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Stando al concetto di deissi testuale espresso da M-E. Conte, con questa dicitura

s’intende «quella forma di deissi con la quale un parlante fa, nel discorso, riferimento al

discorso stesso, al discorso in atto, ossia a parti (a segmenti o momenti) dell’ongoing

discourse (in particolare: o al pre-testo, o al post-testo, o, nel logicamente problematico

caso dell’autoriferimento, a quella stessa enunciazione, nella quale l’espressione

logodeittica ricorre)».

152

Gli elementi deittici con i quali questo tipo di riferimento si

attua sono gli stessi della deissi spaziale e temporale. L’uso del tempo verbale – presente,

futuro e passato prossimo – è un ulteriore elemento logodeittico. Per questo tipo di

deissi, il campo indicale di riferimento è costituito «dal testo stesso e ha come origo il

punto del testo in cui il lettore si trova».

153

Nelle scritture cronachistiche questo tipo di

riferimento deittico è attivato da un vasto insieme di espressioni che può prevedere l’uso

combinato di termini cronodeittici (ora, passato, ecc.) e topodeittici (qui, innanzi, da piede,

adietro, di sopra, seguente, questo, ecc.).

154

L’uso del tempo futuro, insieme ad altri termini

deittici soprattutto di luogo, permette al cronista di introdurre, presentare o rimandare a

un argomento di cui tratterà nel prosieguo della narrazione. In questo caso si compie un

riferimento al «post-testo» di valore coesivo, che punta ad assicurare maggiore fluidità

agli snodi narrativi. Si vedano alcuni esempi trasversali al corpus:

(1) Poi si partì di quello luogo, ed andosene in camera, la quale trovò così parata con un’altra più picola a quella, come qui si diviserà (Conviti fatti a papa Clemente V, 7.18).

(2) Al Nome di Dio qui da piede iscriveremo rachordançe di cose pasate (Ricordanze, 141.1). (3) I patti in sustanzia raconteremo qui apresso nel seguente capitolo (M. Villani, 3.6 333.16). (4) [...] de’ quali io conobbi questi: Domenico, Rinieri, la Piera, e la Tessa, e de’ quali qui da piè farò menzione (Velluti, 107.21).

                                                                                                               

152 Cfr. CONTE (1988: 13-28, cit. p. 19).

153 Cfr. ANDORNO (2003: 67) e FERRARI (2014: 252), dalla quale cito.

154 Trattandosi di testi scritti, il prevalere degli elementi deittici spaziali con funzione logodeittica è del

tutto regolare, come scrive M-E. Conte: «per ragioni intuitive, in un testo scritto prevale la topodeissi; in un testo orale (ad esempio, in una conferenza o in un corso universitario) prevalgono i termini cronodeittici» (in CONTE 1988: 15n).

(5) E questo non venne loro, comecchè assai venisse loro, di torre via questa petizione; come qui appiè della seconda rubrica diremo (Stefani, 346.24).

(6) Le ghalee che l’arecharono furono chome diremo qui apresso (Sardo, 216.1).

(7) [...] e per loro nequizia promise Dio che poco tenessono quella signoria in pace ed ebbono grandissime tribolazioni eglino e le loro famiglie; siccome per innanzi diremo in questo libro (Istorie pistolesi, 22).

(8) Lasceremo ora de’ fatti de· Regno, che stando le triegue no· v’ebbe cosa degna di memoria, e ritorneremo alla nostra materia degli altri fatti d’Italia e della nostra città di Firenze (M. Villani, 1.96 182.11).

(9) Lasceremo ora questa matera, e diremo d’altri signori e donne (G. Villani, 13.115 555.8).

Come si vede, attraverso forme verbali gradualmente specializzate (da lasciare a dire, a

raccontare, menzionare, divisare, scrivere) e termini logodeittici diversi, il cronista crea dei

luoghi cuscinetto adibiti sia ad anticipare i successivi argomenti, sia a palesare le

operazioni di regia che intende compiere subito dopo.

155

Le zone del testo entro le quali

questi richiami si collocano possono definirsi come “parentetiche in senso ampio”, in

quanto frapposte a sequenze narrative (capitoli, rubriche o periodi) che presentano o

argomenti diversi, o un diverso livello di approfondimento del medesimo argomento. Ai

tempi del passato e del presente sono invece assegnate funzioni di richiamo al già detto,

anch’esse finalizzate alla tenuta della coesione argomentativa. Si vedano, in conclusione,

alcuni esempi:

- tempo passato prossimo:

Quasi per tutto il detto mese di giugnio si vendé la biada sì chome qui dinanzi è detto, né più né meno, e a quel modo la saina (Lenzi, 480.24).

[...] alcuna volta co’ baroni, usò parole di minacce, per le quali, coll’altra materia che qui abbiamo detta, apressandosi il tempo della sua coronazione, s’avacciò la crudele e violente sua morte (M. Villani, 1.11 27.14).

                                                                                                               

Ha meritato qui d’essere notata per essempro della male condotta (M. Villani, 3.41 375.12). [...] e ’l palagio rimase [...] a le sei podestadi ch’erano chiamate per fare la Singnoria di Firençe, chome ò deto qua adreto (Ricordanze, 147.26).

