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La deissi spaziale si attua quando un’espressione «viene interpretata facendo riferimento

al luogo in cui si trova il locutore».

139

Come è noto, il sistema del toscano antico non è

esclusivamente binario (vicinanza/distanza dal locutore), ma ternario: può considerare

                                                                                                               

138 In Giovanni Villani, le forme verbali in prima persona plurale (anche accompagnate dal pronome

personale esplicito), sono ampiamente attestate ma indicano soprattutto o un soggetto collettivo relativo alla gestione narrativa (il tipo noi autore), o il riferimento a una comunità umana in cui l’elemento accomunante è di carattere religioso (noi fedeli). Sull’uso di forme pertinenti all’autore collettivo, si noti un uso del verbo narrare nel seguente passo dell’Anonimo fiorentino: «Domenicha a dì VIIII° furono fatti per li rinformatori della terra venti confinati in diverssi luoghi, i nomi de’ quali pienamente vi nareremo quando averemo il numero a pieno, ed èssi ateso a lo squitino valentemente» (Anonimo fiorentino, 5.63).

139 Cfr. FERRARI (2014: 250-51, cit. p. 250); si veda anche PALERMO (2013: 122-124) e VANELLI (2010:

come origo anche il destinatario e indicare la vicinanza/distanza di un referente rispetto a

quest’ultimo. Elementi deittici spaziali sono gli avverbi di luogo (qui/qua, costì/costà, lì/là,

colà),

140

gli avverbi locativi deittici con riferimento esoforico,

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alcuni verbi deittici di

movimento (in particolare venire) e gli usi non anaforici dei dimostrativi

(questo/codesto/quello). Fuori dai contesti riportivi e non considerando gli indicatori

spaziali di valore anaforico o testuale, si hanno poche attivazioni della deissi spaziale

inerente all’interno delle cronache considerate. Tuttavia si possono rintracciare alcuni

luoghi in cui l’elemento deittico riferisce la posizione del locutore e l’orientamento del

suo punto di vista. Trattandosi di testi scritti, inoltre, il riferimento a un destinatario

indefinito sul piano locativo non permette il ricorso a forme avverbiali come costì/costà o

dimostrative come codesto.

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L’indicazione di un luogo che coincida con la posizione

dell’enunciatore raramente è marcata dalla sola presenza del deittico spaziale di tipo

avverbiale: casi del genere possono rintracciarsi in testi vicini al modello autobiografico,

nei quali si riscontra un alto tasso di ricorsività delle informazioni deittiche relative al

piano enunciativo. È il caso della Cronica domestica del Velluti, dove l’impiego costante

della prima persona rende interpretabile anche un passo come questo:

                                                                                                               

140 A un’indicazione di tipo spaziale rimandano anche gli avverbi di luogo non deittici, «indicanti un luogo

la cui identificazione è affidata esclusivamente al rinvio al contesto linguistico, senza che siano date indicazioni relative alla posizione rispetto a parlante e ascoltatore». Si tratta, per l’italiano antico, di «ivi/quivi e indi/quindi, che sono perciò degli avverbi locativi anaforici, in quanto si riferiscono al contesto precedente» (VANELLI 2010: 1253)

141 Il riferimento «esoforico» rimanda a informazioni che si trovano nel contesto extralinguistico o

situazionale, quello «endoforico» (utilizzato dagli avverbi locativi anaforici) rimanda invece a informazioni presenti nel contesto linguistico o testuale (VANELLI 2010: 1257). La categoria del riferimento endoforico,

comprende in realtà sia usi avverbiali anaforici, sia usi avverbiali afferenti alla deissi testuale, che più avanti definiremo come «termini logodeittici» (CONTE 1988: 14).

