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Della mancanza di una nozione condivisa 71

1.5   Il mutamento di paradigma La legalità nello stato costituzionale di diritto 61

1.5.3   Della mancanza di una nozione condivisa 71

Queste mi sembrano essere le coordinate, che appunto non sembrano risolutive molto verso una soluzione del problema definitorio. Che è anche, se per questo, determinato da altri fattori, ed in particolare da altre polisemie, come quella riguardante ad esempio la nozione di “legge”241. A seconda infatti che si intenda “legge” in senso

formale, e dunque come atto dell’organo titolare della funzione legislativa ordinaria, o che invece la si intenda in senso “materiale”, e cioè come norma o insieme di norme

239 Così F.SORRENTINO, op. cit., 25 ss. 240 Così F.SORRENTINO, op.cit., 26 ss. 241 Cfr. R.GUASTINI, Legalità, cit., 85 ss.

giuridiche242, intese come “classe”, il principio di legalità acquista dimensioni diverse: in un caso ponendosi come regola valida nei confronti del potere esecutivo e giudiziario ma non verso il potere legislativo stesso; nell’altro, andando a coprire anche la funzione propriamente legislativa, e dunque costituendo il paradigma dello stato costituzionale di diritto. Qui in discussione è il luogo della sovranità, che nel primo caso risiede nel parlamento, nel secondo nella Costituzione - e allora, partendo da questa considerazione, si può interpretare il passaggio dallo stato legislativo di diritto allo stato costituzionale di diritto proprio in questo spostamento della sovranità243.

O ancora, dal punto di vista oggettivo, ci si chiede (ancora) se il principio si applichi a tutti gli atti della pubblica amministrazione, con un criterio riferito al soggetto che li emana, o se piuttosto esso di limiti a quegli atti c.d. autoritativi, nei quali si fa uso precisamente della potestà decisoria unilaterale dell’amministrazione, con esclusione dunque di tutti quegli atti – l’area c.d. di regime paritario – in cui l’amministrazione non spende il potere pubblico ma agisce come i privati, con gli strumenti del diritto privato. E altre distinzioni provengono in questo senso dall’analisi della giurisprudenza: si pensi all’ampiezza stessa del principio, se esso informi solo l’attività esterna (ed in questo caso, ancora, considerando la distinzione tra attività di regolazione e attività di prestazione) o anche quella interna, col rilievo dato, negli ultimi decenni, agli atti endoprocedimentali244. Non stupiscono allora teorizzazioni minimaliste, secondo cui «il principio di

legalità ha una valenza limitata ed esprime semplicemente l'esigenza del rispetto della legge, quando questa vi sia. L'esistenza della legge, tuttavia, non discende dal principio di legalità, ma dalla riserva di legge»245. L'introduzione della Costituzione rigida è rilevante solo nel momento in cui essa disciplina le materie che non possono essere affidate alla potestà amministrativa senza una previa legge (autorizzativa o di dettaglio); ma non influisce sulla valenza della legalità costituzionale, anche anzi troverà ben presto altre fonti da cui essere determinata. E, soprattutto, la funzione amministrativa viene (già) concepita come una funzione fluida, non categorizzabile dallo strumentario concettuale del positivismo - giova forse qui ricordare come lo stesso Kelsen relativizzi la distinzione tra creazione ed applicazione del diritto246 -, ma come una specie di motore "immobile" della vita pubblica, il cui operato può essere solo controllato, a posteriori, dalle corti. Tale

242 Ivi, 85 ss.

243 IVI, 86 ss.

244 Cfr. S. CASSESE, Le basi costituzionali, op. cit., 201; v. V. A. TRAVI, Giurisprudenza amministrativa e principio di legalità, in Dir. pubbl., 1995, p. 117 ss.

245 Così S.CASSESE, Le basi costituzionali, op. cit., 202 ss.

è l'impostazione che, di fatto, asserisce il superamento ormai avvenuto del principio, a favore di un europeizzante rule of law.

