• Non ci sono risultati.

RispeOo
 all’oblio
 riservato
 al
 primo
 confliOo
 mondiale135,
 «L’Osservatore


Romano»
dà
spazio
al
racconto
della
seconda
guerra
mondiale,
sviluppandolo
 però
a
parCre
da
uno
specifico
termine
a
quo.
Inizia
la
narrazione
del
confliOo
 solo
 con
 l’autunno
 del
 1943,
 focalizzandosi
 cioè
 sulla
 seconda
 parte
 della
 guerra,
quella
apertasi
con
l’armisCzio
dell’8
seOembre,
e
si
interessa
del
solo
 contesto
della
ciOà
di
Roma.


Della
realtà
romana
soOo
l’occupazione
nazista
il
quoCdiano
 vaCcano
 affronta
 principalmente
 e
 con
 ridondanza
 uno
 specifico
 nodo
 storico:
 la
 persecuzione
degli
ebrei
perpetrata
dalla
Germania
nazista
e
dai
suoi
alleaC.
O
 meglio,
gli
arCcoli
che
traOano
della
Shoah
ritornano
frequenC
a
fine
2010136
e


nel
corso
dell’intero
2011,
non
deOaC
dalla
sola
retorica
ufficiale
della
giornata
 della
memoria.
Ma 
più
che
parlare
della
Shoah
in
sé,
il
proposito
è
il
racconto
 della
decisione
di
«spalancare
le
porte
di
tuOe
le
case
e
gli
isCtuC
religiosi
[…]
 per
 offrire
 asilo
 e
 protezione
 ai
 tanC
 ebrei
 che
 correvano
 seri
 pericoli
 di
 vita»137.


Questa
a-vità
 clandesCna
 di
 assistenza
 e
 asilo,
 messa 
in
 aOo
 da
 uomini
 e
 donne
di
Chiesa,
è
presentata
come
parte
di
un
piano
di
portata
maggiore:
il
 messaggio
su
cui
il
giornale
insiste
è
che
si
traOò
 di
«un’opera
di
soccorso
ad
 ampio
 raggio,
 che
 dava
 seguito
 alle
 disposizioni
 del
 pontefice»138.


«L’Osservatore
Romano»
mira
a
 dimostrare
 cioè
come
 tale
 assistenza
non
si
 fosse
 sviluppata
 spontaneamente,
 ma
 fosse
 deOata
 da
 precise
 disposizioni
 ponCficie.
 È
 Pio
 XII
 il
 vero
 protagonista
 di
quesC
 arCcoli,
 che
 lo
 presentano
 come
il
regista
di
tale
ramificata 
a-vità
assistenziale
e
come
l’eroe
posiCvo
di
 Roma
occupata.

Ciò
 risponde
 e
 rientra
 in
 una
 discussione
 di
 lungo
 periodo
 che
 si
 è
 sviluppata 
 intorno
 alla
 neutralità
 mantenuta
 dal
 VaCcano
 nel
 corso
 del


135
Il
quoCdiano
ricorda
la
prima
guerra
mondiale
 solo 
aOraverso
il
rimando
agli
sca-
fotografici
della
 principessa
 Anna
 Maria
 Borghese
 (quindi
 aOraverso
un
racconto
 edulcorato,
 filtrato
dalle
 immagini
 scaOate
 da
 una
 donna,
 di
 estrazione
 aristocraCca).
 Giulia
 Galeo-,
 La 
 principessa
 fotoreporter
 di


guerra,
in
«L’Osservatore
Romano»,
7‐8
marzo
2011,
p.
5.

136
A
fine
oOobre
 2010 
il
diba-to 
pubblico 
viene
sollecitato
da
una
ficCon
televisiva,
dal
Ctolo
SoAo 
il


cielo
di
 Roma,
mandata
 in
onda
 sul
primo 
canale
 della
televisione
nazionale
italiana,
 in
cui
 Pacelli
 è


presentato
 come
 l’eroe
 posiCvo
 di
 Roma
 occupata.
 La
 ricezione
 è
 molto
 posiCva
 sulle
 pagine
 de
 «L’Osservatore
 Romano» 
e
 in
 generale
 nel
 mondo
 caOolico.
 Molto
 criCca
 invece
 è
 l’opinione
 del
 mondo
ebraico.
Il
diba-to
che
 si
sviluppa
mostra
il
forte
 contrasto
tra
il
ritraOo
di
 Pio
XII
faOo 
dagli
 ambienC
 vaCcani
 e
 le
 rivendicazione
 di
 una
 ricostruzione
 biografica
 non
 agiografica
 avanzata
 dal
 mondo
intelleOuale
sopraOuOo
ebraico.
Per
un’idea
delle
obiezioni
al
film
si
legga
Emiliano
Perra,
Una


