coscienza da parte dei pazienti del proprio stato di soggetti reificati, di devianti fastidiosi di cui una società che pretende di essere "sana" e produttiva deve liberarsi. Il malato deve liberarsi dalla sua condizione di dipendenza dall'istituzione, dal medico, dai reparti, dai farmaci e anche da quella che lo psichiatra veneziano definisce "trappola dell'integrazione". Il malato di mente, infatti, rischia di essere di nuovo imprigionato in un'oasi artificiosa (D’Alessandro 2008 : 252) che risponde, ancora una volta, alla "proclamata necessità sociale di esclusione e di controllo degli individui che presentano un comportamento patologico" presentandosi, così, come un "nuovo strumento scientifico di controllo della devianza" (Shittar 1968 : 155). Come affermano Di Vittorio e Colucci nella biografia sullo psichiatra veneziano: "Basaglia rifiuta sia l'esclusione sia l'integrazione del malato di mente. Scegliere tra l'una e l'altra significherebbe partire da un piano di assoluta debolezza, mentre la responsabilità dello psichiatra si gioca nel difficile, rischioso tentativo di andare al di là di questa semplice alternativa"(Colucci, Di Vittorio 2001 : 155).

La comunità terapeutica, quindi, come fase di passaggio, non come fine in quanto tale: "se non si chiarisce il significato reale della comunità terapeutica come mezzo di espletazione delle contraddizioni della realtà su cui la malattia mentale nasce e si instaura, si rischia di trovarci chiusi all'interno di bellissime costruzioni, tecnicamente perfette, dove il malato continuerebbe ad essere l'ultimo anello di una catena di violenze e di esclusioni, di cui continueremmo ad illuderci di non essere responsabili" (Basaglia 1968-80 : 18).

Ciò che si auspica è, invece, "l'incontro delle due comunità (quella esterna e quella interna) concretatosi fisicamente nell'espandersi della città fino alla periferia dove, un

73 tempo, era relegata la follia, e nell'evolversi della comunità chiusa che -nel suo manifestarsi una comunità viva, reale, e contraddittoria- dovrà dialetticamente scontrarsi con la realtà da cui è stata partorita. Si potrà così contemporaneamente eliminare l'ideologia dell'ospedale come macchina che cura, come fantasma terapeutico, come luogo senza contraddizioni; e l'ideologia di una società che, negando le proprie contraddizioni, vuole riconoscersi come una società sana" (Basaglia in: Colucci, Di Vittorio 2001).

Le contraddizioni della società, quindi, non vanno occultate, ma vanno vissute e comprese: la società deve allargarsi, essere maggiormente inclusiva. Sta qui, forse, il più grande contributo di Basaglia verso la modifica del paradigma di approccio alle patologie psichiche: nella convinzione che sia limitativo intervenire solo con misure volte a limitare e contenere i comportamenti devianti, e che occorra, al contrario, intervenire sulla società stessa nella direzione di evitare le discriminazioni l'esclusione sociale.

Quale sarebbe allora la funzione dello psichiatra per il malato? Lungi dall’avere una funzione repressiva, questi non deve neppure cadere nella tentazione di una miope permissività. Lo psichiatra deve rappresentare per il malato il limite della realtà, presentandogliela in tutte le sue contraddizioni, aiutarlo a dialettizzare la propria situazione senza sentirsi schiacciato da essa. Seguendo le parole del Basaglia: "il malato soffre soprattutto per essere costretto a scegliere di vivere in modo aproblematico e adialettico, poichè le contraddizioni e le violenze della nostra realtà possono spesso essere insostenibili. La psichiatria non ha che accentuato la scelta aproblematica del malato, additandogli l'unico