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Paradigmi della salute mentale e modelli di recovery Gli insegnamenti basagliani nell'esperienza dell'Alba sul territorio pisano

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Academic year: 2021

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I

Sommario

INTRODUZIONE ... IV

PARTE PRIMA

Disagio mentale e società: un problema complesso in continua evoluzione

Premessa ... 2

1 La figura del “folle” tra Medioevo e ‘700 ... 4

1.1 Il Medioevo ... 4

1.2 La figura del "folle" tra ‘500 e ‘700 ... 6

2 L’Istituzione manicomiale e la nascita della Psichiatria ... 12

2.1 L’Istituzione manicomiale... 12

2.2. La nascita della psichiatria ... 15

3 La rivoluzione degli anni ‘60 ... 19

3.1 Antipsichiatria e deistituzionalizzazione... 19

3.2 Franco Basaglia ... 27

3.3 La legge 180/1978: una sfida ancora aperta ... 35

PARTE SECONDA L’approccio sociologico al disagio mentale: teorie e spunti di ricerca Premessa ... 43

1 Edwin Lemert: le nozioni di "devianza primaria" e "devianza secondaria" ... 50

1.1 Devianza secondaria e reazione sociale: la dinamica di un processo ... 50

1.2 L’utilizzo del concetto di devianza secondaria nella ricerca sui comportamenti devianti: il processo di esclusione del paranoide ... 55

2 Erving Goffman: la "carriera morale del malato mentale" e la questione dello stigma .. 58

3 Thomas Scheff: oltre i sistemi individuali ... 65

4 La "malattia mentale" nel paradigma costruttivista ... 71

4.1 La ciclicità delle cause e degli effetti e le "profezie autoavverantesi" ... 71

4.2 David Rosenhan: una ricerca ... 74

5 Il Manuale Diagnostico e statistico dei Disturbi Mentali: i pericoli delle etichette psichiatriche ... 78

PARTE TERZA Orientamenti al “recovery” e insegnamenti basagliani nell’esperienza dell’Alba Associazione Premessa ... 84

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II

1 Verso una nuova cultura della salute mentale ... 87

1.1 Il concetto di "recovery"... 87

1.2 Lo sviluppo di servizi orientati al "recovery" ... 92

2 L'Alba sul territorio pisano: tra insegnamenti basagliani e pratiche orientate al "recovery" ... 97

2.1 Struttura specializzata vs casa vera ... 99

2.1.1 L'utenza ... 101

2.1.2 L'appartamento dell'Alba: presa in carico e modalità operative ... 104

2.1.3 La vita nell'appartamento: la convivenza e la gestione del tempo ... 108

2.1.4 La difficile uscita dall'appartamento supportato ... 112

2.2 Risanamento vs Recovery ... 117

ALCUNE RIFLESSIONI CONCLUSIVE ... 121

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III Dedico questo lavoro a tutte le donne e gli uomini, ai ragazzi e alle ragazze che popolano l’Associazione l’Alba, a tutti quelli che mi hanno fatto entrare nella loro casa e a tutti quelli che mi hanno fatto entrare nella loro vita, anche solo per un po’.

Lo dedico agli operatori e le operatrici che tutti i giorni aiutano una tale varietà umana a vivere e ad essere più felice di vivere, con impegno e passione, e senza risparmiarsi.

Lo dedico a coloro che l’Alba l’hanno pensata, e hanno avuto il coraggio, la forza e la passione di crearla. Il mio augurio è che abbiano sempre il coraggio, la forza e la passione per rimanere fedeli a se stessi e continuare a creare.

A voi tutti va il mio ringraziamento più sincero.

Il ringraziamento va anche alle persone che mi hanno sostenuto, a quelle di sempre e alle nuove scoperte. E alla mia famiglia, soprattutto.

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IV

INTRODUZIONE

La legge 180 del 1978, conosciuta come "Legge Basaglia", ha predisposto in Italia la progressiva chiusura di tutti i manicomi e l'avvio di esperienze de-istituzionalizzanti di reintegrazione sociale dei ricoverati basate su servizi territoriali di tipo preventivo-riabilitativo. Pur avendo lasciato irrisolte diverse problematiche, essa ha avuto il merito di restituire il soggetto sofferente alla comunità: il "malato" ora cammina per le strade, entra nei bar, parla con la gente e, a volte, è anche difficile riconoscerlo, tanto che la linea di confine che separa il mondo dei "sani" da quello dei "malati" appare sempre più labile e sottile.

Mentre il disagio psichico si conferma sempre di più come disagio psicosociale, la salute mentale non viene più concepita come semplice assenza di malattia, ma come capacità del soggetto di inserirsi in modo adeguato nell'ambiente, di stabilire relazioni soddisfacenti e di sviluppare la propria personalità. Perchè un soggetto sia "sano", in altre parole, è necessario che sia inserito in modo "sano" nella società.

All’interno di tale rinnovato paradigma della salute mentale, risultano efficaci quei servizi diretti a stimolare l'utente ad occupare una centralità nel proprio processo di "recovery", inteso come processo riabilititavo, di "recupero" delle proprie abilità e delle proprie possibilità, affinchè il soggetto non si cristallizzi nel ruolo passivo di malato che "subisce" le cure.

l rischio di esclusione, tuttavia, è ancora presente: esso è legato alla difficoltà del soggetto affetto da disagio psichico di riconquistare il ruolo di partecipante attivo all'interno della comunità, prendendo parte ai processi di produzione e di consumo, e alla persistenza del pregiudizio psichiatrico interiorizzato, spesso, dai malati stessi.

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V

Nel corso della tesi farò ampio riferimento alla letteratura sviluppatasi attorno alla tematica della "follia" nel tentativo non già di definirla, ma di osservare le forme che tale fenomeno ha assunto nel corso della storia e le modalità con le quali la società che si definisce "sana" ha tentato di arginarlo e comprenderlo. Diversi sono stati i contributi teorici, sia in ambito sociologico, sia in ambito psichiatrico, intorno ai quali si è sviluppata la consapevolezza della necessità di incentrare il modello di assistenza e di cura sulla persona con i suoi diritti, la sua dignità, la sua soggettività e individualità.

La mia ricerca si concentra sull’operato dell'Alba Associazione, che, facendo propri gli isegnamenti basagliani e orientando le proprie pratiche al “recovery“, dal 2000 opera sul territorio pisano per la riabilitazione psico-sociale di soggetti affetti da patologie psichiatriche di vario tipo e disabilità intellettive. In particolare mi soffermerò sull’esperienza delle pratiche di supported housing (nove sono gli appartamenti supportati dell’Associazione e venticinque i soggetti inseriti) e di sel-help nei gruppi di auto-aiuto, volte a stimolare l’“empowerment“ degli utenti. Un tirocinio formativo di tre mesi presso l'Associazione mi ha permesso di osservarne da vicino il modus operandi e, avvalendomi di interviste mirate rivolte agli operatori e di interviste non strutturate, nella forma di storie di vita, rivolte agli utenti, verificherò come e se il modello operativo trova concretezza nelle pratiche, raggiungendo il risultato preposto di evitare ai soggetti sofferenti l'esclusione.

É mia ipotesi che proprio la via dell'associazionismo di utenti e familiari, attraverso iniziative di auto mutuo aiuto, con il supporto del volontariato e di professionisti, possa rappresentare una grande risorsa poichè opera su più fronti: essa permette da un lato a chi vive il disagio mentale di avere un supporto concreto nel proprio percorso di cura, facilitando anche il suo rapporto con i servizi, e creando contesti relazionali all’interno die quali riscoprire se stessi e se stessi con gli altri; dall'altro sensibilizza la comunità a tale problematica, nella

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VI

direzione del superamento dell'emarginazione a cui vanno incontro i soggetti ai quali viene attribuito uno stigma psichiatrico

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PARTE PRIMA

Disagio mentale e società: un problema complesso in continua

evoluzione

"Forse, un giorno, non sapremo più esattamente che cosa ha potuto essere la follia." Michel Foucault.

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Premessa

L'attitudine necessaria a definire con il linguaggio le esperienze della realtà e le sue manifestazioni, porta inevitabilmente con sé il rischio di errore, generalizzazione e confusione, che derivano dall'adattarsi del linguaggio al divenire della realtà stessa. Succede, perciò, che uno stesso termine, pur rimanendo invariato, assuma significati differenti a seconda del periodo storico-culturale e del contesto in cui viene utilizzato. Oppure, accade che si cerchi un altro termine, capace di indicare in modo più preciso il fenomeno in questione con le sue caratteristiche particolari nel modo in cui vogliono essere descritte.

É il caso, questo, di quel particolare fenomeno al quale l'umanità si è prevalentemente riferita con il termine "follia".

