1.4. Il concilio di Basilea – Ferrara e Firenze (1431 – 1449)
1.4.1 Il dibattito conciliare
Giovanni II di Castiglia nominò come suo primo rappresentante l’insigne domenicano Juan de Torquemada, che fu accolto tra le fila del concilio il 30 agosto del 1432; l’anno successivo si unì al teologo anche Juan Alfonso de Segovia nella duplice veste di procuratore del consigliere reale Pedro de Bocanegra, e al contempo rappresentante dell’università di Salamanca.83 Il teologo di Segovia era accompagnato forse da Alfonso de Madrigal, il Tostado: non vi siano notizie certe sulla presenza dell’Abulense a Basilea, che invece si recò in diverse occasioni nella penisola italiana. Questi intellettuali si possono annoverare senza dubbio tra le personalità di maggior spicco presenti al concilio, di cui furono agguerriti animatori – benché su opposte posizioni – e rappresentanti delle diverse correnti che animavano la riflessione teologica iberica. A tali delegati si unì successivamente un’ambasciata ufficiale di cui faceva parte anche Alonso de Cartagena, incaricato di difendere gli interessi castigliani nel conflitto sorto con la corona inglese.
Juan de Torquemada, probabilmente il maggiore teologo del XV secolo, nacque a Valladolid nel 1388 in una nobile famiglia Castigliana; nel 1404 entrò nell’ordine di san Domenico, intraprendendo gli studi teologici nel convento di San Paolo della sua città natale. Come già accennato fece parte della delegazione castigliana al concilio di Costanza e al termine del sinodo fu inviato dal suo Ordine preso l’università di Parigi, per perfezionare e concludere il percorso accademico. Egli delineò una definizione del primato petrino a partire dal concetto di vicarius Christi, affermando che: «potestas papalis est potestas secundum quam communitas Christiana debet regi a Christo mediante suo vicario». La potestas del papa era l’autorità secondo la quale la comunitas cristiana doveva essere governata da Cristo mediante il suo vicario. Proseguiva poi nella riflessione sostenendo come la forma di governo migliore
82 Ivi, cit., p. 286.
83 Bernardo BAYONA AZNAR, La base doctrinal de Juan de Segovia (1393 – 1458), in José Antonio DE SOUZA, Bernardo BAYONA AZNAR (a cura di), Doctrinas y relaciones de poder en el Cisma de Ocidente y en la época conciliar (1378 – 1449), prensa de la Universidad de Saragoza, pp. 297 – 336.
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fosse il governo di uno, che valeva tanto nello stato, quanto nella Chiesa: pertanto era necessario che il papa disponesse nella Chiesa dell’autorità assoluta propria del monarca. Il pontefice conferiva, inoltre validità al concilio che doveva essere condotto sotto la sua presidenza presso la sede patriarcale di Roma, ossia il Laterano.84
Juan Alfonso de Segovia, al contrario, può essere annoverato tra i principali difensori delle teorie conciliari a Basilea85. Nacque a Segovia nel 1393 e nel 1407, ancora molto giovane, intraprese gli studi teologici presso l’ateneo salmanticense, dove ottenne il titolo di magister Theologiae nel 1422. Ben presto fu incaricato di rappresentare gli interessi dell’università di fronte al papa e ai sovrani dei regni iberici: nel 1421 fu inviato nell’Urbe per ratificare gli statuti concessi da Martino V all’ateneo, mentre alla fine del 1431 tornò a Roma per difendere lo Studium dagli abusi giurisdizionali del vescovo di Salamanca e dall’arcivescovo di Compostela. Lasciò la città dei papi solo nel 1433, quando fu esortato a raggiungere Basilea, dove giunse durante la settimana santa di quello stesso anno. Nel settembre dell’anno successivo fu inviato a Firenze insieme al cardinale Cervantes per trattare con il pontefice, ma i negoziati non raggiunsero risultati concreti. Fu al suo ritorno a Basilea che assunse un ruolo da protagonista all’interno del Concilio: fu il più radicale sostenitore delle teorie conciliari durante il processo contro Eugenio IV, che portò alla deposizione del pontefice nel giugno del 1438, e successivamente fu nominato membro del triumvirato che doveva designare gli elettori e preparare il conclave che avrebbe eletto il nuovo vicario di Pietro. Nel De insuperabili sanctitate et suprema auctoritate generalis concilis egli affermò che il concilio, in quanto rappresentazione del corpo mistico di Cristo, riceveva il suo potere direttamente da Dio ed era presieduto dallo Spirito Santo, un’elaborazione che richiamava ampiamente quanto argomentato nella lettera sinodale Cogitanti. Pertanto, in caso di conflitto, l’autorità del papa era inferiore a quella dell’assemblea conciliare.
