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Il Diritto di Accesso al Giudice nel Diritto Internazionale Consuetudinario e Convenzionale

Capitolo 2: Il diritto di Accesso alla Giustizia

6. Il Diritto di Accesso al Giudice nel Diritto Internazionale Consuetudinario e Convenzionale

C'è da chiedersi se arrivati a questo punto si possa affermare che si sia ormai consolidato nell'ordinamento internazionale un diritto di accesso ai processi internazionali. Se la risposta la si cerca nel diritto internazionale consuetudinario questa non può che essere negativa. È certo vero che da quando si è instaurato il sistema delle Nazioni Unite si sono sviluppati

standard di protezione giurisdizionale, soprattutto per quanto riguarda i diritti

umani, ma questo non ha comportato anche una modifica della struttura dell'ordinamento giuridico internazionale, tale da poter affermare che è ormai possibile per gli individui accedere direttamente ai rimedi internazionali, invocando norme di diritto consuetudinario consolidate.

Ad oggi le norme di diritto internazionale che riconoscono agli individui il diritto di accedere alla giustizia comportano solo la possibilità di avvalersi dei rimedi interni, e di accedere ai tribunali nazionali dello stato in cui si è verificata la lesione e dove quindi tali rimedi si rendono necessari, perché ad oggi non esiste nell'ordinamento internazionale una istituzione globale che garantisca agli individui di ogni parte del mondo l'accesso alla giustizia. Se però è vero che solo davanti ai tribunali nazionali è possibile presentare il ricorso individuale diretto, è altrettanto vero che nel diritto internazionale si devono ricercare i parametri standard sulla base dei quali determinare la legittimità della amministrazione della giustizia nei singoli stati. È certo vero che ogni strumento internazionale che sancisca il diritto di accesso alla giustizia riconosce contestualmente il diritto degli stati, conseguente al loro obbligo di garantire la effettività dell'esercizio del suddetto diritto, di

107 determinare discrezionalmente le condizioni di accesso all'amministrazione di giustizia60. Tale discrezionalità non può però sfociare in arbitrio. Gli stati ben potrebbe essere riconosciuti singolarmente come responsabili di una violazione di diritti umani fondamentali, a fronte di un sistematico diniego di giustizia ai danni degli individui, ma anche a fronte di un sistema che non sia in grado di offrire rimedi effettivi alle vittime.

Questo è quanto è possibile ricavare dal diritto internazionale consuetudinario, ma il quadro cambia profondamente nel momento in cui si volge l'attenzione al diritto convenzionale. Molti, se non tutti, i trattati che si pongono l'obiettivo di riconoscere e tutelare i diritti umani prevedono anche specifici meccanismi di supervisione dell'osservanza degli obblighi assunti da parte degli stati che hanno sottoscritto lo strumento convenzionale in materia, ed in alcuni casi riconoscono agli individui un diritto di accesso, più o meno diretto, agli organi preposti alla vigilanza quando gli stessi siano vittima della violazioni di uno o più diritti riconosciuti nella convenzione61.

Uno degli esempi più rilevanti in materia è il Patto internazionale per i diritti Civili e Politici, stilato in seno alle Nazioni Unite nel 1966, ed entrato definitivamente in vigore il 23 marzo 1976. L'art. 2862 del Patto istituisce uno specifico Comitato dei diritti Umani. Negli articoli successivi ne viene delineata la composizione, le modalità di elezione e le competenze Nello specifico l'art. 40 del Patto obbliga gli stati alla redazione di rapporti periodici sulle misure interne adottate per dare attuazione ai diritti riconosciuti dal patto63, che saranno oggetto di esame da parte del Comitato. Inoltre all'art. 41 del Patto si riconosce la fondamentale competenza del

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Questa e la posizione di Francioni in merito alla posizione che, ad oggi, il diritto di accesso alla giustizia ricopre nel diritto internazionale consuetudinario.

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Francioni Francesco,"The Right of Access to Justice under Customary International Law", pubblicato in "Access to Justice as a Human Right", Oxford, 2007, in cui l'autore richiama alcune tra le principali esperienze in cui il diritto internazionale convenzionale ha riconosciuto all'individuo il diritto a rivolgersi a specifici organi internazionali.

