193 Sul fenomeno cfr. TELVE (2000b: 60-62). 194 Cfr. Ivi, cit. p. 62.
195 In relazione al testo villaniano si consideri la nota di Gianluca Colella: «Nella Cronica di Giovanni
Villani le occorrenze di DD e DI si equivalgono, ma il DI si ritrova con più alta frequenza nei capitoli in cui l’autore narra eventi a lui vicini: tale circostanza sembra indicare che, in determinati generi, il DI risponde a una maggiore personalizzazione del testo» (COLELLA 2012b: 534).
Come si è già accennato all’inizio del capitolo, con discorso misto (
DM) si intendono
forme di
DRibride, che presentano elementi riconducibili sia all’ambito del
DDsia a
quello del
DI. Questo tipo di definizione cerca di superare alcune controverse prassi di
etichettatura che risultano, in particolare per l’italiano antico, scarsamente
economiche.
196Si tratta, in generale, di strutture citazionali più libere che, non
rispettando la consueta grammatica del
DR, generano enunciati di difficile classificazione.
Anche nei testi cronachistici considerati possono rintracciarsi casi di slittamento da un
tipo di
DRa un altro, nella fattispecie nel passaggio – potremmo dire naturaliter – dal
DIal
DD. Tenendo conto dell’incerto statuto della prassi interpuntoria del tempo, di norma
modernizzata dagli editori moderni, risulta inutile l’impiego di etichette troppo rigide,
che rischiano di produrre tipi di discorso troppo analitici. Come è stato notato da
Stefano Telve per l’eterogeneità delle strutture del
DI, l’attenzione per la «tenuta
sintattico-semantica ad ampio raggio» è messa dai cronisti in secondo piano rispetto alla
segnalazione dello scarto enunciativo: «si privilegia insomma la distinzione dei piani
discorsivi e il carattere della citazione come macroenunciato con mezzi selezionati
‘localmente’».
197Analizzando il fenomeno fuori dal piano sintattico e in ottica
pragmatico-funzionale, potremmo dire che le forme miste del
DRrispondono a finalità
narrative che puntano alla resa dell’immediatezza e dell’espressività.
198Si vedano alcuni
esempi rintracciati in Dino Compagni, Ranieri Sardo e Domenico Lenzi:
- Dino Compagni:
(1) Il che sentendo gli Uberti, nobilissima famiglia e potenti, e suoi parenti, dissono [Ø] voleano [Ø] fusse morto, ché «così fia grande l’odio della morte come delle ferite: cosa fatta capo ha!» (Compagni, I.9).
(2) E fu il dicitore messer Berto Frescobaldi, e disse come i cani del popolo aveano tolti loro gli onori e gli ufici, e non osavano entrare in Palagio; i loro piati non possono sollicitare; «se battiamo uno nostro fante, siamo disfatti: e pertanto, signori, io consiglio che
196 Oltre ai riferimenti già citati in apertura, per il “discorso semidiretto” (DSD) cfr. FERRARESI –
GOLDBACH (2010: 1335), per il “discorso diretto subordinato” (DDS) cfr. COLELLA (2012b: 527-530), per il “discorso indiretto libero” (DIL) e il “discorso diretto libero” (DDL) cfr. CALARESU (2004: 28-30).
197 Cfr. TELVE (2000b: 87).
198 Cfr. MARNETTE (2005: 183); sul fenomeno in francese antico cfr. MEILLER (1966: 363), BRUÑA-
noi usciamo di questa servitù; prendiam l’arme, e corriamo sulla piazza; uccidiamo amici e nemici, di popolo, quanti noi ne troviamo, sì che già mai noi né nostri figliuoli non siamo da loro soggiogati» (Compagni, I.72).199
(3) Quelli che sapeano la strettezza della vittuaglia aveano duri partiti; e il loro pensiero era tenersi fino all’estremo, e allora dirlo al popolo, e armarsi tutti, come disperati gittarsi co’ ferri in mano adosso a’ nimici, e «o noi morremo per niente, o forse mancherà loro il cuore e nasconderannosi e gitteransi in fuga o in altri vili rimedi» (Compagni, 3.89).
(4) E posevi l’assedio, perché così fu consigliato: ch’ella non si potea tenere, perché non erano proveduti di vittuaglia e erano nella fine della ricolta, e «veggendo il campo posto, la gente si arrenderà tosto; e se tu la lasci, tutta Lombardia è perduta, e tutti i tuoi contrarii quivi faranno nidio; e questa fia vettoria da fare tutti gli altri temere» (Compagni, 3.160).
- Ranieri Sardo:
(5) Infine si prese lo dicto di misser Ghuido: che gli anziani abbino piena balia di fare di questa inbasciata quello che a lloro piacierà (Sardo, 100.19).