84 M. PELLEGRINI, Il papato nel Rinascimento, cit., p. 31.
85 Per il profilo biografico e intellettuale di Juan de Segovia si ved tra gli altri: Dario CABANELAS RODRIGUEZ, Juan
de Segovia y el problema islamico, estudio preliminar de Emilio MOLINA LÓPEZ, Editorial Universidad de Granada, Granada, 2007; Bernardo BAYONA AZNAR, La base doctrinal de Juan de Segovia (1393 – 1458); Santiago MADRIGAL TERRAZAS, El proyecto eclesiológico de Juan de Segovia (1393 – 1458). Estudio del liber De Substantia Ecclesiae. Edició y selección de textos, Universidad Pontificia Comillas, 2002; Anne Marie WOLF, Juan de Segovia and the Fight for Peace. Christians and Muslims in the Fifteenth Century, Notre Dame, 2014.
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Studi recenti hanno sottolineato come negli anni conclusivi del Concilio la teorizzazione di Segovia si fosse fatta più sfumata.86 Nel fondamentale Liber de magna auctoritate episcoporum in concilio generalis, ad esempio, egli sostenne una posizione mediana tra l’atteggiamento dei papalisti, che consideravano il concilio solo un organo consultativo e le teorie conciliariste più rigide. Argomentò, infatti, che l’essere rappresentata dall’assemblea conciliare, non impediva alla Chiesa di essere al contempo governata da un potere monarchico autonomo.
Discepolo di Juan de Segovia, anche Alonso de Madrigal detto el Tostado contribuì alla rinascita teologica salmanticense.87 L’Abulense nacque a Madrigal de Las Altas Torres (Ávila) agli albori del XV secolo e morì nel 1455. In un primo momento, almeno fino al 1430 frequentò lo Studium Generale di San Francisco, dominato da una corrente intellettuale di matrice scotista, che influenzò la riflessione del Tostado e dei suoi discepoli sul peccato e la grazia. Successivamente, a partire dal 1433, entrò a far parte del Colegio de San Bartolomé dove studiò Artes, Theologia e Diritto canonico, acquisendo il titolo di magister artium, magister theologiae e il baccellierato in canoni. Nel Colegio Viejo insegnò Artes, Filosofia morale, Theologia e Visperasa e fu nominato maestrescuela nel 1446.88 Tra i più acuti e prolifici intellettuali dell’epoca partecipò attivamente al dibattito conciliare difendendo la superiorità del concilio sul papa e negando l’infallibilità del vicario di Pietro in numerose opere come il De potestate Papae o il De conciliis generalibus. Nel 1443 si recò a Roma, dove, davanti ad Eugenio e a una commissione di cardinali, presentò ventuno proposizioni sul potere del papa e del concilio che che furono duramente attaccate da Juan de Torquemada, a cui il Tostado rispose nuovamente nel Defensorium trium propositionum. Contemporaneamente, fu promotore in Castiglia di un riformismo religioso vicino alla devotio moderna: egli infatti auspicava un cristianesimo più personale e meno formalista e mosse una dura critica all’eccessivo culto dei santi e alla vendita delle indulgenze. Idee e temi di matrice preriformista che furono rielaborati
86 Santiago MADRIGAL TERRAZAS, Juan Alfonso de Segovia y la teología de su tiempo, in Miguel Anxo PENA GONZÁLEZ, Luis ENRIQUE RODRÍGUEZ SAN PEDRO BEZARES (a cura di), La Universidad de Salamanca y el pontificado en la Edad Media, pp., 359-380, cit. p. 362.
87 Sulla figura del Tostado si veda: Nuria BELLOSO MARTĺN, Política y humaniso en el siglo XV. El maestro Alfonso
de Madrigal. El Tostado. Secretariado de Publicaciones, Universidad de Valladolid, Valladolid, 1989; AA.VV, Critical Cluster: Alfonso Fernández de Madrigal, el Tostado, in «La Corónica. A journal of medieval Spanish Language and Literature», vol.33.1, (2004), numero monografico.
88 Antonio PÉREZ MARTÍN, Proles Aegidiana, 4 vols., in «Studia Albornotiana» XXXI, Publicaciones del Real Colegio de España, Bolonia, 1979, tomo II, pp. 583-586
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successivamente da alcuni illustri allievi dell’Abulense come Fernando de Roa e Pedro Martínez de Osma, maestro di Bernardino Carvajal.