guida
ragionata
alla
visione
del
film,
in 
Dossier:
SoAo 
il
 Cielo
di
Roma,
pp.
4‐6,
<hAp://moked.it/files/ 2010/11/dossiersoAoilcielodiroma.pdf>
 come
 anche
 gli
 intervenC
 di
 Giuliano
 Tedesco,
 Anna
 Foa,


Asher
 Salah,
 Claudio
 Vercelli
 e
 ancora
 Emiliano
Perra
 in
 «Pagine
 ebraiche»,
 2010,
 n.
 11.
 Una
 dura
 criCca
al
film
inoltre
 è
faOa
dal
rabbino 
di
Roma
in
G.K.,
Troppe
omissioni,
troppe
falsificazioni,
troppe


alacrità,
in
«Shalom»,
novembre
2010,
pp.
3‐4.

137
 Giuseppe
 Preziosi,
 Quelle
 famiglie
 ebree
 che
 Pio
XII
 fece
 nascondere
 in
un
 monastero,
 ivi.,
 11
 maggio
2011,
p.
5.

secondo
 confliOo
 mondiale
 e
 al
 non
 intervento
 del
 pontefice
 nei
 confronC
 della
 poliCca
 nazista,
 in
 parCcolare
 di
 fronte
 allo
 sterminio
 degli
 ebrei.
 Una
 poliCca
 neutrale
 che
 già
 negli
 anni
 del
 confliOo
 ha
 suscitato
 perplessità
 e
 proteste,
esplose
queste
ulCme
in
«una
discussione
ormai
matura»139
all’inizio


degli
 anni
 Sessanta140
 e
 che
 sono
 periodicamente
 riemerse
 nel
 diba-to


pubblico
 internazionale
 nei
 decenni
 successivi,
 uscendo
 dalla
 dimensione
 storica
per
entrare
in
quella
poliCca
con
toni
aspri
e
spesso
banalizzaC
da
una
 contrapposizione
tra
accusatori
e
apologeC
del
pontefice.

L’immagine
 di
 Pio
 XII
 che
 emerge
 dalle
 colonne
 de
 «L’Osservatore
 Romano»
 del
2011
risente,
come
vedremo,
del
diba-to
pubblico
degli
ulCmi
 cinquant’anni,
riprendendone
alcuni
elemenC
e
introducendone
di
nuovi. (i) 
 Nel
2011
il
comportamento
tenuto
da
Pio
XII
 nel
corso
 del
secondo
 confliOo
 mondiale
 è
 ricondoOo
 al
 tema
 del
 «silenzio
 necessario».
 Non
 si
 è
 traOato
 ‐dice
 il
 quoCdiano
 della
 Santa
 Sede‐
 di
 silenzio
 indifferente
 o
 addiriOura
collaborazionista,
come
la
“leggenda
nera”
su
 Pacelli
vuole,
ma
di
 una
 strategica
 «operazione
 “silenziosa”»141,
 sofferta
 ed
 imposta
 dalle


condizioni
 storiche,
 che
 si
 è
 rilevata
 lungimirante
 e
 vincente:
 «possiamo
 affermare
 al
 di
 là
 di
 ogni
 ragionevole
 dubbio,
 che
 una
 presa 
 di
 posizione
 pubblica
di
Pio
XII
rispeOo
all’ignobile
genocidio
[...]
probabilmente
gli
sarebbe


139
Giovanni
Miccoli,
I
dilemmi
e
i
silenzi
di
Pio 
XII.
VaFcano,
seconda
guerra
mondiale
e
Shoah,
Rizzoli,
 Milano
2000,
p.
2.