(6) Innanzi che llo inperadore si partissi di Siena si fe’ uno chonsiglio, martedì sera, a ore due di nocte, ciò è, che tucta la parte de’ raspanti andorono al chapitano che cci era per l’inperadore a ddirgli ch’eglino potevano dare meglio all’inperadore che non poteva sere Beninchasa lo quale dissono che era andato a Montefiascone allo inperadore et: «se cciò volete vedere, fate chosì: mandate missere Ghualtieri inn anzianathico et dite che faccia sonare al priore, e vederete lo facto» (Sardo, 119.10).
(7) Di che lo chapitano della ghuera, ciò è, Giovanni Aghuti inghilese, con tucta sua gente et tucta la masnada di Pisa da pie’ e da chavallo, uscì fuori di Pisa, sonato terza, assai isfrenatamente, pocho ordinata, et raghunaronsi a chasa del chapitano, e di poi quivi si fecie li pacti cholla masnada: se noi schonfigiessimo li nimici avessino pagha doppia et mese per chonpiuto (Sardo, 157.10).
- Domenico Lenzi:
(8) E ciaschuno dicea e mormorava l’uno coll’altro che si vorrebbe andare alle chase di questi ladri ch’ànno il grano, che cci fanno morire di fame e ucciderli tutti quanti (Lenzi, 297.18).
199 L’espressione parentetica: «i loro piati non possono sollicitare», vale ‘procurare di accelerare le loro
In (1) a un
DIintrodotto da dissono, con doppia ellissi del che completivo, segue un
enunciato in forma diretta, indicato dallo scarto del tempo verbale che passa
dall’imperfetto (voleano + passato), al futuro (fia ‘sarà’).
200L’inserimento da parte
dell’editore moderno delle virgolette dopo il ché finale, motivato anche dalla presenza
della frase finale, suggerisce l’interpretazione dell’enunciato come un
DDS(discorso
diretto subordinato). In (2) e (3) il passaggio al
DDè più visibile e riguarda lo
spostamento del centro deittico verbale e pronominale. Anche nell’esempio (4) è lo
scarto del centro deittico a segnalare l’avvenuto passaggio dal
DIal
DD: si noti la
funzione del modulo all’interno dell’economia narrativa, simile al procedimento già visto
sopra in (8). Il passaggio al
DDpermette in (4) non solo una maggiore resa espressiva,
ma anche una maggiore libertà discorsiva, in grado di dare conto – nell’ambito topico
del consiglio – di scenari ipotetici più dettagliati e di perseguire un atto interpretativo. In
(5) siamo in presenza di un consueto
DDintrodotto secondo il sistema della sententia e
marcato dall’editore moderno dai soli due punti (senza virgolette e senza lettera
maiuscola iniziale). Questo elemento può generare un’iniziale incertezza, motivata anche
dal tipo di frase citante (lo dicto di misser Ghuido) che risulta simile alle strutture
introduttive tipiche del
DI. La natura esclamativa del che iniziale, i tempi verbali e la
presenza di elementi deittici (questa) rendono però l’enunciato facilmente classificabile.
In (6) il passaggio dal
DIal
DDavviene naturaliter, segnalato dagli elementi deittici della
persona del verbo. Come nell’esempio (4) del Compagni, la libertà discorsiva offerta al
cronista dal
DDpermette l’attuazione di un procedimento interpretativo di tipo
ipotetico, funzionale allo svolgimento della narrazione. In (7) il
DD, segnalato dallo
scarto del centro deittico, è introdotto da una struttura composta, formata dall'esito
impersonale del verbo di dire e da un elemento nominale. Nell’ultimo esempio del Lenzi
(8), l’interferenza dei piani enunciativi avviene in forma parentetica. All’interno di un
enunciato espresso in forma indiretta compare in inciso un’enunciazione di tipo diretto,
che sembra aprirsi e richiudersi prima della fine della citazione. La citazione diretta (che
cci fanno morire di fame) presenta riferimenti temporali e deittici al piano indicale di L
1,
sebbene una spia dell’incertezza nella resa indiretta dell’enunciato sia rappresentata
dall’uso del dimostrativo (questi).
200 Sulla presenza, nella Cronica del Compagni, di fenomeni morfologici e sintattici tipici del fiorentino
Capitolo VI
Strutture della narrazione
1. Premessa
Quando si ragiona sui testi cronachistici in una prospettiva di genere si deve
necessariamente tenere conto anche della componente narrativa della loro struttura
formale. Nei termini ampi della linguistica testuale la cronaca medievale, così come la
produzione storiografica tout court, è classificabile (anche) come un testo di tipo
narrativo, indipendentemente dall’approccio teorico impiegato per la categorizzazione,
sia questo strutturale, funzionale, cognitivo o comunicativo.
201Prendendo come modello
il criterio pragmatico-funzionale, ad esempio, il testo narrativo può essere definito come
il «risultato di un macroatto di narrazione che consiste nel costruire il corrispondente
linguistico di un evento (processo o azione) o di una serie di eventi tra loro collegati, la
cui conoscenza si vuole trasmettere a un destinatario»; definizione quest’ultima che
perimetra un’area testuale entro la quale si colloca anche la scrittura cronachistica.
