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Legalità e "stato di diritto" 52

1.4   La nozione classica (o "chiusa") La legalità dallo stato liberale allo stato (legislativo)

1.4.2   Legalità e "stato di diritto" 52

La connessione tra stato di diritto e nascita della legalità amministrativa in senso proprio comporta due ulteriori e connessi problemi. Il primo riguarda il doppio senso in cui l'espressione stato di diritto può essere intesa: da una parte cioè si può intenderla in un senso ristretto o storico, con cui si individua lo stato di diritto esclusivamente nelle esperienze parlamentari del XIX secolo; nel secondo, stato di diritto è espressione di portata estesa, non storica ma analitica, che dunque viene usata come "misura" della giuridicità o meno di un dato sistema istituzionale. Tenendo ciò in mente, si capisce perchè il rapporto tra i due termini sia così complesso e, per certi versi, confuso: spesso infatti i due piani argomentativi, quello storico e quello teorico, sono sovrapposti. A ciò si aggiunga che non di rado, pur all'interno di uno stesso discorso, stato di diritto e principio di legalità vengono considerati termini equivalenti. Quando ciò non accade, sono due le opzioni teoriche: nella prima, il principio di legalità viene considerato, insieme alla sovranità popolare ed alla separazione dei poteri, uno dei tre pilastri del modello tipologico dello stato di diritto: ove si consideri quest'ultimo nel primo dei due sensi più sopra individuati, quello storico, la legalità diventa allora la legalità parlamentare ottocentesca - in questo senso già annientata dall'introduzione della normatività riflessa delle costituzioni. La seconda opzione invece rovescia, nella cosmogonia politica

137 Anche a questo, probabilmente, si deve la rilevanza della figura del giudice, e quindi della

“sostanza” giurisprudenziale, nell’evoluzione del diritto inglese. Cfr. B.SORDI, op. cit., 14 ss.

138 V. B. LEONI, Freedom and the Law, III ed., Liberty Fund, Indianapolis, 1991. 139 Cfr. F.MERUSI, op. cit., 14 ss.; cfr. G. ROSSI, op. cit., 12 ss.

bobbiana, il rapporto tra i due: non è il principio di legalità a costituire uno dei pilastri dello stato di diritto, ma è quest'ultimo, assieme al Rechsstaat e alla rule of law, o all'isonomia dei greci, a costituire una delle manifestazioni storico-istituzionali del principio. Questa potrebbe sembrare a prima vista una mera disquizione teoretica con pochissima rilevanza pratica, una specie di "guerra delle etichette" tra scienza politica e storia del diritto: in realtà invece conduce a rilevanti implicazioni di carattere normativo. Nel primo caso infatti il principio di legalità finisce quando finisce l'esperienza dello stato di diritto parlamentare - già cioè con quello che Ferrajoli chiama 'stato costituzionale di diritto', che sarebbe in un certo senso una contraddizione in termini, e senza dunque dover aspettare la post-modernità e la sua poliarchia istituzionale. Nel secondo caso, invece, si mette in evidenza l'ininterrotta valenza normativa della legalità, almeno nel suo significato garantistico, nel susseguirsi delle diverse forme di governo - e del loro rapportarsi con la società, che il termine intermedio del rapporto tra stato e cittadino, ancora non esplicitato - e che dunque mantiene un'irresistibile carica assiologica anche nella prospettiva moderna.

Tanto premesso, la dottrina prevalente non ha dubbi a ritenere stato di diritto e legalità amministrativa geneticamente collegati - e, si dice, non potrebbe essere altrimenti, visto che solo a partire dalla metà dell'ottocento si può parlare in senso proprio di amministrazioni pubbliche negli stati continentali: in senso proprio soprattutto con riferimento alla specialità, come regime di diritto amministrativo, terzo e ulteriore rispetto al diritto che governa i rapporti tra privati e al diritto che assicura l'applicazione del diritto da parte dei giudici; ed alla discrezionalità, che si va teorizzando in questo periodo proprio dall'incontro del potere puro dell'amministrazione con la sua limitazione ora formale ora sostanziale per il tramite della legge. Il potere arbitrario cioè diventa potere discrezionale ed in questo senso legale, pur restando in capo all'amministrazione un ambito di potere "puro" - il merito - che rimarrà integro e soprattutto intoccabile giurisdizionalmente sino all'elaborazione del concetto di discrezionalità tecnica141. Il punto non è secondario: l'amministrazione infatti, seppur la più recente tra le funzioni, viene da subito considerata il "cuore pulsante" della macchina statale, tanto che a ragione

141 Discrezionalità tecnica che in questo senso ben esemplifica il concetto di raffrontabilità del potere, alla base dello stesso principio di legalità: con la differenza che la raffrontabilità qui non è con una previa norma di legge, ma con un parametro appunto tecnico-economico, del quale il giuridce, per il tramite di un consulente, si fa garante.

si parla di "stato amministrativo", e da parte delle forze politiche ci si premura di non limitarla troppo nei suoi spazi di scelta.

Qui comincia anche quella che viene chiamata la "funzione ordinativa" del principio in esame142: il fatto cioè che l'espansione del diritto e della organizzazione amministrativa avvengano per il tramite esclusivo della legge, e che dunque le loro successive vicende vi siano legate "a doppio taglio". Intendo dire che le caratteristiche della legge parlamentare si rispecchieranno nella strutturazione, funzionale ma soprattutto organizzativa, della pubblica amministrazione italiana, con gli effetti che analizzaremo fra poco, su cui basti accennare alla caoticità delle fonti (il diritto amministrativo non vedrà mai una codificazione unitaria) o alla ipertrofia strutturale che costituirà uno dei punti di partenza delle politiche di privatizzazione. Questo soprattuto in assenza di una costituzione "rigida", in cui dunque la legge parlamentare sia al vertice delle fonti e possa, potenzialmente, sempre contraddire sè stessa. Non sembra poter essere altrimenti, d'altronde: siamo agli inizi del secolo scorso, l'Italia si è fatta stato unitario, e la legalità è appena diventata espressione del parlamento eletto a suffragio universale, che dunque deve cominciare a farsi carico della nuova inclusività della politica - comincia cioè quella espansione degli interessi rilevanti che troverà il suo apice nel passaggio al welfare state.

D'altronde, è in questo periodo che due dei massimi pensatori in ambito socio- giuridico del secolo scorso sono attivi: Hans Kelsen and Max Weber. Il primo, come tutta la scuola di Vienna, ragiona per geometrie e dunque l'amministrazione, a cavallo tra legis- latio e iuris-dictio, fatica a trovare posto. Il parlamento è (per il momento) al vertice dello

Stufenbau - ciò ovviamente se non consideriamo la Grundnorm - e questo fa diventare la

riserva di legge assoluta: ogni potere amministrativo deve essere previsto, almeno per quanto riguarda la sua titolarità, dalla legge; deve cioè poter essere ricondotto alla volontà del parlamento. Il principio di legalità, come lo conosciamo, comincia a prendere forma definitiva, anche perchè l'amministrazione nel suo modello burocratico riceve la consacrazione weberiana, come forma più razionale di esercizio del potere. Ma qui sta anche il suo limite, perchè questa razionalità non troverà ancora fondamento in una costituzione che tuteli libertà e diritti anche dal volere della maggioranza, e dunque sarà gioco "facile", per i totalitarismi, quello di appropriarsene. Il controllo del parlamento, per il tramite della legalità, garantisce il controllo dell'intera macchina statale. Sappiamo tutti quanto questo sarà pagato a caro prezzo.

142 V. B. SORDI, op. cit., 17 ss.