Fu solo la condizione politico – militare sempre più compromessa dell’oriente bizantino a consentire ad Eugenio IV di riaffermare la centralità e la supremazia del papato romano. Giovanni VIII Paleologo, infatti, bisognoso di un aiuto concreto contro i Turchi del sultano Murad II si rese disponibile a recarsi personalmente a capo di una delegazione nella penisola italiana per sancire una rinnovata unione tra la Chiesa d’Oriente e quella d’Occidente. Gli emissari greci, però, non erano disposti a recarsi a Basilea e il pontefice decise di indire un concilio nella penisola italiana nell’interesse dell’intera cristianità. Con la bolla Doctoris gentium del 18 settembre 1437 Eugenio IV stabilì che in virtù auctoritate apostolica et ex certa scientia ac ex plenitudine potestatis89 il sinodo in Germania fosse sciolto e riconvocato a Ferrara, città situata in prossimità dell’Adriatico e facilmente raggiungibile. Tale decisione provocò una frattura all’interno del concilio: una parte dei padri decise infatti di raccogliere l’invito del pontefice e recarsi in Italia, altri, invece, decisero di rimanere a Basilea. Inoltre, il 9 dicembre 1437 morì l’imperatore Sigismondo principale sostenitore e moderatore del sinodo che fu trascinato in uno scontro radicale contro Eugenio IV. L’8 gennaio 1438 il cardinale Niccolò Albergati diede inizio ai lavori della prima sessione conciliare nella cattedrale di s. Giorgio e tre giorni più tardi anche il papa si unì ai padri. Nel frattempo a Basilea il concilio dichiarò Eugenio IV sospeso e privato di ogni funzione temporale e spirituale, che il sinodo avocò a sé; successivamente, il 25 giugno 1438, l’assemblea depose il papa in quanto eretico e contumace. Tuttavia l’arrivo a Ferrara del patriarca di Costantinopoli e dello stesso cardinale Cesarini determinò una svolta significativa nello svolgimento delle discussioni conciliari che si realizzò nell’affermazione della plenitudo potestatis del papa nel decreto d’unione Laetentur Caeli, promulgato il 6 luglio 1439. Il 30 ottobre il concilio rispose deponendo il papa ed eleggendo il duca Amedeo VIII di Savoia antipapa con il nome di Felice V.
Eugenio riaffermò nuovamente il primato papale poco dopo, con la bolla Moyses vir Dei, coadiuvato dall’Oratio synodalis de primatu e successivamente dalla Summa Ecclesiae, testi redatti
89 Joseph GILL, Il concilio di Firenze, traduzione italiana a cura di Andrea ORSI BATTAGLINI, Sansoni Editore, Firenze, 1967, cit., p. 109; Sul concilio di Ferrara – Firenze si veda anche Paolo VITI (a cura di), Firenze e il Concilio del 1439: convegno di studi, Firenze, 29 novembre-2 dicembre 1989, L. S. Olschki, Frenze, 1994.
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La bolla papale del 1439 insieme alla Summa de Ecclesiae di Torquemada e alla definizione del primato petrino elaborata dal Concilio di Firenze, costituiscono la triade documentaria che segnò la svolta definitiva nell’affermazione del papalismo tra il quarto e il quinto decennio del XV secolo. Il 1440, infatti, è stato definito il solstizio che inaugurò una nuova stagione nella storia della Chiesa d’Occidente: «caratterizzato dalla costruzione di un apparato normativo discendente dalla nozione di onnipotenza giuridico – sacrale del pontefice come sovrano della Chiesa».90 L’esperienza conciliare si protrasse fino al 1449, quando Felice V patteggiò il suo ritiro con il nuovo papa Niccolò V e pose fine alla più duratura opposizione al primato papale sorta in seno alla Chiesa di Roma tardomedievale.
Come si avrà modo di dimostrare, echi di tali teorie conciliariste – seppur con le dovute differenze – sono riscontrabili in un fondamentale scritto del prelato estremeño, l’Oratio de eligendo summo pontifice, declamata nell’agosto del 1492 all’apertura del conclave che avrebbe eletto Alessandro VI. In tale circostanza Carvajal sostenne la validità della plenitudo potestatis del pontefice, ma precisò anche che il futuro vicario di Pietro avrebbe dovuto riunire la Chiesa per riformarla, rimarcando quindi la liceità di un concilio generale convocato dal pontefice stesso
Inde facile omnem ecclesiam quam etiam in pace et cum prudentia generaliter congregabit vel in Laterano saltem cum ea vel sola sit relicta medicina auctoritatis e libertatis ac reformationis ecclesiastice restaurande.91
La necessità del concilio, relicta medicina, unitamente al richiamo diretto al decreto Frequens compaiono anche il 16 maggio 1511 nella Convocatio Generalis Concilii ex parte Cardinalium, la convocazione generale del concilio di Pisa, di cui Bernardino Carvajal fu uno dei principali protagonisti
Necnon potissime pro reformatione morum universalis ecclesie in capite et in membris plurimum collapsorum ac emendatione criminum gravissimorum notoriorum continuorum ac incorrigibilium universalem ecclesiam scandalizantium: quorum omnium ecclesie morborum salutaris et unica medicina congregatio universalis concilii semper fuit habita. Cumque tempus decenni post ultimum universale concilium sit efluxum et saluberrima decretali Constantiensi constitutione edita que incipit FREQUENS singulis decenniis universale concilium congregari debeat.92
90Ibidem; P. OURLIAC, Les sources du droit canonique au XV siecle: le solstice de 1440, in Id. Etudes d’histoire du
droit medieval, vol. I, Paris, 1979, pp. 361 – 374.
91 Inc. 769, Bernardino CARVAJAL, Oratio de eligendo summo pontifici, f.8v 92 ASV, Instr. Misc., 5284.
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