140
Con
i
primi
anni
Sessanta
la
percezione
del
ruolo 
e
delle
scelte
 compiute
dal
VaCcano
di
fronte
 al
 nazismo
diventano
oggeOo 
di
 un
forte
 diba-to
pubblico
internazionale.
 Ciò
è
deOato
da
 una
nuova
 sensibilità
dell’opinione
pubblica,
dovuta
a
una
serie
di
moCvazioni,
tra
cui
il
ripensamento
del
ruolo
e
 della
 presenza
 storica
 della
 Chiesa
 portato 
 dal
 ponCficato
 di
 Roncalli
 e
 dal
 concilio
 VaCcano
 II;
 l’aOenzione
 rivolta
al
tema
della
Shoah
sCmolato
dal
processo
Eichmann,
il
venir
meno
della
tensione
 della
Guerra
Fredda,
lo 
sviluppo
del
movimento
pacifista.
La
scinClla
 che
fa
esplodere
la
discussione
 e
 che
problemaCzza
la
percezione
pubblica
di
papa
Pacelli
è
rappresentata
dalla
piece
teatrale
 Il
Vicario
 scriOa
 da
 Rolf
Hochhuth
nel
1963,
subito 
tradoOa
e
pubblicata
in
diverse
 lingue,
 che
 meOe
 in
scena
 l’accusa
al
silenzio
della
Santa
Sede
di
fronte
alla
persecuzione
e
allo
sterminio
degli
ebrei.

In
Italia
il
diba-to
suscitato
dall’opera
di
Hochhuth
raggiunge
livelli
di
tensione
molto
alC.
La
temaCca
 è
vissuta
come
molto
delicata,
tanto
che
per
ricomporre
il
diba-to
interviene
il
governo.
Nel
1965
la
 polizia
 ferma
 la
 messa
 in 
 scena
 dell’opera
 di
 Hochhuth
 a
 Roma;
 il
 ministro
 dell’interno
 Taviani,
 rispondendo
all’interpellanza
parlamentare
avanzata
in
merito
dal
PCI,
afferma
che
le
autorità
italiane
 sono
obbligate
 dal
Concordato
a
«impedire
 tuOo 
ciò 
che
 contrasta
con
il
 caraOere
 sacro
della
 CiOà
 Eterna» 
e
ribadisce
 ‐come
 l’anno
prima
aveva
 soOolineato
Saragat,
ministro
degli
Esteri‐
la
giustezza
 della
poliCca
vaCcana
nei
confronC
del
nazismo.

La
delicatezza
 del
tema
 nella
 società
italiana
e
 la
 poliCcizzazione
 della
 vicenda
si
mantengono
anche
 nel
corso
del
 decennio
successivo.
 Ciò
si
 riscontra
nella
 reazione
 che
 comporta
 l’uscita
nel
 1973
di


Rappresaglia,
 un
film
 di
 George
 Pan 
Cosmatos,
traOo
dal
libro
di
Robert
 Katz
Morte
 a
 Roma.
 Il
 film


affronta
 la
 vicenda
 dell’aOentato
 parCgiano
 in
 via
 Rasella
 e
 della
 rappresaglia
 nazista
 delle
 Fosse
 ArdeaCne,
 dando
 un’interpretazione
 negaCva
 del
 mancato
 intervento
 di
 Pio 
 XII
 per
 bloccare
 la
 rappresaglia,
dovuto
‐nella
ricostruzione
sia
del
libro
che
del
film‐
all’osClità
del
VaCcano
nei
confronC
 della
Resistenza
romana
e
al
suo 
sforzo
diplomaCco
per
una
transizione
indolore
della
ciOà
dalle
forze
 tedesche
 a
 quelle
 alleate.
 Come
 dieci
anni
 prima
 l’accusa
 rivolta
 a
 Pio
XII
 rappresenta
 un
 affronto
 intollerabile:
 l’autore
 del
 libro,
 il
 registra
 e
 PonC,
 il
 produOore
 del
 film,
 vengono 
accusaC
 da
 una
 nipote
 di
 papa
 Pacelli
 per
 aver
 diffamato
 la
 memoria
 del
 papa,
 con 
«indecenC
 deformazioni
 della
 realtà
 […]
 prive
 di
 qualsiasi
 […]
 riflessione
 criCca».
 Il
 processo,
 pur
 basato
 su
 una
 scarsa
 fonte
 documentaria,
 si
conclude
 con
la
condanna
di
Katz
a
14 
anni
di
carcere
e
di
Cosmatos 
e
 PonC
a
seOe;
 verdeOo
stravolto
in
appello,
ma
ribadito
in
un
nuovo
processo
(e,
infine,
sciolto
per
amnisCa). 141
 Giuseppe
 Preziosi,
 Quelle
 famiglie
 ebree
 che
 Pio
 XII
 fece
 nascondere
 in
 un
 monastero,
 in
 «L’Osservatore
Romano»,
11
maggio
2011,
p.
5.

valso
un
encomio
solenne
sul
piano
storico,
ma
ciò
non
avrebbe
faOo
altro
che
 peggiorare
la
già
precaria
situazione
dei
pregiudicaC»142.