Se guardiamo al suo significato etimologico, dobbiamo risalire al latino "follis", letteralmente "mantice", "soffietto", "recipiente vuoto"1. In senso metaforico, dunque, i

cosiddetti "folli" sarebbero quegli individui che hanno la testa piena d'aria, vuota.

Di certo il termine non esaurisce la descrizione del fenomeno, lo rende, semmai, ancora più vago e indeterminato; riflette, insomma, la difficoltà della sua definizione, così come la riflette la sovrabbondanza terminologica che, nel corso della storia, è stata utilizzata: "pazzia", "insania", "demenza", "disordine", "disagio", "mania", "alienazione".

Di origine recente è il termine "malattia mentale", che avrebbe lo scopo di equiparare lo stato di coloro che venivano definiti "matti" a quello di tutte le altre persone colpite da malattia fisica.

Insieme ad esso compaiono anche nozioni più specifiche, più rigorose che descrivono i vari disturbi mentali e organici che tradizionalmente la denominazione di "follia" comprendeva. Si tratta di tutti i termini utilizzati dalla scienza medica specifica di questo fenomeno, la psichiatria, scienza relativamente giovane, nata nella seconda metà dell'800, quando si diffuse la convinzione che le cause della "follia" fossero da ricercare in un qualche errore a livello corporeo, o meglio, nel cervello.

Definire in modo universale che cosa la "follia" sia o non sia è un'impresa ardua, quasi impossibile. Ciò che invece è possibile osservare e descrivere sono le forme che il fenomeno ha assunto nel corso della storia e le modalità con le quali la società "sana" si è ad essa rapportata.

1Follis era anche un gioco che si praticava nell'Antica Roma, che prevedeva, appunto, l'utilizzo di un pallone di

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43 Con il mutare dei paradigmi culturali e delle conoscenze, la società, infatti, nel corso dei secoli ha costruito l'immagine del folle in modo differente. É necessaria pertanto una disamina di come questi cambiamenti siano avvenuti e di come ad essi siano corrisposti differenti modalità di intervento in relazione al fenomeno stesso.

Ciò che andrò a considerare non sarà, dunque, la follia in sé per sé, ma la follia nella sua interazione costante con la società, vale a dire come da essa è stata percepita e quindi, gestita.

La "forma-follia" come afferma De Bernardi, "ha subito continue trasformazioni, perché lo spartiacque tra la normalità e la follia, tra la salute e la malattia mentale, si è rivelato storicamente determinato [...]. Si è assistito cioè ad una variazione, ad una costrizione o dilatazione dei comportamenti individuali e collettivi che in epoche e strutture sociali differenti sono stati sussunti nello spazio della malattia mentale [...]. Più che di storia della follia, si deve parlare di storia delle forme che hanno preso e sancito nel tempo il giudizio sulle tipologie dell'anormalità e, d'altro canto, delle sue strutture istituzionali."(De Bernardi 1982 : 12).

Sarà, dunque, questo il filo conduttore della prima parte della mia indagine: seguendo la ricostruzione della fenomenologia storica e strutturale della follia compiuta da Foucault in "Storia della follia nell'età classica" (1972), compiremo un'indagine storico-sociologica, dal Medio Evo alle epoche più recenti, osservando le forme dell'immagine sociale della malattia mentale. Vedremo, così, come, di volta in volta, i sistemi di controllo sociale siano mutati nelle modalità e nelle agenzie addette al compito con il mutare dei paradigmi culturali, dei sistemi valoriali e delle esigenze politico-economiche.

Immagine sociale e istituti di controllo hanno innescato processi di esclusione e di stigmatizzazione della malattia mentale che sono, mutatis mutandis, tutt'oggi in atto. Mi limiterò a considerare il lato Occidentale del mondo, poiché quello orientale segue un suo sviluppo differente, molto distante (anche se nell'ultimo secolo le distanze si sono molto assottigliate) e poco utile a comprendere il funzionamento della nostra società2.

2La cultura araba si fa erede del patrimonio di conoscenze di medici greci quali Ippocrate e Galeno. Nonostante,

infatti, nella visione del mondo classico la follia fosse ancora profondamente legata al sacro, questi avevano tentato di darne una spiegazione quanto più possibile razionale, tentando di demistificarla: le condizioni di malattia venivano spiegate organicamente come lo sbilanciamento di quattro umori che, nello stato di salute, si trovano in equilibrio. Sotto questi influssi, sorsero negli ospedali di Baghdad (750) e del Cairo (873) i primi reparti per malati mentali e, contemporaneamente, nacquero vere e proprie strutture dedicate esclusivamente alla cura e alla gestione dei malati di mente (Damasco 800, Aleppo 1270, Kaladun 1283). Per quanto riguarda il continente europeo si deve attendere il 1400 quando nascono in Spagna, allora sotto l'influsso dei Mori,i primi ospedali psichiatrici: a Valencia (1409), Saragozza (1425) e a Toledo (1440).

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1 La figura del “folle” tra Medioevo e ‘700

1.1 Il Medioevo

Nel Medioevo il folle non era ancora del tutto escluso dalla società, ma sopravviveva al suo interno come parte costitutiva di essa (Foucault 1961).

Nella visione tragica dei secoli bui l'umanità, pervasa dallo spirito religioso nella sua forma più radicale, è sempre scissa tra buio e luce, tra Bene e Male.

Quella che si costruisce è un'immagine del folle che è effigie dell'insensatezza e della dissolutezza umana. Si guarda alla follia con timore, poiché essa è segno del demonio e condanna l'individuo che ne è colpito ad abbandonarsi ai vizi in una vita fuori dalla grazia di Dio, a rendersi colpevole di atti amorali e da condannarsi.

Venivano, così, indicati come "folli" individui appartenenti alle più svariate tipologie umane, in generale tutti coloro che tenevano un comportamento che si discostava dalle rigide regole imposte dalla morale cristiana e la malattia era segno della presenza del demonio all'interno di coloro che ne erano afflitti, un demonio che andava "tirato fuori" affinché il soggetto potesse tornare libero. Questa operazione di liberazione si concretizzava nell'esorcismo3 e, qualora questo si fosse rivelato insufficiente ad allontanare il demonio,

l'unica strada possibile rimaneva quella dell'eliminazione fisica dell'indemoniato attraverso le fiamme del rogo (le vittime in realtà erano quasi sempre donne, le "streghe", più propense ad essere sedotte dal diavolo e ad abbandonarsi alle sue seduzioni)4.

Era la Santa Inquisizione il tribunale ecclesiastico addetto a processare la presunta strega o il presunto stregone: qualora questi fosse stato giudicato colpevole, diventava un'entità disumanizzata, il suo corpo, ormai del tutto invaso dal male, perdeva le sue caratteristiche umane, la sua essenza umana vera e propria. La sua uccisione, quindi, era legittima: non veniva ucciso un individuo ma un essere del tutto posseduto.

Tuttavia, dove gli istituti religiosi non avevano la totalità del dominio, l'arte, la letteratura e la cultura dell'epoca riservavano al folle un ruolo sociale e simbolico che

3Non è raro trovare nell'iconografia di quei tempi immagini che raffigurano lo spiritello demoniaco che esce

dalla bocca del posseduto dopo un esorcismo. L'ingresso, invece, avveniva dagli orifizi più intimi, soprattutto quelli delle donne, che infatti dovevano essere tenuti ben coperti.

4Si veda a questo proposito il Malleus Maleficarum pubblicato nel 1487 dai frati domenicani Jacob Sprenger e

Heinrich Insitor Kramer dove si dice esplicitamente: "[...] perché nel sesso tanto fragile delle donne, si trova un numero di streghe tanto maggiore che tra gli uomini?E non serve a niente addurre argomenti in senso contrario, perché è la stessa esperienza, oltre alle parole e alle testimonianze degne di fede, a conferire una credibilità a queste cose".(H.Kramer, J.Sprenger, Il martello delle streghe, Marsilio, Venezia, 1977, Prima parte, questione VI, p.86)

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45 impediva il suo totale isolamento. Nell'ampia letteratura medievale di racconti e di favole morali, emerge la fascinazione con la quale si guardava a lui: egli viene considerato possessore di conoscenze oscure e proibite, e dalla sua bocca escono parole vicine alla verità. Citando Foucault: "egli dice, col suo linguaggio da grullo e che non ha aspetto di ragione, le parole della ragione che sciolgono nel comico la commedia: egli dice l'amore agli innamorati, la verità della vita ai giovani, la mediocre realtà delle cose agli orgogliosi, agli insolenti e ai bugiardi" (Foucault 1961 : 21).

