2. Il discorso diretto ( DD )
2.2 Discorso diretto con L 1 collettivo
Il
DDviene utilizzato dai cronisti anche per riportare discorsi attribuiti a una pluralità di
soggetti o a un soggetto plurale in genere. A differenza delle formule esclamative viste in
precedenza, in cui l’indefinitezza di L
1indica spesso un gruppo di parlanti molto
numeroso («il popolo», «la gente», «i poveri», «gli avversari», ecc.), questo tipo di impiego
del
DDriporta enunciazioni riferibili a gruppi più specifici e meno indefiniti. Seguendo
una classificazione proposta da Emilia Calaresu, si possono individuare, anche per gli usi
cronachistici del fenomeno, almeno due situazioni generali di attivazione: a) quando si
cerca di veicolare sinteticamente più discorsi di più fonti che, però, per il cronista,
assommano a un unico discorso unitario per funzione, scopo o effetti; b) quando si
cerca di caratterizzare sinteticamente un gruppo di persone come esprimente un unico
atteggiamento o attitudine nei confronti del parlante.
176In casi come questi, la scelta del
DD
non è motivata unicamente in ragione della sua maggiore disponibilità sintattica
rispetto al
DI. Si tratta di enunciati medio-brevi che, in riferimento a un soggetto
collettivo unico («i savi», «i grandi», ecc.), non avrebbero innescato, se resi in forma
indiretta, procedimenti di subordinazione complessi. L’impiego del
DD, con la sua
marcata espressività, è da mettere in relazione con l’habitus mentale dei cronisti che,
175 In generale, per offrire un quadro delle occorrenze di questa forma verbale, considerata anche quando
non svolga una funzione prettamente introduttiva di DR, si hanno i seguenti indici di frequenza (per i testi presenti nel TLIO): gerundio (gridando) 123 occorrenze di cui Pieri (4), Compagni (2), Lenzi (5), Ricordanze (2), Cronaca senese (2), Velluti (3), Stefani (19), e il resto tra Giovanni e Matteo Villani; imperfetto (gridavano) 16 occorrenze di cui Compagni (1), Lenzi (3), Cronaca senese (5), M. Villani (2), Stefani (4), Sardo (1); passato remoto (gridarono) 11 occorrenze di cui Compagni (1), G. Villani (2), M. Villani (2), Stefani (5), Sardo (1); participio passato (gridato) 4 occorrenze di cui Conviti (1), Lenzi (1), Stefani (2).
176 La classificazione di E. Calaresu evidenzia tre casi, e punta alla ricerca dei “fenomeni-spia”
dell’infedeltà del DD nel parlato conversazionale. È ovvio che dal punto di vista mimetico-enunciativo questo uso del DD prevedrebbe un’improbabile produzione corale del discorso (cfr. CALARESU 2004: 54). Cfr. anche TANNEN (1989), MAYES (1990), GÜNTHNER (1997a e 1997b).
come è noto, percepivano la realtà cittadina come un organismo politico la cui unità
minima era rappresentata dalla parte, dalla fazione. Dal punto di vista testuale vengono a
crearsi opinioni discrete che collegano in maniera più visibile la situazione enunciativa al
relativo ambiente di produzione. Di séguito alcuni esempi (in grassetto il verbo
introduttore, in corsivo l’entità L
1):
- Paolino Pieri:
(1) Li fiorentini, non volglendole loro servire né intenderne alcuna cosa, ma dicendo loro: «Voi avete ad iudicare li vostri pisani et noi i nostri fiorentini. Fate de’ vostri ad vostro senno che noi faremo de’ nostri ad nostro» (Pieri, 8.14).
(2) Allora i pisani, veggendo che prego loro non giovava, dissero loro: «Sengnori fiorentini, noi non vogliamo [...] inperciò da parte del comune di ciò fare vi vietiamo» (Pieri, 8.16).
- Dino Compagni:
(1) Onde i grandi fortemente si doleano delle leggi, e alli essecutori d’esse diceano: «Uno caval corre, e dà della coda nel viso a uno popolano; o in una calca uno darà di petto sanza malizia a uno altro; o più fanciulli di piccola età verranno a quistione; gli uomini gli accuseranno: debbano però costoro per sì piccola cosa esser disfatti?» (Compagni, I.58).
(2) Molti ordini dierono per uccidere il detto Giano, dicendo: «Percosso il pastore, fiano disperse le pecore» (Compagni, I.63).
(3) E’ disson: «Egli è giusto: mettianli innanzi le rie opere de beccai, che sono uomini malferaci e maldisposti» (Compagni, I.63).
