RispeOo all’oblio riservato al primo confliOo mondiale135, «L’Osservatore
Romano» dà spazio al racconto della seconda guerra mondiale, sviluppandolo però a parCre da uno specifico termine a quo. Inizia la narrazione del confliOo solo con l’autunno del 1943, focalizzandosi cioè sulla seconda parte della guerra, quella apertasi con l’armisCzio dell’8 seOembre, e si interessa del solo contesto della ciOà di Roma.
Della realtà romana soOo l’occupazione nazista il quoCdiano vaCcano affronta principalmente e con ridondanza uno specifico nodo storico: la persecuzione degli ebrei perpetrata dalla Germania nazista e dai suoi alleaC. O meglio, gli arCcoli che traOano della Shoah ritornano frequenC a fine 2010136 e
nel corso dell’intero 2011, non deOaC dalla sola retorica ufficiale della giornata della memoria. Ma più che parlare della Shoah in sé, il proposito è il racconto della decisione di «spalancare le porte di tuOe le case e gli isCtuC religiosi […] per offrire asilo e protezione ai tanC ebrei che correvano seri pericoli di vita»137.
Questa a-vità clandesCna di assistenza e asilo, messa in aOo da uomini e donne di Chiesa, è presentata come parte di un piano di portata maggiore: il messaggio su cui il giornale insiste è che si traOò di «un’opera di soccorso ad ampio raggio, che dava seguito alle disposizioni del pontefice»138.
«L’Osservatore Romano» mira a dimostrare cioè come tale assistenza non si fosse sviluppata spontaneamente, ma fosse deOata da precise disposizioni ponCficie. È Pio XII il vero protagonista di quesC arCcoli, che lo presentano come il regista di tale ramificata a-vità assistenziale e come l’eroe posiCvo di Roma occupata.
Ciò risponde e rientra in una discussione di lungo periodo che si è sviluppata intorno alla neutralità mantenuta dal VaCcano nel corso del
135 Il quoCdiano ricorda la prima guerra mondiale solo aOraverso il rimando agli sca- fotografici della principessa Anna Maria Borghese (quindi aOraverso un racconto edulcorato, filtrato dalle immagini scaOate da una donna, di estrazione aristocraCca). Giulia Galeo-, La principessa fotoreporter di
guerra, in «L’Osservatore Romano», 7‐8 marzo 2011, p. 5.
136 A fine oOobre 2010 il diba-to pubblico viene sollecitato da una ficCon televisiva, dal Ctolo SoAo il
cielo di Roma, mandata in onda sul primo canale della televisione nazionale italiana, in cui Pacelli è
presentato come l’eroe posiCvo di Roma occupata. La ricezione è molto posiCva sulle pagine de «L’Osservatore Romano» e in generale nel mondo caOolico. Molto criCca invece è l’opinione del mondo ebraico. Il diba-to che si sviluppa mostra il forte contrasto tra il ritraOo di Pio XII faOo dagli ambienC vaCcani e le rivendicazione di una ricostruzione biografica non agiografica avanzata dal mondo intelleOuale sopraOuOo ebraico. Per un’idea delle obiezioni al film si legga Emiliano Perra, Una
guida ragionata alla visione del film, in Dossier: SoAo il Cielo di Roma, pp. 4‐6, <hAp://moked.it/files/ 2010/11/dossiersoAoilcielodiroma.pdf> come anche gli intervenC di Giuliano Tedesco, Anna Foa,
Asher Salah, Claudio Vercelli e ancora Emiliano Perra in «Pagine ebraiche», 2010, n. 11. Una dura criCca al film inoltre è faOa dal rabbino di Roma in G.K., Troppe omissioni, troppe falsificazioni, troppe
alacrità, in «Shalom», novembre 2010, pp. 3‐4.
