Capitolo 2: I primi anni nell’Urbe
2.3 La monarchia spagnola, Granada e la Crisi di Ferrara
L’attacco turco a Otranto marcò dunque una svolta nella politica internazionale della monarchia spagnola, la prima tappa di un più ampio progetto che vedeva Isabella e Ferdinando cercare di imporsi nel nuovo assetto internazionale, ergendosi a paladini dell’equilibrio italiano e mediterraneo. Obiettivo perseguito anche pochi anni dopo l’invasione turca, durante la guerra di Ferrara (1482 – 1484),180 un conflitto in cui l’abilità degli
ambasciatori contò molto più delle capacità tattiche e strategiche dei condottieri.181 Fino al 1492, infatti, gli sforzi militari di Isabella e Ferdinando furono quasi esclusivamente assorbiti
dalla guerra contro al-Andalus, che impedì loro di intraprendere una programmatica politica estera.
Nel 1482, pochi mesi dopo la liberazione del litorale pugliese, il fragile equilibrio che regnava tra gli stati italiani fu nuovamente messo in discussione. Le origini del conflitto possono essere individuate nelle difficili relazioni che vigevano tra Sisto IV e Ferrante d’Aragona all’indomani della congiura dei Pazzi, ordita nel 1478 dalla potente famiglia di banchieri fiorentini contro il
178 Vittorio ZACCHINO, La guerra di Otranto del 1480 – 1481. Operazioni strategiche e militari, in FONSECA Cosimo Damiano (a cura di), Otranto 1480, Atti del convegno internazionale di studio, pp. 267 – 297. 179 Francesco SOMAINI, La curia romana e la crisi di Otranto, p. 257.
180 Luis SUÁREZ FERNÁNDEZ, La guerra de Ferrara, in Ramon MENÉDEZ PIDAL, Historia de España, II, tercera edición, Madrid, 1983, pp. 23 – 41, cit., p. 23,
181 Eleonora PLEBANI, «Nihil est occultum quod non reveletur». La diplomazia fiorentina e la ricerca di nuovi
assetti di potere durante la guerra di Ferrara (1482 – 1484), in AA.VV, Diplomazie: linguaggi, negoziati e ambasciatori fra XV e XVI secolo, pp. 61 - 83, cit., p. 62.
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regime di Giuliano e Lorenzo de Medici, coadiuvata dal papato, dal regno di Napoli e dal duca di Urbino. Il conflitto che ne scaturì si concluse improvvisamente con il viaggio di Lorenzo de Medici a Napoli e l’accordo stipulato con il sovrano aragonese quando la capitolazione di Firenze era ritenuta ormai prossima. A seguito della pace vennero create due leghe opposte. A quella formata dal papato e Venezia si contrapponeva la coalizione formata da Napoli, Milano, Firenze e Ferrara. Inoltre, una clausola segreta inserita nel contratto di condotta del duca Ercole d’Este con la Lega impegnava gli alleati ad appoggiarlo in qualsiasi guerra con la Serenissima finché non fosse stata spezzata l’antica dipendenza di Ferrara dalla città lagunare.182 La difesa dalle pretese veneziane dello stato estense che godeva di uno sbocco sul mare e delle saline risultava, pertanto, di massima importanza.
Nell’inverno del 1481 la politica nepotistica di Sisto IV e le ambizioni del nipote laico Girolamo Riario, signore d Forlì ed Imola, che voleva estendere il suo domino anche su Faenza e su Napoli stessa, trovarono una felice congiuntura con le aspirazioni espansionistiche che animavano la Serenissima. Venezia si mostrò propensa ad appoggiare i piani di Riario, in cambio dell’autorizzazione pontificia a muovere guerra contro Ferrara. Obiettivo dichiarato della repubblica veneta era instaurare nuove posizioni sulla terraferma, arrivando ad occupare il delta del Po e le sue saline. Una situazione quantomeno intricata, poiché se Ferrara era un feudo papale, il duca d’Este era genero di Ferrante di Napoli, il quale non avrebbe accettato una simile impresa, che prefigurava un progetto egemonico veneziano e pontificio sull’intera penisola.
