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L’imperialismo mediterraneo di Ferdinando d’Aragona

Capitolo 2: I primi anni nell’Urbe

2.2 Nuovi protagonisti si affacciano sul Mediterraneo

2.2.2 L’imperialismo mediterraneo di Ferdinando d’Aragona

Come si avrà modo di delineare meglio nel capitolo successivo, durante l’epoca medievale l’espansione castigliana aveva seguito principalmente la traiettoria che conduceva verso al- Andalus e lo stretto di Gibilterra, fino alle coste dell’Africa settentrionale. Al contrario, a partire dal XIII secolo le mire della Corona d’Aragona furono indirizzate verso i territori orientali della penisola iberica, l’Italia meridionale, Grecia e il Maghreb, lungo le direttrici di un grandioso disegno che avrebbe dovuto condurre fino a Gerusalemme. 170 La conquista delle Baleari realizzata da Giacomo I e sostenuta dai mercanti e armatori catalani rappresenta solo la prima tappa di tale progetto espansionistico che ebbe la sua chiave di volta nel «Vespro» siciliano del 1282. Infatti, a fronte del legame dinastico instaurato con gli Svevi, Pietro III d’Aragona decise di intervenire nella rivolta che ebbe origine nell’isola contro Carlo d’Angiò e riuscì ad annettere la Sicilia ai domini aragonesi. Poco dopo, però, per concessione papale, la Sicilia fu restituita agli Angioini, mentre gli Aragonesi ottennero il controllo della Sardegna; tuttavia, questa vicenda dilatò notevolmente la proiezione politica del regno iberico rimodellando gli equilibri del Mediterraneo. Inoltre, tra XIII e XIV secolo i cronisti aragonesi rielaborarono l’evento spinti dalla necessità di offrire una giustificazione di natura storica all’azione di Pietro III e alla successiva espansione marittima della Corona.171 L’impresa militare del sovrano assunse quindi i tratti di una campagna di liberazione dall’oppressore operata da un esemplare principe cristiano che al contempo si prodigava anche nella crociata contro Tunisi. Non solo, a fronte dell’unione tra Pietro III e Costanza, figlia dell’ultimo Hohenstaufen, il sovrano d’Aragona poteva rivendicare il titolo di re di Gerusalemme, che dal XIII secolo era associato a quello di Sicilia. I progetti imperialistici catalano – aragonesi di fine

169 Sull’ intervento della monarchia spagnola nella crisi di Otranto si veda, José Enrique LÓPEZ DE COCA CASTAÑER

Mamelucos, otomanos y caída del reino de Granada, in «La España Medieval», 28, (2005), 229 – 258.

170 Sull’imperialismo aragonese una sintesi critica rimane Jocelyn Nigel HILLIGARTH, The Problem of a Catalan

Mediterranean empire, London, 1975.

171 Interessanti riflessioni sul tema sono state elaborate da Andrew DEVEREUX, The Other Side of Empire: the

Mediterranean and the Origins of a Spanish Imperial Ideology. 1479 – 1516, John Hopkins University, Baltimore, Maryland, 2011.

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Duecento rappresentano dunque un’importante eredità politica e simbolica che fu assunta prima da Alfonso il Magnanimo e successivamente da Ferdinando, ed ebbe un peso rilevante nella decisione di intervenire contro il Turco, 172

Sigismondo de Conti, scrittore apostolico, afferma che la notizia dell’assedio di Otranto giunse ben presto a Barcellona, dove risiedevano temporaneamente i sovrani, i quali si preoccuparono subito di inviare armi e uomini a difendere Rodi.173 La campagna contro gli ottomani assunse un ruolo centrale nella politica del Cattolico, tanto che nella riunione delle cortes di Toledo del novembre 1480, davanti alla proposta di Gutierre de Cárdenas di iniziare la guerra contro Granada, il re replicò che prima le truppe spagnole avrebbero dovuto espellere i Turchi dalle coste italiane.174 I sovrani adottarono, pertanto, tre importanti provvedimenti. In prima istanza, fecero armare tre flotte di considerevoli dimensioni in Galizia, Vizcaya-Guipúzcoa e Andalucia. Successivamente, nel febbraio del 1481, inviarono a Roma il vescovo di Lerida, Luis Juan Milá, avanzando addirittura l’ipotesi che il Turco potesse minacciare la stessa Città Santa.

(...) Vist, no sens gran dolor, en quant perpleix e perill es constituyda la Italia per la empresa del turch, de la fe christiana enemich, les quales coses creem vostra reverendissima paternitat no ignora, e que continuament enten en conquistar lo realme de Napols, e menaça de venir en Roma, havem pensat en fer socors e ajuda a tanta e tan grande necessitat. 175

In primo luogo Isabella e Ferdinando decisero di agire contro il Turco che aveva messo sotto assedio l’isola di Rodi, in seguito si sarebbero mossi alla volta della Puglia e infine contro Granada. L’obiettivo era impedire che gli Ottomani arrivassero a minacciare la Sicilia e la Sardegna, pedine fondamentali nello scacchiere occidentale o che avviassero pericolose incursioni nel Bahr–i Ispaniye -il mare spagnolo- per portare soccorso ai Granadini in caso di guerra. I sovrani compresero che la politica anti-ottomana avrebbe conferito anche legittimità