(4) Ma i savi uomini diceano: «E’ sono mercatanti, e naturalmente sono vili; e i lor nimici sono maestri di guerra e crudeli uomini» (Compagni, I.142).
(5) I seminatori degli scandali li diceano: «Signore, non entrare in Pistoia, perché e’ ti prenderanno, però ch’eglino hanno la città segretamente armata, e sono uomini di grande ardire e nimici della casa di Francia» (Compagni, 2.7).
(6) I Guelfi neri sopra ciò si consigliarono, e stimarono per queste parole che li imbasciadori fussono d’accordo col papa, dicendo: «Se sono d’accordo, noi siamo vacanti». Pensarono di stare a vedere che consiglio i priori prendessono, dicendo: «Se prendono il no, noi siam morti; se pigliano il sì, pigliamo noi i ferri, sì che da loro abbiamo quello che avere se ne può» (Compagni, 2.48).
(7) Li Spini diceano alli Scali: «Deh, perché facciamo noi così? Noi siamo pure amici e parenti, e tutti guelfi; noi non abbiamo altra intenzione che di levarci la catena di collo, che tiene il popolo a voi e a noi: e saremo maggiori che noi non siamo. Mercé, per Dio! Siamo una cosa, come noi dovemo essere!» (Compagni, 2.70).
(8) La falsa fama l’acusava a torto: i Ghibellini diceano: «E’ non vuole vedere se non Guelfi»; e i Guelfi diceano: «E’ non accoglie se non Ghibellini» (Compagni, 3.144). (9) I cittadini di parte nera parlavano sopramano, dicendo: «Noi abbiamo il signore in casa;
il papa è nostro protettore. Gli avversari nostri non sono guerniti né da guerra né da pace: danari non hanno, i soldati non sono pagati» (Compagni, 2.61).
- Giovanni e Matteo Villani:
(1) Essendo aringate le battaglie dell’una parte e dell’altra per combattere, messer Gian di Burlas, e messer Simone di Piemonte, e Bonifazio, capitani di soldati e balestrieri forestieri, molto savi e costumati di guerra, furono al conastabole e dissono: «Sire, per Dio lasciamo vincere questa disperata gente e popolo di Fiaminghi sanza volere mettere a pericolo il fiore della cavalleria del mondo. Noi conosciamo i costumi de’ Fiaminghi: e’ sono usciti di Coltrai come disperati d’ogni salute, o per combattere o per fuggirsi, e sono acampati di fuori, e lasciato nella terra i loro poveri arnesi e vivanda. Voi starete schierati co la vostra cavalleria, e noi co’ nostri soldati che sono usi di fare assalti e correrie, e co’ nostri balestrieri, e cogli altri pedoni, che n’avemo due cotanti di loro, enterremo tra loro e la terra di Coltrai, e gli assaliremo da più parti, e terregli in badalucchi e scheremugi gran parte del dì. I Fiaminghi sono di grande pasto, e tutto dì sono usi di mangiare e bere; tegnendoli noi in bistento e digiuni, gli straccheremo, e non potranno durare, perché non si potranno rinfrescare; si partiranno del campo a rotta da lloro schiere, e come voi vedrete ciò, spronate loro adosso con vostra cavalleria, e avrete la vittoria sanza periglio di vostra gente» (G. Villani, 9.56 97.25). (2) Per la qual cosa alquanti di loro, e no· de’ minori, s’acostarono all’altro fratello ch’era di
meno giorni, cioè d’età di X anni, il quale era oltre a cquello che tale età richiedea e intendente e astuto: e il suo nome era Bestiezti, e a llui dissono: «Quando il padre tuo fu fatto re, per potere regnare sanza sospetto de’ suoi fratelli, a XXV fece tagliare la testa, e così pensa che tuo fratello farà a tte; e però, se vogli seguire nostro consiglio, noi ti faremo re colla nostra potenzia, se ttu ci prometti di fare morire lui. La cagione di questo fu che dicea che ’ baroni no· guidavano bene i fatti de· reame» (M. Villani, 8.100 262.7).
(1) Trasorvi e’ ghuelfi e nollo lascioro, dicendo al Podestà: «Voi siete ghibelino e volete vendicare i ghibelini sopra il sanghue de’ ghuelfi» (Anonimo fiorentino, 5.100). (2) [...] voleano che’ Signiori gli acomiatassoro, dicendo: «S’e’ Signiori ci diranno che noi
ce ne andiamo, noi ce n’anderemo» (Anonimo fiorentino, 5.204).
