PRIMA PARTE
2. Descrizione del corpus critico-giornalistico
I termini cronologici dell’attività giornalistica di Giorgio Caproni van- no dal 1933 di Incontri con Ungaretti,59 fino al 1989 del pezzo Caro
Placido, ecco la verità. I circa cinquecento articoli che ne derivano
hanno una forte varietà tematica e vengono scritti negli anni in un co- stante crescendo che raggiunge il suo apice a cavallo tra gli anni Cin- quanta e Sessanta, per poi conoscere un brusco calo a partire dal decen- nio successivo. Si tratta per lo più di recensioni scritte per libri usciti da poco e dunque confezionate a volte con un intento informativo e promozionale, nonostante questo non sopravanzi mai la lettura in ulti- ma analisi disinteressata e criticamente argomentata. Per lo più negli anni vengono ad essere censite raccolte di poesia, data l’evidente predi- lezione e competenza del lettore. Ma a questo identikit recensorio se ne sovrappongono altri dall’occorrenza altrettanto significativi. Sempre nell’ambito delle recensioni si dà l’esempio di una notevole attenzione per i narratori italiani quali ad es. Gadda, Landolfi, Pizzuto e altri, e si registrano letture di saggi letterari monografici e panorami storiografici della letteratura, ivi comprese occasioni editoriali come ad es. traduzio- ni di particolare prestigio o antologie. Fuori dalla forma recensione ab- biamo una variegata gamma di possibilità spesso prossime alla narrati- va, al rendiconto, al memoriale o all’articolo d’informazione e di opi- nione, il saggio vero e proprio è spesso costeggiato ma non viene quasi mai assunto in pieno, tranne che per gli articoli sulla valenza teorica della parola.
Più nello specifico si possono individuare le seguenti rubriche per cercare un ordine tematico, nel disordinato e spontaneo moto di produzione perpetrato anno per anno. La prima rubrica da segnalare è quella che si potrebbe intitolare Difesa della poesia, da un pezzo del 1934. Negli anni a venire infatti non sarà infrequente trovare articoli che hanno come scopo quello di indagare lo stato della poesia contem- poranea con l’intento preciso di confrontare il suo destino con quello degli altri generi, fino alla personificazione di un ideale “lettore di poe- sie” tanto a rischio da richiedere la tutela speciale dello Stato con un apposito Parco Nazionale. A questa ideale rubrica di interessi se ne ag- giunge una seconda inaugurata già negli anni Trenta (due pezzi su «Au- gustea» del 1939), ovvero la particolare attenzione, rideclinata nel tem- po in pezzi rari ma significativi, relativa alla scuola, al suo ordinamen- to, alla formazione dei ragazzi e dei maestri, in ottemperanza ad una lunga fede nei confronti di una professione che sarà onorata dall’autore per tutta la vita. Si può ancora segnalare una presenza consistente sui temi della letteratura ligure, con i pezzi della cosiddetta linea ligustica, databili agli anni Cinquanta, ai quali non sarà disagevole allegare le al- tre attenzioni alla “civiltà adottiva” dell’autore per quanto riguarda le arti e la vita di quella regione. Siamo così agli scritti, più o meno co- stanti nel corso degli anni, per quanto piuttosto rari, che affrontano l’at- tività variegata di più artisti figurativi, tra pittori e scultori cari al poeta, come ad es. Domenico Purificato, Giuseppe Viviani, Mimma Gambetta ed Emilio Greco, spesso seguiti sul versante delle loro prove poetiche. Una rubrica particolarmente importante è quella che si può intitolare
agli Scritti sociali, ovvero a quei reportages inaugurati con la collabo- razione nell’anno 1946 al «Politecnico» di Vittorini e poi ripresi nel pe- riodo successivo in pezzi di opinione sulla società e sul compito della cultura da un lato, ed in resoconti di viaggio in alcune realtà problema- tiche (borgate di Roma, il sud) o in pieno sviluppo nell’Italia del secon- do dopoguerra. A questi articoli si possono allegare quelli relativi al viaggio in Polonia effettuato subito dopo la fine del conflitto mondiale e pubblicati su «La Giustizia» nell’anno 1961. A partire dalla seconda metà degli anni Quaranta l’attenzione di Caproni si concentra anche su due versanti puramente storico-teorici: la dialettica fra poeti “ermetici” ed i nuovi autori neorealisti, e gli articoli sulla valenza della parola nel linguaggio poetico, filone sviluppato negli anni in direzione dell’attivi- tà di traduttore. Per un possibile ordinamento tematico, a queste rubri- che si potranno ancora aggiungere dei tasselli come i frequenti ritorni sulla questione della “giovane poesia” cioè della poesia più recente, ag- giornati di anno in anno in maniera piuttosto costante e con vivo inte- resse ed infine una rubrica vera e propria, ovvero quel Taccuino dello
svagato che fra racconto e cronaca rappresenta forse una delle produ-
zioni più interessanti del Caproni giornalista.
