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IL
TRICOLORE
SBANDIERATO: LE
PIAZZE
DELLA
SINISTRA

Nel
 1911
 repubblicani
 e
 socialisC
 non
 partecipano
 al
 giubileo
 della
 patria:
 acceOano
 lo
 Stato
 unitario,
 ma
 ne
 disconoscono
 l’asseOo
 monarchico
 che
le
 celebrazioni
 pongono
 in
 primo
 piano.
 Alle
 cerimonie
 ufficiali
 i
 repubblicani
 oppongono
 una
 commemorazione
 antagonista
 sul
 Gianicolo;
 i
 socialisC
 e
 i
 sindacaC,
 invece,
 danno
 vita
 a
 comizi
 di
 protesta
 contro
 la
 situazione
 economica
 e
 sociale
 del
 Paese,
 contrapponendo
 al
 cinquantennio
 della
 borghesia
il
cinquantenario
del
proletariato.


In
 occasione
 del
 centenario
 la
 situazione
 risulta
 profondamente
 cambiata.
Il
ParCto
Comunista
«partecipa
consapevolmente»
alle
celebrazioni.
 Interpreta 
 il
 movimento
 di
 unificazione
 nazionale
 come
 un
 processo
 rivoluzionario;
 si
 presenta 
 come
 l’unico
 e
 legi-mo
 erede
 delle
 spinte
 democraCche
 risorgimentali,
 contestando
 invece
 l’impianto
 celebraCvo
 eccessivamente
 influenzato
 dalla
 sfera 
 vaCcana
 e
 dall’esaltazione
 del
 capitalismo.

Nei
cinquant’anni
che
 intercorrono
tra
i
due
giubilei
l’approccio
 della
 sinistra
 nei
 confronC
 dell’evento
 fondatore
 dello
 Stato
 unitario
 subisce
 dei
 profondi
 e
 ripetuC
 mutamenC:
 prima
 con
 l’interpretazione
 gramsciana
 del
 Risorgimento
 come
 «rivoluzione
 fallita»
 per
 la
 mancata
 partecipazione
delle
 masse,
poi
con
la 
proposta
avanzata
da
Carlo
Rosselli
alle
forze
anCfasciste
di
 aOuare
 un
 “Secondo
 Risorgimento”,
 facendosi
 erede
 non
 del
 Risorgimento
 monarchico
e
moderato,
ma
di
quello
popolare,
 democraCco
e
repubblicano,
 del
 Risorgimento
 sconfiOo.
 È
 questa
 seconda
 posizione,
 inizialmente
 fortemente
 criCcata 
 dai
 comunisC
 (l’espressione
 sprezzante
 di
 «cosiddeOo
 Risorgimento»
viene
 elaborata
nelle
Tesi
 di
 Lione)
 e
dagli
 stessi
 ambienC
 di
 GiusCzia 
e
Libertà,
 che
si
impone
come
 un
 «terreno
comune
di
 mediazione»
 fra
le
forze
anCfasciste
a
parCre
dagli
anni
Trenta.1

Cosa
 succede,
 invece,
 in
 occasione
 del
 150°
 anniversario
 dell’Unità
 d’Italia?
 Qual
 è
 l’aOeggiamento
 della
 sinistra 
 italiana
 nei
 confronC
 della
 ricorrenza?
 Come
 vive
 il
 richiamo
 ai
 simboli
 e
 ai
 valori
 nazionali
 faOo
 dalla
 retorica
 giubilare?
 Quali
 interpretazioni
 propone
 del
 Risorgimento
 e
 della
 storia
italiana?

1 
 Per
 una
 ricostruzione
 dell’evoluzione
 dell’aOeggiamento
 della
 sinistra
 italiana
 nei
 confronC
 del
 Risorgimento
si
rimanda
a
Claudio
Pavone,


Nella
pagina
precedente
il
corteo
del
C‐day
a
Roma,
12
marzo
2011.


Repubblica»,
 de
 «l’Unità»
 e
 de
 «il
 manifesto»
 ha
 permesso
 di
 cogliere
 la
 posizione
 o
 meglio
 le
 differenC
 posizioni
 della
 sinistra
 nei
 confronC
 dell’anniversario.

Lo
sguardo
 è
stato
rivolto
 anche
e
sopraOuOo
 alle
piazze,
alle
manifestazioni
 che
ambienC
di
sinistra,
sia
pariCCci
che
non,
organizzano
frequenC
nel
corso
 del
2011
in
opposizione
alla
sfera
governaCva.
È
 nel
palcoscenico
dello
spazio
 urbano
 sia
in
occasione
del
17
marzo
sia
e
sopraOuOo
in
circostanze
esterne
 alla
celebrazione
del
centocinquantenario,
infa-,
che
è
stato
possibile
cogliere
 in
modo
 profondo
la
complessità
della
retorica
di
una
parte
della 
sinistra
nei
 confronC
della
ricorrenza
dell’Unità
d’Italia.

