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Come la deissi spaziale riguarda gli elementi relativi alla posizione del locutore, la deissi

temporale indica la distanza cronologica che intercorre tra un referente e il momento

dell’enunciazione. Questo tipo di deissi si realizza attraverso un ampio insieme di

espressioni, come, ad esempio, gli avverbiali (ora, ieri, oggi, domani), i sintagmi (fra tre mesi),

gli aggettivi temporali (prossimo, passato). Tra gli avverbi solo dianzi (‘poco fa’), indicando

un intervallo di tempo di poco anteriore rispetto al momento dell’enunciazione, è

                                                                                                               

146 Non sono a me noti casi di cambiamento di deissi relativi allo spostamento fisico del cronista fuori dal

«lessicalmente deittico», cioè è interpretabile solo con riferimento al momento

dell’enunciazione.

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Quest’ultima forma avverbiale non compare nei testi considerati,

come non si hanno attestazioni – fuori da contesti riportivi – delle forme ieri e domani.

Nell’ambito della deissi inerente, la forma avverbiale che più ricorre è oggi, secondo un

dispositivo che assume la valenza di una glossa al lettore. Il riferimento del locutore al

tempo in cui scrive ha finalità attualizzanti e fornisce un ragguaglio, per così dire currenti

calamo, necessario alla corretta comprensione del testo. Quest’impiego della forma è

fisiologicamente più attestato nei capitoli iniziali, in particolare in quelle cronache di tipo

universalistico che trattano anche di eventi molto lontani nel tempo. Una cronaca come

quella di Giovanni Villani, ad esempio, è ricca di usi simili, mentre il Compagni ne fa un

uso minore. La formula è comunque presente nella maggior parte delle cronache

considerate, come si vede dagli esempi che seguono:

E oltre agli altri, messer Andrea e messer Aldobrando da Cerreto, che oggi si chiamano Cerretani (Compagni, 2.23).

[...] e però che era chiamata lupa, onde al dì d’oggi si chiamano i bordelli lupanari (Libro fiesolano, 47.23).

[...] e poi si volge verso settentrione il mare detto seno Adriatico, chiamato oggi golfo di Vinegia (G. Villani, 1.5 8.21).

Ormanni che abitavano ov’è oggi il detto palagio del popolo, e chiamansi oggi Foraboschi (G. Villani, 5.13 182.11).

E fu el principio molto grande del circhuito delle mura, e veduto che sarebbe stato una grande spesa al chomuno di Siena, si fece poi più piccolo, e come si vede oggi (Cronaca senese, 77.14).

[...] el chomuno fece fare el palazzo di Malcucinato, el quale si chiama oggi la sala del chonseglio e ine sotto feceno la prigione chome voi vedete (Cronaca senese, 142.10).

[...] e vennesene ad assedio alla nobile e antica città oggi chiamata Dometico (M. Villani, 10.78 554.5)

[...] e comperarono il terreno dove è il palagio oggi in Via Maggio (Velluti, 7.23).

[...] e poi si partì ed andonne per fare più aspra penitenzia nel luogo dove è oggi la Badia di Vallombrosa (Stefani, 21.33).

Questi usi sono tipici della scrittura storica e rispondono a una strategia discorsiva di

attualizzazione dell’informazione che prevede il ricorso a moduli stereotipati. Si

caratterizzano, oltre che per la presenza del deittico temporale, anche per l’uso del

                                                                                                               

tempo presente e per il loro ricorrere in maniera parentetica nel flusso narrativo. La

forma oggi assume nei testi anche un valore diverso e solo apparentemente deittico,

come si vede negli esempi che seguono:

E in questo modo si vendé oggi il detto grano, e poi più d’uno mese, porgendo la mazza l’uno a l’altro e ricevendo i danari e dando il grano (Lenzi, 382.33).

Stasera ci ebe novelle come aveano passato Arno a Fucechio, e·lla gente nostra senpre alle coste e gran zuffa feciono su l’Arno (Anonimo fiorentino, 46.59).

Staseraci è aute novelle come la gente del conte detto che venne di Lonbardia si torna i·Lonbardia, e la gente de’ sanesi e de’ perugini si torna versso Siena (Anonimo fiorentino, 49.19).

Et quivi fu oggi, a dì 5 di dicienbre 1355, misser lo chapitano et missere lo podestà e singniori anziani cholla maggior parte de’ ciptadini di Pisa tucti raghunati (Sardo, 100.5)

Per la qual chosa oggi, mercholedì a dì 3 di gungnio, si mandò alla dicta chonpangnia f. 6500 d’oro (Sardo, 249.11).

Nel primo esempio dal Libro del Biadaiolo, l’uso di oggi è di tipo anaforico e la pro-forma è

collocata nella rubrica di apertura della sequenza narrativa: «Ottobre grano

MCCCXXVIIIJ

.