All'altro estremo, invece, si pongono gli interpreti247, nonchè come ricordato la stessa Corte costituzionale248, secondo cui 249:

«se si muove dall'idea che il provvedimento amministrativo è esercizio di un potere autoritativo, che gli consente di creare, modificare o estinguere diritti dei singoli - nel che sta appunto la sua imperatività -, ne discende che esso non può non trovare nella legge il proprio fondamento giuridico. Ciò deriva sia dal complesso delle disposizioni costituzionali prima richiamate, sia dalla considerazione che, nascendo i diritti dalla legge, solo la legge può prevedere le vicende relative alla loro creazione, modificazione o estinzione».

Valga l'icastica definizione del principio che ne dà Massimo Severo Giannini, secondo cui «l'atto autoritativo di un pubblico potere deve avere come supporto una

norma, la quale ne regoli il possibile contenuto e gli effetti giuridici»250. Così si esplicita il trade-off tra autoritatività e legalità: alla prima, attributo eccezionale del potere pubblico che lo differenzia dai poteri dei privati, devono fare cioè da contralto la tipicità di contenuto (nominatività) e la tipicità degli effetti giuridici251, che come tali non possono non essere quelli previsti ed in quanto tali autorizzati dalla legge252. L'osservazione, a ben considerare, non si limita alle funzioni c.d. limitative, tra cui classico esempio è quella di espropriazione a fini di pubblica utilità: ma vale anche per le funzioni c.d. ampliative, tra cui ad esempio quelle concessorie ed autorizzatorie più in generale. Ciò non solo perchè tali funzioni possono dirsi ampliative in senso solo derivato - in realtà esse presuppongono alla base una limitazione delle facoltà dei privati inerenti ad un dato diritto soggettivo, come la proprietà o l'iniziativa economica253; quanto, perchè

esse possono dirsi ampliative in senso spesso solo "relativo", relativo cioè al solo soggetto che ne beneficia; mentre possono allo stesso tempo assumere carattere di provvedimento "negativo" o "limitatorio" (delle predette libertà) per altri soggetti che perseguono lo

247 V. per tutti L.CARLASSARE, op. cit., 4 ss.

248 V. sul punto M.D'AMICO, Legalità (Dir. Cost.), op. cit., 3370 ss. 249 Così F.SORRENTINO, op. cit., 23 ss.

250 M.S. GIANNINI, Istituzioni di diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 2000, 261 ss. 251 Cfr. G.CORSO, Il principio di legalità, op. cit., 5 ss.

252 Questo vale per le eccezioni, che Corso definisce "tipiche" a loro volta, cfr. ivi, 5 ss. 253 Ivi, 6 ss.

stesso interesse254. L'altra componente di questa versione sostanziale del principio di legalità amministrativa è quella procedimentale, che dunque ne conferma la sottoposizione a limiti non soltanto dei fini ma anche dei mezzi255: in questo senso è biunivoco il legame tra forma [del procedimento] e sostanza [del provvedimento]256 , con la legalità del primo, e cioè il rispetto e della legge sul procedimento e delle norme procedimentali speciali, che si riflette sulla legittimità del secondo, nel senso di giustificabilità, come tale sostanza stessa del possibile ricorso alla giurisdizione, dell'attivazione delle speciali pregorative pubblicistiche. Tale "giustificabilità", concetto che sembra potersi definire come uno specimen della più estesa categoria della "legittimità", è appunto il contrappeso della potestà pubblica e della sua specialità rispetto ai poteri dei privati, che in quanto frutto di auto-nomia, possono essere di norma esercitati a totale discrezione del soggetto; mentre «i poteri amministrativi possono essere usati

solo in presenza dei presupposti che ne consentono od impogono l'esercizio»257. Ecco dunque la rilevanza, teleologica oltre che strutturale, [delle forme] del procedimento, che dunque non costituisce solo necessaria forma della funzione, ma assolve, come risultante dalla motivazione e per il tramite concreto dell'istruttoria, il compito di esplicitare i presupposti di fatto - oltre che le ragioni giuridiche, v. art. 3 l. n. 241/1990 - che comportano la "spendita" del potere autoritativo258.

1.6 Crisi e trasfigurazione del principio? L'emergere della nuova nozione