La 
scelta
di
raccontare
le
dimostrazioni
di
piazza
ha
determinato
 una
 struOura
 del
 capitolo
 differente
 rispeOo
 ai
 precedenC.
 Le
 modalità
 di
 narrazione
 del
 Risorgimento
 e
della
storia
 italiana
 prodoOe
dalla 
piazza
 non
 hanno
 permesso
 la
 profondità
 di
 analisi
 usata
 nel
 primo
 e
 nel
 secondo
 capitolo.
Si
 è
dato
 spazio
invece
a
un
corredo
 di
 immagini
 che
riprendesse
la
 scenografia
 delle
 piazze,
 in
 modo
 da
 resCtuire
 la 
simbologia
 e
 l’iconografia
 delle
manifestazione
an
plein
air
del
primo
semestre
del
2011.

1.
Rituali

Il
 17
 marzo
 «il
 manifesto»
 pubblica
un
 arCcolo
 dal
 Ctolo
 Fratelli
d’Italia1.
 Il


tono
 dubitaCvo
 è
 rivolto
 alla
 festa 
 dell’Unità
 d’Italia,
 in
 parCcolare
 ai
 «senCmenC
 patrio-ci»
 che
 essa 
 ispira
 e
 meOe
 in
 circolo.
 La
 riflessione
 dell’autore,
 lo
 storico
 Alberto
 Mario
 BanC,
 ruota
 aOorno
 al
 rischio,
 deOato
 dalla
retorica
celebraCva
del
 centocinquantenario,
 di
 un
pericoloso
revival
 di
 struOure
discorsive,
simboliche
e
mitologiche
legate
ai
conce-
 di
“nazione”
e
 “patria”.
L’appartenenza 
alla
comunità
poliCca
italiana
non
 può
essere
basata
 su
 un
 sistema
valoriale
 diverso
 da
 quello
 nazionale?
 Su
 quali
 basi
 ‐si
chiede
 BanC‐
 deve
 fondarsi
 oggi
 l’idenCtà
 italiana?
 C’è
 bisogno
 di
 un
 senCmento
 patrio-co?
E
di
che
Cpo?

Nel
giorno
in
cui
il
Paese
festeggia 
la
formazione
dello
Stato
nazionale
 italiano,
il
«quoCdiano
comunista»
rievoca
altre
feste:
il
25
aprile
e
il
2
giugno,
 ricorrenze
 che
 definisce
 giustamente
 durature
 «perché
 ricordano
 la
 vera
 origine
della 
nostra
 Repubblica»2.
 All’idenCtà
 basata
sul
conceOo
 di
 nazione


BanC
 contrappone
 l’appartenenza 
 alla
 comunità
 italiana
 fondata
 sulla
 conoscenza 
e
 sul
rispeOo
 della 
CosCtuzione
 repubblicana:
 «Quello
 è
 il
paOo
 fondamentale
che
ci
 fa
italiani.
Non
 importa
che
uno
 sia
di
 lingua
 e
cultura
 italiana,
 di
lingua
e
 cultura
 francese,
 di
 lingua
e
 cultura
tedesca:
 se
vive
nei
 confini
 della
 Repubblica
 italiana 
trova
lì
 le
sue
 garanzie,
 lì
 i
 suoi
 diri-».
 La
 CosCtuzione
è
riconosciuta
come
il
«testo
che
raccoglie
i
valori
fondamentali
e
 le
regole
essenziali
che
disciplinano
la
vita
pubblica»
italiana3;
 e
per
questo
è


posta 
al
 centro
 del
 conceOo
 stesso
 di
ciOadinanza.
BanC,
 infa-,
propone
 di
 isCtuire
in
corrispondenza
della
festa
della
Repubblica
un
rito
di
passaggio,
che
 trasformi
 ogni
 dicioOenne
 in
 ciOadino
 consapevole
 dei
 propri
 diri-
 e
 «dei
 valori
fondamentali
che
lo
legano
a
tu-
gli
altri»,
aOraverso
il
giuramento
sulla
 CosCtuzione4.
 Da
 questo
 rito
 prenderebbero
 forma
 «un’italianità
 non


nazionalista»
e
un
«sano
patrio-smo»,
il
patrio-smo
cosCtuzionale.

