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La nuova legalità nella legge sul procedimento e nel T.U dell'espropriazione 94

1.9   La nuova nozione "aperta" di legalità amministrativa 93

1.9.1   La nuova legalità nella legge sul procedimento e nel T.U dell'espropriazione 94

Necessario è allora partire dal contenuto normativo più recente, ed in particolare dall’art. 1 della legge sul procedimento amministrativo 241 del 1990323, il cui art. 1,

rubricato “Principi generali dell’azione amministrativa”, che dispone: "1. L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai princìpi dell’ordinamento comunitario.

1-bis. La pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente.

321 Cfr. L.TORCHIA (a cura di), Lezioni di diritto amministrativo progredito, op. cit., 16 ss. 322 Così P.SALVATORE, op. cit., 99 ss.

1-ter. I soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto dei princìpi di cui al comma 1."

Si nota innanzitutto che l’articolo in questione comincia col ribadire la necessaria funzionalizzazione dell’attività amministrativa verso i fini individuati dalla legge; o, detto altrimenti, che la funzione amministrativa (che sia esercitata da soggetti pubblici o privati, come stiamo per vedere) è per definizione eteronoma e non autonoma, attribuita e non (auto-)prodotta324. Significativamente, però, la legalità-indirizzo sembra esaurirsi nello strumento legislativo: dunque, l'amministrazione non può perseguire fini che non siano stati pre-determinati da una legge - statale o regionale che sia; in questo senso, dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, vi è sempre più spazio per una tale alternativa, anche per la considerazione che, a ben vedere, «la sostituzione della legalità statale con

quella regionale non compromette la necessaria presenza di un controllo democratico dell'esercizio dei poteri amministrativi»325.

La legalità-garanzia sembra essere invece affidata ai diversi principi che vengono enumerati subito dopo - economicità, efficacia, imparzialità, pubblicità, di trasparenza – e alle altre disposizioni che disciplinano procedimenti particolari, nonchè ai “principi dell’ordinamento comunitario”. Richiamo che è davvero significativo: in positivo, perchè inserisce formalmente l’amministrazione del “gioco” della regolazione multi-livello dell’ordinamento comunitario, con la primautè di quest’ultimo nei confronti degli ordinamenti nazionali, e dunque affidando ai soggetti portatori di funzione amministrative il compito di verificare la compatibilità non solo della loro azione, ma della stessa disciplina nazionale, con le norme europee326; in negativo, invece, perchè non può non notarsi il mancato richiamo della disposizione in questione alle norme costituzionali, che pure a quegli stessi principi di imparzialità e di buon andamento, di cui all'art. 97 Cost., fanno esplicito riferimento nella sezione dedicata all’organizzazione amministrativa. Il buon andamento a ben vedere non viene richiamato per nulla: questo perchè, come vedremo nel secondo capitolo, tale parametro dell'azione amministrativa sembra ormai superato nella direzione dell’amministrazione c.d. "di risultato", con il richiamo all’ ‘economicità’ e all’ ‘efficacia’ che evidentemente rappresentato concetti in quanto tali differenti. In ogni caso,

324 Cfr. G.CORSO, Il principio di legalità, op. cit., 3 ss. 325 Così L.CIMELLARO, op. cit., 126 ss.

«la legge non soltanto stabilisce i fini, ma disciplina anche i mezzi per raggiungerli, ossia i poteri da esercitare per il raggiungimento del fine legislativo. E' questo che l'art. 1 intende dire quando prevede che l'attività amministrativa è retta da criteri di economicità, efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli provvedimenti»327.

L'ultima parte del comma in esame ci obbliga a tornare al concetto di 'legge' che viene qui utilizzato. Non solo infatti il riferimento a «altre disposizioni che disciplinano

singoli procedimenti» può essere usato come mezzo interpretativo per sostenere la

legittimità a regolare l'attività amministrativa di norme contenute in atti normalmente ritenuti privi di forza coercitiva (penso alle delibere delle autorità indipendenti, ad esempio); ma più in generale, ci si chiede se anche nella legge sul procedimento sia stato introdotto quel concetto ampio di 'legge', che appunto costituisce uno dei punti più importanti del nuovo paradigma. In questo senso, con 'legge' si intenderebbero:

- la legge parlamentare;

- atti aventi forza di legge (decreti legislativi e decreti legge); - regolamenti;

- statuti;

- principi generali del diritto; - le norme costituzionali328;

- regolamenti e direttive comunitarie; - sentenze della Corte di Giustizia; - le norme della CEDU329.

