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Rapporto tra Immunità degli Stati e Diritto di Accesso al Giudice

9.1 Il Legal Aid

Capitolo 3: Il rapporto tra l'Immunità Giurisdizionale degli Stati e dei loro Organi e il Diritto individuale d

2. Rapporto tra Immunità degli Stati e Diritto di Accesso al Giudice

Ma c'è un'altra disposizione da prendere in considerazione quando si tratta di bilanciare il regime dell'immunità dalla giurisdizione degli stati e, si vedrà, anche dei loro organi. Come si è più volte precisato, la regola dell'immunità è essenziale per il reciproco riconoscimento della sovranità degli stati in un ordinamento, come quello internazionale, connotato dalla natura interstatale. Tale regola, nella sua accezione di immunità ristretta, comporta l'esclusione del sindacato giurisdizionale degli stati su un atto posto in essere da un diverso stato che si possa qualificare come esercizio della sua sovranità. Il problema sorge nel momento in cui si rende conto che lo stato, con i suoi atti, può ben ledere diritti di cui gli individui sono titolari.

E a questo punto entra in gioco un particolare diritto, che ormai ha avuto ampio riconoscimento in strumenti convenzionali internazionali, e che si sta facendo spazio anche nel diritto consuetudinario. È un diritto di cui si è detto ampiamente in precedenza e consiste nel diritto individuale di accesso al giudice, ovvero il diritto che si riconosce a ciascun individuo di rivolgersi al giudice competente per far valere una pretesa conseguente alla violazione di uno dei suoi diritti fondamentali. Ed è qui che entra in gioco il conflitto con la regola dell'immunità, in quanto qualora l'autore di tale violazione fosse uno stato (o uno dei suoi organi), che agisca nell'esercizio della sua sovranità, il

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Nigro Raffaella, "Immunità degli stati esteri e diritto di accesso al giudice: un nuovo approccio nel diritto internazionale?", Rivista di diritto internazionale, fasc. 3, 2013, pag 812.

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Si tenga presente che anche la Corte Internazionale di Giustizia nella sentenza Sud-Ovest africano del 1966 ha precisato la differenza tra valori e norme escludendo che « le considerazioni umanitarie siano sufficienti in se stesse a dar luogo a diritti e obblighi giuridici » pur potendo ispirare le norme. La Corte ha precisato di poter tener conto dei principi morali solo in quanto ad essi « sia data una sufficiente espressione in forma giuridica »).

178 diritto di accesso alla giustizia dell'individuo per ottenere la riparazione della lesione subita si scontrerebbe inevitabilmente con la protezione che l'immunità dalla giurisdizione riconosce ai potenziali convenuti. In altre parole si può dire che "da un lato dunque la norma sull'immunità impone ai giudici l'obbligo, in negativo, di non pronunciarsi sulle attività poste in essere da uno Stato (le quali possono ben tradursi talvolta in violazioni dei diritti dell'individuo), dall'altro, la norma sul diritto di accesso al giudice impone ai giudici l'obbligo positivo di garantire il diritto di individui che lamentino violazioni le quali a loro volta possono anche derivare dall'esercizio di atti sovrani dello Stato."28

Si prospetta dunque un ulteriore conflitto tra la norma sull'immunità e quella che prevede il diritto di accesso al giudice per gli individui, conflitto di portata decisamente ampia, in quanto prescinde dal tipo di violazione subita dall'individuo, poiché a fronte di ogni lesione di diritti fondamentali, gli individui si vedono riconosciuto il diritto di rivolgersi al giudice competente al fine di ottenere riparazione. Sorge quindi la necessità di bilanciare queste opposte previsioni, in quanto è evidente che il riconoscimento dell'immunità di stati e organi che abbiano agito in esercizio della sovranità non può, allo stato attuale, che tradursi in una criticabile limitazione al diritto individuale di accesso al giudice.

Ora, ponendosi un conflitto, emerge la necessità di individuare quale delle due norme di debba considerare prevalente e quale, conseguentemente, debba invece sacrificarsi in determinate circostanze. Nonostante, come si è già precisato, tale conflitto presenti una portata generalizzata ad ogni violazione di diritti umani, i ragionamenti che la dottrina ha percorso per risolvere tale conflitto non sono molto diversi da quelli che sono stati precedentemente indagati per risolvere la questione attinente al rapporto tra il regime dell'immunità e la violazione di diritti fondamentali, e si caratterizzano quindi anche per le stesse criticità.

Anche in questo caso la dottrina ha ricercato la via per affermare la prevalenza della norma che riconosce il diritto individuale di accesso al giudice, dichiarandone la inderogabilità anche qualora il convenuto, presunto responsabile della violazione da cui sorge il diritto di adire il giudice, sia uno

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Raffaella Nigro, "Immunità degli stati esteri e diritto di accesso al giudice: un nuovo approccio nel diritto internazionale?", Rivista di diritto internazionale, fasc. 3, 2013, pag 812.