Il
patrio-smo
cosCtuzionale
è
posto
in
contrapposizione
con
un
altro
 Cpo
 di
 patrio-smo
 e
 un’altra 
 idea
 di
 patria.
 Ciò
 che
 BanC
 rifiuta,
 considerandolo
 pericoloso,
 è
 il
 «patrio-smo
 esclusivo»,
 derivante
 dalla
 concezione
della
nazione
come
comunità
di
discendenza,
in
cui
l’automaCsmo


1
Albero
Mario
BanC,
Fratelli
d’Italia?,
in
«il
manifesto»,
17
marzo
2011,
p.
11. 2
Ibid.

3
Ibid.

l’appartenenza
 italiana:
 un
 elemento
 che
 rappresenta 
‐argomenta 
BanC
 nei
 suoi
studi‐
 il
dato
essenziale
del
nazionalismo
oOocentesco,
faOo
proprio
dal
 fascismo
e
sempre
latente
nel
discorso
relaCvo
alla
nazione.

La 
domanda 
che
si
pone
BanC
 su
 «il
manifesto»
è
dunque
rivolta
alla
 festa
del
centocinquantenario
e
a 
come
essa
è
stata
impostata:
 è
opportuno
 individuare
 nel
 Risorgimento
 il
 mito
 fondaCvo
 dello
 Stato
 italiano?
 La
 sua
 criCca
non
tocca 
il
Risorgimento
in
sé;
non
c’è
un
rifiuto
in
toto
del
movimento
 risorgimentale.
 Dei
 tanC
 evenC
 del
 giubileo
 il
 quoCdiano,
 ad
 esempio,
 il
 17
 marzo
dà
spazio
alla
riapertura
del
museo
della
Repubblica
Romana5;
lo
stesso


BanC
sempre
sul
«quoCdiano
comunista»
aveva
affermato:

certo
ci
sono
anche
altri
 valori
 nel
 Risorgimento,
che
 devono
parlare
 ancora
 alle
 nostre
 menC:
 la
 libertà,
 la
 cosCtuzione,
 la
 rappresentanza
 (sebbene
 anche
 qui
 bisognerebbe
 soffermarci
 a
 indagare
 e
 rifleOere).
 Ma
 il
 punto
 essenziale
 è
 che
 quando
 si
 parla
 del
 Risorgimento
si
parla
in
prima
istanza
di
 un
movimento
nazional‐patrio-co.
[…]
E
 allora
 è
lì
che
dobbiamo
trovare
le
radici
storiche
dell’oggi?6

Il
giudizio
 negaCvo
 è
posto
verso
il
«recupero
 acriCco
del
Risorgimento
come
 mito
fondaCvo
della
Repubblica 
italiana
[che]
fa
correre
il
rischio
di
rimeOere
 in
 circolo
 valori
 pericolosi
 come
 sono
 quelli
 incorporaC
 dal
 nazionalismo
 oOocentesco»7.


È
 questa
 un’allarmata
 osservazione
 che
 BanC
 aveva
 già
 mosso
 nei
 confronC
 della
pedagogia
 neo‐patrio-ca
 messa
in
 campo
 dall’ex
 presidente
 della
Repubblica.
Nel
tentaCvo,
puramente
democraCco
‐dice
BanC‐
di
reagire
 alle
spinte
secessioniste
della
Lega
Nord,
Carlo
Azeglio
Ciampi
(presidente
della
 Repubblica
dal
1999
al
2006)
ha
lavorato
al
rilancio
del
senso
di
appartenenza
 alla
 comunità
 nazionale
 italiana 
 ricorrendo
 a
 una
 struOura
 simbolica
 e
 discorsiva
 «in
 linea
 di
 conCnuità
 con
 l’universo
 simbolico
 del
 nazionalismo
 italiano
come
si
è
costruito
dal
Risorgimento
al
fascismo»8.


5
Apre
al
Gianicolo
il
museo
della 
Repubblica
Romania,
ibid.
 La
memoria
della
Repubblica
Romana
 è
 richiamata
da
BanC
(nel
corso
del
seminario
L’idea
di
patria
ieri
e
oggi
 organizzato
a
Roma
dalla
casa
 editrice
Laterza
il
4
febbraio
2011),
quando
si
domanda
perché
 sia
 stata
scelta
 come
data
del
ricordo
 dell’Unità
d’Italia
il
17
marzo
e
non
invece
il
3
luglio.


6
Albero
Mario 
BanC,
Il
mito
strabico 
del
Risorgimento,
ivi.,
2 
marzo
2010,
<hOp://www.ilmanifesto.it/ archivi/fuoripagina/anno/2010/mese/03/arCcolo/2402/>.