Da qui a drieto è detto molto delle novità occorse alla Casa di Francia; ed è da notare che per li peccati di quelli di quella Casa, cioè antecessori del re Filippo di Valosa, perocchè infra gli altri peccati ne commisono tre notabili (Istorie pistolesi, 401).

[...] come addietro è fatta menzione nel capitolo della detta edificazione (G. Villani, 5.16 188.5). [...] aveano assediata Firenze, come detto è adrieto a rubrica 37, ed i Fiorentini erano amici della Chiesa (Stefani, 23.34).

[...] e questo ch’ò detto ora, fue a dì iij d’aghosto in domenicha (Ricordanze, 146.25).

[...] però che’ rettori del Comune di Firenze non lasciarono ciò compiere, come nel passato capitolo è fatta menzione (G. Villani, 11.142 698.14).

- tempo presente:

Qui comincia il VIIII libro: conta come nella città di Firenze fu fatto il secondo popolo (G. Villani, 9.1)

[...] in poco più d’uno anno tanti fuochi s’accesono nella nostra cittade, come appare qui, e poco adietro e innanzi (G. Villani, 11.207 772.8).

Qui finisce il dodecimo libro (G. Villani, 12.143 289.7).

El quale contado del comuno di Siena ce l’aveva tolto lo ’mperadore Otto e per lo fatto a lui, come dice qui di sopra, lo rendé a’ Sanesi (Cronaca senese, 44.14).

Attraverso l’analisi della deissi è possibile indagare il valore funzionale delle strategie

enunciative che si attuano all’interno dei testi cronachistici. L’ancoraggio a una realtà

extra-narrativa come quella del piano enunciativo del locutore permette allo storico non

solo di accrescere il valore testimoniale delle informazioni riportate, ma anche di

elaborare sistemi vòlti alla definizione del proprio profilo sia come autore, sia come

soggetto socio-politico. L’ampiezza dell’ambito di ricerca se da una parte non permette,

soprattutto per i testi più raffinati e noti, di ridurre le funzioni della deissi entro

categorie schematiche, dall’altra riesce a individuare, in testi meno formalizzati e di

norma anonimi, alcuni scarti enunciativi interessanti. Sebbene l’indagine sia stata

condotta su testi anche molto diversi tra loro, la presenza degli elementi deittici è

generalmente attestata e – pur con frequenze differenti – offre un percorso di ricerca

funzionale per la ricostruzione delle dinamiche del discorso storico medievale. In

generale, l’ambito relativo alla deissi personale permette di definire con precisione le

funzioni pragmatiche che di volta in volta acquista l’inserimento della voce dell’autore

nel mezzo del flusso narrativo. La deissi spaziale e temporale, invece, risulta più utile

nell’individuazione di spie enunciative discrete che caratterizzano quei testi in cui la

narrazione è di norma impersonale e dove la presenza del cronista è meno visibile.

Anche la deissi testuale, servendosi di elementi talvolta poco marcati, permette di

osservare la comparsa di operazioni di gestione della materia in gran parte dei testi

considerati. I fenomeni evidenziati dall’analisi della deissi possono considerarsi come

tratti tipici del discorso storico, in virtù della loro funzione di ancoraggio

dell’informazione a una realtà extra-narrativa.

Capitolo V

Il discorso riportato: forme e funzioni

1. Premessa

Con l’espressione “discorso riportato” (

DR

) s’intende la «riproduzione di un enunciato

prodotto in un atto di enunciazione diverso rispetto a quello in cui è contenuta la

citazione stessa».

156

In uno studio ormai classico, Bice Mortara Garavelli indicava tre

requisiti necessari perché una porzione discorsiva definita potesse propriamente

considerarsi un discorso riportato: a) la condizione della metareferenzialità (si ha

DR

quando un’enunciazione diventa oggetto di un’altra enunciazione); b) la condizione della

rappresentatività (non è sufficiente far riferimento a un discorso precedente perché ci sia

DR

, ma deve essere anche rappresentato l’oggetto o argomento di tale discorso); c) la

condizione della non-performatività (perché ci sia

DR

, il verbo di dire che funziona da

introduttore non deve svolgere funzione performativa).

157

La presenza di questi requisiti

permette di definire una porzione di testo come “riportata” e di classificarla in base alle

tipologie note.

158

L’etichetta “discorso riportato” (

DR

) è dunque un iperonimo di

DD

,

DI

,

ecc., e fa parte di un fenomeno più ampio definito da Emilia Calaresu come

Rappresentazione e riproduzione del discorso altrui (RRD).

159

La classificazione che punta a

definire i vari tipi di

DR

, come il discorso diretto (

DD

), il discorso indiretto (

DI

), ecc.,

                                                                                                               

156 Cfr. FERRARESI GOLDBACH (2010: 1313).

157 Cfr. MORTARA GARAVELLI (1985: 41-50). Sull’«aggiustamento» della condizione di metareferenzialità in

multiplanarietà, che definisce il problema della possibilità di ennesimi livelli di citazione, si veda la proposta di Emilia Calaresu (in CALARESU 2004: 109-111, cit. p. 109).