202La
funzione pragmatica di tipo narrativo, tuttavia, seleziona testi anche formalmente
eterogenei tra loro, caratterizzati da livelli di letterarietà diversi e che vanno, ad esempio,
dalle scritture di tipo storiografico fino alle produzioni afferenti all’ambito della prosa
d’arte. L’area funzionale raccoglie in sé testi, o gruppi di testi, che attuano la loro finalità
narrativa in modo diverso, secondo moduli e strutture che da una parte traggono origine
da modelli di riferimento definiti e dall’altra rispondono a stimoli illocutivi spesso di
carattere locale. In particolare, il testo cronachistico, pur collocandosi – dal punto di
vista dell’origine strutturale – in una posizione di confluenza (nella quale convergono
diverse tradizioni scrittorie), presenta impulsi funzionali ben definiti che obbligano il
201 Sulle classificazioni tipologiche si vedano: per l’approccio strutturale SANDING (1972), per quello
funzionale MORTARA GARAVELLI (1988) e DE BEAUGRANDE –DRESSLER (1981),per quello cognitivo WERLICH (1975 e 1976), per l’approccio comunicativo SABATINI (1999). Sugli usi terminologici poco condivisi si vedano FERRARI –MANZOTTI (2002) e ADAMZIK (2008). In generale si vedano PALERMO
(2013) e FERRARI (2014).
202 Cfr. ROGGIA (2011: cit. p. 1478). Ragionando sulla questione e in particolare sul rapporto tra forma
narrativa dell'esposizione storica e spinta oggettivante della rappresentazione stessa, Emanuela Scarano parla di «aporia insita nella convenzione istituzionale del genere» (SCARANO 2004: 5).
vettore narrativo a declinarsi attraverso gli snodi tematici forniti dalle caratteristiche dei
materiali narrati. Il contenuto storiografico è formato da una materia che preesiste alla
cronaca e può essere interessante indagarne le forme che ne consentono la narrazione.
203Già Cesare Segre aveva definito «grigia» l’attività letteraria dei primi cronisti toscani del
Duecento, suggerendo di sfuggita, all’interno di una veloce ricognizione sui principali
motivi culturali in atto nel XIII secolo italiano, la presenza di un problema di
classificazione.
204Non a caso nel successivo evolversi degli studi sulla prosa antica è
stata avvertita la necessità di elaborare una categoria nuova, in grado di tenere conto
delle particolarità formali di alcuni gruppi di testi.
205Il riferimento è all’ambito della
“prosa media” introdotto da Dardano che, com’è noto, comprende settori particolari
della prosa antica come i «volgarizzamenti», alcuni «scritti di carattere edificante» e la
«produzione cronachistica in genere».
206La cronaca medievale può dunque essere
definita come un testo narrativo in stile “medio”, caratterizzato da elementi ricorrenti
come il prevalere della paratassi, la brevità dei periodi, le ripetizioni a breve distanza
delle stesse parole e la presenza di formule narrative.
207Questa fisionomia tratteggiata da
Dardano può farsi più nitida con l’aggiunta di alcune «costanti fisiologiche»
recentemente individuate da Riccardo Gualdo per le più antiche cronache toscane in
volgare, come la «scansione temporale e causale degli eventi, il loro tendenziale disporsi
in sequenze progressive, la ripetitività di alcuni nuclei tematici (guerre, battaglie, successi
e sconfitte di personaggi illustri, eventi naturali che sconvolgono il corso della storia)».
208203 Cfr. PALERMO (2013: 252): «[...] si fa riferimento alla categoria di genere ogniqualvolta in una
determinata cultura si consolida una tradizione che attribuisce a determinate produzioni una relativa stabilità di caratteristiche formali».
204 Cfr. SEGRE (1963: 15).
205 Per la seconda metà del Duecento Segre aveva censito i seguenti tipi di prosa: «una prosa didattica,
scientifica o morale, priva di ambizioni stilistiche; una prosa narrativa, per lo più monotona e convenzionale, se si fa eccezione per la vivace brevità del Novellino; una prosa giuridico-politica, elaborata secondo le norme dei dettatori; la prosa eloquente di Guittone, mirabile ma infeconda nelle sue audacie» (SEGRE 1968: XXVII).
206 Cfr. DARDANO –TRIFONE (1995: 17); sulla definizione di “prosa media” cfr. anche DARDANO (1969:
10) e (1992: 5-35).
207 Cfr. DARDANO –TRIFONE (1995:17).
208 Per la narrazione storiografica, Riccardo Gualdo individua due grandi filoni, «che si contaminano e
s’intersecano vicendevolmente: un primo che confonde narrazione e documentazione, storia e mito, in un complesso intreccio di modelli classici e medievali, questi ultimi soprattutto derivati dalla cultura di corte