137 Giuseppe Preziosi, Quelle famiglie ebree che Pio XII fece nascondere in un monastero, ivi., 11 maggio 2011, p. 5.
secondo confliOo mondiale e al non intervento del pontefice nei confronC della poliCca nazista, in parCcolare di fronte allo sterminio degli ebrei. Una poliCca neutrale che già negli anni del confliOo ha suscitato perplessità e proteste, esplose queste ulCme in «una discussione ormai matura»139 all’inizio
degli anni Sessanta140 e che sono periodicamente riemerse nel diba-to
pubblico internazionale nei decenni successivi, uscendo dalla dimensione storica per entrare in quella poliCca con toni aspri e spesso banalizzaC da una contrapposizione tra accusatori e apologeC del pontefice.
L’immagine di Pio XII che emerge dalle colonne de «L’Osservatore Romano» del 2011 risente, come vedremo, del diba-to pubblico degli ulCmi cinquant’anni, riprendendone alcuni elemenC e introducendone di nuovi. (i) Nel 2011 il comportamento tenuto da Pio XII nel corso del secondo confliOo mondiale è ricondoOo al tema del «silenzio necessario». Non si è traOato ‐dice il quoCdiano della Santa Sede‐ di silenzio indifferente o addiriOura collaborazionista, come la “leggenda nera” su Pacelli vuole, ma di una strategica «operazione “silenziosa”»141, sofferta ed imposta dalle
condizioni storiche, che si è rilevata lungimirante e vincente: «possiamo affermare al di là di ogni ragionevole dubbio, che una presa di posizione pubblica di Pio XII rispeOo all’ignobile genocidio [...] probabilmente gli sarebbe
139 Giovanni Miccoli, I dilemmi e i silenzi di Pio XII. VaFcano, seconda guerra mondiale e Shoah, Rizzoli, Milano 2000, p. 2.
140 Con i primi anni Sessanta la percezione del ruolo e delle scelte compiute dal VaCcano di fronte al nazismo diventano oggeOo di un forte diba-to pubblico internazionale. Ciò è deOato da una nuova sensibilità dell’opinione pubblica, dovuta a una serie di moCvazioni, tra cui il ripensamento del ruolo e della presenza storica della Chiesa portato dal ponCficato di Roncalli e dal concilio VaCcano II; l’aOenzione rivolta al tema della Shoah sCmolato dal processo Eichmann, il venir meno della tensione della Guerra Fredda, lo sviluppo del movimento pacifista. La scinClla che fa esplodere la discussione e che problemaCzza la percezione pubblica di papa Pacelli è rappresentata dalla piece teatrale Il Vicario scriOa da Rolf Hochhuth nel 1963, subito tradoOa e pubblicata in diverse lingue, che meOe in scena l’accusa al silenzio della Santa Sede di fronte alla persecuzione e allo sterminio degli ebrei.
In Italia il diba-to suscitato dall’opera di Hochhuth raggiunge livelli di tensione molto alC. La temaCca è vissuta come molto delicata, tanto che per ricomporre il diba-to interviene il governo. Nel 1965 la polizia ferma la messa in scena dell’opera di Hochhuth a Roma; il ministro dell’interno Taviani, rispondendo all’interpellanza parlamentare avanzata in merito dal PCI, afferma che le autorità italiane sono obbligate dal Concordato a «impedire tuOo ciò che contrasta con il caraOere sacro della CiOà Eterna» e ribadisce ‐come l’anno prima aveva soOolineato Saragat, ministro degli Esteri‐ la giustezza della poliCca vaCcana nei confronC del nazismo.