È
 la
 linea
 difensiva
 elaborata 
 dalla
 Chiesa
 caOolica
 fin
 dalle
 prime
 polemiche
sul
comportamento
di
Pio
XII,
che
si
manCene
inalterata
nel
corso
 dei
decenni.
Fin
dagli
anni
Sessanta
la 
curia
vaCcana
respinge
in
toto
qualsiasi
 accusa
verso
il
pontefice,
argomentando
che
il
silenzio
scelto
dal
VaCcano
era
 l’unica
scelta
possibile
e
l’unica 
praCcabile
con
esiC
 non
 nefasC;
 la
denuncia
 pubblica
della 
Shoah
da
parte
del
papa
avrebbe
comportato
meramente
delle
 conseguenze
negaCve.
Nel
2008,
in
occasione
del
cinquantesimo
anniversario
 della
morte
di
Pacelli,
è
lo
stesso
 BenedeOo
XVI
a
intervenire,
 in
 un
 diba-to
 pubblico
 molto
 acceso,
 per
 riaffermare
la 
giustezza
 della
poliCca
del
 silenzio
 del
 suo
 predecessore.
 Pio
 XII
 operò
 «in
 modo
 segreto
 e
 silenzioso
 ‐dice
 Ratzinger‐
 proprio
 perché,
 tenendo
 conto
 delle
 situazioni
 concrete
 di
 quel
 complesso
momento
storico,
solo
in
tale
maniera
era
possibile
evitare
il
peggio
 e
salvare
il
maggior
numero
degli
ebrei»143.
La
presa
di
posizione
di
BenedeOo


XVI
 va
 anche
 oltre:
 rifiutando
 la
 «maniera 
 unilaterale»
 con
 cui
 il
 diba-to
 pubblico
 ha
 affrontato
 il
 comportamento
 di
 Pio
 XII,
 Ratzinger
 introduce
 un
 elemento
aggiunCvo
nella
posiCva
valutazione
di
Pacelli.
Lo
presenta
ai
fedeli,
 infa-,
 come
 il
 precursore
 del
 concilio
 VaCcano
 II
 (in
 linea
 con
 la
 decisione
 presa
 da
 Paolo
 VI
 nel
 1965
 di
 dare
 avvio
 al
 processo
 di
 beaCficazione
 contestualmente
 di
 Pio
 XII
 e
 di
 Giovanni
 XXIII)
 e,
 l’anno
 successivo,
 nel
 dicembre
del
2009
 promulga
 un
inaspeOato
decreto
 sulle
 «virtù
eroiche»
 di
 Pio
XII
(congiuntamente
a
quelle
di
Giovanni
Paolo
II):
un
intervento,
e
proprio
 per
 questo
 chiarificatore
 della
 posizione
 vaCcana 
 di
 fronte
 alla 
 quesCone
 Pacelli
 e
 più
 in
 generale
 di
 fronte
 al
 rapporto
 della
 Chiesa
 caOolica
 con
 gli
 ebrei.


(ii) A
 comprovare
 che
 non
 si
 traOò
 di
 un
 silenzio
 negligente,
 ma
 di
 un
 silenzio
 operoso,
 il
quoCdiano
 si
 dilunga 
sull’azione
umanitaria 
nei
 confronC
 dei
perseguitaC
 dal
nazifascismo
svolta
«nel
più
streOo
riserbo
[…]
 nelle
varie
 struOure
 ecclesiasCche
 dell’Urbe
 e
 del
 resto
 d’Italia»144.
 E
 presenta 
 questa


a-vità
 assistenziale
 come
 una
 vasta
 rete
 clandesCna
 di
 assistenza,
 non
 autonoma
nell’azione
di
 soccorso,
 ma
 direOa
 da
 coscienC
 e
precise
dire-ve
 papali.
 Alla
 mancata
 presa
 di
 posizione
 pubblica
 della
 Chiesa
 caOolica
 corrisponde
 dunque
 una
 presa 
 di
 posizione
 interna
 alla
 Chiesa
 stessa.
 Il
 messaggio
 chiave
 è
 che
 «fin
 dal
 mese
 di
 oOobre
 del
 1943
 si
 provvide
 a
 imparCre
precise
istruzioni
a
tu-
i
convenC
e
le
chiese
d’Italia,
esortandoli
ad