Se da una parte, quindi, gli istituti religiosi combattono la follia a loro modo, avvalendosi dei giudizi della Santa Inquisizione , la società tutta è intimorita e attratta allo stesso tempo da questa figura. Essa reagisce con un comportamento ambivalente: da una parte accetta il ruolo del folle per il suo valore simbolico e costruisce il suo personaggio nell'immaginario collettivo, dall'altra lo allontana fisicamente dalla città. I folli venivano spesso affidati a marinai e costretti a lunghi viaggi a bordo di battelli5 verso altri luoghi e altre

città. Molte città di transito per i mercati, come ad esempio Norimberga, ospitano un gran numero di folli, alloggiati e mantenuti a spese della città stessa, ma per nulla curati (Foucault 1961). I marinai incaricati, infatti, vi abbandonavano i folli per purificare dalla loro presenza la città che li aveva generati. Le città ospitanti, dunque, fungendo da mete di pellegrinaggio, si preoccupavano di provvedere alla sopravvivenza degli insensati, adempiendo al dovere etico proprio di una comunità cristiana nei confronti dei bisognosi: la carità.

Questa circolazione dei folli, la loro partenza e il loro imbarco, rispondono innanzitutto ad esigenze di utilità sociale e alla necessità di sicurezza per i cittadini. La navigazione dei folli mostra la sua utilità pratica, poiché "affidare il folle ai marinai significa evitare certamente che si aggiri senza meta sotto le mura della città, assicurarsi che andrà lontano, renderlo prigioniero della sua stessa partenza" (Foucault 1961 : 17). Tuttavia vi è in questa usanza una componente che la fa avvicinare ad un rituale. L'acqua, infatti, è l'elemento che per eccellenza purifica , e il viaggio in mare è il viaggio che per eccellenza abbandona l'uomo al suo destino: ogni imbarco è potenzialmente l'ultimo. Il folle, afferma Foucault, "è prigioniero in mezzo alla più libera, alla più aperta delle strade: solidamente incatenato all'infinito crocevia. É il Passeggero per eccellenza, cioè il prigioniero del Passaggio" (Foucault 1961 : 19).

5L'opera di Hyeronimus Brandt "La nave dei folli" raffigura proprio il pellegrinare di un gruppo di insensati su di

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46 Il periodo medievale, quindi, si caratterizza per la pervasività dell'etica cristiana in tutte gli ambiti della società, nei suoi costumi e nella sua cultura, e anche, come è ovvio, nella modalità di gestione delle problematiche di fronte cui una comunità viene posta.

Quello della malattia mentale, anche se è improprio ancora parlare di malattia poiché ad essa non si danno spiegazioni organiche ma soltanto religiose, a ben vedere, non è ancora considerato un problema sociale vero e proprio, non è cioè un problema dell'ordinamento civile. Se la comunità cristiana si interessa al destino dei folli è solo perché è dovere imposto da Dio aiutare i bisognosi. Gli esorcismi ne sono la prova: sono il tentativo di liberare gli oppressi dal demone oppressore, così come ne sono una prova i pellegrinaggi forzati verso altri luoghi, lunghi viaggi spirituali nell'acqua purificatrice.

1.2 La figura del "folle" tra ‘500 e ‘700

É con la fine del Medioevo e l'inizio dell'età moderna che la follia inizia ad essere percepita effettivamente come un problema sociale e diventa, di conseguenza, compito dell'ordinamento civile la sua gestione.

Il primo grande cambiamento è quello che avviene nelle coscienze. Lutero e la Riforma Protestante mettono in discussione la bontà delle opere di carità della Chiesa verso i bisognosi ed esaltano invece il lavoro, l'operosità e il profitto come segni della benevolenza di Dio.

Il povero, il miserabile, sono tali per loro colpa e difetto, non sono padroni della propria esistenza e per questo non vanno né soccorsi né sostenuti, ma eventualmente ricondotti verso la via della produttività attraverso metodi correttivi: chi si dissocia da questo meccanismo segna la sua inutilità sociale e per questo viene condannato ed escluso6.

Entreranno, così, a far parte della grande platea degli esclusi, senza alcun tipo di distinzione si trattamento, mendicanti, criminali, malati e, ovviamente, folli.

La follia perde così il suo alone di sacralità, viene, in un certo senso, laicizzata e inizia ad essere considerata come un vero e proprio problema sociale; è questo "il momento in cui la follia è percepita nell'orizzonte sociale della povertà, dell'incapacità del lavoro,

6Un editto emesso dal Re di Francia nel 1657 al paragrafo 9 recita così: "Proibiamo in modo assoluto a tutte le

persone di ambo i sessi, di ogni provenienza ed età, di qualsiasi condizione ed estrazione, e in qualunque stato possano essere, validi o invalidi, malati o convalescenti, curabili o incurabili, di mendicare nelle città e nei sobborghi a Parigi, né dentro le chiese, né alle porte di queste ultime, o alle porte delle case o nelle strade, né altrove in pubblico o in privato, di giorno o di notte [...] sotto pena di frusta per coloro che contravvengono per la prima volta, e per la seconda in galera contro gli uomini e i ragazzi e di bando per le ragazze e le donne". (Foucault 1961).

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47 dell'impossibilità di integrarsi al gruppo; il momento in cui essa entra a far parte dell'ordinamento civile" (Foucault 1961 : 83).

Nei suoi confronti, di conseguenza, nasce una nuova sensibilità, non più religiosa ma sociale: la questione diventerà una questione di ordine pubblico da far rispettare, motivo per il quale verranno predisposte istituzioni apposite, alcune rette ancora da ordini religiosi, ma la cui gestione è soprattutto borghese (Foucault 1961).

Prende così avvio la fase del grande internamento e, se volessimo scegliere una data come punto di riferimento, sarebbe il 1656, anno in cui a Parigi viene emesso il decreto di fondazione dell'Hopital général. Da questo momento tutte le istituzioni di carità preesistenti verranno accorpate sotto un'unica amministrazione, verranno nominati direttori a vita che eserciteranno il loro potere giurisdizionale sui poveri fuori e dentro l'ospedale e, un anno più tardi, verrà creata una "milizia dell'Ospedale" che, sotto il comando del direttore, si occuperà di dare la caccia ai mendicanti e ai vagabondi7. Nel giro di pochi anni sorgono in tutta la

Francia case di internamento che spesso vanno ad occupare i luoghi degli antichi lebbrosari, già presenti nell'immaginario collettivo come luoghi di esclusione e di isolamento.

Foucault nella sua opera definisce l'Hopital général "terzo stato della repressione": esso è uno strano potere che il re crea tra la polizia e la giustizia, ai limiti della legge (Foucault 1961 : 55). Simili strutture si sono sviluppate dalla seconda metà del '500 in quasi tutti i paesi occidentali, in particolare in Germania dove la prima Zuchthauser nasce ad Amburgo intorno al 1600, e in Inghilterra quando nel 1575 Elisabetta I, con un atto che concerneva nello stesso tempo "la punizione dei vagabondi e il sollievo dei poveri", prescrive la costruzione di houses

of correction8in tutto il paese (Foucault 1961).

Ma questi luoghi sono ben lontani dall'essere luoghi di cura poiché tra la società e il soggetto che viene internato si stabilisce un particolare sistema implicito di obbligazioni: "egli ha il diritto di essere nutrito, ma deve accettare la costrizione fisica e morale dell'internamento"(Foucault 1961 : 69) e deve lavorare in modo produttivo per accrescere il benessere del proprio paese. L'esigenza morale e sociale che spinge all'internamento dei

7 Si pensi che in due anni saranno più di seimila gli internati di Parigi.

8In realtà in Inghilterra questi istituti non avranno un grande successo. Ben più utilizzate saranno le workhouses,

il cui statuto verrà definito da Carlo III con un atto del 1670. La prima workhouse nascerà nel 1697, a Bristol, dall'unificazione di numerose parrocchie. Alla fine del XVIII secolo il numero delle workhouses inglesi salirà a centoventise.

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48 corrotti si è rivelata, quindi, anche una tattica economica per riassorbire la disoccupazione e per sviluppare le manifatture9.

Il XVII secolo, in sintesi, ha avuto il demerito di riassorbire il malato di mente all'interno di una massa indifferenziata di tipi umani accomunati dall'incapacità di occupare un ruolo "normale" all'interno della società borghese. L'internamento, come afferma Foucault, "ha riavvicinato, in un campo unitario, personaggi e valori tra i quali le culture precedenti non avevano percepito nessuna somiglianza; li ha impercettibilmente dirottati verso la follia, preparando un'esperienza, la nostra, nella quale essi si mostreranno già integrati al dominio d'appartenenza dell'alienazione mentale" (1961 : 87). In altre parole: l'internamento avvicina fisicamente tipi umani tra loro differenti, accomunati dalla loro "asocialità", intendendo con questo termine la loro tendenza a comportamenti non conformi alle norme sociali costituite. Il loro avvicinamento fisico contribuisce a far sì che essi vengano avvicinati gli uni agli altri nell'immaginario collettivo, fino alla costruzione di un'immagine sociale della follia il cui scheletro è ancora visibile nella nostra società.