Ferdinando e Isabella furono informati delle nuove alleanze strette dai principi italiani dall’ambasciatore Lancillotto Macedonio, ambasciatore del re di Napoli e da Luis Despuig, maestro di Montesa, e parente del cardinale Ausias Despuig uomo di fiducia di Ferdinando il Cattolico presso la Curia. In un breve indirizzato proprio a Luis Despuig, del 10 maggio 1482, prevedendo lo scontro tra le due leghe, il sovrano spagnolo disponeva il reclutamento di truppe in Sicilia. Non era nei suoi piani intraprendere una spedizione, ma giudicava sommamente pericolosa la situazione politica italiana poiché:
(…) no podran spletar tantes voluntats e ligues, unes a les altres perverses, sens guerra. Nostre Senyor, per sa infinida clementia, los done cami de relevar aquella terra de tant
182Lorenzo DE MEDICI, Lettere, in Michael MALLET (a cura di), volume VI, Giunti – Barbera, Firenze, 1990, cit., p. 345.
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dan, els trameta angel de pau, perque lo inmanissimo turch no tinga manera de poder fer la sua, car ell no pot haver millior cami, lo que seria grandissimo dan de tota la Christianidad183.
Una guerra intestina alla penisola, ritenuta da Ferdinando inevitabile a fronte delle posizioni inconciliabili dei principi, poteva minarne la capacità d’azione contro gli ottomani. Per questo motivo i re Cattolici stabilirono di impegnarsi nel mantenimento della pace o della sua restaurazione. Ferdinando aveva ben interpretato la difficile situazione, infatti, pochi giorni prima, la Serenissima aveva dichiarato guerra a Ferrara; inoltre ben presto giunse la notizia che Sisto IV esortava Luigi XI, re di Francia, a fare valere i sui diritti sul regno di Napoli. Alfonso, duca di Calabria, accorse in aiuto di Ferrara, invadendo le terre dello stato della Chiesa; alla fine di maggio Terracina e la campagna romana erano controllate dalle truppe napoletane coadiuvate dagli uomini dei Colonna. I sovrani iberici furono informati dell’invasione ad opera di Alfonso d’Aragona alla fine di maggio e incaricarono il vescovo di Girona Juan Margarit e Bartolmé de Veri di recarsi a Roma e Venezia per intraprendere i negoziati di pace. L’azione diplomatica di Isabella e Ferdinando era chiaramente esplicitata in un breve indirizzato dai re Cattolici a Sisto IV, inviato da Cordoba il 10 giugno 1482. I sovrani esortavano il pontefice a sanare l’ostilità con il re di Napoli, frutto di un malinteso, e lo pregavano -in qualità di capo della Cristianità- di adoperarsi per la pace tra i principi cristiani, poiché il Turco aveva da poco stanziato un poderoso contingente sul litorale di Valona. Obiettivi confermati in una missiva indirizzata al doge Giovanni Mocenigo il medesimo giorno, in cui si fa riferimento all’azione mediatrice del papa o di due arbitri per dipanare la contesa tra le due leghe184.
Inizialmente, la missione degli ambasciatori spagnoli non ottenne i risultati sperati e la situazione militare evolveva velocemente, a discapito della Lega anti-veneziana. Se le truppe napoletano erano, infatti, giunte fin sotto le mura di Roma, nel territorio di Rovigo i mercenari della Serenissima avevano ottenuto una schiacciante vittoria sui soldati del duca di Urbino, capo dell’esercito della Lega, presso Ficarolo.
I re Cattolici decisero, quindi, di incrementare la pressione diplomatica. Margarit e de Veri ricevettero l’ordine di tornare a Venezia con un ultimatum, se non fosse stata raggiunta la pace i sovrani avrebbero vietato ogni commercio tra la città veneta e i loro regni e ordinato ai loro sudditi di lasciare i territori della Repubblica. Successivamente, il 30 agosto, nominarono