La delicatezza del tema nella società italiana e la poliCcizzazione della vicenda si mantengono anche nel corso del decennio successivo. Ciò si riscontra nella reazione che comporta l’uscita nel 1973 di
Rappresaglia, un film di George Pan Cosmatos, traOo dal libro di Robert Katz Morte a Roma. Il film
affronta la vicenda dell’aOentato parCgiano in via Rasella e della rappresaglia nazista delle Fosse ArdeaCne, dando un’interpretazione negaCva del mancato intervento di Pio XII per bloccare la rappresaglia, dovuto ‐nella ricostruzione sia del libro che del film‐ all’osClità del VaCcano nei confronC della Resistenza romana e al suo sforzo diplomaCco per una transizione indolore della ciOà dalle forze tedesche a quelle alleate. Come dieci anni prima l’accusa rivolta a Pio XII rappresenta un affronto intollerabile: l’autore del libro, il registra e PonC, il produOore del film, vengono accusaC da una nipote di papa Pacelli per aver diffamato la memoria del papa, con «indecenC deformazioni della realtà […] prive di qualsiasi […] riflessione criCca». Il processo, pur basato su una scarsa fonte documentaria, si conclude con la condanna di Katz a 14 anni di carcere e di Cosmatos e PonC a seOe; verdeOo stravolto in appello, ma ribadito in un nuovo processo (e, infine, sciolto per amnisCa). 141 Giuseppe Preziosi, Quelle famiglie ebree che Pio XII fece nascondere in un monastero, in «L’Osservatore Romano», 11 maggio 2011, p. 5.
valso un encomio solenne sul piano storico, ma ciò non avrebbe faOo altro che peggiorare la già precaria situazione dei pregiudicaC»142.
È la linea difensiva elaborata dalla Chiesa caOolica fin dalle prime polemiche sul comportamento di Pio XII, che si manCene inalterata nel corso dei decenni. Fin dagli anni Sessanta la curia vaCcana respinge in toto qualsiasi accusa verso il pontefice, argomentando che il silenzio scelto dal VaCcano era l’unica scelta possibile e l’unica praCcabile con esiC non nefasC; la denuncia pubblica della Shoah da parte del papa avrebbe comportato meramente delle conseguenze negaCve. Nel 2008, in occasione del cinquantesimo anniversario della morte di Pacelli, è lo stesso BenedeOo XVI a intervenire, in un diba-to pubblico molto acceso, per riaffermare la giustezza della poliCca del silenzio del suo predecessore. Pio XII operò «in modo segreto e silenzioso ‐dice Ratzinger‐ proprio perché, tenendo conto delle situazioni concrete di quel complesso momento storico, solo in tale maniera era possibile evitare il peggio e salvare il maggior numero degli ebrei»143. La presa di posizione di BenedeOo
XVI va anche oltre: rifiutando la «maniera unilaterale» con cui il diba-to pubblico ha affrontato il comportamento di Pio XII, Ratzinger introduce un elemento aggiunCvo nella posiCva valutazione di Pacelli. Lo presenta ai fedeli, infa-, come il precursore del concilio VaCcano II (in linea con la decisione presa da Paolo VI nel 1965 di dare avvio al processo di beaCficazione contestualmente di Pio XII e di Giovanni XXIII) e, l’anno successivo, nel dicembre del 2009 promulga un inaspeOato decreto sulle «virtù eroiche» di Pio XII (congiuntamente a quelle di Giovanni Paolo II): un intervento, e proprio per questo chiarificatore della posizione vaCcana di fronte alla quesCone Pacelli e più in generale di fronte al rapporto della Chiesa caOolica con gli ebrei.
(ii) A comprovare che non si traOò di un silenzio negligente, ma di un silenzio operoso, il quoCdiano si dilunga sull’azione umanitaria nei confronC dei perseguitaC dal nazifascismo svolta «nel più streOo riserbo […] nelle varie struOure ecclesiasCche dell’Urbe e del resto d’Italia»144. E presenta questa
a-vità assistenziale come una vasta rete clandesCna di assistenza, non autonoma nell’azione di soccorso, ma direOa da coscienC e precise dire-ve papali. Alla mancata presa di posizione pubblica della Chiesa caOolica corrisponde dunque una presa di posizione interna alla Chiesa stessa. Il messaggio chiave è che «fin dal mese di oOobre del 1943 si provvide a imparCre precise istruzioni a tu- i convenC e le chiese d’Italia, esortandoli ad
142 L’ospite misteriosa della madre superiora, ivi., 11 maggio, p. 5.
143 La citazione del discorso di Ratzinger è traOa da Lucia Ceci, La quesFone caAolica, cit., p. 190. 144 Si cercò, infa- «di non dare troppo nell’occhio e conCnuare nel più streOo riserbo quest’opera di assistenza e ospitalità clandesCna nelle varie struOure ecclesiasCche dell’Urbe e del resto d’Italia». Giuseppe Preziosi, Quelle famiglie ebree che Pio XII fece nascondere in un monastero, in «L’Osservatore Romano», 11 maggio 2011, p. 5.
aprire le porte delle loro case religiose a tu- i perseguitaC»145. È questo il
pilastro della difesa di Pio XII nel corso del 2011.