7
Albero
Mario
BanC,
Benigni
e
“Fratelli
d’Italia”,
dubbi
su
una
lezione
di
storia,
ivi.,
20 
febbraio
2011,
 <hOp://www.ilmanifesto.it/archivi/fuoripagina/anno/2011/mese/02/arCcolo/4196/>.

8
La
citazione
è
traOa
dalla
conclusione
del
libro
in 
cui
BanC
sviluppa
la
riflessione
sulla
conCnuità
della
 struOura
 morfologica
 del
 discorso
 nazionale
 dal
 Risorgimento 
 al
 fascismo:
 Alberto
 Mario
 BanC,


Sublime
madre
nostra,
cit.,
p.
206.
Per
un’analisi
del
percorso
di
Ciampi
si
veda
Maurizio
Ridolfi,
Feste
 civili
 e
 giorni
 della
 memoria.
 L’Italia
della 
Seconda 
Repubblica 
(1994‐2011),
 in
Celebrare
 la 
nazione,


cit.,
pp.
417‐442.
Per
le
contraddizioni
della
pedagogia
nazionale
di
Ciampi
si
rimanda
anche
a
Gaspare
 Nevola,
 From
 the
“Republic
of
ParFes”
 to
a
 “Fatherland 
for
 Italians”:
 the
 Italian
PoliFcal
 System
in


Search 
of
 a
New
 Principle
 of
 LegiFmaFon,
 in
«Journal
 fo
 Modern
 Italian
 Studies»,
 2003,
 n.
 2,
 pp.


Lo
stesso
scivolamento
nel
frame
nazionalista
è
riscontrabile
‐denuncia
 il
«quoCdiano
 comunista»‐
 nella
retorica
celebraCva 
del
centocinquantesimo
 anniversario
dell’Unità
 nazionale.
L’episodio
 che
 più
 di
altri
 suscita
una
dura
 reazione
 de
 «il
 manifesto»
 è
 la 
 performance
 di
 Roberto
 Benigni
 durante
 il
 fesCval
della
canzone
italiana.
Il
fesCval
di
Sanremo
del
2011
dedica
una
serata
 alla
ricorrenza
del
centocinquantenario.
Nata
per
unire,
così
si
inCtola
la
serata
 in
quesCone,
 prevede
una 
sfida
nella
sfida:
 i
cantanC
 in
gara
interpretano
un
 pezzo
storico
del
repertorio
musicale
italiano;
il
concorrente
più
votato
riceve
 in
 premio
 una 
 scultura
 raffigurante
 l’Italia.
 L’aOenzione
 mediaCca
 è
 tuOa
 riservata
però
a
Roberto
Benigni,
chiamato
a
fare
l’esegesi
dell’inno
nazionale
 italiano.
La
stampa
accoglie
con
entusiasmo
l’esibizione
di
Benigni,
con
poche
 eccezioni.
La
criCca
più
pesante
e
più
importante
a 
livello
di
contenuC
 (anche
 la 
Lega
Nord
 non
 vede
di
buon
occhio
la
performance
 di
Benigni,
fermandosi
 però
 a
 delle
 polemiche
 superficiali)
 trova 
 spazio
 sulle
 colonne
 de
 «il
 manifesto»,
a
firma
ancora
una
volta
di
BanC.


Con
 il
 suo
 lunghissimo
 monologo
 […]
 Benigni,
 ‐pur
 essendosi
 dichiarato
 contrario
 al
 nazionalismo‐
 sembra
 in
 sostanza
 averci
 invitato
 a
 contrastare
 il
 nazionalismo
 padano
 rispolverando
 un
 nazionalismo
 italiano
 uguale
 a
 quello
 leghista
 nel
 sistema
 di
 valori
 e
 contrario
 a
 quello
 solo
 per
 ciò
 che
 concerne
 l’area
geopoliCca
di
riferimento9.

Benigni
‐dice
BanC‐
ha
riproposto
senza
filtro
criCco
«la
versione
distorta
della
 storia
 nazionale
 offerta
 dai
 leader
 e
 dagli
 intelleOuali
 nazionalisC
 dell’OOocento»,
non
facendo
l’esegesi
ma
piuOosto
«un’apologia
appassionata
 dei
valori
poliCci
e
morali
proposC
dall’inno»10.

