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2. Il discorso diretto ( DD )

2.3 Discorso diretto con L 1 singolo

Il tipo di

DD

che riferisce le parole di un locutore singolo, sia esso noto o indefinito,

rappresenta un impiego del modulo prototipico e ha come funzione principale quella di

riportare discorsi pubblici, tematizzanti questioni inerenti alla gestione della politica

interna o degli interventi militari. Il fenomeno, come si vede dagli esempi che seguono, è

attestato nella maggior parte dei testi considerati e si caratterizza per l’ invariabilità delle

strutture introduttive:

- Dino Compagni

                                                                                                               

(1) Messer Barone [...] disse a loro: «Signori, le guerre di Toscana si sogliono vincere per bene assalire; e non duravano, e pochi uomini vi moriano, ché non era in uso l’ucciderli. Ora è mutato modo, e vinconsi per stare bene fermi. Il perché io vi consiglio che voi stiate forti, e lasciateli assalire» (Compagni, I.41).

(2) Baldino Falconieri, uomo vile, dicea: «Signori, io sto bene: perch’io non dormia sicuro», mostrando viltà a’ suoi avversari (Compagni, 2.40).

(3) Messer Lotteringo da Monte Spertoli dicea: «Signori, volete voi esser consigliati? Fate l’uficio nuovo; ritornate i confinati a città: traete le porti de’ gangheri - cioè se voi fate queste due cose, potete dire d’abbattere la chiusura delle porti -» (Compagni, 2.43). (4) E uno valente cittadino chiamato Catellina Raffacani disse: «Signori, voi sete traditi! E’

viene verso la notte: non penate, mandate per le vicherie; e domattina all’alba pugnate contro a’ vostri avversari» (Compagni, 2.65).

(5) E Baldo Ridolfi, de’ nuovi priori, era mezzano, e dicea: «Vogliate più tosto darli de’ vostri danari, che andarne presi in Puglia» (Compagni, 2.91).

(6) E cominciò [messer Corso Donati] a seminare discordie, e sotto colore di giustizia e di piatà dicea in questo modo: «I poveri uomini sono tribolati e spogliati di loro sustanzie con le imposte e con le libbre, e alcuni se ne empiono le borse. Veggasi dove sì gran somma di moneta è ita, però che non se ne può esser tanta consumata nella guerra!» (Compagni, 2.158-59).

- Paolino Pieri

(1) Questi fu morto dagli Uberti et loro sequagi, per consilglio del Mosca Lanberti che disse: «Cosa fatta capo à, ma ttalora non chente vuole né chente crede o disengna» (Pieri, 55.3).

(2) Questi disse: «Se voi il fedite sança ucciderlo, voi non canperete nel mondo d’inançi lì» (Pieri, 55.4).

- Anonimo fiorentino

(1) Sentì messer Giovanni Aghuto che anbasciata andava alla conpagnia per tratare acordo fra ’l Comune e loro, no·ve gli lasciò passare dicendo: «Se voi farete nesuno patto, io rifiuterò la bachetta e non farò uficio, perché della conpagnia mi credo avere que’ patti che io vorrò, però ch’io gli ò sì stretti che non si possono partire sança merchato» (Anonimo fiorentino, 4.45).

(2) E messer Giovanni gli rispose: «Io voglio che tu sia libero, e torna al tuo chapitano e digli che io sono presto a chonbattere: acciò che tu mi creda, videra’lo». E subito fe’ metere in punto mille lance, e disse: «Vadi al capitano che m’aspetti», e partito chostui fe’ tre schiere grosse, e fassi inanzi a chostoro (Anonimo fiorentino, 48.19).

- Domenico Lenzi

(1) Tornavano adunque come i’ lloro rifuggio i poveri lo sequente dì a quello spadale; a’ quali, così di fuori aspettando, venne chui credevano, cioè l’usata benedictione e rifriggerio, che dicendo «Entrate!», tutti gli consolasse. Ma volto il dolce chiamare in isventurato accomiatare, così disse: «Andate affamati e mendichi a perire insiememente colle vostre necessità, ché da’ signori di qui n’è comandato lasciarvi perire nelle vostre miserie, a ppena d’essere dal fuocho e noi e le nostre casa e beni consumati; non ci è più la charità passata» (Lenzi, 320.7).

(2) [...] ed elli gridando in sulla colla, dicendo: «Messere, perché mi collate voi? Che è questo che voi mi fate? Che volete voi da mme? Che ò io fatto che voi mi straziate così?» (Lenzi, 372.24).