Porre in primo piano, in modo ripeCCvo, l’a-vità clandesCna di soccorso messa in aOo da ampi straC del mondo ecclesiasCco è un’operazione che presenta una duplice problemaCcità.
(a) Da un lato essa, come soOolinea Roberto Rusconi, risponde a una strategia rivolta «a spostare, se non a sviare l’aOenzione dai presunC silenzi di Pio XII alla concreta a-vità svolta dalle isCtuzioni ecclesiasCche»146.
(b) Dall’altro lato dà per certa e anzi soOolinea come chiave interpretaCva del suo racconto il nesso consequenziale tra le dire-ve papali e l’opera assistenziale nei confronC dei perseguitaC. Un nesso che però non trova riscontro e rimane problemaCco nella ricerca storiografica. Come soOolinea Susan Zucco-, «finora non sono state rinvenute istruzioni scriOe da parte del papa ai capi delle isCtuzioni ecclesiasCche affinché dessero rifugio agli ebrei, anche se vi sono prove che alcuni singoli prelaC del VaCcano abbiano chiesto a cerC convenC di Roma di accogliere determinate persone»147. Anche le
tesCmonianze che cerCficano un coinvolgimento direOo di Pacelli nelle isCtuzioni romane si trovano in contrasto con altre fonC che smenCscono invece l’esistenza di un ordine papale o con le documentate incertezze o addiriOura osClità interne al VaCcano nei confronC dell’azione di soccorso. Si traOa dunque di un nodo storiograficamente ancora aperto e dibaOuto; certa fu l’azione umanitaria nata dal basso, per iniziaCva personale di uomini e donne di Chiesa, che fu tacitamente assecondata, piuOosto che indirizzata da disposizioni provenienC dall’alto148.
(iii) Nella narrazione del giornale vaCcano gli ebrei sono i principali beneficiari dell’a-vità umanitaria del mondo caOolico: «Papa Pacelli si adoper[ò] in termini concreCssimi ad aiutare gli ebrei, come, e forse di più, di tu- gli altri perseguitaC»149. C’è anche il ricordo di un’assistenza più ampia. Il
quoCdiano, ad esempio, ricorda l’ospitalità data a un membro della casa reale in un convento romano150 o delinea la figura di monsignor Bertogno, insignito
del Ctolo di “giusto tra le nazioni”, che nascose presso il PonCficio Seminario Lombardo, dov’era reOore, oltre sessanta ebrei e diede «rifugio anche [ad] altri perseguitaC, ovvero renitenC alla leva, ex soldaC e ufficiali, comunisC»
145 Giuseppe Preziosi, Quelle famiglie ebree che Pio XII fece nascondere in un monastero, ivi., cit. 146 Roberto Rusconi, La controversa beaFficazione di Pio XII, in «Humanitas», 2010, n.1, p. 149. 147 Susan Zucco-, Il VaFcano, la Chiesa e il salvataggio degli ebrei, in Marcello Flores, Simon Levis Sullam (a cura di) Storia della Shoah, vol. I Le premesse, le presecuzioni, lo sterminio, UTET, Torino 2010, p. 617.
148 In merito si veda l’analisi di Susan Zucco-, ivi., pp. 602‐639.
149 Raffaele Alessandrini, Parole e aiuF per salvare gli ebrei, in «L’Osservatore Romano», 8 aprile 2011, p. 5.
anche di alto livello151. Ma questo secondo aspeOo ha un peso minore nel
racconto: completa l’immagine della Chiesa materna che accoglie tu- gli uomini, ma è secondaria, spesso ridimensionata.