Saranno internati senza distinzione accanto alle "persone con lo spirito alienato" o "diventate del tutto folli"10,omosessuali, dissoluti, prostitute, libertini, prodighi e sifilitici,

come pure coloro che manifestando comportamenti che vanno contro i precetti della religione, si fanno promotori del disordine: ai bestemmiatori11, agli empi, ai profanatori, così

come anche ai suicidi, agli astrologi e ai maghi12 non verranno più inflitte le tradizionali

condanne ma saranno internati poiché i loro atti dimostrano la loro insania.

Da questo momento, dunque, la follia inizia ad essere misurata secondo una certa distanza in rapporto alla norma sociale: è folle colui che "oltrepassa da se stesso le frontiere dell'ordine borghese" (Foucault 1961 : 77). Tutti questi tipi umani vengono rinchiusi e sottoposti a trattamenti morali, punitivi e correttivi, poiché a loro viene attribuita la colpa della loro insensatezza. I lebbrosari ospiteranno così i nuovi lebbrosi, il cui stigma è meno visibili ma altrettanto alienante. Alienante perché questi soggetti perdono le loro qualità di soggetti di diritto: in virtù del loro riconoscimento come "perturbatori del gruppo", assorbiti

9A Parigi si tento più volte di trasformare in manifatture i grandi edifici dell'Hopital général. Anche Colbert

sembrava fiducioso nell'assistenza attraverso il lavoro, tanto che consigliò all'abbazia di Jumièges di offrire ai suoi poveri lana da filare.(G. Martin, La grande industrie sous Louis XIV)

10Generalmente i folli vengono così indicati tra il XVII secolo fino alla metà del XVIII nei prospetti degli ordini del

re per l'incarcerazione all'Hopital général.

11Prima ai bestemmiatori erano riservate pene religiose quali "berlina, gogna, incisione delle labbra praticata

con il ferro rovente, asportazione della lingua e, in caso di nuova recidiva, il rogo".(Foucault 1961 : 96.)

12Le condanne per pratica di stregoneria e magia sono rarissime tra la fine del XVII secolo, poiché ad esse si

sostituisce la pratica dell'internamento. La magia non viene più considerata un'azione sacrilega ma "un'illusione dello spirito a servizio dei disordini del cuore". ( Foucault 1961 : 99.)

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49 all'interno delle strutture correttive, rinunciano alle loro responsabilità, ai loro obblighi civili, alla loro libertà.

La decisione di internare è presa dai magistrati che ricorrevano molto raramente alla perizia medica13, chiamando, invece, di solito a testimoniare la famiglia, il vicinato, il curato

della parrocchia. L'internamento si configura così come punizione etica poiché all'origine della follia si percepisce una volontà perversa, il male, e proprio questo cedimento di volontà è quello che va punito. Ecco perché il termine del tempo dell'internamento, quando c'è un termine, non è certo quello della guarigione, quanto piuttosto quello del pentimento, è cioè il tempo giudicato necessario affinché i rinchiusi paghino per le loro colpe morali, le riconoscano e si pentano per esse.

Sarebbe tuttavia parziale affermare che tra i secoli XVII e XVIII i folli fossero trattati "puramente e semplicemente come dei prigionieri di polizia" (Foucault 1961 : 114). E infatti esistevano anche degli ospedali dotati di uno statuto speciale dedicato a coloro che avevano perso la ragione. Emblematico è il caso dell'ospedale di Bethléem14, a Londra, riservato a

coloro che sono chiamati "lunatics". Qui gli internati ricevono delle cure

regolari: una volta all'anno, generalmente in primavera, vengono applicate a tutti quanti insieme delle grandi medicazioni.15

Anche a Parigi c'è un ospedale a statuto speciale riservato a quei poveri che hanno perduto la ragione e che, pertanto, necessitano di essere curati con salassi, purghe, vescicanti e bagni (Foucault 1961). Questo è l'Hotel-Dieu, dove i folli giudicati "curabili" venivano rinchiusi in piccole cuccette chiuse dotate di due sole piccole finestre.16

La scienza medica del tempo è segnata dalle alcune scoperte dei fisiologi Harvey, DesCartes e Willis che hanno contribuito a definire, pur se con estrema vaghezza e indecisione, le diverse forme della follia. Pur se indicata con nomi diversi (dementia, amentia,

13Ancora all'inizio del XIX secolo si discute dell'idoneità dei medici a riconoscere l'alienazione e a diagnosticarla. 14L'ospedale era stato fondato nel XIII secolo e già negli archivi del 1403 viene segnalata la presenza di sei

alienati, tenuti fermi con catene e ferri. Nel 1642 la struttura viene ampliata con la costruzione di dodici nuove camere, otto delle quali destinate specificatamente agli insensati. Nel 1676 l'ospedale viene ricostruito, può contenere dalle centoventi alle centocinquanta persone, ed è riservato ai "lunatici". Non trovano ancora spazio i lunatici "considerati incurabili", sarà necessario attendere il 1733 quando, all'interno del recinto dell'ospedale, verranno costruiti per essi due edifici separati. (D. H. Tuke, Chapters in the History of the Insane, Londra, 1882, in M. Foucault, op.cit.)

15Rivolgendosi al comitato d'inchiesta per il Comune, T. Monro, medico a Bethléem dal 1783, indica le

procedure da seguire: "i malati devono essere salassati al più tardi alla fine del mese di maggio, secondo il tempo che fa; dopo il salasso devono prendere dei vomiti, una volta alla settimana, per un certo numero di settimane. Dopo di ciò li purghiamo. Questo metodo fu praticato per anni prima di me, e mi fu trasmesso da mio padre; non conosco miglior sistema (D. H. Tuke, Chapters in the History of the Insane, Londra, 1882, in: Foucault 1961)

16Coyecque E., L'Hôtel-Dieu de Paris, au moyen age : histoire et documents, Volume I, in Chez H. Champion,

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fatuitas, stupiditas, morosis) la demenza è in generale definita come l'incapacità di giudicare

e di ragionare sanamente17e si può supporre una malattia del cervello18 (in particolare il

corpo calloso per l'immaginazione e la sostanza bianca per la memoria), sede dell'anima corporea, una perturbazione degli spiriti, o un "disordine combinato tra cervello e spiriti" (Foucault 1961).

In realtà la medicina del periodo, nonostante lo sforzo di questi fisiologi nella ricerca dei sintomi dei mali nervosi e delle loro cause, non ha dato il suo contributo né nell'invenzione di nuovi strumenti tecnici né in quella di specifiche modalità di cura. Tuttavia si può affermare che è proprio in questi secoli che nasce la nozione di "cura" nella accezione che noi utilizziamo: questa inizia a configurarsi come un processo a tappe nel quale è necessario prima individuare i sintomi, le forme che la malattia prende, ricercandone le cause. Si inizia a parlare di processo poiché essa deve correggersi e modificarsi in base ai suoi effetti, anche contraddirsi quando è necessario. La teoria medica inizia, così, a procedere per tentativi, prefigurando quello che diventerà ben presto "il territorio clinico" (Foucault 1961 : 253).

Vengono elaborate alcune idee terapeutiche che hanno organizzato le cure della follia e che, neanche un secolo più tardi, verranno giudicate fantastiche e saranno per lo più abbandonate. Le cure individuate sono le più disparate e vanno dall'utilizzo dei bagni, alla somministrazione di ferro, fino all'uso dell'oppio come farmaco universale.

Si nota, dunque, che durante il periodo del grande internamento, come afferma Foucault, "l'esperienza della follia come malattia, per quanto ridotta, non può essere negata" (Foucault 1961 : 119). Tuttavia per quanto non sia del tutto ignorato un approccio "medico" alla follia, è evidente che questo è del tutto secondario rispetto a quello giuridico-poliziesco: l'arbitrarietà con cui si stabilisce se un insensato debba trovare posto nei reparti di un ospedale o tra i detenuti di una casa di correzione, e la facilità con cui uno stesso soggetto può essere spostato da un luogo all'altro, testimoniano un'alterazione nella coscienza della follia: far passare un folle dal registro dell'ospedale a quello della casa di correzione significa far scomparire i segni che lo distinguevano.