142 Che queste forme fossero presenti nella lingua dei cronisti fiorentini, è dimostrato dal loro ricorrere in

alcuni contesti riportivi: «Andate tutti costà nella corte de’ Macci» (Lenzi, 313.35); «Fate francamente che voi sarete subito soccorsi, perocchè Carlo re di Puglia manda costà ottocento cavalieri franceschi» (Stefani, 50.29). In Giovanni Villani si ha il ricorrere della forma anaforica costì col significato di ‘lì’,‘in quel luogo’: «[venne] il conte di Montescaglioso detto conte Novello de la casa del Balzo, con CC cavalieri; e costì stettono al riparo della fortuna d’Uguiccione sanza perdere stato o signoria o castello o altra tenuta» (G.Villani, 10.74 277.23). Sull’uso anaforico del dimostrativo (questo/quello), cfr. GIOVANARDI – PELO

Il detto Filippino si stava in quel tempo assai bene, trafficando di merce qui, a Bologna, Melano, e per Lombardia (Velluti, 109.15).

L’interpretazione del qui come “a Firenze” non è da considerarsi di tipo anaforico ma

deittico: l’espressione suggerisce al lettore che le operazioni di mercatura svolte da

Filippino si svolgevano a Bologna, a Milano, in Italia settentrionale e nel “luogo dove si

trova chi scrive”. L'identificazione del luogo a cui il qui si riferisce non avviene

attraverso un meccanismo di ripresa interno al contesto linguistico e il luogo

dell'enunciazione risulta intelligibile al lettore solo attraverso il ricorso ad una

competenza interpretativa già acquisita.

Si veda un altro passo del Velluti:

È vero che i detti messer Iacopo e Giovanni, veggendosi oppressare sì dalla Chiesa, e trattando col detto Arcivescovo, acciocché liberamente sanza alcuno impedimento potessono fare, trassono di Bologna i maggiori Cittadini Guelfi, e capi, che vi fossono sotto questa malizia, in mandare qui, a Ferrarra, e altri Comuni, e’ Signori per ambasciadori, in pregare creassono ambasciate al Santo Padre a interporsi per loro; di che venuti qui quattro grandi Cittadini, e de’ maggiori Guelfi, sposta loro ambasciata, essendo io a Lucardo, subito ebbi una lettera da’ Priori, fossi dinanzi da loro (Velluti, 196.12).

Dalla lettura di questo passo emerge chiaramente come l’interpretazione dei due qui, che

valgono ancora “a Firenze”, non sia agevole per un lettore parziale. Ciò non significa

che ci troviamo di fronte a un uso anaforico sintattico di qui in cui la pro-forma sia stata

espressa in precedenza e che, pertanto, la difficoltà interpretativa sia da attribuire alla

considerevole distanza intercorsa tra l’antecedente e il successore co-referente (qui). Si

vedano due usi anaforici di qui, estratti da testi molto diversi tra loro:

Come le tavole furono coperte, per queste altre cose si puote imaginare: chè furono tovaglie nobilisime e richisime. Qui furono nove vivande (Conviti fatti a papa Clemente, 13.26).

[...] i Sanesi si fecero loro incontro al castello d’Ascanio, e qui si combatterono, e furono sconfitti da’ Fiorentini (G. Villani, 6.6 236.6).

Il riferimento al luogo dell’enunciatore è del tutto assente nei due usi di qui appena visti,

che avendo un valore anaforico si risolvono unicamente a livello sintattico nel rapporto

antecedente (tavoli della mensa, castello d’Ascanio) e successore co-referente (qui). Nell’uso

del Velluti, il qui può considerarsi deittico in base all’identità che instaura tra luogo di

riferimento e luogo della situazione enunciativa nel quale il riferimento è espresso, ma

non è interpretabile facendo ricorso al solo contesto linguistico. L’elemento deittico

necessita, per essere risolto, di una conoscenza di tipo extralinguistico che l’autore

attribuisce (o ha fornito) al lettore. Si tratta di una «ripresa pragmatica» mediata dalla

conoscenza “enciclopedica” del destinatario, sia questa maturata durante la lettura

oppure data per pre-acquisita.

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L’uso di qui con valore deittico spaziale (relativo alla

posizione del locutore) è poco documentato nel corpus e del tutto minoritario rispetto, ad

esempio, all’impiego deittico di tipo testuale. L’uso del Velluti può essere considerato un

caso isolato perché i cronisti, pur facendo un generale scarso ricorso al modulo, tendono

sempre ad affiancare al deittico la resa esplicita del riferimento (secondo la costruzione

qui in + città). Si vedano alcuni esempi:

Durando qui in Firenze tanta e sì crudele fame e charo (Lenzi, 317.1).