- Istorie pistolesi

(1) [...] ed essendo ripreso [il Focaccia] più volte da quelli della parte Bianca del fuggire che facea, rispondea, che meglio era dire: Quinci fuggìo il Focaccia, che, Quivi fu morto il Focaccia (Istorie pistolesi, 7).181

(2) L’uomo era vestito di peli di cammello [...] e con grandi e alte boci dicea: O fedeli di Cristo, non temete, perocchè ecco la Divina Maestade che v’è apparita, ed ha commesso che a voi si dia vittoria di questa battaglia: levatevi, e confortatevi, e prendete cibo, e venite virilmente alla battaglia meco, e non temete, che pochi di voi morranno, e contra gli Turchi vinceremo la battaglia, e quelli di voi che morranno, aranno la gloria eternale (Istorie pistolesi, 385).

- Ranieri Sardo

(1) [...] di che lo decto ser Giovanni dell’Angniello, essendo quivi, baciò in boccha li decti singniori anziani et poi, avendogli baciati, Andrea Scharso inchominciò et disse: «che facciamo noi?» - «Sia dogio! sia dogio et singniore a vita!» (Sardo, 160.1).

- Conviti fatti a papa Clemente V

                                                                                                               

181 In casi come questi, nei quali l’editore moderno marca il DD in maniera discreta (due punto e maiuscola

iniziale), l’indicazione sul tipo di DR è rintracciabile dalla presenza dei deittici spaziali (quinci, quivi) che rimandano al campo indicale relativo al locutore del discorso originario. Sulle prassi interpuntorie per citazioni, dialoghi e DD in genere, si veda LESINA (1986) e MORTARA GARAVELLI (2003: 28-36).

(1) Messer Anibaldo corse verso l’uscio de la camera, e trovò uno scudiere, al quale egli gli disse: Va’ e corri, e fa’ che alcuni passino su per lo ponte de la Sorga, sì che vi cagiano dentro (Conviti, 14.19).

- Giovanni e Matteo Villani:

(1) E poi disse [il pescaiuolo Gialucola] a’ suoi: «A noi conviene usare inganno con prodezza. Il re attende la giornata ordinata di battaglia, e in questo mezzo non fa quasi guardia, e spezialmente il meriggio per lo caldo si spogliano e dormono tutti. Armianci segretamente, e subiamente assaliamo l’oste, e io con certi eletti n’anderò diritto a la tenda del re, che la so bene» (G. Villani, 11.89 632.13).

(2) No· dimeno messer Giovanni, ch’avea avuta la licenzia dal conte, disse a’ suoi famigli: «Andate, e chiamate de’ nostri amici, e dite loro rechino le scuri, ed entrate nel vescovado: e se lle porti no· vi fossono aperte, colle scuri l’aprite e, della cucina del vescovo gittate fuori vivanda, e ciò che dentro vi trovate» (M. Villani, 1.55 102.17). (3) Li Ungheri arditi e vogliosi li seguitarono, e tanto avanti trascorsono, che a

salvamento ritrarre no· ssi potieno; e’ Perugini non vedendo sanza gran pericolo poterli soccorrere, li avieno posti per abandonati, ma il loro capitano disse: «Faccianci inanzi colle schiere, sicché se ssi vogliono raccogliere noi li possiamo più da presso ricevere» (M. Villani, 8.41 189.19).

- Cronaca senese:

(1) E il loro chapitano dimandò come si chiamavano que’ fiumi: fugli detto che si chiamavano la Malena e la Biena. Alora conobbe che ’l nimico l’haveva inganato, e disse: ogi è ’l mio dì, che so debbo morire. E fu sì forte esbighotito che quasi non si poteva tenere a chavallo (Cronaca senese, 59.18).

(2) [...] un vechio de’ buoni di Montealcino sì fece fermare tutta la giente che era co’ lui e disse: Io vi consiglierei che noi con esso mecho andassimo a Siena, e tutti ci metesimo la coregia a la ghola e adimandasimo misericordia (Cronaca senese, 60.25).

- Storia del Monastero di Nicosia:

(1) Or facte le scriture, lo priore fue co li diti fraticelli, e disse: “A me pare lo meglio, per dare spactio et compimento alle cose, che due di voi andasseno a Roma dinasi al Santo Padre et sponese tutto interamente quello che da lui vogliamo” (Storia del M. di Nicosia, 15.1).