62Art. 28, Patto per i Diritti Civili e Politici del 1966, " E’ istituito un Comitato dei diritti

dell'uomo (indicato di qui innanzi, nel presente Patto, come "il

Comitato"). Esso si compone di diciotto membri ed esercita le funzioni qui appresso previste. Il Comitato si compone di cittadini degli Stati parti del presente Patto, i quali debbono essere persone di alta levatura morale e di riconosciuta competenza nel campo dei diritti dell'uomo. Sarà tenuto conto dell'opportunità che facciano parte del Comitato alcune persone aventi esperienza giuridica. I membri del Comitato sono eletti e ricoprono la loro carica a titolo individuale.".

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L'art. 40 del Patto per i diritti Civili e Politici afferma infatti che "Gli Stati parti del presente Patto si impegnano a presentare rapporti sulle misure che essi avranno adottate per dare attuazione ai diritti riconosciuti nel presente Patto, nonché sui progressi compiuti nel godimento di tali diritti".

108 Comitato di ricevere, ed esaminare, comunicazioni provenienti da stati parti (e che abbiano riconosciuto questa specifica competenza del Comitato) relative all'inadempimento di obblighi derivanti dal Patto internazionale da parte di altri stati64.

Ai sensi della presente trattazione sono però molto più rilevanti le competenze che al Comitato dei Diritti dell'Uomo sono state riconosciute in virtù del primo Protocollo opzionale al Patto per i Diritti Civili e Politici, adottato e aperto alla firma, ratifica e adesione contestualmente al patto. Nello specifico il Protocollo riconosce al Comitato la competenza a ricevere e esaminare una comunicazione individuale65. Il Protocollo prevede però una condizione vincolante che legittimi il Comitato a ricevere ed esaminare tale comunicazione, ovvero che lo stato alla cui giurisdizione il ricorrente è soggetto abbia sottoscritto il Protocollo opzionale medesimo. Si afferma infatti all'art. 1 del Protocollo che "Il Comitato non può ricevere alcuna comunicazione concernente uno Stato Parte del Patto che non sia parte del presente Protocollo. " Occorre precisare che ad oggi tale Protocollo opzionale non è stato sottoscritto dalla totalità degli stati parti del Patto per i diritti civili e politici66.

Una esperienza ancora più rilevante di quella del Patto per i diritti civili e politici è quella nata in seno al Consiglio d'Europa con la stipulazione della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo del 195067. Per lungo tempo questa Convenzione ha costituito la principale elencazione dei diritti umani, e il principale strumento con cui si sono vincolati gli stati ad adottare tutte le misure interne necessarie al fine di attuare tali diritti negli ordinamenti

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L'art 42 del patto per i diritti civili e politici prevede che "Ogni Stato parte del presente Patto può dichiarare in qualsiasi momento, in base al presente articolo, di riconoscere la competenza del Comitato a ricevere ed esaminare comunicazioni, nelle quali uno Stato parte pretenda che un altro Stato parte non adempie agli obblighi derivanti dal presente Patto. Le comunicazioni di cui al presente articolo possono essere ricevute ed esaminate soltanto se provenienti da uno Stato parte che abbia dichiarato di riconoscere, per quanto lo concerne, la competenza del Comitato".

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L'art 1 del Protocollo opzionale recita: "Ogni Stato Parte del Patto che diviene parte del presente Protocollo riconosce la competenza del Comitato a ricevere ed esaminare comunicazioni provenienti da individui sottoposti alla sua giurisdizione, i quali pretendano essere vittime di violazioni, commesse da quello stesso Stato Parte, di un qualsiasi diritto enunciato nel Patto.".

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Al momento sono 168 gli stati parti del Patto internazionale per i diritti civili e politici, mentre sono solo 115 gli stati parti del protocollo addizionale. I dati relativi all'andamento delle ratifiche del Protocollo opzionale al Patto per i diritti civili e politici e degli altri trattati in materia di diritti umani sono rinvenibili all'indirizzo http://indicators.ohchr.org/.

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Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, Roma, 4 novembre 1950, entrata in vigore il 3 settembre 1953.

