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1.1   Del (necessario) prologo meta-­‐teorico Brevi note sulla distinzione tra principi e regole

1.2.3   Profili ricostruttivi 31

Queste sono le premesse da cui parte l'analisi che svolgerò nei capitoli seguenti. Se le intenzioni saranno rispettate, con l'avanzare del lavoro una serie di ipotesi ricostruttive dovrebbero affiorare, ipotesi ricostruttive che costituiscono la parte più propriamente normativa di questa tesi. Tra queste, quella centrale riguarda il rapporto tra principio di legalità e diritto amministrativo. È opinione diffusa che queste due “nozioni” abbiano una storia comune. In particolare, si tende ad agganciare le due nozioni da un punto di vista diacronico, per cui quando, nell’europa continentale, nasce il diritto amministrativo, allo stesso tempo arriva a compimento l’idea di legalità, del primato della legge, che sfocia nel Rechtsstaat in Germania e, successivamente, nello Stato di diritto in Italia e nell’Etat de droit in Francia. Io proverò ad avanzare l'ipotesi che tale orizzonte temporale vada dilatato: questo non per artificiosa necessità ai fini del presente lavoro, quanto per evidenziare l’assoluta irriducibilità e della legalità, e del diritto amministrativo, alla formazione della società stessa prima ancora che all’istituzione – stato67. Il principio di legalità diventa allora "presidio" necessario di una sfera pubblica

che possa definirsi tale. Sfera pubblica in questo senso distinta dalla sfera dei rapporti privati, perchè, a differenza di questa, subordinata alla tutela dei diritti di libertà, politici, civili e sociali come individuati storicamente nelle costituzioni e nelle carte dei diritti sovranazionali.

Tutto questo si riflette, nel discorso attuale, per quanto riguarda la crisi oggi in atto nel nostro paese sia del diritto amministrativo, sia del principio di legalità; crisi che riguarda l’edificio statuale in prima battuta, come istituzione politica che ormai risulta non più adeguata alle mutate condizioni socio-economiche come imposte dalla

67 In questo senso, la fine dello Staatsrecht non implica la fine del Rechtsstaat – questo è confermato anche a livello supranazionale (dove invece molti trovano la conferma della fine del secondo), a cominciare dall’unione europea, che si basa, già dall’art. 2 del Trattato sull'Unione Europea, proprio sul rule of law, cioè sul primato del diritto. Insomma, che si tratti di uno stato o di una comunità, sua stessa condizione di esistenza è l’essere “di diritto”: è l’essere cioè retto da una regola eteronoma, che presenti particolari caratteristiche (generalità, giustiziabilità) e che sia pre-disposta (e dunque non creata dall’autonomia negoziale) a tutela dei diritti fondamentali di tutti (sembra definizione di sfera pubblica)

globalizzazione. Ora, io ritengo che si possa concordare con quest’ultima affermazione – e quindi sì, lo stato nazionale come forma istituzionale di governo di una comunità non sembra più in grado di svolgere il compito per il quale è stato creato – senza per questo considerare come finite le “esperienze” sia del diritto amministrativo, che del principio di legalità. Questo è invero ciò che ritiene, ad oggi, una buona parte della dottrina, di stampo amministrativistico e non; di certo, è ciò che sostengono, seppur da prospettive diverse, correnti di pensiero che vedono nella statualità, e in quanto tale nel diritto pubblico, il freno autoritario al pieno sviluppo di una società libera. Tale è, tra le altre, gran parte del liberalismo moderno che, da Hayek a Leoni, ha offerto una base filosofico-teorica non solo alle correnti di pensiero gius-economiche, di scuola americana ma che hanno negli ultimi anni fatto breccia nelle università di tutta Europa, quanto soprattutto a quella scuola di pensiero – invero più pratica che teorica, e non potrebbe essere altrimenti – che fa del mercatismo, della lex mercatoria globale non solo l’attuale paradigma giuridico nationale ed internazionale, ma anche l’unico meritevole di studio e attenzione.

Ora, se anche da un punto di vista descrittivo si può concordare sul fatto che la lex

mercatoria è al momento il paradigma predominante sulla scena globale e non, nel

momento in cui si passa dal piano della sociologia del diritto a quello della teoria del diritto, le prospettive diventano innumerevoli. Come infatti le già citate correnti liberaliste e liberiste inneggiano a questo nuovo ordine globale, prospettando la Rule of market come l’unica opzione gius-politica che possa portare prosperità all’intero globo ed a farci uscire dalla recente crisi economico-finanzaria, così, da parte di scuole filosofiche, politiche e giuridiche tra loro del tutto eterogenee, si denuncia questa ennesima svolta mercantilista come in contrasto non solo con le costituzioni nazionali e con le carte di diritti internazionali, quanto soprattutto con la stessa idea, storia e funzione del diritto68.