17Successivamente, con il contributo di Sauvages, si approfondirà la differenza tra demenza e stupidità. Sarà

Pinel, alla fine del XVIII, ad affermare che nell'idiota c’è una paralisi di tutte le funzioni dell’intelletto, mentre nella demenza le funzioni essenziali dello spirito pensano ma a vuoto.

18Will individua le cause della malattia innanzi tutto nella dimensione del cervello, che, per funzionare

correttamente non deve essere né troppo piccolo né troppo grande. Prende in esame, poi, la sua forma, che non deve presentare "rigonfiamenti" o "depressioni, poiché questi fanno si che gli spiriti siano spediti in direzioni irregolari. Un cervello sano deve poi presentare una certa intensità di calore e di umidità e la sua "grana non deve essere troppo grossolana". (Foucault 1961 : 223)

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51 La malattia insomma è una colpa per la quale bisogna essere puniti in modo severo e in questa direzione è esemplare la testimonianza di Esquirol, medico dei primi anni dell'800, che, dopo aver ispezionato le case di correzione francesi, afferma: "Io li ho visti nudi, coperti di stracci, senz'altro che un po' di paglia per proteggersi dalla fredda umidità del selciato sul quale sono distesi. Li ho visti grossolanamente nutriti, privati dell'aria per respirare, d'acqua per spegnere la loro sete e delle cose più necessarie alla vita. Li ho visti in balia di veri aguzzini, abbandonati alla loro brutale sorveglianza. Li ho visti in stambugi stretti, sporchi, infetti, senz'aria, senza luce, rinchiusi in antri dove si temerebbe di rinchiudere le bestie feroci che il lusso dei governi mantiene con grandi spese nelle capitali" (Foucault 1961 : 54).

Ecco che il processo di esclusione sociale viene affiancato e alimentato da quello della stigmatizzazione. A ben guardare, sarà da questo momento che la malattia mentale inizia a configurarsi come stigma, come elemento di degradazione morale e, di conseguenza, inferiorizzazione sociale. Nonostante i progressi che la scienza medica, con la psicopatologia e la psichiatria, faranno nel corso dei secoli futuri, rimarrà, come rimane nei nostri anni, la coscienza di una follia che è indice di colpa e di inferiorità. La stigmatizzazione compiuta nei riguardi della malattia mentale a noi contemporanea trova le sue origini proprio nelle case d'internamento, di segregazione e di detenzione dei secoli XVII-XVIII di cui si può dire che l'esperienza manicomiale sia figlia legittima, pur se con decisive differenze che saranno evidenziate nel capitolo successivo.

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2 L’Istituzione manicomiale e la nascita della Psichiatria

2.1 L’Istituzione manicomiale

Alla fine del '700 l'entusiasmo e la fiducia nella funzione correttiva delle case d'internamento iniziano a scomparire soppiantati dalla paura nei confronti di quei luoghi che sembrano essere il ricettacolo "di tutto ciò che la società ha di più immondo e vile"19. Tutto

il "male" che la società civile aveva tentato di allontanare da se stessa, nelle varie forme che esso assumeva, siano esse quelle della malattia, della criminalità, della corruzione dei costumi, della povertà, inizia a riemergere dai luoghi stessi dove si era tentato di rinchiuderlo. Nell'immaginario collettivo le case d'internamento rimandano ad un'idea di "putretudine che riguarda tanto la corruzione dei costumi quanto la decomposizione della carne" (Foucault 1961 : 297), al loro interno il male cova, si alimenta, e libera vapori nocivi e corrosivi che minacciano intere città20. Di qui la necessità non tanto di sopprimere le case d'internamento,

quanto di riformarle purificandole per ridurre la possibilità di contaminazione e impedire al male e alle malattie di viziare l'aria circostante.

Un'altra idea insidia le fondamenta della case d'internamento. Queste, infatti, mantenute a spese dello Stato, si configurano come una forma di assistenzialismo nei confronti della povertà che, si afferma, "entra in complicità con la miseria e contribuisce a svilupparla" (Foucault 1961 : 347).

A questo tipo di assistenzialismo fallimentare, si contrappone la convinzione che sia necessario lasciare che la popolazione sia libera di muoversi all'interno dello spazio sociale: laddove si creano delle sacche di povertà, sarà il mercato stesso a riassorbirle nella misura in cui esse formeranno della manodopera a buon mercato. Commercio e industria andranno a svilupparsi automaticamente più in fretta proprio in quelle zone e permetteranno al mercato di riposizionarsi in equilibrio.

Siamo alle origini del pensiero liberale, che vede proprio in un certo tipo di libertà la sola forma di assistenza valida.

Perché questo sia possibile è necessario che i poveri siano capaci di lavorare, solo così possono essere elementi positivi nella società. Viene fatta, così, una distinzione tra "poveri

19 Mercier, Tableau de Paris, t. VIII, p. 1. (Foucault 1961)

20Nel 1780 a Parigi si diffonde un'epidemia che scatena movimenti di panico. La colpa viene attribuita all'Hopital

Géneral e, nonostante il rapporto della commissione d' inchiesta richiesto dal luogotenente di polizia smentisca queste ipotesi, numerose sono le proposte di bruciarne gli edifici (Foucault 1961).

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53 validi" e "poveri invalidi": il malato è un peso morto, rappresenta un elemento "passivo, inerte, negativo" poiché il suo ruolo nella società è solo quello di consumatore.

A due nature di povertà diverse, corrispondono due diverse modalità di assistenza. Fornire assistenza ad un povero valido significherà fornirgli il modo di assistere se stesso con le proprie forze ed il proprio lavoro. L'assistenza ai poveri invalidi, invece, avviene attraverso la beneficienza, primo dei doveri sociali per il cittadino, "incondizionato tra tutti poiché è la condizione stessa della società, il legame più vivente tra gli uomini, il più personale e allo stesso tempo il più universale" (Foucault 1961 : 349).

La società, quindi, si ritira e retrocede: il luogo naturale della guarigione viene individuato nella famiglia, nell'ambiente dove il malato vive. I poveri, dunque, escono dalle case d'internamento nelle quali per quasi due secoli erano stati rinchiusi per loro colpa ed errore. La povertà cessa di essere sintomo di degrado morale e viene riqualificata.

Le case d'internamento, a seguito di questo mutamento di paradigma, vengono sempre meno utilizzate, si svuotano dai poveri, e aumentano le critiche nei confronti della loro funzione e della loro organizzazione.

Si inizia a guardare tra le tipologie umane degli internati, e ci si accorge che tra "gli internati, i libertini, i dissoluti, i figliuoli prodighi, vi sono uomini il cui disordine è di altra natura" (Foucault 1961 : 335). Se ne accorgono economi, sorveglianti, direttori, medici, e se ne accorgono gli internati stessi che protestano e si lamentano con magistrati e ministri. Quello che si condanna è la promiscuità di folli e corrigendi, e si sottolinea il fatto che gli internati, qualsiasi sia la loro colpa, meriterebbero un trattamento migliore di quello che li confonde con gli insensati.

Non si discute affatto, invece, sulla giustizia o meno dell'internare i folli: questi hanno perso l' uso della ragione e meritano di essere esclusi dalla società e la società ha il compito di difendere se stessa da loro attraverso l'esclusione.

Dal 1770 la pratica dell'internamento inizia a diminuire, e "mentre tutte le altre figure imprigionate tendono a fuggire, la sola follia vi resta, ultimo relitto, estrema testimonianza di questa pratica che fu essenziale al mondo classico, ma il cui senso ci appare ora misterioso" (Foucault 1961 : 332). Si riducono il più possibile le pratiche di internamento per chi si è macchiato di colpe morali (libertinaggio, conflitti familiari..), si designano individui incaricati di visitare le case d'internamento per accertarsi che i folli non siano mischiati agli altri prigionieri, si individuano strutture destinate ad ospitare solo gli insensati.

A differenza dei comuni malati, ai quali, come già detto, dovevano provvedere le famiglie o comunque le sfere private, la follia "reclama uno statuto pubblico e la definizione

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54 di uno spazio di confino che garantisca la società dai suoi pericoli" (Foucault 1961 : 361). La società, in altre parole, non può ignorare il problema, deve invece organizzare delle strutture apposite per gestirlo e controllarlo

Alla follia si inizia a guardare, per la prima volta nel mondo occidentale, come ad una malattia isolata dalla povertà e da tutte le altre figure della miseria e dell'empietà, e si inizia a riflettere sui problemi che implica l'assistenza ai malati. Di qui inizierà una ricerca, che, mi sembra di poter dire, non si è ancora conclusa, di un equilibrio tra l'esclusione pura e semplice dell'internamento e l'approccio medico di cura. Da una parte si avverte la necessità di rinchiudere i folli che le famiglie non possono sorvegliare per premunire la società contro il pericolo che essi rappresentano; dall'altra quella di concedere loro i benefici delle cure mediche o di quelle ospedaliere che avrebbero se fossero ricchi.