A prescindere dalla idoneità di ciascuna di queste categorie di atti a regolare l'attività amministrativa, quel che sembra certo è che

«Il rapporto tra amministrazione e legge non è più ricostruibile secondo la linearità dello schema tradizionale; è divenuto, di contro, particolarmente complesso, perchè gli obblighi

327 Così G.CORSO, Il principio di legalità, op. cit., 3 ss.

328 Ipotesi dell’incostituzionalità (il provvedimento diviene illegittimo ma non automaticamente) 329 Questo soprattutto dopo le sentenze della Consulta n. 348 e 349 del 2007 che hanno sancito il valore della CEDU come norma interposta direttamente applicabile nel nostro ordinamento.

incombenti sull'amministrazione si sono moltiplicati, hanno origini diverse e non si esauriscono nell'osservanza e del comando legislativo positivizzato che va integrato con i principi generali e valori che hanno assunto un peso sempre più crescente. Ampliamento di obblighi, emblematicamente testimoniato dall'ingresso nel circuito normativo di valori (notoriamente fattori di integrazione e/o completamento della disposizione normativa di fronte giurisprudenziale, non solo comunitaria, quale quello della ragionevolezza e della proporzionalità, le cui potenzialità sono ancora tutte da scoprire»330.

I commi 1-bis e 1-ter, a lor volta, sanciscono anche a livello legislativo il trend di privatizzazione della funzione amministrativa, nel doppio senso: a) di privatizzazione degli strumenti che le pubbliche amministrazioni possono e debbono utilizzare nel perseguire i compiti attribuiti; b) di privatizzazione, o 'societarizzazione', come vedremo, nel senso di attribuzione direttamente ai privati dell'esercizio di alcune funzioni amministrative, in nome della sussidiarietà orizzontale di cui all'art. 118 Cost.

Sul comma 1-bis si sono riempiti, tra entusiastiche adesioni e ragionate critiche, interi scaffali di biblioteche331: in poche parole, almeno per il momento, vi è ricondotto il definitivo superamento della concezione autoritatività dell’attività amministrazione, o meglio la definitiva scissione tra attività amministrativa e provvedimento, come atto tipico del potere pubblico; mentre il diritto privato diventa lo strumento normale e/o preferibile per l’esercizio della funzione amministrativa. Sembra potersi sostenere che la novità in realtà non è tale: che l'amministrazione possa usare, nella sua azione, il diritto privato, non è questa norma di certo a sancirlo332. Gli strumenti di diritto pubblico restano

comunque per tutta l'area autoritativa, nonchè per l'area non autoritativa disciplinata però da leggi speciali333. Il problema sembra diventare però allora quello della determinazione dell'area non-autoritativa della funzione amministrativa e dunque dei relativi atti: in questo senso sono ipotizzabili sia una bipartizione che una tripartizione, a seconda che si

330 Così P.SALVATORE, op. cit., 99 ss.

331 V. tra gli altri e solo a titolo esemplificativo, S. GIACCHETTI, La nuova via privata al pubblico interesse aperta dall’art.1, c.1bis della legge 11 febbraio 2005 n. 15, in Il diritto privato della pubblica amministrazione, a cura di P. Stanzione e A. Saturno, Cedam, Padova, 2006, 113 ss.; v. anche, per una

diversa lettura, G. NAPOLITANO, L’attività amministrativa e il diritto privato, in Giornale di diritto

amministrativo, n.5, 2005, 481 ss.

332 V., in giurisprudenza, a ribadire che è “principio pacifico” quello secondo cui«l’interesse pubblico di cui l’amministrazione è portatrice può essere perseguito mediante l’uso di moduli di diritto comune qualora siano congrui rispetto agli obiettivi prestabiliti, e cioè è stato ulteriormente confermato dalla recente modifica alla legge sul procedimento», Tar Lombardia, sent. n. 99/20058.

333 Questo per il principio per cui lex specialis derogat generalis; si pensi ad esempio proprio al TU sull'espropriazione, o a quello sull’edilizia, o al d. lgs. 259/2003.

identifichi in modo esclusivo tale categoria con gli atti di diritto privato o meno334. Altrimenti, l'altra strada percorribile è quella di provare a definire l'autoritatività in generale335: per poi ricavare la 'non-autoritatività' come nozione negativa definibile in relazione alla prima. In questo senso, con "autoritatività" si può intendere:

1) l'esercizio di potere amministrativo; 2) l'esercizio di potere unilaterale; 3) l'esercizio di potere restrittivo.