Riproporre
nella
società 
aOuale,
caraOerizzata
da
forC
movimenC
migratori,
la
 concezione
della
nazione
come
comunità
di
discendenza,
basata
sul
dovere
del
 sacrificio
eroico
in
guerra
e
posta
in
un
sistema
contrapposiCvo,
formato
da 
un
 “noi”
e
 un
 “loro”
 diverso
 da 
noi,
 è
un’operazione
 potenzialmente
«tossica»,
 dice
BanC:

può
 indurre
 a
 pensare
 che
 difendere
 l’idenCtà
 italiana
 implichi
 difendersi
 dagli
 “altri”,
 che
 ‐in
 quanto
 diversi‐
 sono
 anche
 pericolosi;
 può
 indurre
 a
 fantasCcare
 di
 una
 parCcolare
 peculiarità,
 se
 non
di
 una
 superiorità,
 della
 cultura
 italiana;
 invita
 ad
 avere
 una
 visione
 chiusa
 ed
 esclusiva
 della
 comunità
 poliCca
 alla
 quale
 apparteniamo;
 e
 sopraOuOo
 induce
 a
 valorizzare
 ideali
 bellici
 che,
 nel
 contesto
 aOuale,
 mi
 sembrano
 quanto
meno
fuori
luogo11.

9
Albero
Mario
BanC,
Benigni
e
“Fratelli
d’Italia”,
dubbi
su
una
lezione
di
storia,
cit. 10
Ibid.

storico‐
 nell’entusiasmo
 biparCsan
 riscosso
 dall’esibizione
 di
 Benigni.
 Se
 la
 reazione
 posiCva
 da
parte
 della
 destra
è
scontata,
 «che
 ne
è
 stato
 [invece]
 dell’internazionalismo,
 del
 pacifismo,
 dell’europeismo,
 dell’apertura 
 solidale
 che
ha
caraOerizzato
la
migliore
cultura
democraCca
dei
decenni
passaC?»12.

La 
domanda
che
BanC
rivolge
alla
sinistra
non
passa
inosservata.
Più
di
 trecento
leOori
del
quoCdiano
lasciano
un
commento
all’arCcolo
sul
portale
de
 «il
 manifesto»,
 dando
 vita
 a
 una
discussione
 anche
 molto
 accesa13.
 La
 loro


reazione
 è
 contrastante.
 Minoritari
 sono
 gli
 intervenC
 che
 accolgono
 posiCvamente
la
riflessione
di
BanC,
di
cui
riprendono
e
sviluppano
i
seguenC
 punC.

Essi
 insistono
 sulla
 lontananza 
 della
 sinistra
 da
 un
 repertorio
 simbolico
 e
 retorico
 inerente
 alla
 patria
 e
 ribadiscono
 l’internazionalismo
 quale
 valore
 primo
della
sinistra:

Sembra
che
ulCmamente
si
cerchi
di
superare
 la
destra
nel
recupero
di
valori
(moralismo
 becero,
nazionalismo)
che
nulla
hanno
a
che
 fare
 con
la
tradizione
di
sinistra14;
a
quanto


pare
 sia
 il
 popolo
 di
 sinistra
 che
 la
 Sinistra
 hanno
 dimenCcato
 le
 loro
 origini
 storico‐ culturali,
per
non
parlare
dei
loro
padri
fondatori15.

(ii)
Affermano
la
loro
distanza
dalle
celebrazioni
del
centocinquantenario,
di
cui
 denunciano
 una
retorica
 da
 «libri
 delle
 elementari
 anni
 ’50
 o
 addiriOura
 di
 prima
della
guerra»16
e
soOolineano
il
pericolo
deOato
da
una
«storia
pop»17.


«Il
 risorgimento
 di
 Benigni
 è
 il
 fratello
 gemello
 di
 quello
 che
 studiavo
 alle
 elementari
negli
anni
cinquanta:
tu-
buoni,
tu-
eroici,
tu-
fratelli,
tu-
mossi
 dallo
 stesso
 afflato»18.
 (iii)
 I
 commenC
 di
 quesC
 leOori
 contrastano
 tale


«potpurri
in
cui
le
differenze
tra
le
ideologie
e
i
protagonisC
del
Risorgimento
 spariscono
 completamente»19,
 per
 rivendicare
 invece
 il
racconto
 di
 un
 altro


Risorgimento.
 Alcuni
 citano
 Gramsci20;
 rimarcano
 in
 parCcolare
 la 
 forte


eterogeneità
del
movimento
risorgimentale,
 riconoscendosi
 eredi
di
una
sola
 di
queste
differenC
 anime:
«Certo
 ci
 furono
 anche
 democraCci
Cpo
 Pisacane