Nel 1785 Doublet e Colombier firmano una Instruction imprimée par orde et au frais

du gouvernement sur la manière de gouverner et de traiter les insenés. Qui i folli vengono

paragonati ai bambini, ma la pietà che si prova per gli indifesi sembra essere subito cancellata dall'orrore per una forma di esistenza diversa e incline alla violenza e al furore. Si vuole trovare, dunque, una via intermedia tra "il dovere di assistenza prescritto da una pietà astratta e i timori legittimi suscitati da uno spavento realmente provato" (Foucault 1961 : 336). L'esito di queste proposte si rende evidente: Ospitalizzazione e Internamento vengono per la prima volta riunite in un'unica forma istituzionale e si stabilisce che le cure siano somministrate nel luogo stesso in cui si attua l' esclusione: è a questo punto che prende forma il manicomio come luogo in cui l'isolamento del malato mentale diventa parte integrante della sua cura nonché dell'osservazione del caso clinico oggetto della cura stessa. Tra il 1750 e il 1850 la riforma prende corpo: a partire da Francia e Italia, in tutta Europa vengono predisposti ospedali destinati agli insensati e se ne stabiliscono gli statuti. Pinel in Francia21 e Chiarugi in Italia22 si distinguono per i loro contributi al rinnovamento

della scienza medica: i loro trattati sono di certo mossi da una spinta filantropica ma ciò che maggiormente emerge è " un progetto di umanizzazione dell’uomo attraverso la conoscenza scientifica" (De Peri 1984 : 1070). In Italia, esemplare è il San Bonifazio di Firenze identificato nel 1789 dal Chiarugi, allora direttore dell'Istituto, come la prima struttura manicomiale esplicitamente dichiarata medica e psichiatrica.23

21 La sua opera Traité médico-philosophique sur l’aliénation mentale ou la manie fu pubblicata a Parigi nel 1801. 22 La prima edizione della sua opera Della pazzia in genere e in specie. Trattato medico analitico con una centuria

di osservazioni venne pubblicata a Firenze tra il 1793 e il 1794.

23 Con questo atto, espresso nel regolamento interno del San Bonifazio, Chiarugi sancisce l'atto di nascita della

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55 Negli stessi anni, in Inghilterra, Tuke fonda in Inghilterra una sorta di clinica aperta

ante litteram in cui si iniziano ad accogliere pazienti in alternativa agli istituti pubblici.

(D'Alessandro 2008)

Il malato viene così liberato dalle sue catene, e non soltanto in modo figurato: sarà Pinel nel 1793 ad ordinare per primo di toglierle dai polsi e dalle caviglie degli internati di Bicetre; al loro posto si preferirà "uno stretto corpetto di traliccio o di robusta tela, che rinserra e imprigiona le braccia"24: si tratta della camicia di forza, studiata per contenere i

movimenti e irrigidirsi quando questi diventano più violenti.

É da sottolineare che allora per la prima volta viene assegnata una priorità al giudizio medico nello stabilire se un individuo denunciato come folle sia o meno un individuo da internare25 e durante il periodo del suo internamento egli sarà sottoposto a monitoraggio

costante ad opera degli agenti di servizio e degli ispettori sanitari: saranno loro a dover stabilire se il comportamento denunciato è sintomo di una forma patologica o se invece si tratta di una temporanea perdita di lucidità.

Il progresso rispetto al passato è indubbio ma è anche vero che a questi guardiani viene così affidato un compito, quello di delimitare il dominio della follia assolvendo coloro che compiono atti motivati da ragioni al di fuori di esso. E il loro potere sarà assoluto all'interno dei manicomi: si creeranno dei rapporti di dominazione che mostreranno terribili conseguenze per i sottomessi, quelle conseguenze che, molto in seguito spingeranno medici psichiatri alla riflessione sulla validità o meno della struttura manicomiale e, infine, alla sua condanna.

2.2. La nascita della psichiatria

L'asilo, il manicomio dell'800 diventa non solo il luogo dove le malattie si curano ma anche, e soprattutto il luogo dove il sapere medico può organizzarsi in modo scientifico secondo gli orientamenti che il positivismo dava. Diventa fondamentale l'osservazione dei casi, l'esperienza diretta assume una funzione essenziale. Il folle inizia ad essere considerato come una "macchina rotta" lesionata nel cervello (Andreoli 1999 : 13), la sua malattia viene

24 S. Tuke, Description of the Retreat (York, 1813); D. H. Tuke, Chapters on History of Insane (Londra, 1882) 25 Nel progetto di regolamento per il dipartimento di Parigi si scrive "l'ammissione dei folli e degli insensati negli

edifici che sono o saranno loro destinati in tutta l'estensione del dipartimento di Parigi avverrà in seguito a un rapporto del medico o del chirurgo legalmente riconosciuti, firmato da due testimoni -parenti, amici o vicini- e certificato da un giudice di pace della sezione o del mandamento". (Foucault 1961 : 373)

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56 riconosciuta a tutti gli effetti e diventa compito della medicina occuparsi di essa, non più della polizia o dei giudici.

Lo psichiatra italiano Andrea Verga, nel 1873, in occasione dell'inaugurazione dell'anno psichiatrico, definì la pazzia come "un'affezione congiunta del cervello, per la quale essendo rimasto più o meno viziato lo sviluppo del medesimo, un individuo non può esercitare che imperfettamente e irregolarmente le speciali funzioni della sensibilità, dell'intelligenza e della volontà e appare perciò diverso dalla comune degli uomini; oppure un'affezione acquisita ed accidentale del cervello, per la quale, alterandosi le relative funzioni della sensibilità, dell'intelligenza e della volontà, un individuo appare diverso dalla comune degli uomini e da quel che era egli stesso" (Canosa 1979 : 57). Gli psichiatri della seconda metà del XIX secolo, dunque, prendono a riferimento per le loro ricerche la teoria clinica di stampo organicista che sosteneva l'origine organica dei disturbi psicotici e cercava di classificare i sintomi in modo ordinato al fine di individuare il decorso della malattia e la sua prognosi.

Questo cambiamento di paradigma si evidenzia anche a livello terminologico, cambia il modo di definire la follia stessa: Pinel inizia a parlare di alienati mentali e di alienisti con riferimento a quei medici specializzati che operano nello spazio dell'alienazione mentale. Prende avvio la "medicalizzazione della follia" (Stock 1983 : 21), con vari esiti nei vari paesi, terreno sul quale muove i suoi primi passi la nascente psichiatria (Cabras, Campanini Lippi 1993). Si può, dunque, constatare come "la psichiatria sia coinvolta sin dalla sua nascita in tutta una serie di esigenze di tipo prettamente sociale, fino ad arrivare alla pretesa che essa riesca a far scomparire l'angoscia sociale con un tocco di ingegneria umana"(D'Alessandro 2008 : 19).

Il manicomio, dunque, si presenta come un'istituzione totale e autonoma, con delle sue regole e una sua organizzazione: il manicomio stesso è la cura dei malati, nonché terreno di esperienza per la ricerca medica. Il folle doveva essere sottratto dalla società per la quale era potenzialmente pericoloso e dalla quale riceveva stimoli di eccitazione che comportavano un peggioramento della malattia; per lui veniva previsto un mondo artificiale, sano, privo di elementi di disturbo, in cui tutto, dall'architettura all'arredamento, dal lavoro alla disciplina, aveva una funzione terapeutica. Solo all'interno di questo microcosmo, le pratiche idroterapiche, la contenzione, l'uso di sostanze calmanti, acquistavano il valore di

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57 validi ausili alla terapia principale, che consisteva fondamentalmente sempre e soltanto nella vita manicomiale26.