142
L’ospite
misteriosa
della
madre
superiora,
ivi.,
11
maggio,
p.
5.

143
La
citazione
del
discorso
di
Ratzinger
è
traOa
da
Lucia
Ceci,
La
quesFone
caAolica,
cit.,
p.
190. 144
Si
cercò,
infa-
«di
non
dare
 troppo
nell’occhio
e
conCnuare
 nel
più
streOo
riserbo
quest’opera
di
 assistenza
 e
 ospitalità
 clandesCna
 nelle
 varie
 struOure
 ecclesiasCche
 dell’Urbe
 e
 del
 resto
 d’Italia».
 Giuseppe
 Preziosi,
 Quelle
 famiglie
 ebree
 che
 Pio 
 XII
 fece
 nascondere
 in
 un
 monastero,
 in
 «L’Osservatore
Romano»,
11
maggio
2011,
p.
5.

aprire
 le
porte
delle
loro
 case
 religiose
 a
tu-
 i
perseguitaC»145.
 È
 questo
 il


pilastro
della
difesa
di
Pio
XII
nel
corso
del
2011.

Porre
 in
 primo
 piano,
 in
 modo
 ripeCCvo,
 l’a-vità
 clandesCna
 di
 soccorso
messa
in
aOo
da
ampi
straC
del
mondo
ecclesiasCco
è
un’operazione
 che
presenta
una
duplice
problemaCcità.

(a)
Da
un
lato
essa,
come
soOolinea 
Roberto
Rusconi,
risponde
a
una 
strategia
 rivolta
«a
spostare,
se
non
a
sviare
l’aOenzione
dai
presunC
 silenzi
 di
Pio
 XII
 alla
concreta
a-vità
svolta
dalle
isCtuzioni
ecclesiasCche»146.

(b)
Dall’altro
lato
dà
per
certa
e
anzi
soOolinea
come
chiave
interpretaCva
del
 suo
 racconto
 il
 nesso
 consequenziale
 tra
 le
 dire-ve
 papali
 e
 l’opera
 assistenziale
 nei
 confronC
 dei
 perseguitaC.
 Un
 nesso
 che
 però
 non
 trova
 riscontro
 e
 rimane
 problemaCco
 nella
 ricerca
 storiografica.
 Come
 soOolinea
 Susan
Zucco-,
«finora 
non
sono
state
rinvenute
istruzioni
scriOe
da 
parte
del
 papa
ai
capi
 delle
isCtuzioni
ecclesiasCche
affinché
dessero
 rifugio
 agli
ebrei,
 anche
se
vi
sono
prove
che
alcuni
singoli
prelaC
del
VaCcano
abbiano
chiesto
a
 cerC
 convenC
 di
 Roma
 di
 accogliere
 determinate
 persone»147.
 Anche
 le


tesCmonianze
 che
 cerCficano
 un
 coinvolgimento
 direOo
 di
 Pacelli
 nelle
 isCtuzioni
 romane
 si
 trovano
 in
 contrasto
 con
 altre
 fonC
 che
 smenCscono
 invece
 l’esistenza
 di
 un
 ordine
 papale
 o
 con
 le
 documentate
 incertezze
 o
 addiriOura
osClità
interne
al
VaCcano
nei
confronC
dell’azione
di
soccorso.

 Si
 traOa
 dunque
 di
 un
 nodo
 storiograficamente
 ancora
 aperto
 e
 dibaOuto;
 certa
fu
l’azione
umanitaria
nata
dal
basso,
per
iniziaCva
personale
di
uomini
e
 donne
di
Chiesa,
che
fu
tacitamente
assecondata,
piuOosto
che
indirizzata
da
 disposizioni
provenienC
dall’alto148.

(iii) Nella 
 narrazione
 del
 giornale
 vaCcano
 gli
 ebrei
 sono
 i
 principali
 beneficiari
 dell’a-vità
 umanitaria
 del
 mondo
 caOolico:
 «Papa
 Pacelli
 si
 adoper[ò]
 in
termini
concreCssimi
ad
aiutare
gli
ebrei,
come,
e
forse
di
più,
di
 tu-
 gli
altri
perseguitaC»149.
C’è
anche
il
ricordo
di
un’assistenza
più
ampia.
Il


quoCdiano,
ad
esempio,
ricorda
l’ospitalità 
data 
a
un
membro
della
casa
reale
 in
un
convento
romano150
o
delinea
la
figura
di
monsignor
Bertogno,
insignito


del
Ctolo
 di
“giusto
tra
le
nazioni”,
che
nascose
presso
 il
PonCficio
Seminario
 Lombardo,
 dov’era 
reOore,
 oltre
 sessanta
 ebrei
 e
 diede
 «rifugio
 anche
 [ad]
 altri
 perseguitaC,
 ovvero
 renitenC
 alla 
leva,
 ex
 soldaC
 e
 ufficiali,
 comunisC»