- Domenico Lenzi:
(1) Et la gente de’ comperatori era grande e tanta che non sarebbe tocchato per uno u’ mezzo staio: e cominciorono a borbottare e a dire l’uno contro l’altro: «Questi merchatanti sono coloro che amettono il charo e si vorrebbono tutti uccidere e rubagli» (Lenzi, 293.1).
(2) Quando il grano fu venduto, tutti coloro ch’erano rimasi che non n’aveano avuto del grano, faceano grande pianto e diceano: «O me dolente, la mia vita! Io mi chredea essere fuori del caro e ora non posso averne» (Lenzi, 366.7).
(3) Molta gente v’ebbe questo dì che del grano non potero avere, anzi n’andarono piangendo e ramarichando, dicendo: «A! Idio, or che non ci ucidi anzi che farci morire di fame? Sempre morti ci ami» (Lenzi, 367.2).
(4) Lamentandosi fortemente e’ diceano: «Ove andremo oggi mai o per biada o per grano, che non ci à biadaiuolo in Firenze che n’osi vendere per paura del bando? Così ci faranno questi ladroni morire di fame» (Lenzi, 377.12).
(5) Questo dì fu bene il terzo della gente che non n’ebe, anzi stavano tutti coloro che non n’aveano avuto piangendo e pregando i Sei e dicendo ad alte boci: «Signori, fateci dare del grano per l’amore di Dio, ché noi nonn abbiamo lasciato a casa a le famillie nostre pane, né pocho né assai» (Lenzi, 379.10).
(6) Mormorando dicevano: «Come faremo noi essendo sì charo il grano e àccene così pocho, ed essere ora la ricolta, quando e’ verrà più inanzi e non se ne troverà granello?» (Lenzi, 380.24).
- Istorie pistolesi:
(1) Molti di loro dissono: Anzi che noi c’arrendiamo per morti, mettianci a disperazione, e una notte a nostra posta percotiamo dall’un lato del campo, e nè tutti camperemo, nè tutti morremo (Istorie pistolesi, 40).
(2) Onde gli Cristiani, vedendosi a tanto pericolo, cominciarono tutti, per spirazione di Dio, a gridare a una voce: O dolcissimo Figliuolo della Verigine Maria, che volesti per ricomperarci essere crocifisso, dacci ferma fede, e conferma gli nostri cuori a te, affinechè possiamo per lo tuo Nome santissimo sostenere la palma del martirio in
pace, perocchè noi non ci possiamo più difendere da questi cani Tartari: e così gridando e orando, aspettavano la morte (Istorie pistolesi, 385).
- Ranieri Sardo:
(1) [...] e lo dì stesso // due anziani di Pisa cho’ rectori di Luccha, et cho’ lloro molti cittadini di Pisa, andaro a pportare le chiavi delle porti et delle fortezze di Lucca diciendo: «Singniore, eccho le chiavi della vostra città!», et degli [sic] le prese et poi disse agli anziani chome suoi vichari le serbassino et tenessino alla sua divotione (Sardo, 108.15).
(2) Di che lo dicto disse s’egli erano chontenti che Pisa fusse libera dello inperadore. Dissono del si. Poi Masino Aiutamicristo et Cieccho Agliata disse a misser Ghualtieri: «Dite a Piero Ghanbachorta che mandi suso a sonare voi» (Sardo, 120.1).
- Marchionne di Coppo Stefani:
(1) I savi ingannarono gli altri, e dissero: «Egli è meglio avere cominciato ad alcuno, e vedere quel che se ne dice; noi abbiamo ancora tutto aprile balìa; a torre tanti, quanti questi sono, potrebbe generare scandalo, perocché v’è d’ogni famiglia» (Stefani, 282.18).
(2) Di che così trascinandosi, li Catalani, temendo lo popolo non lo togliesse loro [messer Corso], per ubbidire a’ Signori dissono: «Innanzi che eglino lo ci tolghino, e’ l’aranno morto» (Stefani, 101.24).