Nella prima parte del presente lavoro verranno tenuti in mag- giore considerazione gli articoli inerenti i paragrafi tematici, mentre nella seconda si condurrà un’indagine sui vari autori recensiti negli anni. Parallelamente, per quanto riguarda i contenuti, si proverà a ren- dere conto dei motivi più interessanti che sottostanno alle collaborazio-
ni con giornali e riviste,60 fra le più importanti della storia novecentesca
ma anche fra le più estemporanee e misconosciute. La prima interru- zione significativa cui fare riferimento nel continuum del lavoro capro- niano è quella della guerra, che nel panorama generale di questi scritti lascia fra il 1941 ed il 1945 un buco colmato solo da qualche scarso in- tervento narrativo.61 Risalgono al periodo prebellico alcuni pezzi che
già possono offrire un ritratto esaustivo di quello che è e sarà l’impe- gno di Caproni sulle colonne di giornale. Possiamo iniziare segnalando alcune importanti e precoci recensioni a personaggi centrali, che ritro- veremo dopo la guerra62 e che per ora servono a testimoniare la preci-
sione dello sguardo del giovane diretto istintivamente su autori dal fu- turo importante. A questi se ne affiancano alcuni più affermati, come il già citato Aldo Capasso, che segna l’ingresso di Caproni nell’agone let- terario, o Giuseppe Ravegnani, indicato dal lettore come una delle let- ture fondamentali della sua formazione. Le collaborazioni più impor- tanti del periodo sono sicuramente, a parte il già citato «Corriere del Tirreno» che rappresenta l’esordio assoluto dell’autore, quelle con «Santa Milizia», «Il Popolo di Sicilia», «L’Araldo letterario» e soprat- tutto «Augustea», fra l’altro, il luogo di un imbarazzato quanto “dove- roso” ossequio al regime. Quello che rimarrà del periodo prebellico è la formazione di un primo nucleo di contatti che verrà lentamente so- stituito dal nuovo ambiente romano, i nomi da fare per questo periodo
60 Per un indice completo dei periodici si rimanda a Bibliografia Baldini, pp. 245-8. 61 Roma, cui sono legato, «Il Fiore», 1941; A memoria, «Architrave», 31 marzo
1943; Corriere di Genova, «Domenica», 14 ottobre 1945, cfr. Bibliografia Baldi-
ni, p. 85.
62 Mario Luzi, Libero De Libero, Alfonso Gatto per i cui paragrafi vd. Seconda
sono quelli di Ferdinando Garibaldi e ancora Gian Battista Vicari, Fidia Gambetti e Giorgio Bassani, conosciuti durante il servizio di leva a Sanremo.63 Nell’ambito della collaborazione alle riviste sopra citate si
definisce l’imprinting critico che avrà i suoi frutti più duraturi in dire- zione della lettura dei giovani e degli esordienti, primo fra tutti Luzi. Sospeso sulla, e costituzionalmente immune alla, polemica fra conte- nuto e forma, il giovane Caproni concede la sua prima attenzione al magistero ungarettiano, elaborato in termini di importanza stilistica e pure recuperato al senso di una condivisione universale, base di parten- za e punto di ritorno sarà l’aderenza ad una tradizione da innovare e conservare insieme.64
Al periodo prebellico bisogna ascrivere poi alcune collabora- zioni più estemporanee come quelle a «L’Ora» o a «Il Piccolo» di Ge- nova, mentre più strutturata appare la collaborazione con il «Corriere Padano» di Bassani, prima del trasferimento a Roma e del precipitare della guerra, quando, a parte la già citata esperienza su «Augustea», l’autore comincia a scrivere su «Meridiano di Roma». La conoscenza fondamentale dei primi anni romani (1938-1939) è senza dubbio Libe-
63 Cfr. DEI, Cronologia, in CAPRONI, L'opera in versi, edizione critica a cura di L.
Zuliani, introduzione di P. V. Mengaldo, cronologia e bibliografia a cura di A. Dei («I Meridiani»), Milano, Mondadori, 1998, p. LIII. Da ora l'opera verrà designata
solo con il titolo.