12
Ibid.

13
 I
 commenC
 sono
 leggibili
 sul
 portale
 del
 quoCdiano
 al
 seguente
 indirizzo
 internet:
 <hOp:// www.ilmanifesto.it/archivi/fuoripagina/anno/2011/mese/02/arCcolo/4196/>.
 Per
 la
 loro
 citazione
 ripropongo
i
daC
idenCficaCvi
usaC
sul
portale
(nickname
dell’autore,
data
e
ora
dell’intervento) 14
athesius,
20‐2‐2011,
22:29,
Ibid. 15
Demian,
24‐02‐2011,
18:20,
Ibid. 16
Matusca,
21‐02‐2011,
18:47,
Ibid. 17
Giuseppe
F.
Pagano,
20‐02‐2011,
20:27,
Ibid. 18
Guido
Armellini,
25‐02‐2011,
18:55,
Ibid. 19
Fabiola,
20‐02‐2011,
16:59,
Ibid. 20
Matusca,
21‐02‐2011,
18:47;
Demian,
24‐02‐2011,
18:20;
Andrea
Simone
24‐02‐2011,
8:22,
Ibid.

ma
furono
 i
grandi
sconfi-»21.
(iv)
 Il
punto
 su
cui
però
 le
note
insistono
 con


maggiore
 forza,
 in
 risposta
 sopraOuOo
 ai
 commenC
 dei
 leOori
 contrari
 allo
 scriOo
 di
 BanC,
 è
 un
 altro.
 Essi
 non
 acceOano
 l’uso
 dell’«arma
 dell’ideologizzazione
 storica
 [faOa
 da
 Benigni]
 per
 suscitare
 negli
 italiani
 un
 senso
di
disgusto
e
ribellione
verso
l’umiliante
situazione
poliCca
aOuale»22.
È


pericoloso
ricorrere
 a
«un
 tardo‐nazionalismo
di
 stampo
risorgimentale»
 per
 contrastare
il
«rozzo
neo‐nazionalismo
padano»23:
facendo
questo
‐dicono‐
 «si


ritorna
 a 
 un
 patrio-smo
 ambiguo»24.
 «ConCnuiamo
 a
 vigilare


sull’internazionalismo
 ed
 eviCamo
 di
ricadere
 nel
nazionalismo
 più
 becero
 di
 Benigni
in
sola
funzione
anC‐B»25.
(v)
Altrove,
ripetono,
stanno
le
basi
fondanC
 della
vita
colle-va 
italiana:
la
Resistenza,
di
cui
Benigni
‐si
lamentano‐
non
ha
 faOo
menzione. 21
Matusca,
21‐02‐2011,
10:32,
Ibid. 22
Elena,
24‐02‐2011,
10:27,
Ibid. 23
Lucaschie,
22‐02‐2011
22:31,
Ibid. 24
Maurizio,
21‐02‐2011,
9:51,
Ibid. 25
athesius,
21‐2‐2011,
10:27,
Ibid.

nei
 confronC
 dell’arCcolo
 di
 BanC:
 «molC
 e
 insospeOabili
 sono
 i
 nemici
 dell’Italia
unita!»26.
Se
la 
prendono
con
lo
storico
e
con
lo
stesso
giornale
che


gli
dà
spazio27
e
mostrano
il
proprio
sostegno
nei
confronC
della
performance


di
Benigni
e
della
celebrazione
dell’anniversario.

È
la
posizione
che
assume
la 
maggior
parte
della
sinistra
italiana:
essa
è
 favorevole
al
ricordo
 del
movimento
risorgimentale
e
alla
festa
del
17
marzo,
 che
 tutela
di
fronte
 all’opposizione
leghista
e
all’indecisione
 governaCva28;
vi


partecipa
 entusiasCcamente.
 Il
 suo
 proposito
 però
 va
 al
 di
 là 
 della
 mera
 celebrazione
storica;
essa
meOe
a 
punto
piuOosto
un
discorso
in
cui
denuncia
 come
l’oggeOo
festeggiato,
l’unità
d’Italia,
sia 
in
serio
pericolo.
La
retorica
e
i
 simboli
nazionali,
rimessi
in
circolo
dal
centocinquantenario,
inoltre
diventano
 la 
chiave
di
leOura 
con
cui
la
maggior
parte
della
sinistra
interpreta
la 
delicata
 situazione
poliCca
italiana 
dei
primi
mesi
del
2011:
il
clima
giubilare
influenza
 le
sue
strategie
poliCche.

Partecipare
alla 
festa
dell’Unità
d’Italia
per
la 
sinistra 
significa
in
primis
porsi
in
 difesa
della
stessa
unità,
significa
salvare
l’Italia.
Ma
da
cosa
e
da
chi?