- Marchionne di Coppo Stefani:

(1) Uno messer Filippo da Brescia ch’era Podestà, disse: «Lasciatemi fare, ch’io so quello mi fo; il Comune non promette nulla farò io contento ogni uomo» (Stefani, 41.15).

(2) E giunti a lui, egli avea molta briga colla Chiesa; di che richiestolo, non poterono ottenere da lui se non cento cavalieri, i quali eglino voleano ricusare, se non fosse messer Farinata che disse: «Togliamli, ma tanto adoperiamo che ci mandi un capitano con detti cento cavalieri, sì veramente noi abbiamo col capitano la insegna della sua arme; quella noi la conduceremo in luogo che ne sarà fatto tale strazio, che gli verrà voglia d’esser nemico de’ Fiorentini, e daraccene più che non vorremo dipoi» (Stefani, 45.26).

La selezione dei luoghi offre un’idea sull’alternanza dei verbi introduttori, rappresentata

quasi unicamente dal binomio dire/rispondere, al passato remoto o all’imperfetto. La

forma rispondere, che compare qui solo nel passo (2) di Anonimo fiorentino, ha in realtà

una diffusione maggiore, concentrata nelle zone testuali che ospitano scambi dialogici:

siano questi di tipo diretto (disse:...Rispose:) o di tipo misto (disse che...Rispose:). I dialoghi,

talora di gusto novellistico, hanno una diffusione più limitata e si concentrano in quelle

cronache dove il livello di espressività narrativa è maggiore, come in Compagni e nei

Villani.

182

Nei passi sopra riportati, l’impiego del

DD

per l’espressione di contenuti

schiettamente narrativi è percepibile in pochi casi e in particolare nel Lenzi (1), (2), nei

Conviti e nelle Istorie pistolesi. In tutti gli altri esempi la citazione in forma diretta realizza

momenti di analisi e riflessione che puntano alla comprensione e al proseguimento

dell’azione narrativa. Se in contesti di altro tipo, come quello delle Consulte fiorentine

                                                                                                               

182 Per una considerazione sull’uso del dialogo in ambito cronachistico medievale cfr. COLUSSI (2014: 135-

37), con esempi dal Compagni e dal Villani. Una massiccia presenza di passi dialogici in forma diretta si trova anche nel Libro del Biadaiolo, da cui riporto questo passo: «Andate - dissono i detti Sei - a ser Villano nostro uficiale, e consilliatelo intorno a questo che detto v’abbiamo, il mellio che sapete». Allora andarono tutti dinanzi al detto uficiale e dissono: «Noi siamo qui dinanzi a voi: che vi piace per noi si faccia o dicha?». E ’l detto ser Villano disse: «Andiamo in chasa che staremo mellio e con pocho inpaccio» (Lenzi, 371.33). Risulta interessante notare la posizione intermedia e non iniziale del verbo introduttore, posto in forma parentetica all’interno della frase citata. Sulla funzione di questo tipo di cornice – qui di valore narrativo – ma che si presta alla resa di modalità evidenziali di tipo citativo, cfr. REYES (1994: 25- 37) e CALARESU (2004: 34-37).

studiato da Stefano Telve, l’uso del

DD

risponde anche alle «esigenze pragmatiche di una

scrittura compendiaria», nel caso delle cronache il modulo pare assumere funzionalità

non esclusivamente vòlte alla semplificazione.

183

L’uso del

DD

appare come l’attuazione

di una strategia narrativa in grado di offrire al cronista un luogo riflessivo da raggiungere

e dal quale ripartire. Un momento narrativo che spezzi il flusso del racconto. Messa da

parte la presunta fedeltà riportiva del modulo, emerge dal confronto tra i testi come

questa forma sia impiegata anche per contestualizzare la climax di una narrazione.

184

Una

tensione narrativa è così riscontrabile nell’aumento, nelle zone testuali a sinistra del

DD

,

del livello di complessità sintattica e in particolare nell’allineamento di subordinate

prolettiche o interposte alla principale (spesso rappresentata dall’azione verbale che

introduce la citazione). Anche in testi come quello del Compagni, caratterizzati da uno

sviluppo dei periodi generalmente paratattico, l’accumulo di subordinate prolettiche (o

interposte) coincide spesso con la presenza di un

DD

. Si veda qualche esempio:

Andando una vilia [vigilia] di san Giovanni l’Arti a offerere, come era usanza, e essendo i consoli innanzi, furono manomessi da certi grandi e battuti, dicendo loro: «Noi siamo quelli che demo la sconfitta in Campaldino, e voi ci avete rimossi degli ufici e onori della nostra città!» (Compagni, I.109).

