PRIMA PARTE
1. Uno strano tipo di militanza
1.3. Poeti critic
Ma si è fatto cenno a quei “colleghi” percepiti come particolarmente vicini, che a differenza di Caproni sviluppano anche una produzione saggistica strutturata, verso cui “il recensore” farà solo dei tentativi, ri- valutando in tarda età una parte dei propri scritti che nei piani doveva essere raccolta nel volume antologico La scatola nera.54 Senza alcun
intento di proporre una scala di derivazione diretta, o peggio di imita- zione, credo che sia utile comparare lo storico del lavoro caproniano con quello di due poeti a lui cari, a loro volta autori di un considerevo- le corpus in prosa, già considerati nell’insieme del secolo XX per l’im- portante testimonianza, Montale e Luzi. Al fine di non lasciare la lette- ra caproniana in una sorta di isolamento della descrizione si possono mettere in rilievo gli intrecci più evidenti che il lavoro cronachistico del poeta di Annina si trova a intessere con quello di questi due, in tut- to e per tutto simili nella condizione: poeti alle prese con l’attualità let- teraria affrontata dalle colonne di giornale, critici-non critici che inter- vengono sulla contingenza del panorama librario lasciando un’interpre- tazione forte, per certi versi decisiva, certamente di una certa influenza nella somma del dibattito.
Se la scelta ricade sul caso di questi due punti di paragone, quando molti altri ce ne sarebbero disponibili, è proprio in virtù della vicinanza di condizione, oltre che per l’affetto e l’ammirazione manife- stata dall’autore a più riprese per gli uomini e per il lavoro dei poeti in proprio. Si dà il caso che alcune delle opere recensite da Caproni siano recensite negli stessi anni anche da questi due autori. Senza voler darne un elenco completo possiamo qui citare ad es. i casi di alcuni narratori come il Bassani de Il giardino dei Finzi-Contini o il Landolfi di Rien
va, il Gadda del Giornale di guerra e di prigionia o addirittura il ro-
manzo di Maria Corti Il ballo dei sapienti55 che più o meno nello stesso
giro di anni (il decennio Sessanta) vengono recensiti in sedi diverse an- che da Montale; è interessante poi l’attenzione per alcuni poeti come quelli della cosiddetta “linea ligustica” per cui è logico supporre che Caproni andrà a ricercare informazioni anche nei pezzi montaliani, o l’attenzione per Lorenzo Calogero,56 di cui a tutt’oggi Caproni offre
una delle testimonianze più vive; per non parlare di tutto l’insieme di poeti stranieri, soprattutto francesi, che alternativamente passano dalle attenzioni dell’uno a quelle dell’altro.
55 Si trascrivono qui di seguito i riferimenti dell'opera critica montaliana, rimandan-
do per gli omologhi caproniani alle schede monografiche dedicate a ciascun auto- re, tutti i brani sono ora raccolti in MONTALE, Il secondo mestiere, cit. Vita e morte
di Micòl, «Corriere della Sera», 28 febbraio 1962 (Secondo mestiere, II, p. 2444); Rien va, «Corriere della Sera», 20 giugno 1963 (Secondo mestiere, II, p. 2586); Parla il duca di Sant'Aquila, «Corriere della Sera», 29 agosto 1965 (Secondo me- stiere, II, p. 2733); Il ballo dei sapienti, «Corriere della Sera», 27 marzo 1966
(Secondo mestiere, II, p. 2782).