Dunque, come valutare queste recenti dinamiche con riferimento al principio di legalità? In altre parole, e riprendendo quella divaricazione fondamentale più sopra ricordata, ci troviamo innanzi ad un fenomeno di sensibile allontamento dal paradigma della legalità, oppure ad un cambiamento del paradigma stesso? Su quale binario, tra i due, questo lavoro si situi, dovrebbe essere già chiaro. In questo senso, la tesi qui proposta è una tesi allo stesso tempo descrittiva e normativa: descrittiva, perchè analizza le dinamiche presenti cercando di esemplificarne le direttrici fondamentali, soprattutto cercando di ricercarne le ascendenze teoriche spesso sottaciute; normativa, perchè legge

tali dati, proprio come farebbe uno scienzato che cerca conferme ad una ipotesi, alla luce di una determinata visione del diritto ed in particolare del principio di legalità. Non si dà infatti una definizione condivisa di tale principio: nè, tantomeno, se ne riconosce la funzione all’interno delle moderne democrazie costituzionali in modo uniforme. In alcuni casi si reputa l’enunciazione di questo principio vagamente ridondante, soprattutto nel contesto attuale. Questo vale, in generale, per le teorie politiche e la teoria del diritto: ma anche e soprattutto nella scienza amministrativa si è andato intensificando il dibattito

attorno e sul principio di legalità: dalla dottrina, al legislatore che ha recepito alcune delle

tesi più “radicali” elaborate dalla prima (o il contrario?)69, sino alla giurisprudenza che ha svolto sostanzialmente un duplice ruolo, di introduzione70, da un lato, e di elaborazione71,

dall’altro, di queste “nuove concezioni” della legalità.

Principi che sembravano acquisiti, ad esempio con la legge n. 241 del 1990 sul procedimento amministrativo72, sono oggi revocati in dubbio73. In un tourbillon di interventi normativi spesso disomogenei nella forma e nella sostanza, si è creato un vorticoso sovrapporsi di partecipazione, semplificazione, liberalizzazione e

privatizzazione, che come unico risultato certo ha avuto quello di indebolire l’idea stessa

del rispetto di regole (chiare) come prezzo da pagare alla corretta determinazione degli assetti giuridici. E questo vale non solo per la scienza amministrativa: ma, se si allargasse incidentalmente il campo d’indagine, cosa che ovviamente fuoriesce dai limiti del presente lavoro, anche per quella penalistica74, per quella legislativa75, per quella civile76;

69 Così almeno sembra, quasi incidenter tantum, suggerire ancora Merusi.

70 Mi riferisco all’opera creativa della giurisprudenza dei TAR e del Consiglio di Stato, che spesso, dall’istituzione della quarta sezione giurisdizionale, ha direttamente innovato lo strumentario concettuale del diritto pubblico, solo in seconda battuta “licenziato” dal legislatore a livello di normazione generale. Valga come esempio la progressiva dichiarazione di irrilevanza dei vizi “formali” del provvedimento.

71 Di categorie non direttamente create, ma che sicuramente dopo il “passaggio” giurisprudenziale sono state modificate e meglio adattate alle necessità del caso concreto.

72 Chiara tappa di quel «cammino dall’amministrazione privilegiata all’amministrazione di garanzia» su cui v. B.SORDI, op. cit., 24 ss.

73 Tanto che, in alcuni casi, si comincia a mettere in dubbio perfino la necessaria funzionalizzazione dell’attività amministrativa, ad esempio contrapponendola, come vedremo, al risultato.

74 Basti pensare alla legislazione dell’emergenza, o allo smantellamento della certezza del giudizio e della pena, su cui v. L.FERRAJOLI, Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, Laterza, Roma-Bari,

VIII ed., 2004; v. anche B.SORDI, op. cit., 27 ss.

75 Mi riferisco in particolare alle c.d. leggi-provvedimento, e sul loro recente abuso; sui cui vedi F. MERUSI, op. cit., passim; G. U. RESCIGNO, Leggi-provvedimento costituzionalmente ammesse e leggi-

provvedimento costituzionalmente illegittime, in www.associazionedeicostituzionalisti.it; e da ultimo l’importante monografia di S.SPUNTARELLI, L’amministrazione per legge, Giuffrè, Milano, 2007.