Messer Lapo Salterelli, il quale molto temea il papa per l’aspro processo avea fatto contro a lui e per appoggiarsi co’ suoi avversari, pigliava la ringhiera, e biasimava i Signori dicendo: «Voi guastate Firenze! Fate l’uficio nuovo comune. Recate i confinati in città» (Compagni, 2.41).

I contrarii alla volontà del papa, non volendo più sostenere il fascio del cardinale né lasciare più abbarbicare la pace, feciono tanto con false parole, che rimossono il cardinale di Firenze, dicendogli: «Monsignore, anzi che andiate più avanti con la essecuzione della pace, fateci certi che Pistoia ubidisca: perché, faccendo noi pace e Pistoia rimanesse a’ nostri avversari, noi sarémo ingannati» (Compagni, 3.24).

                                                                                                               

183 Si veda l’osservazione di Stefano Telve: «Nella fattispecie testuale delle Consulte, la presenza del DD non

sembra però motivata solo da ragioni proprie del discorso oratorio (la sermocinatio) o, come sarebbe anche plausibile, da ragioni deontologiche che inviterebbero il trascrittore, di fronte ad espressioni particolarmente significative, a fare ricorso alla citazione in DD quale modalità della citazione ‘fedele’; ma anche, si direbbe, da esigenze di snellimento dell’ordito sintattico» (TELVE 2000: 59).

Giunto lo imperadore su uno crocicchio di due vie, che l’una menava a Milano, l’altra a Pavia, uno nobile cavaliere, chiamato messer Maffeo Visconti da Milano, alzò la mano e disse: «Signore, questa mano ti può dare e tòr Milano: vieni a Milano, dove sono gli amici miei, però che niuno ce la può tòrre; se vai verso Pavia, tu perdi Milano!» (Compagni, 203.29)

La presenza di una subordinazione più decisa nelle zone antistanti al

DD

è visibile anche

in altri testi, come a esempio nel Pieri o nell’Anonimo fiorentino, che si caratterizzano

per un livello ipotattico generalmente basso. Di séguito alcuni esempi:

Et i Pisani veggendo, che questo si facea per observare lo statuto, e 'l bando messo, et non per altro difetto, che fosse di costui trovato, fecero Ambasciadori, et grande, e ricca ambasceria ad pregare li Fiorentini, che ciò non fosse, et ancora gli pregaro per amore de la vittoria, che elli aveano avuta. Li Fiorentini non vogliendone loro servire, nè intenderne alcuna cosa, ma dicendo loro: voi avete ad judicare li vostri Pisani, et noi i nostri Fiorentini: fate de' vostri a vostro senno, che noi faremo de' nostri ad nostro. Allora i Pisani veggendo, che prego loro non giovava, dissero loro: Segnori Fiorentini noi non vi vogliamo forzare, che voi non facciate la Segnoria sopra il vostro, et de' vostri cittadini. E 'l pregare non ci ha luogo, dappoi che voi sete fermi di non servircene. Ma almeno di questo noi vi pur forzeremo, almeno che voi non lo impiccherete in sul nostro. Quando sarete ad Firenze, voi sete Segnori, faretene ad vostro senno. Et imperciò da parte del Comune di ciò fare vi vietiamo, et andaronsene. (Pieri 4.22).185

Giovedì a dì XXVIII di settembre ci ebe novelle chome quella gente del conte di Virtù era a Sareçana e volensene andare i·Lombardia, e come aveano quistione cholla gente sanese e perugina, perché volendosene andare chostoro diceano loro: «Riponetevi donde ci levasti», e choloro dicendo: «O chi rimette poi noi i·qua», e in questo era la quistione, ogniuno per paura di sé medesimo (Anonimo fiorentino 49.1).

Esempi di questo tipo tendono a confermare un uso funzionale del

DD

da parte dei

cronisti, vòlto alla creazione di piattaforme riflessive nelle quali il tempo della storia

coincide con il tempo della scrittura. Questo tipo di rallentamento, se da una parte

permette la gestione delle molte sfumature tematiche del discorso, innesca dall’altra un

aumento della velocità narrativa nelle zone che precedono la citazione.