158 Per i tipi di DR in italiano moderno si vedano almeno: MORATARA GARAVELLI (1995 e 1995b),

PALERMO (2013: 134-142), FERRARI (2014: 233-241); per l’italiano antico: MORATARA GARAVELLI (1985), FERRARESI -GOLDBACH (2010) e COLELLA (2012b).

159 Cfr. CALARESU (2004: 105). La studiosa così definisce l’ambito generale di riferimento: «Tutti i

fenomeni che si possono individuare all’interno della RRD manifestano un carattere comune: quello cioè di evocare o riprodurre un piano enunciativo distinto da quello dell’enunciazione in corso (E0), distinto cioè

dall’enunciazione hic et nunc del soggetto parlante nel suo ruolo di locutore L0. In ogni istanza di

rappresentazione o riproduzione del discorso si devono quindi poter rintracciare almeno due “voci” diverse, ovvero due locutori diversi, quello ego-hic-nunc (L0) e quello citato o evocato (L1), che

riguarda elementi di varia natura reperibili sia all’interno sia all’esterno della citazione.

160

Gli introduttori esterni all’enunciato citato costituiscono la cornice (o frase) citante che

caratterizza e segnala l’inizio della citazione. I diversi meccanismi presenti nella cornice

citante hanno un ruolo attivo nella definizione del tipo di

DR

, dato che «nell’operazione

di ricontestualizzazione del discorso originario si ha una ri-distribuzione dei vari tratti

così che solo alcuni restano poi confinati formalmente nella parte citata».

161

La

compresenza delle due situazioni enunciative determina altrettanti ancoraggi sul piano

personale, spaziale e temporale e la gestione dei campi indicali, attuata attraverso

modalità diverse, definisce le varie forme di

DR

. A differenza dell’italiano moderno, che

presenta una maggiore varietà tipologica, per l’italiano antico si possono individuare tre

tipi di discorso riportato: il discorso diretto, il discorso indiretto, e il discorso misto.

162

Nella storiografia medievale il ricorso alle prime due tipologie (

DD

e

DI

) è ampiamente

documentato e si attua attraverso l’uso di elementi sintattici, testuali e indessicali comuni

all’italiano antico in genere. Si tratta – secondo la mappatura tipologica proposta da E.

Calaresu – di forme esplicite con o senza (più rare) cornice, che presentano una

fisionomia linguistico-testuale definita e poco variabile.

163

L’interesse verso la presenza

del

DR

, codificato sin dagli esordi della storiografia antica, nell’ambito della cronachistica

trecentesca, si rivolge qui, in particolare, all’aspetto pragmatico-funzionale. Se le

                                                                                                               

160 Introducendo lo studio del discorso indiretto, Stefano Telve scrive: «L’inserzione di un piano

discorsivo in un altro piano discorsivo distinto e autonomo [...] ha ovvie e spesso complesse implicazioni sotto il profilo testuale (l’ampiezza potenzialmente illimitata della citazione), pragmatico-sintattico (l’eventualità di affiancare enunciati illocutivamente eterogenei anche all’interno del discorso riportato), e indessicale (l’ego-hic-nunc della citazione, in genere non totalmente sovrapponibile con quello del piano narrativo)» (in TELVE 2000b: 51-52).

161 Cfr. CALARESU (2004: 108). Al riguardo si veda anche l’osservazione di B. M. Garavelli: «In ogni

riproduzione di enunciati, qualunque sia la forma del discorso riportato, gli enunciati della produzione originale vengono inquadrati in un nuovo contesto linguistico, cioè “ricontestualizzati” nell’atto in cui sono traferiti dalla situazione comunicativa della produzione a quella della riproduzione» (in MORTARA

GARAVELLI 1995: 428).

162 Con “discorso misto” s’intende quel tipo di discorso che presenta elementi tipici sia del DD sia del DI,

una forma mista che conviene definire in maniera equidistante dagli altri due tipi di DR. Bice Mortara Garavelli aveva definito il tipo sia come discorso, o stile, indiretto libero (DIL), sia come discorso semi- indiretto (MORTARA GARAVELLI 1995: 462). In FERRARESI -GOLDBACH (2010)si fa ricorso invece alla categoria di discorso semidiretto.

strutture sintattiche del

DR

sono state descritte anche in recenti contributi di taglio

manualistico, la collocazione del fenomeno nell’economia dei testi in cui compare risulta

ancora poco indagata.

164

Nel flusso della narrazione storiografica, l’uso della citazione è

uno strumento espressivo che permette al cronista di attuare strategie funzionali di vario

tipo. Dietro alla presunta interscambiabilità tra le varie forme di

DR

impiegate nelle

cronache medievali si cela, probabilmente, un criterio di selezione motivato non solo dal

punto di vista della lingua, in termini di maggiore o minore complessità sintattica delle

varie forme, ma anche da quello di una strategia narrativa più o meno definita.