Ovviamente, adottando ognuno di quei criteri si giunge a risultati differenti per quanto riguarda l'estensione dell'ambito dell'autoritarietà: si pensi che anche gli accordi ex art. 11 l. 241/1990 sono espressione di potere autoritativo (mentre di certo i contratti non lo sono); però gli accordi non sono espressione di potere unilaterale, ma possono costituire esercizio di potere restrittivo. Si deve dunque rimarcare come la formulazione del comma in questione, basata sul progetto di riforma costituzionale della "Bicamerale"336, abbia decisamente lasciato insoddisfatta buona parte della dottrina.

La questione, come già dovrebbe essere chiaro, è ben più generale, e riguarda la ineffabile concezione di una rilevante parte della dottrina amministrativistica italiana della specialità amministrativa come diritto della subordinazione del cittadino al moloch pubblico - in quanto tale, non da controllare e limitare attraverso garanzie di carattere procedimentale e sostanziale, ma più semplicemente da abbandonare, imponendo alla funzione pubblica il diritto privato come "diritto della parità". Si torna in questo senso alla differenza tra regime amministrativistico continentale e regime amministrativistico

334 V. a tal proposito ancora le parole di Luisa Torchia, secondo cui «la distinzione fra atti autoritativi e atti non autoritativi risale al riconoscimento di un’attività di gestione separata da quella d’imperio, secondo la più tradizionale dottrina ed è alla base della famosa pronuncia del Consiglio di Stato sugli atti paritetici, ma è appunto rilevante soprattutto ai fini del sindacato su quegli atti in un sistema a giurisdizione dualista qual è quello italiano. E, comunque, è da supporre che un atto non autoritativo sia cosa diversa da un negozio - per il quale vale, appunto, la capacità giuridica di diritto privato degli enti pubblici – e debba quindi essere sempre adottato nel rispetto del principio di legalità, che vale per tutti gli atti amministrativi, quale che sia il loro grado di autoritatività», L. TORCHIA, L’attività amministrativa fra

diritto privato e diritto amministrativo, nazionale ed europeo, cit. 5 ss.

335 Si veda, da ultimo, M. SINISI, Introduzione allo studio del potere autoritativo, Aracne, Napoli, 2009, e relativo ricco apparato bibliografico.

336 La Commissione Bicamerale per le riforme costituzionali venne istituita con la L. Cost. 24 gennaio 1997, n. 1. L'art. 106 del nuovo testo così prevedeva: "le pubbliche amministrazioni, salvo i casi

previsti dalla legge per ragioni di interesse pubblico, agiscono in base alle norme del diritto privato";

conviene però anche richiamare il testo originale della proposta c.d. Cerulli Irelli, che più specificatamente disponeva: “salvi i casi di poteri amministrativi espressamente conferiti da leggi o regolamenti, le

amministrazioni pubbliche agiscono secondo le norme del diritto privato. In ogni caso le amministrazioni pubbliche agiscono per la realizzazione dei pubblici interessi”.

anglosassone337 - il c.d. continental divide338 - differenza sulla cui reale portata, come abbiamo visto, si dubita. Richiamando l'analisi di Massimo Tucci richiamata nella prima parte del capitolo, valgano allora le parole di Luisa Torchia, secondo cui

«si può però osservare che tanto lo stereotipo del diritto privato quale diritto della parità, quanto quello del diritto amministrativo come diritto del privilegio e della supremazia del soggetto pubblico, trovano costanti smentite nell’esperienza giuridica contemporanea. Basti pensare, per fare solo cenno a due esempi rilevanti, al diritto della concorrenza, con le imposizioni sempre più stringenti che da esso derivano alla libertà dei privati e ai vincoli costituzionali, legislativi e procedimentali, di dimensione nazionale, europea e globale che la decisione amministrativa deve rispettare per essere legittima. Prova di questa evoluzione sta, del resto, nella lettura dell’articolo 1, comma 1bis subito avanzata secondo la quale la norma non si riferisce all’attività privata dell’amministrazione, ma all’attività amministrativa svolta con strumenti di diritto privato, con l’evidente conseguenza che essa vada qualificata come attività funzionalizzata e quindi sottoposta ai principi e ai controlli propri dell’azione amministrativa, e che debbano garantirsi, per essa, gli stessi rimedi di tutela dei terzi attivabili per qualsiasi decisione amministrativa»339.

