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3. In difesa del 4 novembre
Quando il governo decide di trasferire, per il solo anno 2011, le caraOerisCche economiche e giuridiche proprie della fesCvità del 4 novembre al 17 marzo, col fine di celebrare la ricorrenza «con la dovuta solennità in un giorno fesCvo a tu- gli effe- civili [...] senza peraltro che ne derivino nuovi o maggiori oneri né per la finanza pubblica, né per le imprese private»65, la dose di protesta
della Lega Nord nei confronC della festa del 17 marzo rincara, con un elemento aggiunto: la difesa del 4 novembre.
Il 4 novembre è l’unica festa civile che, pur subendo nel corso del tempo diverse straCficazioni interpretaCve, percorre i sistemi poliCci italiani senza soluzione di conCnuità. Il sistema liberale la introduce come fesCvità nazionale per ricordare, nel giorno della fine della guerra, la viOoria del primo confliOo mondiale e per commemorarne i caduC. Pur meOendola in secondo piano rispeOo al conCguo anniversario della marcia su Roma, il fascismo ingloba la festa nel proprio calendario; ne sposta l’accento dalla commemorazione del sacrificio dei caduC alla celebrazione del mito della guerra, facendolo rientrare nel culto del liOorio. Con la caduta del regine nel 1943 la conCnuità della festa, purificata dalla retorica fascista, viene mantenuta e diventa l’elemento rituale in grado «di ridisegnare l’idenCtà nazionale nella conCnuità dello stato»66: il 4 novembre diventa la festa
nazionale in cui si celebra l’unità del popolo italiano. La fine della seconda guerra mondiale comporta una ridefinizione della denominazione originaria della festa, che ‐fin dall’immediato dopoguerra‐ aggrega in sé una duplice natura. Non più “festa della viOoria”, ma “giorno dell’unità nazionale” e contemporaneamente “festa delle forze armate”. Da un lato la memoria dei caduC del primo confliOo mondiale rimane forte e si estende ai morC (per poi includere pure i reduci) di tuOe le guerre, guerre fasciste comprese, facendo sì che le diverse memorie siano appianate e pacificate in un colle-vo senCmento di pietà nei confronC dei morC e del sacrificio della vita. Dall’altro lato il 4 novembre è presentato quale un contrappeso di natura isCtuzionale e militare al 25 aprile: al mito della repubblica nata dalla guerra parCgiana (la guerra come insurrezione, come scelta poliCca) si contrappone il mito dell’esercito (la guerra come professione); alla Resistenza, la conCnuità dello Stato.
Le due componenC della festa nazionale (“giornata di unità nazionale” e “giornata delle forze armate”) si risolvono, a volte con tensione, con la predominanza dell’una sull’altra in base al momento storico e poliCco. Negli
65 Disegno di legge presentato dall’allora presidente del Consiglio dei ministri il 22 febbraio 2011, relaCvamente alle disposizioni per la festa nazionale del 17 marzo 2011.
ulCmi anni maggiore visibilità è rivolta alla sua natura militare: il 4 novembre diventa il giorno in cui si celebra l’esercito.
Una nazione di poveri cris< manda< a morire
Perché dunque il Carroccio si erge in difesa del giorno tradizionalmente dedicato all’unità nazionale e alle forze armate? Quale sfumatura della festa fa propria? Quale interpretazione elabora e perché la oppone al 17 marzo?
Il 17 marzo non sarà una festa di popolo né si celebra l’idea della nazione libera. Suonano profeCche le parole di Antonio Gramsci a proposito di nazione. “In Italia il termine ‘nazione’ ha un significato molto ristreOo ideologicamente e, in ogni caso, non coincide con ‘popolare’, perché in Italia gli intelleOuali sono lontani dal popolo, cioè dalla ‘nazione‘ e sono legaC a una tradizione di casta che non è mai stata roOa da un forte movimento poliCco popolare o nazionale dal basso”. [...] Il 17 marzo si celebra la festa di chi è più legato anche passando aOraverso il fesCval di Sanremo, ad Annibal Caro, Ippolito Pindemonte, ma non di certo a Ignazio Bu-ta come ai contadini e agli operai. Ben diversa, insomma, è la nazione che trova una sua giornata di riflessione nel 4 novembre. C’è un’Italia che nasce dalle trincee, dove si trovano affratellaC uomini di ogni dove, di ogni regione, una Italia che vive nella sofferenza di tante donne e tante famiglie che hanno i loro cari al fronte o che aOendono disperate anche solo una noCzia: è l’Italia per dirla con Malaparte dei SanC Malede- mandaC a morte vuoi sul Carso, sugli AlCpiani vicenCni, sul Piave come capiterà ai loro figli d’essere spediC in Russia, Albania, Grecia... L’Italia dei SanC malede-, della povera gente, che per dirla con Pietro Jahier «non sa perché va a morire» e narrata da Lussu come da Frescura, da Saba, da Ungare-, fino a Bedeschi o Mario Rigoni Stern, morta nelle trincee come nella guerra parCgiana, nei campi di sterminio come nelle foibe, questa Italia viene declassata, perché i rifleOori devono accendersi su ViOorio Emanuele II, sul parlamento di Palazzo Carignano[...]. E agli Alpini che va alla guerra, a quanto morirono per colpa dei Savoia, lor signori vogliono rubare anche la giornata della memoria.67
Delle due sfumature della festa, la Lega Nord eredita quella del ricordo dei caduC in guerra, proponendone però una sfumatura aggiunCva. La morte in guerra di cui «la Padania» parla è una morte sì valorosa, ma non scelta, imposta.