Fondamentali sono ordine, isolamento, silenzio. Seguendo le parole di Pinel: "non ci si deve stupire dell'estrema importanza che io attribuisco al mantenimento della quiete e dell'ordine in un ospedale per alienati, e dell'attenzione che riservo alle qualità fisiche e morali che una simile sorveglianza richiede, poiché proprio in questo risiede uno dei fondamenti del trattamento della mania. Senza tutto ciò, infatti, non è possibile ottenere né osservazioni esatte né una guarigione permanente, quale che sia, per altri versi, il ricorso ai medicamenti più noti e diffusi" (Foucault 1973 : 20). L'isolamento nel ritiro è altrettanto terapeutico. Scrive Foucault: "nel ritiro il gruppo umano è ricondotto alle sue forme originarie e più semplici: si tratta di riportare l'uomo ai rapporti sociali elementari e assolutamente conformi all'origine; e ciò significa c'essi devono essere a un tempo rigorosamente fondati e rigorosamente morali. Così il malato si troverà ricollocato nel punto in cui la società è appena sorta dalla natura e dove di svolge in una verità immediata che tutta la storia umana ha contribuito in seguito a scompigliare. Si suppone che saranno cancellati dallo spirito dell'alienato tutti gli artifici, i vani disordini, i legami e gli obblighi estranei alla natura che la società moderna ha potuto deporvi" (Foucault 1961 : 405)

Il 30 giugno 1830 in Francia viene emessa la legge che regolamentava le modalità e le condizioni del ricovero in manicomio: questo istituto sarà dedicato alle persone "pericolose a se stesse e agli altri e che creano pubblico scandalo".

L'Italia deve attendere il 14 febbraio del 1904 per avere una legge nazionale che regoli tutti i manicomi del paese. Fino a quel momento non esisteva una legislazione unitaria e ogni istituto, sotto la guida del proprio direttore, aveva piena autonomia. É un'ispezione sui manicomi del regno, svolta dal ministro dell'Interno Giovanni Nicotera a mostrare l'esigenza

26 A partire dal 1810-1830 viene formulata una nuova operazione terapeutica definita da Pinel "trattamento

morale" che si andrà sostituendo alla pratica propriamente medica e farmacologica. La specificazione di questo trattamento come "morale" può confondere. Sebbene si possa pensare ad un riferimento alla moralità e alla morale, questo non è presente. Il riferimento è invece al significato etimologico del termine, da mores, costumi. L'alienazione mentale, infatti, costituisce una malattia morale poichè il difetto dell'alienato è nei mores, nei suoi costumi che non sono conformi a quelli dell'epoca (J. Arveiller, Traitement moral et éducation. Lesdébuts del écoles d'asiles, Revue internationale d’histoire et methodologie de la psychiatrie, 1-2, 1992, pp. 11-33 in: Foucault).Il trattamento morale "consiste nell'allestimento di una scena, e più precisamente di una scena di affrontamento"( Foucault 2004 : 21) nella quale la volontà alienata del paziente si scontra con quella del sorvegliante investito del potere attribuitogli dal medico. Quando l'azione dl sorvegliante si rivela insufficiente a placare il paziente ed a contenerlo nelle manifestazioni esagerate delle sue passione, nei suoi deliri, si può ricorrere ai più svariati strumenti di dissuasione: docce calde o fredde, sedia rotatoria, camicia di forza, letto di contenzione, manicotto contro la masturbazione, celle di isolamento. Sebbene, dunque, Pinel abbia avuto il merito di "liberare" i folli dalle catene, avviando così il rapporto di "dialogo" tra medico e malato che caratterizza la psichiatria moderna, non si può sorvolare sull'aspetto repressivo del trattamento morale da lui teorizzato.

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58 di un intervento: sovraffollamento, scarsità di condizioni igieniche, inadeguatezza degli strumenti di cura, fatiscenza dei locali e mancanza di registrazione clinica, emergono come problemi che non possono più essere ignorati. Nel 1904, perciò, sotto il governo di Giolitti viene approvata una legge nazionale (legge 36) unitaria che sancisce, tra le altre cose, l'obbligo di ricovero solo per i "dementi " pericolosi e scandalosi, l'attribuzione delle spese alle province, l'ammissione in manicomi solo dopo procedura giuridica (salvo casi d'urgenza) e l'istituzione di un servizio speciale di sorveglianza per gli alienati.

L'Asilo, dunque, come “Istituzione Totale” così come essa viene definita da Goffman (1961)27, si consolida nel corso della prima metà del '900, mentre la psichiatria, seppur mossa

da presupposti di scientificità, prigioniera del pregiudizio di organicità, si insterilisce in un esercizio classificatorio di sintomi, segni, comportamenti attribuiti a questa o quella patologia28e le cure somministrate all'interno dei manicomi sono sempre di carattere

sedativo.29

27 Esce nel 1961 Asylums, opera che raccoglie diversi saggi che hanno come tema le Istituzioni Totali.

28Fu con Emil Kraepelin (1856-1926), psichiatra e psicologo tedesco, che si ebbe la prima classificazione in due

grandi quadri nosografici riferiti ai diversi sintomi patologici di malattia mentale: le psicosi maniaco-depressive e la demenza precoce nelle sottoclassi delle forme catatonica, ebefrenica e paranoica.

29Uno dei primi trattamenti di natura medica, di cui si fese un ampio e spregiudicato uso all'interno degli

Ospedali Psichiatrici fu l'invenzione dell'italiano Cerletti in collaborazione con Bini. Si tratta dell'elettroschock-terapia che, diffusasi presto in tutto il mondo, è stata e, seppur con minore intensità e maggiore giudizio, continua ad essere utilizzata per trattare ogni tipo di patologia. Soltanto alla fine degli anni cinquanta del '900, con l'introduzione dei farmaci psicotropi nel trattamento delle malattie mentali, la terapia elettroconvulsionante conosce il suo declino e inizia ad essere utilizzata in misura sempre più ridotta. Nel 1949 lo psichiatra E. Moniz viene insignito del premio Nobel per il perfezionamento della lobotomia, assunta come pratica standard negli istituti di igiene mentale tra gli anni '40 e '50, utilizzabile nelle più svariate condizioni psicopatologiche (nella mania, come nella schizofrenia, come nell'ossessività)

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3 La rivoluzione degli anni ‘60

3.1 Antipsichiatria e deistituzionalizzazione

Sarà necessario quasi un secolo dalla loro nascita perché ci si accorga del fatto che i manicomi sono teatro di orrori e di abusi, luoghi dove il "potere psichiatrico", per usare la definizione di Foucault, ha esercitato tutta la sua forza su individui deboli e soggiogati all'interno di rapporti asimmetrici e disumanizzanti.

Ci vorranno le riflessioni imposte dalla nascente psicologia Freudiana, che mostrerà l'importanza della "vita vissuta" nel determinarsi di disturbi psicologici di diversa entità in opposizione alle spiegazioni biomediche che venivano fornite dalla psichiatria ufficiale.

Il 1900 è l'anno in cui viene pubblicato "L'interpretazione dei sogni", testo che permetterà l'avvio e la diffusione degli studi psicanalitici. Notevole è il contributo di Freud allo studio dei disturbi mentali sotto l'aspetto sociale. Innanzitutto Freud è il primo a formulare in modo organico il concetto di nevrosi culturale facendola risalire a quello che lui definisce "il disagio della civiltà"30. In secondo luogo è il primo ad affermare che nessuno può

definirsi realmente sano dal punto di vista psichico; nessuno, infatti, può sottrarsi al rapporto di scambio tra nevrosi sociale e nevrosi individuale. È Freud, infine, a restituire al soggetto malato la sua dimensione reale di persona sofferente, con una sua storia e una sua dignità da rispettare e non offendere. Questo passaggio è fondamentale, poiché se fino a quel momento "il mondo dei sani" si era rivolto a lui come ad un oggetto da studiare (si pensi agli alienati descritti da Pinel e Tuke) o come ad un elemento di disturbo da cui proteggersi a qualsiasi costo, ora gli viene riconosciuta la posizione di soggetto autentico che, a partire dagli anni '60, potrà aspirare ad avere i diritti che fino ad allora gli venivano negati. (D’Alessandro 2008 : 39).

Saranno necessari, infine, gli anni '60, anni di rivoluzione e di messa in discussione di ogni forma di autorità e potere. Sulla scia di questo entusiasmo, la struttura manicomiale appare già in tutta la sua ingiustizia come l'ennesimo sopruso della classe dominante nei confronti dei più deboli.

Tra gli anni '50 e '60, una serie di inchieste e rapporti denunciano con fermezza le violenze e gli orrori dei manicomi, sempre più affollati, la loro incapacità di funzionare come terapia ai disturbi e le loro tremende conseguenze spersonalizzanti per il malato. Lentamente

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60 medici, infermieri, operatori sociali e studiosi si renderanno conto dell'incapacità della gestione ospedaliera di guarire durevolmente i pazienti. Coloro che, necessitando di cure e non potendo permettersi quelle di una clinica privata, vengono rinchiusi in manicomio, quasi mai vanno incontro a dei miglioramenti e, nei rari casi in cui questi siano presenti, il prezzo da pagare è considerevole in termini di allontanamento dal proprio ambiente quotidiano, di senso di abbandono da parte dei familiari, di sofferenza, di stigmatizzazione, di spersonalizzazione.