Di questo si occupa il comma 1-ter: della scissione tra la funzione amministrativa e la soggettività pubblica. I privati, sull'onda dei processi di privatizzazione ed adesso anche, secondo una crescente parte della dottrina, in ottemperanza all'art. 118 Cost. come riformato nel 2001, possono (e debbono, secondo le teorie più radicali) cioè sostituirsi all'amministrazione nell'esercizio di alcune funzioni pubbliche: vengono in mente l'assistenza sanitaria, l'educazione dell'obbligo e quella universitaria, e più in generale tutte quelle funzioni che hanno costituito il tratto caratterizzante del welfare state. La domanda allora da porsi è: ma una funzione pubblica che passa in "mano" privata, diventa essa stessa privata? Non si tratta di un mero quesito retorico; se già le pubbliche amministrazioni possono utilizzare nella loro attività gli strumenti del diritto privato, il passaggio della stessa titolarità della funzione in capo al privato comporta la perdita di qualsiasi residua "specialità" amministrativa? La stessa legge invero mette in chiaro che così non può essere: sì i privati possono (e non debbono, almeno stando alla lettera della

337 S. CASSESE, La costruzione del diritto amministrativo: Francia e Regno Unito, in Trattato di diritto amministrativo, cit., tomo I, pp. 1 ss.

338 J. ALISON, A Continental Distinction in Common Law. An Historical and Comparative Perspective in English Public Law, Oxford University Press, Oxford, 2000.

339 L. TORCHIA, L’attività amministrativa fra diritto privato e diritto amministrativo, nazionale ed europeo, cit., 7 ss.

legge) assumere funzioni pubbliche, ma nel farlo debbono tassativamente conformarsi proprio a quei principi, procedimentali e non, contenuti nel primo comma dello stesso art. 1. Vi è un regime amministrativo dunque che segue la funzione quando questa viene esercitata dai privati; e questo, se il secondo comma viene "ostentato" come il definitivo superamento della dicotomia pubblico-privato nel nostro ordinamento costituzionale, in realtà sembra rappresentare il contrario, perchè esattamente presuppone, strutturalmente, tale dicotomia, e anzi "sottomette", limitandola, l'autonomia privata dei soggetti chiamati ad esercitare funzioni pubbliche.

Allora, si deve concludere, a rilevare - ed in questo senso contro quella impostazione che vuole il principio di legalità agire allo stesso modo nel diritto pubblico e nel diritto privato, la differenza essendo quantitativa - è la diversa valenza che il processo di formazione della volontà assume rispetto alla decisione finale. L'interesse pubblico funzionalizza il procedimento decisionale - e questo, irrispettivamente se il soggetto assegnatario della funzione sia un soggetto pubblico o privato: anzi, ciò spiega perchè, alla privatizzazione della funzione pubblica, si contrappone in modo (almeno) eguale e contrario una funzionalizzazione pubblicistica dell'autonomia privata. Non è il soggetto a rilevare, secondo questa impostazione, ma l'interesse che viene perseguito, e questo comporta la centralità del procedimento (il pensiero va al contenzioso sulla sorte del contratto a seguito di illegittimità delle procedure di gara) e dei principi ad esso connessi. Di qui anche la differenza tra la discrezionalità di chi è chiamato a perseguire, o comunque a non violare, un interesse eteroimposto e la libertà (che può anche definirsi arbitrarietà) di chi persegue un interesse proprio, cioè autonomamente stabilito. Basti pensare al citato esempio del diritto della concorrenza e delle limitazioni da questo imposte all'autonomia privata; all'obbligo di garantire il c.d. diritto di accesso per tutti quei soggetti privati che svolgono funzioni amministrative; oppure, ancora più significativamente, alle regole di origine europea sull'organismo di diritto pubblico, vero e proprio freno alle "privatizzazioni formali" che si sono diffuse così ampiamente nel nostro paese340; oppure, ancora, al global administrative law e alla sua ricerca di legittimazione degli autorità globali - anche e soprattutto di quelle "private" - proprio per il tramite di quei principi che nel diritto interno costituiscono la struttura del procedimento dell'azione amministrativa. Insomma, non vi è di certo una "rivoluzione copernicana" tra il classico provvedimento amministrativo, con tutto il suo valore

340 Ivi, 9 ss.

autoritativo, ed il contratto sì posto in essere dall'amministrazione con il privato, alla cui formazione si sia però pervenuti rispettando l'eterodeterminazione dello scopo e soprattutto le numerose norme procedimentali: che di certo in questo senso fanno di una pubblica amministrazione un "contraente" diverso da tutti gli altri, la cui capacità di contrarre non può mai essere dunque la stessa di una persona fisica o giuridica (di diritto privato) - i cui processi di formazione della volontà, al contrario, nulla rilevano (se non a seguito dell'altrui coercizione ovviamente) per la determinazione finale.