Dignità

Nel
 2011
 la
 sinistra
 descrive
 il
 Paese
 «in
 ginocchio
 e
 moralmente
 e
 economicamente»29
 e
 il
 presente
 come
 il
 momento
 più
 basso
 della
 storia


repubblicana30.
 Individua 
i
responsabili
di
questo
 declino
nella
classe
poliCca


governaCva,
 mostrandola 
quale
 inadeguata
 sia
 per
 il
 ruolo
 isCtuzionale
 che
 riveste
 sia
 in
 ambito
 privato.
 La
 presenta
 come
 corroOa,
 «irresponsabile»31,


non
credibile32,
«artefice
del
disastro»33,
incapace
di
«mantenere
il
decoro
e
la


dignità»
dell’Italia34,
incline
piuOosto
a
disunirla35.

26
Prialo,
20‐02‐2011,
23:31,
Ibid.

27
 Paragonano
 la
 posizione
 di
 BanC
a
 quella
 di
 Borghezio
 (Alessandro,
 20‐02‐2011,
 17:32,
 Ibid.),
 lo
 accusano 
di
 uno
«snobismo
radicalchic
vuoto
e
 controproducente»
(silvio,
 21‐02‐2011,
 00:00,
 Ibid.),
 dubitano
della
sua
professionalità.

28
A
inizio
anno
alcuni
 sondaggi
rilevano
come
 la
 ricorrenza
 sia
 senCta
 più
dall’eleOorato
di
 centro‐ sinistra
 che
 da
 quello 
di
 centro
 o
 di
 destra.
 Il
 sondaggio
 faOo
 da
 Demos
 a
 cura
 di
 Ilvo 
DiamanC
 constata
che
 quasi
il
 64%
 degli
eleOori
di
sinistra
 e
 centrosinistra
 ritengono
il
17
marzo 
una
data
da
 celebrare
 senza
riserve,
 contro
il
 55%
degli
 eleOori
 di
 centro
e
 il
 44%
 degli
eleOori
di
centro
destra.
 Ilvo
 DiamanC,
 Unità 
 d’Italia,
 una
 festa 
 in
 sordina.
 La
 ricorrenza
 piace
 di
 più
 a
 sinistra,
 in
 «la
 Repubblica,
21
febbraio
2011,
pp.
12‐13. 29
Un’altra
Italia
è
possibile,
in
«l’Unità»,
1°
febbraio
2011,
p.
14. 30
Nicola
Tranfaglia,
La
tragedia
di
un
premier
ridicolo,
ivi.,
19
gennaio
2011,
p.
23. 31
Stefano
Fassina,
Un
premier
irresponsabile,
ivi.,
13
gennaio
2011,
p.
2. 32
Simone
Collini:
“Il
premier
non
è
credibile.
Deve
solo
dimeAersi”,
ivi.,
1°
febbraio
2011,
p.
8. 33
Andrea
CarugaC,
Bersani:
Berlusconi
vergognoso,
ivi.,
in
13
gennaio
2011,
p.
6. 34
Nicola
Tranfaglia,
La
tragedia
di
un
premier
ridicolo,
ivi.,
19
gennaio
2011,
p.
23. 35
Timothy
Gaston
Ash,
L’Italia
disunita
del
Cavaliere,
in
«la
Repubblica»,
10
marzo
2011,
p.1‐
37

Due
 sono
 i
 principali
 nemici
 dell’Italia:
 da
 un
 lato
 vi
 è
 la
 «nuova
 “barbarie”
della
Lega
che
punta
alla
secessione
e
investe
e
deteriora
quanto
di
 civile
 avevamo
 costruito
 nelle
 nostre
 comunità»36.
 Bisogna
 dunque


salvaguardare
l’Italia
da
un
punto
di
vista
territoriale,
in
quanto
Stato
unitario;
 Bossi
è
percepito
come
uno
«straniero»37.


Ma
c’è
un’altra
grave
minaccia
da 
cui
il
Paese
deve
essere
tutelato.
Il
nemico
 primo
 dell’Italia
 è
individuato
in
 Silvio
 Berlusconi,
il
presidente
del
Consiglio,
 invesCto
a
cavallo
 tra
il
2010
e
il
2011
 da
un
nuovo
scandalo
sessuale,
in
cui
 risultano
 coinvolte
anche
delle
 minorenni.
 Il
 rapporto
 che
 il
 premier
 stringe
 con
il
genere
femminile
diventa
la
chiave
di
leOura
e
di
rappresentazione
non
 solo
 del
 presidente
 del
 Consiglio,
 ma
 dell’Italia
 stessa.
 La 
 rappresentazione
 della
 donna.
 Elevando
 a
 sistema
 poliCco,
 aOraverso
 l’«uso
 munifico
 delle
 cariche
 pubbliche»,
 una
 rappresentazione
 della
 donna
 svilita
 a
 corpo
 da
 mercificare
 Berlusconi
 «svuota
 di
 senso
 le
 isCtuzioni
 e
 delegi-ma
 la
 convivenza
civile»38.
È
da
questo,
da
un
declino
che
è
prima
di
tuOo
morale
e


isCruzionale,
che
l’Italia 
deve
essere
salvata;
si
deve
tutelare
l’unità
del
Paese
 anche
in
quanto
integrità
morale.