183 A. DE LA TORRE, Documentos, vol. I, cit., pp. 213 – 215. 184 L. SUÁREZ FERNÁNDEZ, La guerra di Ferrara, cit., p. 31.
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ambasciatore presso il pontefice Gonzálo Fernandez de Heredia, vescovo di Barcellona con il medesimo mandato. Qualora il pontefice non avesse accettato l’invito a mediare tra i principi, per conseguire la pace e un nuovo equilibrio, i sovrani:
Hortamur, monemus et iubemus omnibus vobis, qui in regnis nostris natis estis et in illis beneffitia possidetis, si Baetitudo sua nostras supplicationes non admiserit, ut, intra quindecim dies s presenttatione, lectione publicationeque harum litterarum per nostrum oratore facta, ab urbe Roma ad nos recto itinere profecturi discedatis, atque intra quinquaginta, ab discessu vestro ab urbe, ad nos veniatis, neque sine nostro iussu a nostra Curia discedatis.185
Arcivescovi, vescovi, protonotari e altri sudditi residenti a Roma avrebbero ricevuto l’ordine di lasciare la Curia entro quindici giorni e presentarsi al cospetto di Isabella e Ferdinando nei cinquanta giorni successivi. Parole forti, che danno ulteriore testimonianza del prestigio e del peso politico ed economico acquisito dalla comunità iberica nella Roma papale. Contemporaneamente fu disposto che le navi catalane e valenzane che solcavano le acque del Mediterraneo occidentale attraccassero lungo le coste della Sicilia, a totale disposizione del viceré, conte de Cordena.
Nel mese di luglio Venezia inviò in aiuto alle truppe pontificie un esercito di mercenari guidato da uno dei migliori condottieri della penisola, il generalissimo Roberto Malatesta, che inflisse una dura sconfitta agli uomini di Alfonso d’Aragona a Campomorto, nei pressi di Nettuno, il 21 agosto 1482. Tuttavia la Repubblica non poté trarre i vantaggi sperati da questa vittoria poiché il condottiero morì pochi giorni dopo, probabilmente di febbre malarica. Nel medesimo tempo anche Federico di Montefeltro scomparve e Sisto IV decise di stipulare una pace separata con il Regno di Napoli «in virtù dello status quo ante e dell’impegno di difendere Ferrara da un possibile attacco della Serenissima».186 Il 12 dicembre, gli alleati del duca d’Este costituirono una nuova Lega, ufficialmente animata dal sentimento anti-ottomano, a cui aderì anche lo stato pontificio, che rompeva l’alleanza con Venezia. I re Cattolici celebrarono tale evento, non solo a Madrid, città in cui risiedevano in quel periodo, ma in tutti i maggiori centri dei loro regni, con processiones, luminarias y alegrias.187 Ritenevano, infatti, che il nuovo
185A. DE LA TORRE, Documentos, vol.I, cit., p. 267.
186 Giuseppe GALASSO, Il mezzogiorno angioino e aragonese (1266 – 1494), in Il Regno di Napoli, Storia d’Italia, Torino, Utet, 1992, cit., p. 682.
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equilibrio, così determinante per l’intera cristianità fosse stato raggiunto per volere di Dio e attraverso la loro fondamentale mediazione, come si evince da una missiva inviata a Sisto IV il 29 gennaio 1483:
Ad hoc enim, ut scilicethuius amicitie et pacis essemus auctores, non modo nos amor, quo serenissimum regem fratrem nostrum amplectimur, adduxit, cui scimus hanc pacem fuisse utilissimam, sed precipue nos compulit labor atque angustia, in quibus Beatitudinemvestram istamque sanctissimam sedem esse sciebamus, cui nos omnem cultum honoremque debemus, cuique obsequentissime servire desideramus.188
I sovrani e i loro ambasciatori si erano tanto prodigati per la pace in nome del legame che li univa a Ferrante di Napoli, cugino di Ferdinando, e del rispetto verso la Santa Sede, di cui si ergevano a paladini; la prima azione diplomatica di portata internazionale dei re Cattolici aveva conseguito significativi risultati.
Nonostante un appello dello stesso papa, Venezia si rifiutò di prendere parte all’alleanza stipulata alla fine del 1482, e il 24 maggio dell’anno successivo il pontefice promulgò una bolla attraverso cui scagliava l’interdetto contro la città lagunare. Lo scontro ebbe il suo epicentro in Lombardia dove la Lega ottenne alcuni primi e significativi successi; inoltre, Isabella e Ferdinando avvallarono le pretese di Sisto IV proibendo le relazioni commerciali tra Venezia e i loro regni, fino a quando la Repubblica non si fosse mostrata disposta ad abbandonare le ostilità189.