145
Giuseppe
Preziosi,
Quelle
famiglie
ebree
che
Pio
XII
fece
nascondere
in
un
monastero,
ivi.,
cit. 146
Roberto
Rusconi,
La
controversa
beaFficazione
di
Pio
XII,
in
«Humanitas»,
2010,
n.1,
p.
149. 147
Susan
Zucco-,
 Il
 VaFcano,
la 
Chiesa
e
 il
 salvataggio
degli
ebrei,
 in
Marcello
 Flores,
Simon
Levis
 Sullam
 (a
 cura
 di)
 Storia
della 
Shoah,
 vol.
 I
 Le
premesse,
le
presecuzioni,
 lo
 sterminio,
 UTET,
 Torino
 2010,
p.
617.

148
In
merito
si
veda
l’analisi
di
Susan
Zucco-,
ivi.,
pp.
602‐639.

149
Raffaele
Alessandrini,
Parole
e
aiuF
per
salvare
gli
ebrei,
in
«L’Osservatore
Romano»,
8 
aprile
2011,
 p.
5.

anche
 di
 alto
 livello151.
 Ma 
questo
 secondo
 aspeOo
 ha
un
 peso
 minore
 nel


racconto:
 completa
 l’immagine
 della
 Chiesa
 materna
 che
 accoglie
 tu-
 gli
 uomini,
ma
è
secondaria,
spesso
ridimensionata.


Ciò
 risponde,
 come
 vedremo
 in
 modo
 approfondito
 più
 avanC,
 alla
 necessità
 di
 svincolare
 Pio
 XII
 e
 più
 in
 generale
 la
 Chiesa
 di
 quel
 periodo
 dall’accusa
di
anCsemiCsmo.

Ma
non
solo.
La 
presenza
dominante
degli
ebrei
come
primi
desCnatari
 dell’opera
assistenziale
contrasta
con
una
loro
sostanziale
assenza
nell’azione
 del
 racconto:
 nella
narrazione
cioè
 gli
ebrei
 sono
 semplicemente
coloro
 che
 devono
 scappare,
 rifugiarsi,
 nascondersi.
 Risalta
 la
 dinamicità
 del
 mondo
 ecclesiasCco
 di
fronte
alla 
passività
 degli
ebrei,
 che
non
 agiscono,
 sono
 solo
 vi-me.
E
proprio
perché
vi-me
inermi
diventano
i
primi
desCnatari
dell’opera
 di
assistenza
del
mondo
caOolico.
L’ampio
spazio
dato
agli
ebrei
perseguitaC
e
 all’asilo
loro
dato
da
uomini
e
donne
di
Chiesa
è
deOato
 dalla
centralità
della
 figura 
della
“vi-ma”
assunta
a 
parCre
dai
primi
anni
Novanta
nella
memoria
 ufficiale
italiana
(e
non
solo),
con
la
contestuale
scomparsa
invece
della
figura
 degli
“eroi”
(sia
del
 Rinascimento
sia
 della
Resistenza)152,
 in
 questo
 caso
 dei


perseguitaC
per
moCvi
poliCci.

È
 esemplificaCvo
 come
 «L’Osservatore
 Romano»
 da 
 un
 lato
 ritorni
 insistentemente
sull’assistenza 
data 
dalla
Chiesa
agli
ebrei,
mentre
non
ricordi
 affaOo
il
ruolo
del
Laterano,
«punta
più
avanzata
dell’impegno
clandesCno»153,


dove
nei
 mesi
dell’occupazione
nazista
trovarono
 rifugio
 esponenC
 di
rilievo
 del
CLN
e
della
Resistenza.