56 Un successo postumo, «Corriere della Sera», 14 agosto 1962, Secondo mestiere,
Se è poi vero che Montale comincia la su attività pubblicistica un ventennio in anticipo, per concluderla circa un decennio prima, è al- tresì vero che i due poeti e letterati condividono, da due punti di vista differenti, una buona parte della stagione culturale italiana del dopo- guerra. Per quanto riguarda Luzi, dall’elenco delle sue prove giornali- stiche si trae la suggestione di una vicinanza agli interessi caproniani per autori come Bertolucci (in verità indagato anche da Montale), auto- ri francesi e spagnoli (Lorca, Salinas, Machado, introdotti in Italia dal- l’autorità di Oreste Macrì) e naturalmente il “maestro comune” Betoc- chi, più una serie di ragionamenti generali sulla poesia che anche in Montale non manca di tracciare una linea evidente. Va da sé che sareb- be necessario estendere questa piccola comparazione dei corpora criti- co-giornalisti a quelli di molti altri autori, e che non è lecito delimitare la visione generale a questo che può essere comunque assunto come un campione fede degno di interessi incrociati su cui fa base una parte consistente dell’identità letteraria caproniana. Mentre Montale e Luzi lavorano negli anni per confezionare delle raccolte d’autore dei loro scritti usciti in precedenza su riviste e giornali, e la cosa varrà allo stes- so modo per molti altri scrittori o poeti-critici come ad es. Fortini, Pa- solini, ma anche Zanzotto, Quasimodo e Sereni solo per citarne alcuni, Caproni arriva a questa conclusione solo negli ultimi anni di vita, senza riuscire a realizzarla in prima persona, e questo deve essere evidente- mente messo in relazione con la diffidenza nei confronti della forma saggio, benché l’intelligenza dell’autore si era fatta in alcuni passaggi strettamente teorizzante, e con le remore per una produzione ritenuta
più caduca di quanto in effetti non sia. Per comprendere lo spettro di una “insicurezza” che induce l’autore a trascurare uno sforzo pluride- cennale si può citare l’ultimo scritto giornalistico caproniano, in cui l’autore prende la parola proprio per giustificarsi di un’esternazione re- lativa al suo lavoro di recensore, a sua insaputa riesumata durante la trasmissione radiofonica che poi darà vita al volume-intervista Era
così bello parlare: «Come sono felice / dopo una recensione / porre il
libro lodato, merda, / in un cassettone. / Il pianto che m’è costato, / il sudore, il groppone, / il cuore che c’ho consumato, / a leggerlo, / che maledizione! / Che tomba per lo scrittorone / che in fondo più di me è coglione. / Anch’io sarò divorato dai topi: / è la condizione».57 Come
già accennato, alla lettura di questi versi irriverenti seguì nei giorni suc- cessivi una nota sdegnata di Beniamino Placido; va sottolineato che la stessa sorte, e per di più nello stesso articolo, colpisce anche Montale:
Sono scandalizzato? Sono stupefatto? Sì, sono scandalizzato e stupefatto per questa storia del poeta Eugenio Montale che si faceva scrivere le recensioni da Henry Furst e poi le firmava per il Corriere. […] L’altra idea – non meno de- testabile – che mi viene in mente, è quella di andare a cercare il taccuino dove ho trascritto – un certo pomeriggio dell’inverno 1988, ascoltando Radiotre – una singolare confessione in versi di Giorgio Caproni. Poeta che amo, rispetto ed ammiro moltissimo. Forse più di Montale.58
57 Era così bello parlare, cit., pp. 195-6.
58 Per la sede originale dell'articolo cfr. la nota 5. Oggi si legge in Prose, alle pp.
A questo attacco Caproni risponderà sulla stessa testata riepilogando in maniera stringatissima il senso di un esercizio reso difficile dalle varie contingenze dell’opportunità letteraria, ma con lo scarto finale di una giusta valutazione di sé come critico:
[…] Recensioni che ho sempre scritto con fatica, non lo nascondo, proprio per quel senso di responsabilità che credo debba avere ogni onesto recensore, ma anche liberissimamente, senza pressioni di sorta (forse perché privo di quei numeri necessari per meritarmele), e alle quali (nemmeno questo nascondo) tengo quanto basta per aver deciso, senza mutarle di una virgola o rimangiarmi una sola parola, di raccoglierle, insieme con altre apparse altrove, in una mia provvisoria antologia, quasi a titolo (e magari proprio col titolo) di scatola
nera. (p. 2038).
Dunque, seppure in extremis, Caproni giunge alla giusta valutazione della propria carriera critica, dopo aver ripetuto in molte occasioni e per molto tempo la sua pressoché totale estraneità agli intenti della cri- tica, non sapendo spiegare nemmeno a se stesso perché continuasse a scrivere recensioni. Questa presa d’atto finale dopo i molti sforzi spesi in direzione di una minimizzazione della propria occupazione critico- giornalistica, può essere considerata come la benedizione dell’autore ad affrontare uno studio sistematico su questi testi, ciò che in questa sede ci si impegna a fare.