/ Giovedì, a dì

XXVJ

del detto mese d’ottobre».

148

Come si è visto si tratta di un testo

che presenta una solida scansione cronologica, non solo per anno ma anche per mese e

giorno. In un contesto di questo tipo il riferimento cronodeittico rinvia al momento

indicato dalla rubrica. Allo stesso modo, la stretta suddivisione diaristica permette ad

Anonimo fiorentino l’uso – anch’esso anaforico – della forma stasera. Si tratta, anche in

questo caso, di un procedimento narrativo vòlto alla resa di una simultaneità apparente

tra il tempo della storia e il momento della scrittura. La funzione di ripresa sintattica e

non di deittico dell’avverbiale è suggerita anche dal tempo passato dei verbi. Nella

                                                                                                               

148 All’interno del testo del Biadaiolo possono individuarsi tre tipologie di rubriche: 1) data + tipo di

frumento + formula che precede l’elenco dei prezzi (175 Gennaio grano mcccxxj / Ora chomincia ogni dì a rrincharare così il grano chome la biada 175); 2) rubriche d’indicazione (160 Piero Guillielmi da Montesanto i’ lluogho di vichario per lo re Uberto per lo mese di lullio e d’agosto; 162 Messer Giovanni da Sassoferrato vichario per lo re Uberto per quattro mesi, cominciati in chalendi di settembre; 174 Messer Ubertino de Sala da Brescia, podestà per vj mesi: cominciorono in chalendi gennaio mcccxxj.); 3) titolo + indicazione del contenuto che segue (159 Il modo del presente libro e chome s’intenda quello che scritto è; 279 Come furono chiamati i Sei nel mcccxxviij; 294 Come i Sei facevano vendere per lo comune: aprile mcccxxviiij).

Cronica di Pisa di Ranieri Sardo, oggi ha invece un valore cataforico e anticipa la data di

riferimento, secondo un modulo di registrazione documentaria di derivazione notarile e

giuridico-amministrativo.

Il piano del discorso, sul quale può attivarsi la deissi inerente, ha soprattutto nel presente

e nel futuro i suoi due tempi fondamentali ma non mancano usi di avverbiali temporali

non deittici in frasi al tempo presente.

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Si vedano alcuni esempi dalle Istorie pistolesi:

Ora stanno ciascuna parte a guardia, e l’uno si guardava dall’altro; e più volte l’uno casato de’ Pistolesi conbatteva con l’altro (Istorie pistolesi, 10)

Ora rimane la signoria della città e contado di Pistoia alla parte Bianca, e quella menano molto aspramente e con gran rigidezza; ed in quel tempo era Papa il Papa Bonifazio; e M. Corso Donati, lo quale la parte bianca di Firenze avea cacciato, si trovò a quel tempo nella città di Roma (Istorie pistolesi, 22).

Ora si riforma la terra di nuovi Priori, tutti quasi del popolo minuto (Istorie pistolesi, 358).

Il valore stilistico di questi passi si avverte anche nel passaggio dal presente storico

all’imperfetto descrittivo, ai perfetti narrativi. Si tratta di un dispositivo retorico che

offre maggiore espressività al flusso narrativo, e ricorda le costruzioni ora + verbo

(percettivo) delle ekphrasis di Anonimo romano.

150

Questo tipo di avverbio e il cambio

dei tempi verbali (l’uso del presente), entrambi elementi tipici della cornice discorsiva,

possono rappresentare – stando all’ipotesi di Suzanne Fleischman – un espediente di

coesione testuale e di segnalazione delle relazioni logico-temporali che la diffusa

paratassi del dettato in epoca medievale non riesce a rendere esplicita.

151

                                                                                                               

149 Cfr. quanto scrive É. Benveniste: «L’enunciazione storica comporta tre tempi: l’aoristo (= passato

remoto), l’imperfetto (ivi compresa la forma in -rait, «-rebbe», chiamata condizionale), il piuccheperfetto (= trapassato prossimo)», e più avanti: «i tre tempi fondamentali del discorso [sono]: presente, futuro, e perfetto, tutti e tre esclusi dalla narrazione storica (salvo il piuccheperfetto). Comune ai due piani è l’imperfetto», BENVENISTE (1971: 285, 288).

150 Si vedano due esempi dalla Cronica di Anonimo romano: «Quella fu la via che li campao. Ora se aiza la

terza» (Anonimo Romano, 3, 18.10); «Là erano schierati li sollati e l’aitre iente. Ora vedese currere de cavalli» (Anonimo romano, 3, 16.10); sull’espressività di Anonimo romano cfr. TANTURLI (1980: 86), ANSELMI (1981: 16), SEIBT (2000), GUALDO (2013: 156-162). Sulla «flessibilità e polivalenza» dell’avverbio ora in italiano, cfr. MORTARA GARAVELLI (1985: 132).