Il 1961 si rivela un anno decisivo: Basaglia diventa direttore dell'ospedale psichiatrico di Gorizia, Foucault pubblica in Francia Storia della follia e Goffman pubblica il suo studio sulle istituzioni totali, Asylums, che si riferisce principalmente alle istituzioni psichiatriche.

Si inizia a guardare alla situazione dell'internato come a quella di "un uomo senza diritti, soggetto al potere dell'istituto, quindi alla mercé dei delegati (i medici) della società che lo ha allontanato ed escluso" (Basaglia 2014 : 123). Nell'organizzazione manicomiale si nasconde un "potere destorificante, distruttivo, istituzionalizzante" che "si trova ad agire solo su coloro che non hanno altra alternativa oltre l'ospedale psichiatrico" (Basaglia 2014 : 123). La psichiatria classica, d'altro canto, "ha dimostrato il suo fallimento: nel senso che in presenza del problema del malato mentale essa lo ha risolto negativamente, escludendolo dal suo contesto sociale ed escludendolo quindi dalla sua stessa umanità. Afferma Basaglia (2014 : 137): "posto in uno spazio coatto dove mortificazioni, umiliazioni, arbitrarietà sono la regola, l'uomo -qualunque sia il suo stato mentale- si oggettivizza gradualmente nelle leggi dell'internamento, identificandovisi. Il suo erigere la crosta di apatia, disinteresse, insensibilità non sarebbe dunque che il suo estremo atto di difesa contro il mondo che prima lo esclude e poi lo annienta: l'ultima risorsa personale per tutelarsi dall'esperienza insopportabile del vivere coscientemente come escluso"(Basaglia 2014 : 137).

In Asylums Goffman evidenzia proprio questo aspetto. La sua opera nasce dall'esperienza diretta e raccoglie cinque saggi scritti tra il 1957 e il 1960. Il tema centrale dell'opera sono le "istituzioni totali", ossia quei luoghi, predisposti dalla società, caratterizzati da rigide regole, dove vivono e lavorano gruppi di persone accomunate dall'essere escluse dal "mondo normale". Tali istituzioni hanno un "carattere inglobante e totale, simbolizzato dall'impedimento allo scambio sociale e all'uscita verso il mondo esterno, spesso concretamente fondato nelle stesse strutture fisiche dell'istituzione: porte chiuse, alte mura, filo spinato, roccia, corsi d'acqua, foreste e brughiere" (Goffman 1961 : 34). In queste istituzione nulla deve sfuggire all'organizzazione: gli internati vanno controllati in ogni aspetto della loro vita, dal lavoro alle relazioni sociali, devono seguire i ritmi e tempi imposte

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61 dall'autorità, vanno gestiti e manipolati anche nei loro bisogni. Lo staff svolge perciò un ruolo decisivo: separato nettamente dagli internati deve operare il controllo e provvedere alla sistemazione di funzioni, persone, ruoli.31

Tra queste istituzioni totali trova posto il manicomio, con le sue regole rigide e indiscutibili: è un "luogo in cui si forzano alcune persone a diventare diverse; si tratta di un esperimento naturale su ciò che può essere fatto del sé" (Goffman 1961 : 27). Il malato , entrando a contatto con lo spazio istituzionale, inizia quella che il sociologo canadese definisce come "carriera morale" del malato mentale32, durante la quale egli subisce alcune

umiliazioni che rivestono una precisa finalità strategica: registrazione, vestizione, consegna degli oggetti personali. Gli internati, così stretti tra regole, orari, intromissioni e interazione costrittiva con i membri dello staff in funzione di controllo e sanzione, subiscono una "violazione dell'autonomia dell'azione", perdono le "normali" libertà e responsabilità e ne acquisiscono di nuove, fino a modificare il proprio sé e la propria immagine di sé. (D'Alessandro 2008)

Parlerò ampiamente più avanti del funzionamento, analizzato da Goffman, del meccanismo di stigmatizzazione e di come lo stigma della malattia mentale sia ancora oggi presente e condizioni gli approcci di intervento e l'immagine sociale. Per ora sarà sufficiente affermare che il paziente mentale giunge all'ospedale psichiatrico con l'etichetta ben precisa di una patologia (epilessia, schizofrenia...), uno "stigma" che altro non è che "uno strumento che serve ad operare una mediazione tra il Potere "à la Foucault" impersonato dalle autorità che hanno portato al ricovero o comunque all'esclusione, e il soggetto che vive tale operazione di emarginazione" (D'Alessandro 2008 : 65).

Già dagli anni '30, soprattutto in America, si erano prodotte ricerche sociali e statistiche sulle malattie mentali e la psichiatria non tarderà a subire le influenze delle scienze critiche quali la sociologia e l'antropologia.

Nel 1957 il sociologo statunitense August Hollingshead e lo psichiatra austriaco Frederick Redlich, compiendo un'indagine nella comunità urbana di New Heaven, nel

31Goffman individua cinque categorie di "Istituzioni totali". Della prima fanno parte quelle Istituzioni che

prendono a carico soggetti incapaci non pericolosi (orfani, ciechi, anziani, etc...); della seconda quelle destinati a curare chi, malato, può rappresentare un pericolo per la comunità (malati di mente, lebbrosi, tisici etc...); il terzo tipo è caratterizzato dal fatto che la sua finalità dichiarata è la protezione della società da individui che rappresentano un pericolo reale o immaginario (prigioni, penitenziari, etc...); alla quarta categoria appartengono i luoghi che hanno come scopo primario quello di far svolgere attività specifiche dell'istituzione stessa (collegi, piantagioni, campi di lavoro etc...); alla quinta, infine, appartengono organizzazioni staccate dal mondo comune con il compito di preparare i membri del clero (abbazie, monasteri etc...).

32Goffman dedica nel 1959 un saggio alla carriera morale del malato mentale , integrato poi nel 1961 nell'opera

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62 Connecticut, concludono uno studio che affronta, per la prima volta in modo sistematico, il rapporto tra classe sociale e malattia mentale .Qui si afferma: "gli studiosi di sociologia hanno dimostrato che il comportamento differisce grandemente nei diversi strati sociali e nelle subculture di una società, ma le teorie psichiatriche propongono solo una fuggevole attenzione all'ambiente socioculturale che avvolge l'essere umano. Questo modo di considerare un paziente isolandolo dalla società in cui vive è paragonabile alla posizione di un astronomo che studi il sole e abbia solo un interesse periferico per il pianeta più vicino, invece di considerare il sole come una piccola parte di un sistema astronomico" (Hollingshead Redlich 1965 : 15).

Si fa strada, così, una nuova branca della psichiatria, la psichiatria sociale, della quale Giovanni Jervis, collaboratore di Basaglia nell'ospedale di Gorizia dal 1966 al 1969, dà questa definizione: "Da un lato, la sociopsichiatria è lo studio dei modi con cui i rapporti umani, nell'ambito di un determinato assetto storico sociale, esercitano un'influenza sulla insorgenza, sulla evoluzione e sulla terapia dei disturbi mentali; dall'altro lato, è lo studio di nuove possibilità terapeutiche in una prospettiva che mira a superare i vecchi concetti della assistenza psichiatrica come "reclusione" o come "cura" strettamente individuale e privata" (Jervis 1977 : 91)

La critica si rivolge in particolare all'istituzione manicomiale e alla sua funzione essenzialmente repressiva: si comprende la necessità di nuovi approcci terapeutici che siano rivolti alla persona sofferente e mirino a far sì che essa recuperi una posizione all'interno dell'ambiente sociale.

La critica di alcuni si spinge, però, ancora più avanti, si spinge fino ad investire la psichiatria stessa come scienza, a rimetterne in discussione non solo le modalità di ricerca e di intervento, ma i fondamenti stessi della sua essenza.

Proprio in opposizione alla psichiatria classica si sviluppa, infatti, un nuovo orientamento definito da David Cooper nel 1967 "antipsichiatrico". Questo orientamento prenderà presto le forme di un vero e proprio movimento che, per nulla unitario, condurrà ad esiti differenti: in Italia Basaglia, per quanto egli abbia sempre mostrato scetticismo nel riconoscersi questa etichetta, mirerà comunque a sovvertire le istituzioni dall’interno; in Inghilterra Laing e lo stesso Cooper costruiranno anti istituzioni vere e proprie, le comunità terapeutiche. In entrambi i casi, però, ciò che si vuole combattere è il potere della psichiatria, un potere verticale e asimmetrico tra il malato e il medico che impone la sua autorità attraverso lo staff del manicomio, e l'utilizzo della psico-chirurgia degli anni '30-'40, in particolare della lobotomia, divenuta ormai una pratica ambulatoriale dagli esiti sempre più

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