76 È superfluo ricordare i mutati rapporti di forza che intercorrono oggi tra poteri privati e legislazione, soprattutto nel diritto privato e commerciale internazionale. Ben si può dire, in sintesi, che spesso sono i poteri privati a “legiferare”, o comunque a porre in senso lato “regole”, nel mutato rapporto tra mercato globalizzato e stati nazionali: i quali si limitano, nella maggior parte dei casi, ad accogliere la nuova lex mercatoria all’interno dei loro ordinamenti. Come ha scritto efficacemente Giampaolo Rossi, «la

vi è in questo senso un arretramento generalizzato del perimetro della legalità “statale”, considerata anche l’ormai abbondante produzione normativa europea77.

Il quadro è, a ben vedere, tutt’altro che intellegibile78. In assenza di una pur minima omogeneità teorica79, è difficile ricostruire le recenti dinamiche con un grado di sicurezza accettabile80. In altre parole, è complesso, come spesso succede nella riflessione giuridica, affrontare diversi problemi quando non è pacifico, nella doppia accezione di “evidente” e di “condiviso”, un paradigma teorico che dia senso a fenomeni tra loro scollegati. In questo senso, bisogna partire con una analisi diacronica del principio e della sua evoluzione. Si tratta cioè di ri-costruire l’ontologia di un concetto complesso, che spesso funziona da paradigma per altre teorie. Si capisce allora in che senso più ricostruzioni siano possibili: da un lato, vi è l’alternativa tra l’osservare l’evoluzione del suddetto principio da un punto di vista dinamico, e dunque proporre una ricostruzione storicistica; oppure, si può considerare il principio di legalità staticamente, e dunque privilegiare la sua portata normativa (e dunque la sua effettività o meno). A questo bisogna aggiungere, nello specifico, la (supposta?) differente portata di tale principio nella sua versione continentale e nel suo "equivalente" anglosassone. Ancora, bisogna considerare la specifica valenza di tale principio per la nascita, prima, e l’evoluzione, poi, del diritto amministrativo, nelle sue peculiari versioni.

Sulla legalità, sul principio di legalità, tantissimo è stato scritto. Eppure mi sembra che vi sia un qualcosa che ancora sfugga con riferimento al senso più profondo del principio. L’intuizione che vorrei qui cominciare a sviluppare lega, in un solo discorso, come mai finora mi pare essere stato fatto, principio di legalità, stato di diritto, sfera pubblica, diritto amministrativo e discrezionalità. Non nascondo, a mè stesso in prima battuta, che su ognuno di questi concetti si potrebbero mettere insieme se non delle intere biblioteche, sicuramente diversi scaffali, se non intere pareti: ed è in questa

mondializzazione dell’economia fa venir meno la centralità dello stato e delle pubbliche amministrazioni

che esso esprime; la prima fonte della ricchezza diventano i prodotti finanziari che si scambiano secondo regole che non derivano da pubblici poteri», in G. ROSSI, Introduzione al diritto amministrativo, Giappichelli, Torino, 2000, 1 ss.

77 Cfr. L.FERRAJOLI, Principia iuris, cit., I vol., 458 ss., e A. ADINOLFI, op. cit., passim.

78 Tanto che, oltre al bisogno che la comunità scientifica ha sentito di discutere della legalità in un consesso importate come quello di Varenna, si può notare l’approccio utilizzato nei recenti lavori che hanno affrontato il tema: un approccio, come dichiarato dagli stessi autori, a-sistematico, fatto di osservazioni l’una separata dall’altra e accumunate solo dalla comune origine dalla “crisi della legalità”.

79 Il «collante» di Merusi, op. cit., passim. Sulla necessità di un metodo giuridico unitario, v. A. ROMANO TASSONE, Metodo giuridico e ricostruzione del sistema, in Dir. amm., I, 2002, 11 ss.

80 Tanto che Merusi parla, a proposito del massiccio uso del diritto privato nel pubblico, di una come «controrivoluzione» rispetto al principio di legalità (soprattutto comunitario); anche se dubita egli stesso che sia possibile distinguere nettamente tra “rivoluzione” e “controrivoluzione”, cfr. F.MERUSI, op.

consapevolezza che cercherò, nei limiti che il presente lavoro offre, di ri-considerare ognuno di quei concetti alla luce della predetta intuizione. In questo senso mi verrebbe da dire che si tratta di un’intuizione “da scalpellino”: di un lavoro cioè di continua sottrazione, di “pulitura”, rispetto ad un qualcosa che ha finito per assumere ambiti e significati ben al di là del suo nucleo originario.

Come spiega Bernardo Sordi, bisogna

«essere consapevoli che quella che abbiamo alle spalle è solo in parte una storia normativa; è invece prevalentemente una storia concettuale, talvolta più specificatamente dogmatica, che accompagna il progressivo radicarsi del principio, connotando una serie di profonde evoluzioni istituzionali»81.