109 statali68, correlato dall'obbligo corrispondente di adozione degli strumenti giurisdizionali necessari a tutelare questi diritti69. Si nota quindi come in prima battuta la Convenzione fa riferimento a rimedi giurisdizionali interni come strumento di salvaguardia dei diritti umani. Ma accanto a questi, la Convenzione si è orientata nel senso di introdurre un meccanismo di accesso diretto alla giurisdizione internazionale da parte degli individui per mezzo della istituzione della Corte di Strasburgo. Dotata di una funzione sussidiaria, la Corte interviene sia a seguito dell'esaurimento dei ricorsi interno, sia quando i rimedi interni non sono sufficienti a garantire una tutela giurisdizionale effettiva. L'introduzione di tale organo giurisdizionale è però stata molto discussa, soprattutto alla luce dell'incisività dei poteri che la stessa avrebbe potuto esercitare nei confronti degli stati. Per evitare di forzare eccessivamente la mano si è quindi messa a punto la tecnica del "gradualismo", che si è probabilmente tradotta nel vero e proprio asso nella manica che ha permesso alla Corte di acquisire un ruolo sempre più rilevante70. Questo organo giurisdizionale fu introdotto per mezzo del titolo II della Convenzione e originariamente l'accettazione della giurisdizione della Corte non fu oggetto di un obbligo per gli stati. Questa scelta fu vincente in quanto permise alla Corte di iniziare i suoi lavori a seguito del riconoscimento della sua giurisdizione da parte di alcuni stati particolarmente lungimiranti (come la Gran Bretagna) che fecero da apri-pista, e permisero di superare la diffidenza degli altri stati71. Accettare la giurisdizione della Corte di Strasburgo comportava per gli stati accettare anche la possibilità per gli individui di presentare un ricorso individuale alla Corte stessa a fronte della violazione di diritti umani tutelati dalla Convenzione. Il ricorso individuale si presentava come una novità nell'esperienza internazionale, che fino alla introduzione di questo organo giurisdizionale aveva conosciuto solo i ricorsi

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L'art. 1 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo enuncia l'obbligo per gli stati di rispettare i diritti dell'uomo, "Le Alte Parti contraenti riconoscono a ogni persona sottoposta alla loro giurisdizione i diritti e le libertà enunciati nel Titolo primo della presente Convenzione".

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L'art. 13 della Convenzione riconosce per l'appunto il diritto dell'individuo ad un ricorso effettivo a fronte della violazione di una delle libertà o dei diritti riconosciuti dalla convenzione

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In merito al ruolo progressivamente acquisito dalla Corte di Strasburgo ed in merito alle sue competenze giurisdizionali nel senso di veder affiancato ai ricorsi statali i ricorsi individuali si veda Malfatti Elena, "I "livelli" di tutela dei diritti fondamentali nella dimensione europea", Giappichelli Editore, 2013

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L'Italia ratifica la Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo già nel 1955, ma è solo nel 1973 che accetta la giurisdizione della Corte di Strasburgo.

110 interstatali. In realtà la prima fase di funzionamento della Corte è ancora fortemente caratterizzata dallo strumento del ricorso interstatale, ed è solo dagli anni '80-'90 che si assiste ad un aumento progressivo dei ricorsi individuali presentati alla Corte. Questi sono negli anni cresciuti esponenzialmente, ben oltre le capacità della Corte di adempiere alla sua funzione giurisdizionale, tanto da rischiare la paralisi di questo organo, il che ha reso necessario rivedere i meccanismi interni di funzionamento72.

La possibilità di presentare un ricorso individuale diretto, che rappresenta l'elemento che maggiormente distingue la Corte di Strasburgo dalle altre corti internazionali, è esplicitamente regolata dall'art. 34 della Convenzione, secondo cui "La Corte può essere investita di un ricorso da parte di una persona fisica, un’organizzazione non governativa o un gruppo di privati che sostenga d’essere vittima di una violazione da parte di una delle Alte Parti contraenti dei diritti riconosciuti nella Convenzione o nei suoi protocolli", mentre, da parte loro, gli stati "si impegnano a non ostacolare con alcuna misura l’esercizio effettivo di tale diritto". Questa disposizione è da leggere in combinato disposto con l'art. 46 della Convenzione secondo cui le sentenze della Corte di Strasburgo sono vincolanti per gli stati parti della controversia73.