Le operazioni belliche proseguirono, la Repubblica veneta riuscì ad occupare il porto di Gallipoli ma non vi furono azioni risolutive; mentre, la diffidenza interna alle stesse alleanze, particolarmente evidente tra il Regno di Napoli e il ducato di Milano, portarono ai negoziati di pace. La crisi di Ferrara si concluse con un trattato di pace firmato a Bagnolo, presso Brescia, il 7 agosto 1484. L’accordo, che prevedeva la cessione del Polesine e di Rovigo a Venezia, decretava la sconfitta del duca di Ferrara in una guerra voluta dai suoi alleati che ambivano a realizzare una riorganizzazione territoriale.190
Pochi mesi dopo la stipulazione del trattato di pace, nell’autunno del 1484, cinque galee della Repubblica veneta violarono il blocco del commercio con al-Andalus, con cui i re Cattolici
188 Ivi, cit., p. 298 – 299. 189 Ivi, cit., pp. 356 – 357.
190 E. PLEBANI, «Nihil est occultum quod non reveletur». La diplomazia fiorentina e la ricerca di nuovi assetti di
potere durante la guerra di Ferrara (1482 – 1484), in AA.VV, Diplomazie: linguaggi, negoziati e ambasciatori fra XV e XVI secolo, pp. 61 - 83, cit., p. 82.
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avevano ripreso le ostilità, portando rifornimenti al sultanato granadino presso il porto di Almeria. La flotta castigliano – aragonese di Álvaro de Mendoza intercettò le imbarcazioni, ma a causa di una tempesta quattro galee riuscirono a dileguarsi, mentre una fu catturata dagli spagnoli nella baia di Valenza.191 Fornire approvvigionamenti a Granada significava rendere più ardua l’azione bellica dei re Cattolici, impedendo loro di intervenire con una politica di ampio respiro anche sulla penisola italiana. L’appartenenza degli uni e degli altri al Cristianesimo o all’islam risultava marginale. Dopo diversi mesi di trattative, Ferdinando d’Aragona decise di instaurare relazioni pacifiche con la Serenissima, le merci caricate dai Veneziani a Cadice furono salvaguardate, caricate su un’imbarcazione basca diretta a Genova, da lì sarebbero state trasportate via terra a Venezia. L’intesa con la Repubblica fu ritenuta fondamentale da Ferdinando il Cattolico poiché si profilava un nuovo scontro tra gli stati italiani, che vedeva nuovamente come protagonisti il regno di Napoli e la Santa Sede, nello stesso momento in cui Ferrante era costretto ad affrontare la seconda sollevazione dei Baroni. I due poli opposti del Mediterraneo, e le reciproche relazioni con i musulmani, continuavano influenzarsi.
L’attacco turco e la crisi di Ferrara avevano mostrato a Isabella e Ferdinando una volta di più che non era possibile perseguire una reale politica mediterranea senza l’assoggettamento dell’emirato di Granada e un’azione diplomatica costante nella penisola italiana. Il sistema italiano era troppo debole per garantire aiuti concreti in caso di un attacco ottomano e la Corona d’Aragona necessitava di chiudere il litorale mediterraneo per impedire che il nemico vi creasse basi d’appoggio per intraprendere incursioni verso Occidente e in Nord- Africa.192 Le aspirazioni politiche e messianiche dei sovrani non potevano dunque consentire l’esistenza di una enclave musulmana sul loro territorio, benché formalmente egno vassallo della Castiglia. Pertanto, non è un caso che proprio il 1484 rappresenti un anno spartiacque nella politica di Isabella e Ferdinando e nella storia della guerra di Granada. I sovrani infatti iniziarono ad elaborare una nuova strategia politica e militare all’interno della quale il papato assunse un ruolo sempre più significativo. Ed è in questo contesto che ebbe inizio la carriera di Bernardino Carvajal abilmente declinata tra Roma e la Spagna.
191 G. RICCI, Mediterraneo 1484-85: Venezia aiuta Granada a resistere, in «Mediterranea ricerche storiche» vol. 28, Anno X - Agosto 2013, pp. 357 – 366.
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