(iv) La 
 difesa
 dall’accusa
 di
 anCsemiCsmo,
 come
 sopra
 accennato,
 è
 un
 punto
 importante
 nel
 discorso
 relaCvo
 a
 Pio
 XII.
 Non
 è
 sempre
 stato
 così,
 sopraOuOo
in
Italia.
Dove
per
lungo
tempo
le
polemiche
intorno
al
silenzio
di
 Pacelli
si
sono
concentrate
sulla 
neutralità
della 
diplomazia
vaCcana
nel
corso
 del
 confliOo,
 interpretata 
 come
 falsa
 neutralità,
 espressione
 piuOosto
 della
 simpaCa
 ponCficia
 verso
 il
 nazi‐fascismo
 in
 funzione
 anCcomunista.
 La
 controversia
aOorno
all’anCcomunismo
e
al
filonazismo
di
Pacelli
va
in
secondo
 piano
agli
inizi
degli
anni
Novanta,
dopo
la
caduta
del
muro
di
Berlino,
quando
 contestualmente
prende
piede,
in
linea 
con
la
centralità
assunta
dal
genocidio
 ebraico
nella
poliCca
della
memoria 
pubblica
nel
mondo
 occidentale,
 il
tema
 dell’anCsemiCsmo
e
della
Shoah.

Anche
 nel
 2011
 il
 tema
 dell’anCsemiCsmo
 è
 preponderante;
 è


riscontrabile,
come
sopra
accennato,
(a)
 nella
predominanza
degli
ebrei
come
 primi
desCnatari
dell’azione
di
soccorso
ecclesiasCca.
Ma
non
solo.

151
Gaetano
Vallini,
Un
giusto
nel
segno
di
Pio
XII,
ivi.,
24
febbraio
2011,
p.
4.

152
Giovanni
De
Luca,
 La
Repubblica 
del
dolore.
Le
memorie
di
un’Italia
divisa,
Feltrinelli,
Milano
2011,
 p.
83
e
segg.

153
Andrea
Riccardi,
L’inverno 
più 
lungo.
1943‐1944:
Pio 
XII,
gli
ebrei
e
i
nazisF
a
Roma,
Laterza,
Roma‐ Bari
2008,
p.
78.

(b)
 Il
 quoCdiano
 non
 si
 confronta
 con
 il
 tradizionale
 anCgiudaismo
 presente
nella
Chiesa
caOolica;
non
affronta
la
domanda
«se
e
in
che
misura
la
 Shoah
 fu
 preparata
[…]
 e
fu
 facilitata
anche
 da
sordità,
 indifferenza,
 osClità,
 che
trovarono
nella
tradizione
crisCana
e
nell’insegnamento
della
Chiesa
una
 ragion
 d’essere
 e
 una
 giusCficazione»154.
 Anzi,
 nega
 la
 portata


dell’anCgiudaismo
 caOolico
 e
 tace
 sopraOuOo
 qualunque
 relazione
 tra
 anCsemiCsmo
e
anCgiudaismo.

In
questo
si
pone
all’interno
dei
binari
tracciaC
 dalla
poliCca 
della
«purificazione
della
memoria»
perseguita
da
Giovanni
Paolo
 II,
sopraOuOo
nel
corso
degli
anni
Novanta155.
Nel
1998
il
pontefice,
all’interno


del
 percorso
di
 riavvicinamento
 tra
 la
 Chiesa
caOolica
 ed
 l’ebraismo,
 dà
alle
 stampe
 Noi
 ricordiamo:
 una
 riflessione
 sulla
Shoah.
 Si
 traOa
del
documento
 ufficiale
 del
 VaCcano
 sulla
 quesCone
 Chiesa
 caOolica‐anCsemiCsmo,
 in
 cui
 «riconosce
l’esistenza
di
un
secolare
anCgiudaismo
caOolico,
ma
ridimensiona
i
 nessi
 tra
 la
 tradizione
 doOrinaria
 caOolica
 anCebraica 
 e
 l’anCsemiCsmo
 nazista»,
avanzando
in
questo
modo
un’interpretazione
ridu-va
del
secolare
e
 ben
radicato
anCgiudaismo
caOolico156.

L’immagine
 che
 esce
 dalle
 colonne
 de
 «L’Osservatore
 Romano»
 del
 2011
 è
 quella
 di
 una
 Chiesa
 aOraversata
 da
 una
 forte
 cultura
 filogiudaica.
 Ricorda,
 ad
 esempio,
 la
 figura
 dell’abate
 Riccio-,
 che
 scrive
 a
 parCre
 dalla
 metà
 degli
 anni
 Trenta
 «una 
 fiOa
 serie
 di
 arCcoli
 polemici
 contro
 l’anCsemiCsmo
 germanico
 […].
 Tu-‐bisogna
 soOolinearlo‐
 erano
 staC
 pubblicaC
 o
 sul
 quoCdiano
 della
 Santa
 Sede
 o
 sui
 più
 autorevoli
 quoCdiani
 caOolici
italiani»157.