Nel 1998 si compie un ulteriore passo in avanti quanto entra in vigore il Protocollo XI della Convenzione74 con cui si rende il riconoscimento della giurisdizione della Corte oggetto di un obbligo che gli stati devono di necessità adempiere per entrare a far parte del Consiglio d'Europa. Non ponendosi più ostacoli alla giurisdizione della Corte di Strasburgo, non si pongono più nemmeno ostacoli alla proposizione di ricorsi individuali davanti a questo organo giurisdizionale. Inoltre con il medesimo Protocollo si supera il filtro originariamente posto per i ricorsi individuali, che prima di essere portati all'attenzione della Corte dovevano necessariamente passare il

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Le prime novità sono state introdotte con il protocollo XI del 1998, che ha reso obbligatorio il riconoscimento della giurisdizione della Corte da parte degli stati e ha consolidato l'accesso diretto degli individui alla Corte medesima. Tali novità sono state poi ritoccate e consolidate con il Protocollo XIV del 2010.

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L'art. 46, par. 1 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo afferma che "Le Alte Parti contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte sulle controversie nelle quali sono parti."

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Firmato a Strasburgo il 11 maggio 1994 ed entrato in vigore il 1° novembre del 1998. Il notevole ritardo nell'entrata in vigore di questo protocollo, che, avendo natura procedurale necessitava della unanimità delle ratifiche, è da imputare all'Italia che lo ha sottoscritto solo nel 1997.

111 vaglio di una Commissione composta da tre giudici, che valutava la gravità della presunta violazione e l'opportunità di un ricorso alla Corte di Strasburgo. Questo filtro, valevole solo per i ricorsi individuali e non per quelli interstatali, aveva contribuito alla creazione di due classi di ricorrenti, una legittimata a interloquire direttamente con la Corte (a cui appartenevano gli stati che facevano valere la violazione di diritti umani imputabile a un diverso stato), e una a cui tale possibilità era invece negata (ed in questa seconda si trovavano gli individui). Distinzione tra ricorrenti che, opportunamente, è stata eliminata con l'introduzione del Protocollo XI75. Gli esempi delineati richiamano due organi che ancora oggi svolgono un ruolo più che rilevante nella protezione dei diritti umani, il Comitato per i diritti umani, istituito dal Patto internazionale per i diritti civili e politici del 1966, e la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, istituita dalla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo. I due organi presentano tratti in comune, tra cui spicca la funzione interpretativa del corrispondente trattato istitutivo, ma anche evidenti differenze: solo la Corte di Strasburgo può infatti essere considerata un organo di natura giudiziale, i cui provvedimenti legali hanno natura legale e forza vincolante76, mentre il Comitato per i Diritti Umani è un organo di natura quasi giudiziale e le sue determinazioni, per quanto sarebbe errato qualificarle come mere "raccomandazioni", non sono dotate della stessa forza vincolante. In virtù di tali caratteristiche è evidente che la Corte Europea è avvantaggiata rispetto al Comitato nel fornire meccanismi che garantiscano un effettivo accesso alla giustizia a livello internazionale, anche se c'è a sottolineare che, a favore del Comitato giocano le sue altre funzioni, prima tra tutte quella di revisione delle relazioni periodicamente inviate dagli stati in ordine alle misure adottate per dare attuazione ai diritti sanciti nel Patto internazionale del 1966, che potrebbero svolgere un ruolo strumentale ad un accesso alla giustizia maggiormente effettivo. Le procedure di revisione potrebbero infatti condurre a una più profonda comprensione del contenuto sostanziale del Patto, e dunque costituire un buon punto di partenza

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Nei sistemi instaurati con la Carta Africana e la Convenzione Americana, non si è arrivato al riconoscimento di un vero e proprio diritto individuale di accesso ai rimedi internazionali, in quanto ancora permane un filtro costituito da una commissione, unico organo a cui gli individui possono rivolgersi direttamente. Alla Corte potranno infatti ricorrere direttamente solo gli stati e la Commissione, come tramite dei ricorsi individuali, a cui nel sistema della Carta africana, si devono aggiungere le organizzazioni intergovernative africane