Passiamo infine all’art. 2 del Testo Unico sull’espropriazione per pubblica utilità (d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327), che, ancor più significativamente, è rubricato “Principio di

legalità dell'azione amministrativa” e stabilisce che:

"1. L'espropriazione dei beni immobili o di diritti relativi ad immobili di cui all'articolo 1 può essere disposta nei soli casi previsti dalle leggi e dai regolamenti.

2. I procedimenti di cui al presente testo unico si ispirano ai principi di economicità, di efficacia, di efficienza, di pubblicità e di semplificazione dell'azione amministrativa."

Se dunque l'art. 1 della legge sul procedimento amministrativo, che a prima vista può sembrare effettivamente costituire una "rottura" per quanto riguarda la vecchia nozione di legalità, contiene invece indicazioni quantomeno contrastanti sul punto, altrettanto può dirsi dell'art. 2 del T.U. sull'espropriazione. Si tratta, conviene sottolineare, di materia che da circa 20 anni rappresenta uno dei "campi di battaglia" dove differenti concezioni del principio di legalità si scontrano con l'azione concreta delle pubbliche amministrazioni: e tale "scontro" si rispecchia nelle numerosissime pronunce in materia della nostra Corte Costituzionale e della Corte CEDU, che hanno nel corso del tempo di fatto ristabilito dei parametri di legalità soprattutto per quanto riguarda la c.d. occupazione acquisitiva. La formulazione dell'articolo si segnala per due motivi in particolare: in primis, per il richiamo non solo alla legge, ma anche ai regolamenti, come valida copertura legale del potere espropriativo - senza peraltro specificare la natura nazionale o regionale dei due strumenti. Bisogna riallacciarsi, allora, nuovamente all'art. 1 della legge sul procedimento e alla partecipazione dei privati all'esercizio della funzione pubblica: come nota infatti Marino,

«a legge, tuttavia, a partire dalla legge urbanistica (n. 1150 del 1942: artt. 18, 37), collega l'espropriazione ai piani urbanistici, significando come queste ragioni di pubblica utilità, d'interesse generale, possano, anzi debbano essere in concreto individuate dalla normazione "autonomamente" costruita attraverso i piani. [...] Il richiamo ai momenti amministrativi (strumenti urbanistici) a cui la legge (T.U.) rinvia contribuisce al principio di legalità, anzi, incrementa la legittimazione delle norme e, pertanto, la loro legittimità»341.

Tornerò sul rapporto tra legittimità e legalità, che sin dal classico saggio di Carl Schmitt costituisce uno dei punti più discussi attorno al principio qui in esame. Per il momento basta sottolineare dunque questa concezione aperta della legalità, che diparte dalla legge parlamentare per abbracciare non solo la normazione sopra- e inter-nazionale ma anche quella interna delegata, che si tratti di regolamenti del governo o, ancora più vicino alla base dello Stufenbau, agli piani regolatori ed in generale alle deliberazioni di carattere concordato tra autorità e cittadini. Senza dimenticare i principi: al secondo comma vi è infatti un nuovo elenco di quei principi che ormai costituiscono (come vedremo più approfonditamente) parte integrante della nuova concezione della legalità. Ma questi principi, in un certo senso, non sono mai gli stessi: qui ad esempio, se prendiamo a paragone ancora l'art. 1 della l. n. 241/1990, si nota il mancato riferimento al principio di efficienza ma soprattutto a quello di imparzialità; principio che, come vedremo, forse più di tutti veicola l'idea di legalità insita nella supremazia della legge generale ed astratta che deve governare l'attività amministrativa342. Però altrettanto significativamente è espressamente richiamato il principio di semplificazione, richiamo quantomeno "originale" se si pensa che è inserito nella disciplina particolare riguardante uno, se non il più, dei poteri autoritativi più invadenti della sfera giuridica del privato, e cioè quello di espropriazione della proprietà privata.