172 Lo stretto vincolo tra l’eredità aragonese e la politica italiana di Ferdinando il Cattolico è stato rilevato per primo da Jaime VINCENT VIVES, Fernando el Católico, príncipe de Aragón, rey de Sicilia. 1458-1478. (Sicilia en la política de Juan II de Aragón), Consejo Superior de Investigaciones Científicas, Madrid, 1952; sul tema si vedano inoltre gli atti dei Congressi di Storia della Corona d’Aragona, in particolare: La corona d'Aragona e il Mediterraneo: aspetti e problemi comuni, da Alfonso il Magnanimo a Ferdinando il Cattolico, 1416-151, IX Congresso di Storia della Corona d’Aragona, I, Relazioni, Società Napoletana di storia patria, Napoli, 1978. 173 DE CONTI DA FOLIGNO Sigismondo, Le storie de suoi tempi dal 1475 al 1510. Tomo I, cit., p. 345. 174 Ivi, cit., p. 191.

175 Antonio DE LA TORRE (a cura di), Documentos sobre relaciones internacionales de los Reyes Católicos, VI vols., CSIC, Barcelona, 1966, vol.I, pp. 130 – 131.

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e una dimensione internazionale alla guerra contro al – Andalus, erigendo la monarchia spagnola a baluardo dell’intera Cristianità. Fino ad allora, infatti, lo scontro con l’emirato nasride non aveva acquisito a tutti gli effetti quella dimensione universale riconosciuta alle spedizioni armate volte al recupero dei Luoghi Santi.

A Venezia, Firenze e Roma Isabella e Ferdinando mandarono il vescovo di Gerona, Juan de Margarit, umanista e abile diplomatico, incaricato di negoziare una nuova lega anti ottomana, che comprendesse anche la Serenissima e il Regno di Napoli, pienamente appoggiata sia militarmente sia economicamente dalla monarchia Cattolica. Il discorso tenuto dall’oratore Margarit davanti al senato veneto, nel maggio 1481, riveste una particolare importanza e fu edito a Roma dallo stampatore Giovanni Filippo de Lignamine, uomo di fiducia di Sisto IV176. Il diplomatico dopo aver richiamato l’attenzione sul tema della debolezza della Cristianità di fronte agli infedeli, rimarcava con forza la volontà dei suoi sovrani di farsi garanti presso gli stati italiani, una volta sedate le guerre, di una comune a contro gli Ottomani: «serenissimos reges meos tamquam vere fidei christiane cultores paratissimos esse ad omnia quae fides, quae religio quae honor communis denique utilitas postulant».177 Aggiungeva poi che la posizione defilata della penisola iberica non avrebbe impedito a Isabella e Ferdinando di intervenire nelle questioni europee. L’orazione testimonia, inoltre, come la politica avesse ben presto compreso l’enorme potenzialità della stampa, da poco introdotta nella penisola italiana come strumento politico e diplomatico. Un nuovo dispositivo culturale atto a combattere la minaccia che veniva da Oriente e ad affermare il crescente peso politico delle monarchie europee.

Tuttavia, l’ambasciata di Margarit presso la città lagunare non riscosse i risultati sperati, i contributi elargiti per la campagna di Otranto furono piuttosto limitati e il papato riuscì ad armare un solo contingente di tremila fanti, trenta galee ed offrire a Ferrante alcune migliaia di ducati in contanti. Otranto, però, si rivelò impossibile da liberare con la forza nonostante alcune incursioni vittoriose del duca Alfonso di Calabria e dei baroni della regione. Solo la morte del sultano Mehemet II e lo scoppio della guerra fratricida tra i suoi figli, Bayazet e Djem, permise a re Ferrante di recuperare la città. Dopo convulse trattative, il 10 settembre

176 Paola FARENGA, Le prefazioni alle edizioni romane di Giovanni Filippo de Lignamine, in Massimo MIGLIO (a cura di), Scrittura, biblioteche e stampa a Roma nel Quattrocento, Atti del secondo seminario, Scuola Vaticana di Paleografia, Diplomatica e Archivistica, Città del Vaticano, 1983, pp. 135 – 174.

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1481, le truppe ottomane lasciarono la città salentina178. Le navi inviate dai re spagnoli arrivarono presso le coste pugliesi il 3 ottobre, e non poterono dare alcun contributo effettivo alla causa aragonese; l’impatto mediatico, però, fu notevole. Il diarista Jacopo Gherardi, infatti, descrive la solennemente l’entrata dei legati di Ferdinando e Isabella, accolti con grandi onori dai familiari del papa e dai cardinali presso la porta Lateranense.

La crisi di Otranto, in ogni caso, minò profondamente il prestigio e la credibilità del Papato quale promotore e coordinatore della crociata. Cominciò invece a farsi strada l’idea che l’onere di organizzare, dirigere e guidare la lotta anti-turca dovesse spettare alle potenze secolari, relegando il ruolo della Santa Sede al versante spirituale e ideologico della questione.179