Ciò risponde, come vedremo in modo approfondito più avanC, alla necessità di svincolare Pio XII e più in generale la Chiesa di quel periodo dall’accusa di anCsemiCsmo.
Ma non solo. La presenza dominante degli ebrei come primi desCnatari dell’opera assistenziale contrasta con una loro sostanziale assenza nell’azione del racconto: nella narrazione cioè gli ebrei sono semplicemente coloro che devono scappare, rifugiarsi, nascondersi. Risalta la dinamicità del mondo ecclesiasCco di fronte alla passività degli ebrei, che non agiscono, sono solo vi-me. E proprio perché vi-me inermi diventano i primi desCnatari dell’opera di assistenza del mondo caOolico. L’ampio spazio dato agli ebrei perseguitaC e all’asilo loro dato da uomini e donne di Chiesa è deOato dalla centralità della figura della “vi-ma” assunta a parCre dai primi anni Novanta nella memoria ufficiale italiana (e non solo), con la contestuale scomparsa invece della figura degli “eroi” (sia del Rinascimento sia della Resistenza)152, in questo caso dei
perseguitaC per moCvi poliCci.
È esemplificaCvo come «L’Osservatore Romano» da un lato ritorni insistentemente sull’assistenza data dalla Chiesa agli ebrei, mentre non ricordi affaOo il ruolo del Laterano, «punta più avanzata dell’impegno clandesCno»153,
dove nei mesi dell’occupazione nazista trovarono rifugio esponenC di rilievo del CLN e della Resistenza.
(iv) La difesa dall’accusa di anCsemiCsmo, come sopra accennato, è un punto importante nel discorso relaCvo a Pio XII. Non è sempre stato così, sopraOuOo in Italia. Dove per lungo tempo le polemiche intorno al silenzio di Pacelli si sono concentrate sulla neutralità della diplomazia vaCcana nel corso del confliOo, interpretata come falsa neutralità, espressione piuOosto della simpaCa ponCficia verso il nazi‐fascismo in funzione anCcomunista. La controversia aOorno all’anCcomunismo e al filonazismo di Pacelli va in secondo piano agli inizi degli anni Novanta, dopo la caduta del muro di Berlino, quando contestualmente prende piede, in linea con la centralità assunta dal genocidio ebraico nella poliCca della memoria pubblica nel mondo occidentale, il tema dell’anCsemiCsmo e della Shoah.
Anche nel 2011 il tema dell’anCsemiCsmo è preponderante; è
riscontrabile, come sopra accennato, (a) nella predominanza degli ebrei come primi desCnatari dell’azione di soccorso ecclesiasCca. Ma non solo.
151 Gaetano Vallini, Un giusto nel segno di Pio XII, ivi., 24 febbraio 2011, p. 4.
152 Giovanni De Luca, La Repubblica del dolore. Le memorie di un’Italia divisa, Feltrinelli, Milano 2011, p. 83 e segg.
153 Andrea Riccardi, L’inverno più lungo. 1943‐1944: Pio XII, gli ebrei e i nazisF a Roma, Laterza, Roma‐ Bari 2008, p. 78.
(b) Il quoCdiano non si confronta con il tradizionale anCgiudaismo presente nella Chiesa caOolica; non affronta la domanda «se e in che misura la Shoah fu preparata […] e fu facilitata anche da sordità, indifferenza, osClità, che trovarono nella tradizione crisCana e nell’insegnamento della Chiesa una ragion d’essere e una giusCficazione»154. Anzi, nega la portata
dell’anCgiudaismo caOolico e tace sopraOuOo qualunque relazione tra anCsemiCsmo e anCgiudaismo. In questo si pone all’interno dei binari tracciaC dalla poliCca della «purificazione della memoria» perseguita da Giovanni Paolo II, sopraOuOo nel corso degli anni Novanta155. Nel 1998 il pontefice, all’interno
del percorso di riavvicinamento tra la Chiesa caOolica ed l’ebraismo, dà alle stampe Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah. Si traOa del documento ufficiale del VaCcano sulla quesCone Chiesa caOolica‐anCsemiCsmo, in cui «riconosce l’esistenza di un secolare anCgiudaismo caOolico, ma ridimensiona i nessi tra la tradizione doOrinaria caOolica anCebraica e l’anCsemiCsmo nazista», avanzando in questo modo un’interpretazione ridu-va del secolare e ben radicato anCgiudaismo caOolico156.