64 «La prima opera di cui Caproni scrive è Incontri con Ungaretti, del 1933. […] Di
Ungaretti soprattutto si parla, che ha innovato ma ha anche saputo ascoltare la grande tradizione; iniziatore e padre indiscusso delle più giovani generazioni. […] Caproni, che aveva già scoperto, e sottratto, come lui stesso ricorda, l'Allegria presso lo studio dell'avvocato Colli, dove aveva lavorato per un breve periodo come impiegato, non può trovare che conferme della validità e dell'importanza de- cisiva di quel “sillabario poetico” che gli aveva aperto la strada a un nuovo modo di leggere anche gli altri poeti», EAD., Caproni e Capasso, cit., pp. 50-1.
ro Bigiaretti. Le collaborazioni dei primi anni Quaranta allargano note- volmente i contatti di Caproni, che si muove parallelamente sul fronte della prosa giornalistica e della poesia, mandando alle stesse riviste il frutto di entrambe le parti del suo scrittoio. Il 1943 è sicuramente un anno spartiacque data l’uscita da Vallecchi di Cronistoria, recensito da Bo, Spagnoletti, Assunto e Macrì, e posto l’interessamento già vivo di De Robertis. Per limitarci all’ambito critico-giornalistico, bisogna ri- cordare due prose di memoria uscite su «Architrave» e le nuove colla- borazioni a «Domenica» e «Aretusa»65 di Carlo Muscetta con recensio-
ni e pezzi di cronaca ed opinione. Nel 1946 si segnala la collaborazio- ne con «Il Politecnico» con dei resoconti sulla vita nelle borgate roma- ne, mentre nello stesso anno escono articoli per l’«Avanti!» a carattere apertamente politico, recensioni su «La Tribuna del Popolo», un pezzo di “protesta” contro l’odiatissimo De Amicis di Cuore su «Lettere d’oggi» e la prima testimonianza di una collaborazione destinata a du- rare a lungo su «La Fiera letteraria». I nomi da fare per questo che è un anno decisivo nella complessione della crescita caproniana sono quelli del già citato Bigiaretti, di Charles Peguy, ma più che altro vale la pena sottolineare come la consapevolezza critica e sociale di Caproni co- minci con forza a mettere da parte alcune posizioni generali politiche e
65 «“Aretusa”, nata a Napoli nel marzo-aprile 1944 per iniziativa di F. Flora [cam-
bierà direttore dal n. 4 del 1944 (F. Nicolini) e dal n. 7 del 1945 (C. Muscetta)], si autodefinì la “prima creatura dell'Italia liberata”. Nonostante la difficile situazio- ne, e l'impossibilità di comunicare al di là della “linea gotica”, la rivista si pose come punto di riferimento per gli intellettuali e i letterati, in un momento nel qua- le erano interrotte tutte le riviste pubblicate negli anni precedenti, e non era anco- ra nata quella miriade di pubblicazioni che dovevano comparire con la “ripresa” del 1945», ELISABETTA MONDELLO, Gli anni delle riviste. Le riviste letterarie dal
letterarie, ed è particolarmente interessante la vicinanza a questa zona della produzione del primo articolo di “argomento ermetico”, uscito pochi mesi dopo un’accorata difesa dei partigiani contro le denigrazio- ni del qualunquista Giannini. Su quella che si configura come la colla- borazione più duratura del critico e recensore è bene spendere alcune parole. Nel 1947 Caproni scriverà quasi esclusivamente sulla «Fiera»,66
salvo poi interrompere la sua collaborazione fino al 1955, quando ri- prenderà con un picco tra il 1956 e il 1960, per interrompere quasi del tutto l’anno successivo. Alla base di questa rottura che vedrà solo qual- che altro intervento a partire dal 1965, comprese però alcune importan- ti interviste degli anni Sessanta e Settanta, si pone un articolo firmato da Caproni, Bevilacqua, Accrocca, Virdia e Petroni in cui gli autori fir- matari si “licenziano” dal settimanale diretto tra il 1959 e il 1967 da Diego Fabbri. Proprio al direttore si indirizzano le parole di sdegno per aver concesso allo scrittore ed esule romeno Vintila Horia, vincitore nel 1960 di un premio Goncourt mai ritirato per accuse di collaborazio- nismo filonazista, lo spazio per un suo articolo:
Caro Fabbri, non senza indignazione abbiamo notato che “La Fiera letteraria” ha pubblicato nel suo ultimo numero in prima pagina e con grande rilievo, una saggio di Vintila Horia, accompagnato da una nota siglata m. p. nella quale questo mediocre scrittore, emigrato dal suo paese non per il suo amore di li- bertà, ma al contrario per sfuggire alle conseguenze del suo collaborazionismo con l’invasore nazista e per le dottrine razziste che avevano ispirato il suo comportamento, viene esaltato e difeso. […] Troppe volte ci è capitato di co-
66 I nomi da fare per questa annata sono quantomeno quelli di Margherita Guidacci,
gliere alcune sostanziali contraddizioni di ordine politico e culturale, quali di- chiarate offese alla Resistenza, e attacchi infondati, arbitrari, ed extraletterari, a persone, riviste e tendenze che hanno una indiscussa validità, innanzitutto morale, nella vita e nella cultura italiana […].67
Nei circa quindici anni di collaborazione Caproni ha modo di leggere per la «Fiera» molti libri fondamentali della sua epoca soprattutto nel campo della poesia, come ad es. le raccolte di Luzi, Sereni, Quasimodo e Pasolini, alternando alle recensioni qualche pezzo più impegnato dal punto di vista della teorizzazione e la serie della “linea ligustica”, picco- la storia per quadri della poesia ligure. Spigolando nel carteggio Capro- ni-Betocchi si incontrano alcuni riferimenti proprio ai pezzi liguri. De- purando le esternazioni dal tono confidenziale, in cui si amplificano i tratti negativi di un tristo mestiere, resta comunque da valutare il dubbio di una scelta fra le due campane “della bugia e della verità”: «[…] grazie per tutti i complimenti: ma quei “limpidi” articoli sulla Fiera li ho scritti per campare: non ho altro mezzo per le mie speranze», e ancora:
Però con la Fiera io non ho nulla a che fare. Non vedo mai nessuno della
Fiera e i miei articolacci vengono a prenderseli in casa, anzi in portineria
dove li lascio ogni venerdì, giorno di penitenza. Quindi non sono minima- mente coinvolto in quanto la Fiera fa e dice all’infuori del rettangolino a me riservato. Del quale comincio ad essere stanchissimo (e si sente), pen- sando e non trovando un nuovo argomento per campare. Anche io sono senza poesia e questo mi addolora. Ma non posso scrivere bugie (articoli) e dire nel contempo la verità (fare un po’ di poesia). Quosque tandem?68 67 «La Fiera letteraria», 29 gennaio, 1961.
Riprendendo dal 1948 possiamo allargare le frequentazioni di Caproni a Libero De Libero e Giacomo Debenedetti. Comincia in questi anni a collaborare con alcuni giornali di area socialista come la neonata «Mondo operaio» di Pietro Nenni,69 su cui si impegna con articoli che
provano a conciliare istanza letteraria e sociale, «Il Lavoro nuovo», su cui scriverà soprattutto recensioni di novità editoriali, e ancora testate come «Italia socialista», «Voce Adriatica» ed «Alfabeto». Queste sono le collaborazioni dei primi anni Cinquanta, prima del lavoro quasi esclusiva con la «Fiera», a queste testate si vanno tuttavia aggiungendo dal 1953 al 1955 due pezzi per «Civiltà delle Macchine», la rivista di Finmeccanica che aveva come scopo quello di conciliare scienze tecni- che e studi umanistici, nata proprio nel 1953 e diretta da Leonardo Si- nisgalli, più alcuni scritti apparsi su «Il Belli» e «Il Caffé»,70 e ancora
cura di D. Santero, prefazione di G. Ficara, Lucca, Maria Pacini Fazzi, 2007, ri- spettivamente p. 182 e 191.