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112 qualora si presentasse l'occasione di una procedura di reclamo. Inoltre si deve ricordare che è nel tempo divenuto sempre più evidente che la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo è caduta "vittima del suo stesso successo", con un numero di ricorsi individuali complessivamente depositati e accumulati che superano di gran lunga le possibilità e le risorse a disposizione della Corte. Tale mole di lavoro porta inevitabilmente ad intasare l'operato della Corte e a rallentare la decisione delle controversie. Sono varie le soluzioni che sono state prospettate per cercare di smaltire le pendenze davanti alla Corte di Strasburgo, alcune più compatibili di altre con le finalità di salvaguardia dei diritti umani. Tra le prospettive che sembrano condivisibili vi è quella di rafforzare i rimedi domestici. Posto che una delle condizioni per poter esercitare il diritto di accesso alla giustizia internazionale è il previo esaurimento dei ricorsi interni, se gli stessi risultassero sufficienti al fine di soddisfare le esigenze di giustizia degli individui, gli individui avrebbero meno bisogno di rivolgersi alle corti, ai tribunali e agli organi internazionali. Mentre invece molto meno compatibili con le finalità di salvaguardia dei diritti umani fondamentali sono quelle soluzioni che prospettano l'introduzione di filtri attraverso cui far passare i ricorsi presentati alla Corte di Strasburgo o quelle che addirittura avanzano la possibilità di rendere la Corte un organo che opera sulla base di una giurisdizione discrezionale, invece che su di un diritto individuale di accesso alla giustizia77.

A fronte di questa difficoltà della Corte, dopo una discussione piuttosto complessa si è arrivati all'elaborazione del Protocollo XIV alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo78 che rappresenta il compromesso tra la volontà di individuare meccanismi che permettano di meglio gestire i ricorsi presentati alla Corte, senza però dover al contempo abbandonare il principio di accesso individuale diretto alla Corte di Strasburgo. Per mezzo di questo Protocollo si è modificato l'art. 35 della Convenzione relativo alle condizioni di ammissibilità, introducendo una ulteriore ipotesi in cui la Corte è chiamata a dichiarare l'irricevibilità del ricorso laddove "il ricorrente non ha subito

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Scheinin Martin, "Access to justice before international human rights bodies: reflections on the practice of the UN human rights committee and the european court of human rights, access to justice as a human right", in "Access to Justice as a Human Right",Edito da Francioni, Oxford, 2007.

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Aperto alla firma il 13 maggio 2004. Entrato in vigore il 1° giugno 2010, dopo la ratifica della Federazione Russa.

113 alcun pregiudizio importante, salvo che il rispetto dei diritti dell’uomo garantiti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli esiga un esame del ricorso nel merito e a condizione di non rigettare per questo motivo alcun caso che non sia stato debitamente esaminato da un tribunale interno"79. Questa ulteriore ipotesi si aggiunge ai casi di irricevibilità già presenti nella Convenzione anche prima del 2010, alcuni dei quali relativi a profili prettamente formali, quali il ricorso anonimo, il ricorso ripetitivo o il ricorso presentato da soggetto non legittimato80, altri invece che già si avvicinano a veri a propri profili di merito. L'ipotesi della "mancanza di pregiudizio significativo" rientra in questa secondo gruppo, insieme all'ipotesi di irricevibilità per "manifesta infondatezza" del ricorso, ma fin da subito ha dimostrato di essere uno dei profili che per lungo tempo hanno frenato gli stati dal sottoscrivere il Protocollo XIV. È vero che questo è stato introdotto per porre un argine ai ricorsi che vengono presentati alla Corte, ma il rischio che si corre è quello che, nel sindacare il "grado" della violazione, la Corte cada in una discrezionalità che sfocia in un vero e proprio arbitrio. C'è da dire però che la Corte nelle sue prime pronunce immediatamente successive all'adozione del Protocollo si è dimostrata molto cauta nel dichiarare la mancanza di pregiudizio "significativo"81.

È emerso però piuttosto velocemente che per quanto il Protocollo XIV abbia contribuito a smaltire la gran mole di ricorsi presentati alla Corte di Strasburgo, questo non sarebbe comunque stato sufficiente a garantire la scorrevolezza dei lavori della Corte, e avrebbe dovuto essere affiancato da ulteriori accorgimenti. Proprio su questi ha focalizzato l'attenzione Lord Woolf nella sua Relazione del 200582. I principali interventi che sono suggeriti in tale relazione consistono in modifiche del regolamento interno