L’appropriazione che la Lega Nord fa del 4 novembre da un lato è moCvata dal recupero di una memoria (quella della prima guerra mondiale sopraOuOo) cara agli alpini, con cui la Lega intesse un forte legame; ma non solo. Essa viene moCvata anche dall’elaborazione di una memoria colle-va, questa volta sì italiana, imperniata però sulla sofferenza, sul dolore, sul sacrificio. La nazione italiana trova ‐secondo «la Padania»‐ il suo principale se non unico valore idenCtario nella morte in guerra.
67 Roberto Ciambe-, Uno smacco al 4 novembre vera giornata della memoria, in «la Padania», 19 febbraio 2011, p. 4.
L’aOeggiamento della Lega Nord però non si connota in termini anCmilitarisCci; vi è una posizione ambivalente del Carroccio nei confronC della sfera militare. Non si oppone alla guerra in sé né alla gerarchia delle divise militari. Essa sacralizza la guerra e il gesto eroico del militare, assimila le celebrazioni del sacrificio dei caduC; ne è prova il legame che la Lega intesse con l’associazionismo dei reduci come anche la grande aOenzione e la retorica con cui i maggiori leader del parCto intervengono durante i funerali di militari italiani (del Nord) morC in Arghanistan. La presa di distanza del Carroccio non è nei confronC della guerra in sé; essa criCca le guerre perché volute dallo Stato italiano. Così Bossi si esprimeva alla fine degli anni Novanta:
E’ l’Italia e non la Padania che oltraggia la storia, è Roma e non la Lega che disprezza le leggi. Io sono uomo di fede e rispeOo il sacrificio degli alpini caduC sul Grappa e rendo omaggio a coloro che combaOono spinC da senCmenC di amore. [...] Lo so bene anch’io che per la bandiera italiana che molC uomini del popolo sono morC. Ma questo non è un argomento a difesa del tricolore, bensì contro di esso. Questo stato fondato sulla violenza e costruito con la forza delle armi e delle alleanze con lo straniero ha usato la guerra come strumento per conquistare una coesione altrimenC impossibile. Sui confli- e sui morC ha costruito una sua lugubre mitologia uCle a imbonire le nuove generazioni.68
L’aOenzione dunque si concentra sulla morte subita, imposta da uno Stato percepito lontano ed estraneo. Se si deve parlare di Italia e di unità nazionale ‐ soOolinea «la Padania»‐ si celebrino i caduC in tuOe le guerre: non solo la prima e la seconda guerra mondiale, ma anche le guerre fasciste, la guerra parCgiana, i lager nazisC e le foibe comuniste. Il processo di unificazione italiano, secondo la Lega, può essere sì documentato, ma in termini di guerre, indeOe dai governi di “Roma” e subite dal popolo. Il 4 novembre dunque per la Lega non è solo la festa delle forze armate né solo la celebrazione patrio-ca dei “caduC di tuOe le guerre” in senso tradizionale. La sfumatura che «la Padania» vuole dare è piuOosto quella di una giornata di luOo, in cui gli italiani ricordano orgogliosamente i propri morC, uccisi però da uno Stato lontano e incomprensibile. Il messaggio che il Carroccio vuole trasmeOere con la difesa del 4 novembre in opposizione al 17 marzo è che il senso del proprio esistere in quanto italiani si risolve nell’esperienza negaCva della morte in guerra69:
l’appartenenza italiana come mera condivisione di fatali esperienze militari che, seppur affrontate con fierezza e coraggio dal popolo, non sono state né volute né capite.
68 Umberto Bossi e Daniele VimercaC, Processo alla Lega, Sperling & Kupfer Editori, Milano 1998, p. 120.
69 L’importanza del 4 novembre agli occhi della Lega Nord si esaurisce nella sola polemica anC‐17 marzo. «la Padania», infa-, giunto il 4 novembre 2011 non dedica alcuna menzione alla celebrazione della giornata.
«la Padania» descrive la decisione governaCva di prediligere i festeggiamenC del 17 marzo a quelli del 4 novembre come un golpe70: la festa del popolo
sacrificata per la festa del re, «un’offesa alla memoria e un insulto alla storia»71.