Come si vede dagli esempi, dal punto di vista linguistico la presenza del verbo dire (al
gerundio o al passato remoto) è quasi esclusiva. Fanno eccezione pochi passi del Libro
del Biadaiolo del Lenzi, in cui a dire, introduttore effettivo del DD, è associata una forma
verbale più espressiva che contiene informazioni sulla prosodia del discorso originario:
in (1) borbottare e dire e in (6) mormorando dicevano. Solo nell’esempio (2) delle Istorie pistolesi
il verbo di dire è assente, sostituito da una struttura composta dal verbo cominciare
(comuni in altre cronache anche iniziare, continuare, seguitare) + infinito (cominciarono a
gridare). Si noti, ancora per l’es. (2) delle Istorie pistolesi, l’indicazione a una voce che segue
l’infinito. Si tratta di un uso già visto in Compagni (gli avversari di messer Corso gridarono a
una voce, I.76) e presente anche nello Stefani (Subito a una boce gridarono: «S’egli ce lo reca, sia
tagliato a pezzi», 330.15), che può essere considerato come un tentativo di rafforzare la
un’enunciazione prodotta all’unisono da un gruppo di parlanti, pare comparire solo in
presenza del verbo gridare e indica, nel suo scarso ricorrere, la consapevolezza da parte
dei cronisti di servirsi, in tutti gli altri casi, di un tipo di
DDfittivo e diegetico, funzionale
alle strategie narrative e testuali già emerse. L’importanza dell’effetto espressivo e della
portata tematica dell’enunciazione collettiva, non solo va a scapito della verosimiglianza
della riproduzione, ma anche della tenuta grammaticale. Nell’esempio (2) di Ranieri
Sardo, il mancato accordo tra il soggetto plurale e il verbo singolare, lascia intendere
come, anche per il
DD(e non solo per il
DI) la priorità del cronista stia nella segnalazione
dello scarto enunciativo, più che nella tenuta sintattica dei periodi.
177Se la maggior parte
degli esempi riportati rientra nelle due categorie proposte in apertura di paragrafo, un
tipo diverso è rintracciabile nel passo (6) della Cronica del Compagni. Si tratta di un
DDche riporta un discorso originario che consiste in un atto di pensiero e non di parola:
una funzione del
DRdi origine classica, che serve al cronista per «interpretare le
motivazioni psicologiche sottostanti al corso degli eventi».
178L’elemento introduttore è il
verbo dire, preceduto da verbi epistemici come consigliare (riflessivo), stimare e pensare.
Anche in questo caso, l’occorrenza di un
DDche cita un pensiero collettivo e non parole
altrui, può essere considerata come una spia dell’infedeltà del
DD, impiegato dal cronista
con funzione narrativa di supporto e necessario allo svolgimento del racconto storico.
179In Compagni, l’uso del
DDè impiegato altrove anche nella resa del pensiero dell’autore,
secondo un meccanismo di autocitazione diffuso in tutta la Cronica. Di séguito
l’esempio:
Stando le cose in questi termini, a me Dino venne un santo e onesto pensiero, immaginando: «Questo signore verrà, e tutti i cittadini troverrà divisi: di che grande scandalo ne seguirà» (Compagni, 2.30).
177 Cfr. TELVE (2000b: 87).
178 Cfr. GILBERT (20122: 146). Si ricordi l’osservazione di Bice Mortara Garavelli: «Il fatto che si possa
riportare in forma indiretta solo un discorso di cui si sia capito il senso [...] rientra nella generale attitudine interpretativa dello stile indiretto. Interpretativa e congetturale, se è vero che i pensieri altrui sono riferiti preferibilmente in forma di DI in testi che si pongano come resoconti obiettivi e non come lavori di fantasia. Pensieri riferiti nel modo diretto richiamano immediatamente la finzione narrativa e la presenza di un narratore onnisciente» (MORTARA GARAVELLI 1985: 86-87).
Diverso, in termini di lunghezza e complessità, il passo riportato di Giovanni Villani,
che ci permette di svolgere un’ultima riflessione. L’impiego del
DDper la resa di un
discorso ampio come (1), non trova altra motivazione, soprattutto in un cronista-
scrittore come Villani, che la presenza di un locutore collettivo. L’uso del
DDa scapito
della forma indiretta, in ragione della maggiore complessità sintattica di quest’ultima,
risulta poco convincente di fronte ai fenomeni di ipotassi mista di alcuni
DIche
ricorrono nella Nuova Cronica. Si veda un esempio:
Il quale predicando, dicea ch’era sopra tutti i profeti, e che dieci angioli per comandamento d’Iddio il guardavano, ed era messo mandato da Dio per dichiarare la legge a’ Giudei e a’ Cristiani data da Dio a Moises; e quale contradicesse la sua legge fosse morto di spada, e i figliuoli o moglie di quello cotale fossono suoi servi, e tutta loro sustanza in sua signoria: questo fu il primo suo comandamento (G. Villani, III 8).180