Sono
 degli
aspe-
 su
 cui
 la
 stampa
di
 sinistra,
 sopraOuOo
 «l’Unità»,
 insiste
nei
 primi
mesi
del
2011
aOraverso
l’elaborazione
di
un
ricco
apparato
 iconografico;
 in
cui
Berlusconi
 è
idenCficato
dal
 rapporto
 extraconiugale
 con
 donne
 giovani,
 belle,
 svesCte,
 con
 bambole
 di
 plasCca39.
 Un
 vizio
 che
 dalla


sfera
 privata
 trasborda
 nella
 sfera
 pubblica;
 e
 diventa
 anche
 aborrita
 perversione.
 Col
 suo
 comportamento
 Berlusconi
 infanga
 il
 Paese
 che
 rappresenta,
 portandolo
alla
rovina40.
 È
 «l’anCtaliano»41,
«l’eversore»42:
 colui


che,
 persi
 moralità
e
 decoro43,
 mira
a
rovesciare
le
 isCtuzioni
 dello
 Stato.
In


una 
delle
prime
pagine
del
quoCdiano
torinese
la
CosCtuzione,
un
grande
libro
 dalla
coperCna
verde
e
dalle
pagine
bianche,
poggiato
su
un
piano
rosso,
è
al
 rogo;
 in
 secondo
 piano
 un
 personaggio
 inquietante,
 Berlusconi,
 gode
 alla
 distruzione
della
carta
cosCtuzionale.

36
ViOorino
Emiliani,
Disunità
d’Italia,
in
«l’Unità»,
7
gennaio
2011,
p.
2. 37
Il
presidente
e
lo
straniero,
ivi.,
8
gennaio
2011,
p.
1.

38
 Questa
 riflessione
 è
 argomentata
 da
 Amalia
 Signorelli,
 Le
 ambigue
 pari
 opportunità
 e
 il
 nuovo


maschilismo,
 in
 Enrica
 Asquer
 e
 Paul
 Ginsborg
 (a
 cura
 di),
 Berlusconismo.
 Analisi
 di
 un
sistema
di
 potere,
Laterza,
Roma‐Bari
2011,
pp.
207‐
221.

39
L’immagine
accompagna
l’arCcolo
di
Claudia
Fava,
Il
silenzio
dei
padri,
ivi.,
22
gennaio
2011,
p.
20. 40
L’uomo
che
scambiò
l’Italia
per
un
bordello,
ivi.,
26
gennaio
2011,
p.
1.

41
L’AnFtaliano,
ivi.,
13
gennaio
2011,
p.
1. 42
L’eversore,
ivi.,
29
gennaio
2011,
p.
1.

43
 Berlusconi
 è
 descriOo
 come
 un
«premier
 ridicolo»
(Nicola
 Tranfaglia,
 La
 tragedia 
di
 un
 premier


«umiliazione»,
 «imbarazzo»:
 un
 lessico
 che
 descrive
 uno
 stato
 d’animo
 colle-vo
 segnato
 da 
 un
 profondo
 disagio,
 un
 turbamento
 causato
 da 
 un
 disonore.
 L’Italia
è
«in
luOo
 contro
lo
 squallore
 di
 una
classe
dirigente
senza
 più
 eCca
 e
 regole»44,
 che
 sta 
 offrendo
 al
 mondo
 intero
 uno
 «speOacolo


indecoroso
 che
 [...]
 non
 è
 degno
 di
 un
 paese
 civile»45.
 La
 vergogna
 che
 i


ciOadini
 provano
 di
 fronte
 all’inadeguatezza 
 dei
 poliCci
 e
 in
 ambito
 isCtuzionale
e
in
ambito
privato
è
amplificata
dal
confronto
con
i
paesi
esteri:
 spesso
la
stampa
italiana
ripropone
i
commenC
apparsi
sulle
principali
testate
 straniere
 che
 soOolineano
 l’eccezionalità 
 negaCva 
 della
 situazione
 poliCca