Di che, auti li decti danari, lo dicto Dinuccio gli spensò fra cierti chaporali della chonpagnia, et quivi in Pisa si fornirono, tra l’uno dì e ll’altro, d’arme et altre chose (Sardo, 147.2).144

Essendo quel oste, si arsero le case in Arco a Sancto Cristofano qui in Lucha, die 3 Giugno lo die di Sancto Davino, in lunedì (Cronichetta lucchese, 241.26)

All’uso di qui (in + N) e qua (in + N), sono spesso associati anche altri elementi deittici

spaziali, in particolare alcune forme verbali come rimanere e venire, strutture che in genere

rimandano a tratti semantici:

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Et cho’ meser lo patriarcha rimasono qui in Pisa tucta la gente che misser Bernabò mandò allo inperadore (Sardo, 177.7).

                                                                                                               

143 Sull’anafora pragmatica si veda M-E. Conte, che così riassume: «La ripresa sintattica è mediata dalla

grammatica; la ripresa semantica è mediata dal dictionary; la ripresa pragmatica è mediata dall’encyclopedia» (in CONTE 1988: 23). Si noti inoltre un altro esempio tratto dalla Cronica domestica nel quale l’elemento deittico è rappresentato dal dimostrativo: «subitamente per Porta Rossa da casa gli Strozzi venne moltitudine di popolo minuto, essendo capo messer Andrea di messer Andrea degli Strozzi, gridando: “Viva il popolo minuto!” e vennono in su la Piazza de’ Priori, e poco a questa» (Velluti, 167.1), dove questa si riferisce – senza ulteriori chiarimenti – alla piazza nella quale era posta l’abitazione del cronista.

144 Sull’uso di quivi per indicare lo stato in luogo si veda VANELLI (2010: 1254).

145 Sull’uso dei verbi deittici di movimento, in particolare andare e venire, in italiano antico cfr. VANELLI

Ma Decio imperadore ventesimonono, udendo la fama di Firenze e quanto era bella e quanto bene si mantenea, venne personalmente ad abitare qui, perseguitando li cristiani, siccome avea fatto negli altri paesi (Stefani, 12.32).

Et tornando, et avea ricevuta la beniçione et la investitura dele predette sengnoria dal papa, venne in Firençe (Pieri, 162.4).

[...] messer Corso Donati venne la notte da Ognano et passando per Arno se ne venne nel prato da Ognesanti, et poi per la diritta sì arrivò a’ Servi Sancte Marie et ala Porta Albertinelli, la quale era disconfitta, credendo potere quindi entrare (Pieri, 162.10).

[...] e simile di tutti e gli altri i quai erano iti a’ re Charlo, per farlo passare di qua e venire a’ nostri danni (Cronaca senense, 65.25).

Anche l’uso di qua, pur ricorrendo in espressioni distributive sia di luogo (chi qua e chi là,

in qua e in là) sia di tempo (da giugno in qua, ecc.), può riferirsi alla posizione del locutore,

permettendo di comprendere l’orientamento del punto di vista dell’autore. In

particolare, il ricorrere di qua all’interno di locuzioni indicanti il passaggio o

l’attraversamento di un luogo noto, posto in relazione al locutore, offre la possibilità di

confermare la ricorrente identità tra il luogo di enunciazione e il centro cittadino di

riferimento.

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Si vedano alcuni esempi da Giovanni Villani:

La misura delle miglia del contado di Firenze si prendono ed è loro termine de le V sestora che sono di qua da l’Arno a la chiesa, overo Duomo, di Santo Giovanni (G. Villani, 217.10). [...] ma lla forza di popolani di borgo San Friano e della Cuculia e del Fondaccio fu sì grande, che inanzi che passasse il popolo di qua da Arno presono il capo del ponte e lle case de’ Nerli, e loro ne cacciaro (G. Villani, 13. 21 355.16).