L’immagine che esce dalle colonne de «L’Osservatore Romano» del 2011 è quella di una Chiesa aOraversata da una forte cultura filogiudaica. Ricorda, ad esempio, la figura dell’abate Riccio-, che scrive a parCre dalla metà degli anni Trenta «una fiOa serie di arCcoli polemici contro l’anCsemiCsmo germanico […]. Tu-‐bisogna soOolinearlo‐ erano staC pubblicaC o sul quoCdiano della Santa Sede o sui più autorevoli quoCdiani caOolici italiani»157.
Censura, invece, quelle tendenze interne ad alcuni ambienC caOolici che, dopo l’emanazione delle leggi razziste del 1938, sostengono la poliCca anCsemita fascista, lavorano per soOolineare l’accordo tra caOolicesimo e la nuova tendenza anCsemita, insistendo su un razzismo non biologico come quello nazista, ma basato su differenze storiche, morali e spirituali: una razza italiana la cui superiorità fosse determinata dall’intreccio tra caOolicesimo e romanità.
Esemplare in questa censura è l’immagine che il quoCdiano vaCcano dà di Teresio Olivelli. Nel delineare un profilo biografico di Olivelli il quoCdiano soffermandosi sopraOuOo sull’esperienza parCgiana ‐ fu «lo spirito più crisCano del nostro secondo Risorgimento»‐ ricorda anche il periodo precedente: 154 Giovanni Miccoli, I dilemmi e i silenzi di Pio XII, cit., p. 263. 155 Per un’analisi del progeOo di “purificazione della memoria” si rimanda a Daniele Menozzi, Giovanni Paolo II, una transizione incompiuta?, Morcelliana, Brescia 2006, pp. 127‐163. 156 Lucia Ceci, La quesFone caAolica, cit., p.193. 157 Roberto PerCci, E Mussolini lesse (inuFlmente) la «Vita di Gesù Cristo», in «L’Osservatore Romano», 27 gennaio 2011, p. 4.
Erano gli anni del fascismo al potere; il giovane Olivelli […] non esita a frequentare i gruppi e gli ambienC giovanili fascisC; nel 1939 partecipa ai “liOoriali di cultura” e vince, precisamente nel seOore della razza. Eppure è falso dar credere che Olivelli abbia svolto un tema “razzista”, all’opposto, da caOolico credente, aveva sostenuto che se esistevano delle razze, nessuno ha il diriOo e l’arroganza di far credere che ci sia addiriOura una razza eleOa, come prevedeva il nazismo: tant’è vero che una fonte non sospeOa dell’epoca, ha faOo notare che “la delegazione hitleriana che lo stava a senCre allibiva”.158
In realtà l’elaborazione culturale che Olivelli sviluppa alla fine degli anni Trenta (in occasione dei liOoriali e successivamente, in qualità di rappresentante del parCto, nel Consiglio superiore della demografia e della razza presso il Ministero dell’Interno) giusCfica un razzismo italiano su basi imperiali e caOoliche. L’anCsemiCsmo ‐dice Olivelli‐ «che è uno dei singoli aspe- del razzismo italiano»159, trova una sua ragione d’essere non nel dato biologico
nazista, ma nella diversità storica, culturale; la «tradizione ebraica ‐prosegue Olivelli‐ è conCnuata espressione di anCromanità»160. In altre parole «si
traOava di una impostazione che se escludeva la sopraffazione verso gli ebrei,