La parola ai le>ori
I leOori de «la Padania» percepiscono la riflessione sul 4 novembre e sulla memoria della guerra. I loro intervenC, pubblicaC nella sezione “La parola ai leOori”, toccano non poche volte la quesCone dei confli- mondiali. Le guerre sono leOe come evenC unificanC per gli italiani, in una chiave di leOura però non negaCva come «la Padania» tende a fare, bensì secondo un’interpretazione più tradizionale. Si commemorano i caduC, ma nella classica prospe-va patrio-ca: il sacrificio della vita per la difesa della patria. Rientra in questa linea anche la riflessione dei leOori sui simboli dello stato nazionale italiano.
Da parte dei leOori il tricolore, pur rimanendo un simbolo controverso, manCene una valenza non trascurabile72. La quesCone della memoria bellica
come elemento unificante ritorna forte nelle prese di posizione relaCvamente all’inno nazionale. Rifiutano l’inno di Mameli, suggerendo invece una consultazione referendaria per un nuovo inno nazionale. Le proposte avanzate si richiamano a un repertorio musicale proprio sopraOuOo del primo confliOo mondiale.
Proprio per evitare discrepanze e malintesi penso che si dovrebbe fare un referendum per stabilire, tra “il Mameli”, “La canzone del Piave” e ”Bella ciao” (gradita da chi cantava bandiera rossa la trionferà) la paternità e poi regolamentarlo nella CosCtuzione. Credo pertanto che un chiarimento sia proprio necessario73.
Il 4 novembre, almeno dalle nostre parC, è una festa popolare e da noi l’inno del Piave o del Grappa così come il Ponte di PeraC sono canC senCC e vissuC dalla gente74.
Sono quesC degli elemenC che vengono ripresi anche da una parte della stessa classe dirigente leghista. L’ex sindaco di Treviso, Giancarlo GenClini, si dichiara
70 R. M., Il “golpe” sul 4 novembre, in «la Padania», 19 febbraio 2011, p. 3.
71 Roberto Ciambe-, Festeggiare il Regno Sabaudo? Vergogna, ivi., 20‐21 febbraio 2011, p. 4. 72 La bandiera italiana è descriOa come «l’omaggio alle armate napoleoniche viOoriose in tuOa Europa, un consegnarsi all’uomo del momento col sorriso sulle labbra» o anche come il simbolo al quale si contrappongono le bandiere regionali (in misura davvero ridoOa il sole delle Alpi), ma non solo. Ma non solo. Le parole che i leOori de «la Padania» rivolgono alla bandiera tricolore non sono solo negaCve; esso è il «simbolo di tu- gli italiani» e «un federalismo non può dissacrare una bandiera rappresentaCva dalla memoria dei caduC, di quel popolo che l’ha difesa e che ha segnato le imprese e l’eroismo militare del vero ed unico “orgoglio italiano”. Quindi il tricolore deve sempre sventolare accanto alla bandiera dei popoli “federaC”».
73 Giovanni Padovani (Verona), Inni, facciamo un referendum, ivi., 4 febbraio 2011, p. 25. 74 Roberto Ciambe-, Festeggiare il Regno Sabaudo? Vergogna, cit.
contrario alla soppressione della fesCvità del 4 novembre: «è un sacrilegio sopprimere una fesCvità importante come quella del 4 novembre, che è il ricordo di milioni di soldaC caduC per la patria. […] Queste celebrazioni dell’Unità d’Italia si ridurranno come il 25 aprile, che non è più un giorno di concordia ma di baruffa»75. Ma reagisce in maniera diversa dall’impostazione
de «la Padania». GenClini, come vedremo più avanC, avanza una propria proposta completamente taciuta dal quoCdiano leghista.
Il 17 marzo andava conglobato con il 4 novembre, la festa dell’Unità e quella dei soldaC. […] La bandiera, l’inno nazionale sono realtà. SCamo alla realtà. Senza tanta pompa e tanC festeggiamenC. Si poteva fare tuOo in una sola giornata: festeggiare il 4 novembre e i 150 anni dell’Unità. […] Ho suggerito di deporre una corona d’allora ai monumenC ai CaduC. Ecco il grande omaggio all’Unità. L’omaggio ai marCri che ci hanno dato l’Unità76.
75 Angela Pederiva, Un sacrilegio declassare il 4 novembre, in «Corriere del Veneto», 21 febbraio 2011, <hOp://corrieredelveneto.corriere.it/veneziamestre/noCzie/poliCca/2011/21‐febbraio‐2011/ sacrilegio‐declassare‐4‐novembre‐19060584257.shtml>
76 Gabriele Moroni, Da alpino onorerò i caduF. Ma poi andrò a lavorare, «Il Giorno», 19 febbraio 2011, p. 3.