Censura,
 invece,
 quelle
 tendenze
 interne
 ad
 alcuni
 ambienC
 caOolici
 che,
 dopo
 l’emanazione
 delle
 leggi
 razziste
 del
 1938,
 sostengono
 la 
poliCca
 anCsemita
fascista,
lavorano
 per
 soOolineare
l’accordo
 tra
caOolicesimo
 e
la
 nuova
 tendenza
 anCsemita,
 insistendo
 su
 un
 razzismo
 non
 biologico
 come
 quello
nazista,
ma 
basato
su
differenze
storiche,
morali
e
spirituali:
 una
razza
 italiana 
la 
cui
 superiorità
fosse
determinata
dall’intreccio
 tra
caOolicesimo
e
 romanità.


Esemplare
 in
 questa 
censura
 è
 l’immagine
 che
 il
 quoCdiano
 vaCcano
 dà
 di
 Teresio
 Olivelli.
 Nel
 delineare
 un
 profilo
 biografico
 di
 Olivelli
 il
 quoCdiano
 soffermandosi
 sopraOuOo
 sull’esperienza
 parCgiana
 ‐
 fu
 «lo
 spirito
 più
 crisCano
 del
 nostro
 secondo
 Risorgimento»‐
 ricorda
 anche
 il
 periodo
 precedente: 154
Giovanni
Miccoli,
I
dilemmi
e
i
silenzi
di
Pio
XII,
cit.,
p.
263. 155
Per
un’analisi
del
progeOo
di
“purificazione
della
memoria”
si
rimanda
a
Daniele
Menozzi,
Giovanni
 Paolo
II,
una
transizione
incompiuta?,
Morcelliana,
Brescia
2006,
pp.
127‐163. 156
Lucia
Ceci,
La
quesFone
caAolica,
cit.,
p.193. 157
Roberto
PerCci,
E
Mussolini
lesse
(inuFlmente)
la
«Vita 
di
Gesù
Cristo»,
in
«L’Osservatore
Romano»,
 27
gennaio
2011,
p.
4.

Erano
gli
 anni
 del
 fascismo
 al
 potere;
 il
 giovane
 Olivelli
 […]
non
 esita
 a
 frequentare
 i
 gruppi
e
 gli
ambienC
giovanili
fascisC;
nel
1939
partecipa
ai
“liOoriali
di
cultura”
e
 vince,
 precisamente
 nel
seOore
della
razza.
 Eppure
è
falso
dar
credere
che
Olivelli
abbia
svolto
 un
tema
“razzista”,
all’opposto,
da
caOolico
credente,
aveva
sostenuto
che
se
esistevano
 delle
 razze,
 nessuno
 ha
 il
diriOo
e
 l’arroganza
 di
 far
 credere
 che
 ci
 sia
 addiriOura
 una
 razza
 eleOa,
 come
 prevedeva
 il
 nazismo:
 tant’è
 vero
 che
 una
 fonte
 non
 sospeOa
 dell’epoca,
 ha
 faOo
 notare
 che
 “la
 delegazione
 hitleriana
 che
 lo
 stava
 a
 senCre
 allibiva”.158

In
realtà
l’elaborazione
culturale
che
Olivelli
sviluppa
alla
fine
degli
anni
Trenta
 (in
occasione
dei
liOoriali
e
successivamente,
in
qualità 
di
rappresentante
del
 parCto,
 nel
 Consiglio
 superiore
 della
 demografia
 e
 della
 razza
 presso
 il
 Ministero
 dell’Interno)
 giusCfica
 un
 razzismo
 italiano
 su
 basi
 imperiali
 e
 caOoliche.
 L’anCsemiCsmo
 ‐dice
 Olivelli‐
 «che
 è
 uno
 dei
 singoli
 aspe-
 del
 razzismo
 italiano»159,
 trova
 una
 sua
ragione
d’essere
 non
 nel
 dato
 biologico


nazista,
 ma 
nella
diversità
storica,
 culturale;
 la
«tradizione
ebraica
‐prosegue
 Olivelli‐
 è
 conCnuata
 espressione
 di
 anCromanità»160.
 In
 altre
 parole
 «si


traOava
di
una
impostazione
che
se
escludeva
la
sopraffazione
verso
gli
ebrei,