69 «“Mondo operaio” nacque nel dicembre del 1948 come “rassegna settimanale”,
diretta da P. Nenni. Presenza costante fra le riviste politico-culturale del secondo dopoguerra, il periodico, in quanto strumento di elaborazione e di riflessione del PSI, testimonia lo sviluppo del pensiero e della linea politica socialista negli ulti- mi trenta anni, i momenti di dibattito interno sulle strutture e l'organizzazione del partito, le analisi critiche della situazione italiana e quella internazionale, le pro- poste di politica economica e sindacale. […] Naturalmente sulle pagine della rivi- sta largo spazio è dedicato alle questioni legate all'unificazione socialista, al ruolo del PSI nel centro sinistra, al rapporto con la DC e il PCI, così come ai problemi di politica culturale, con interventi sul ruolo degli intellettuali nella società e nel partito. Nei fascicoli della rivista sono state pubblicate anche traduzioni di testi (da Brecht a Balzac), studi e composizioni (da L. Bigiaretti a G. Caproni, G. Titta Rosa, ecc.)», Gli anni delle riviste, cit., p. 140.
70 «La rivista nacque a Roma nel 1953 ad opera di Giambattista Vicari, come “Ve-
nerdì il Caffé”, trasformata nel 1955 in “Il Caffé”, passando attraverso diverse se- rie, sempre sotto la direzione di Vicari […]. La ricerca della rivista volta, come indicano chiaramente anche le due ultime testate, a privilegiare l'humor, il grotte- sco e la satira si è articolata in una duplice direzione: da un lato ha condotto un'a-
l’inizio di due brevi ma sostanziose collaborazioni con «Letteratura» e «Prospettive meridionali». A quest’altezza Caproni ha conosciuto e co- minciato anche una collaborazione con Carlo Betocchi e Pier Paolo Pa- solini, di cui nel 1955 pubblica su «Paragone» la recensione a La me-
glio gioventù.
Questi sono gli anni di più intenso impegno, vengono letti mol- tissimi autori italiani e stranieri tra cui Bertolucci, Bigiaretti, Kavafis, Firpo, Zanzotto e molti altri, continuano le recensioni regolari all’opera di Luzi ed alla collaborazione con la «Fiera» si alternano pezzi su il «Corriere mercantile», su cui si riattraversa la “linea ligustica”, e «Il Punto», con cui l’autore nei primi tre anni del decennio Sessanta incre- menta molto la collaborazione, occupandosi ancora di poesia (Macha- do, Ungaretti, Pound, Garcia Lorca). Attraverso una transizione per «La Giustizia» e «Critica d’oggi» si arriva nel 1962 a inaugurare la se- conda delle collaborazioni maggiori, quella per «La Nazione», che du- rerà, in maniera pressoché esclusiva fino al 1970, in questa sede Capro- ni succede, per incarico di Romano Bilenchi, a Giuseppe De Robertis. Lavorando per «La Nazione», Caproni ha modo di tornare negli anni su alcune delle sue maggiori passioni critiche, Gadda innanzi tutto, ma anche altri narratori per lui importanti come Morante, Landolfi e Bas- sani. Dal 1970 in poi la produzione diminuisce sensibilmente, riducen- dosi a pochissime recensioni e soprattutto a presentazioni di poeti più giovani (Giorgio Sbaraglia, Giovanni Ferri), interviste, ricordi (Penna, nalisi delle forme espressive attraverso una serie di dibattiti, interventi critici e saggistici, dall'altro ha cercato di individuare e pubblicare, talora per la prima vol- ta, i testi maggiormente rappresentativi della satira e del grottesco», ivi, p. 88.
Morante, Bacchelli) e qualche saggio riassuntivo delle sue lunghe fe- deltà, per esempio su Ungaretti e Montale. Le sedi di questa ultima produzione si annoverano fra le testate dei quotidiani e delle riviste più prestigiose, come «Il Tempo», «L’Espresso» (per cui scrive alcuni reso- conti di viaggio), «La Stampa», «Nuovi Argomenti»,71 di cui nel 1989
assumerà per un breve periodo la direzione, dopo la scomparsa di Leo- nardo Sciascia,72 ma anche su pubblicazioni occasionali di difficile re-
peribilità, come «Il Fuoco», «Calabria 2000», «Reporter».