179 stato o uno dei suoi organi che esercitino la sovranità. E anche in questo caso le tesi ricostruttive sostenute dalla dottrina possono idealmente essere distinte in due categorie, che non si differenziano però in virtù del presupposto di partenza29, quanto dall'ordinamento di riferimento. Per essere maggiormente precisi si deve chiarire come la dottrina, per sostenere la prevalenza del diritto di accesso alla giurisdizione, abbia focalizzato l'attenzione sul fatto che lo stesso è, nell'ordinamento internazionale, da considerare di importanza tale da essere riconducibile allo jus cogens, mentre, dal punto di vista dell'ordinamento interno dei singoli stati, molto difficilmente si potrà, a questo punto, individuare una costituzione che non riconosca il diritto di accesso alla giustizia come uno dei diritti essenziali dell'individuo, posto a tutela di un valore fondamentale30. Partendo dalla prima linea ricostruttiva, come si diceva, la stessa parte dall'assunto che il diritto di accesso al giudice debba essere considerato oggetto di una norma di diritto cogente e dunque, in base ai principi generali di diritto internazionale, lo stesso sia inderogabile ad opera della norma sull'immunità che non appartiene al nucleo forte dello jus

cogens. Il problema di questa ricostruzione è lo stesso che si è già evidenziato

in relazione alle ricostruzioni attorno al rapporto tra immunità giurisdizionale degli stati e violazione dei diritti fondamentali, ovvero che non è in alcun modo sostenuta dalla prassi degli stati che anche in questa circostanza si sono dimostrati molto più orientati al riconoscimento dell'immunità agli stati. È evidente che mancando una concreta prassi che evidenzi come a fronte di violazioni di diritti umani si debba negare il riconoscimento dell'immunità e ammettere l'esercizio del diritto di accesso al giudice per far valere la violazione di diritti umani, prassi che ben potrebbe portare alla formazione di una eccezione alla regola dell'immunità, questa ricostruzione presenta basi assai deboli, basate solo su giudizi di valore, che potrebbero anche scadere nella soggettività.

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si ricordi che le tesi che la dottrina ha nel tempo elaborato al fine di coordinare le norme a protezione dei diritti umani fondamentali e la norma sull'immunità degli stati si possono idealmente distinguere in due categorie a seconda che si sviluppino sull'assunto dell'esistenza di un conflitto normativo o che prescindano dall'esistenza dello stesso

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Nigro Raffaella, "Immunità degli stati esteri e diritto di accesso al giudice: un nuovo approccio nel diritto internazionale?", Rivista di diritto internazionale, fasc. 3, 2013, pag 812. Nell'articolo l'autrice, dopo l'indagine del rapporto generale tra principio di immunità e diritti umani focalizza la sua attenzione sul rapporto specifico tra principio di immunità e diritto di accesso alla giustizia come è stato ricostruito da dottrina e giurisprudenza.

180 A seguire tale linea ricostruttiva è stato ad esempio il presidente del Tribunale speciale per il Libano, Antonio Cassese nel caso El-Sayed, in una ordinanza relativa alla scarcerazione del Signor El-Sayed e al rilascio dei documenti relativi alle prove in base alle quali era stato incarcerato, 31. In tale ordinanza il Presidente ha affermato che il diritto di accesso al giudice non solo sarebbe oggetto di una norma consuetudinaria, ma addirittura sarebbe da ricondurre allo jus cogens visto il ruolo che questo diritto ricopre in una comunità internazionale sempre più attenta al rispetto dei diritti umani fondamentali. Si afferma infatti che "The right of access to justice is

regarded by the whole international community as essential and indeed crucial to any democratic society. It is therefore warranted to hold that the customary rule prescribing it has acquired the status of a peremptory norm (jus cogens). Such status denotes that an international norm has achieved such prominence in the international community that States and other international legal subjects may not derogate from it either in their international dealings or in their own national legislation –unless such derogations are strictly allowed by the norm itself."32. Ovviamente il Presidente del Tribunale ha dovuto fronteggiare l'evidenza del fatto che tale ricostruzione non trova in alcun modo riscontro nella prassi degli stati, ma il problema viene glissato laddove si afferma che affinché si possa accertare l'esistenza di una norma consuetudinaria non sia rilevante tanto l'elemento dell'usus quanto quello della opinio juris33. Tale posizione sostenuta dal Presidente del Tribunale speciale per il Libano relativa alla formazione della consuetudine internazionale si apre però ad alcuni dubbi e critiche.

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si fa riferimento nello specifico all'ordinanza del 15 aprile 2010 adottata dal Tribunale Speciale per il Libano. Il caso El-Sayed verteva sulla incarcerazione del Signor El-Sayed, un ufficiale militare libanese incarcerato per quattro anni, dal 2005 al 2009, accusato dell'omicidio dell'allora Primo Ministro libanese Rafiq al-Hariri senza che si fosse però svolto un processo e senza e nessun accusa formalizzata. L'alto Commissariato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite di Ginevra, nella sua relazione del 30 novembre 2007 ha qualificato quella di El Sayed come una detenzione arbitraria, contraria agli artt. 9 e 14 del Patto Internazionale per i diritti civili e politici del 1966. Sulla base di una decisione del Tribunale Speciale per il Libano dell'aprile 2009 il signor El-Sayed è stato liberato, e successivamente con decisione del 12 maggio 2011 ha ottenuto dal Tribunale la consegna degli elementi di prova relativi ai falsi testimoni che avevano cagionato la sua incarcerazione per poter procedere nei loro confronti davanti ai giudici nazionali competenti.)

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paragrafo 29 dell'ordinanza del 15 aprile 2010

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Confronto con il paragrafo 30 dell'ordinanza del 15 aprile 2010 del tribunale speciale per il Libano

181 Come si è già accennato, parte della dottrina ha inteso invece ricostruire la prevalenza del diritto di accesso al giudice sull'immunità degli stati basandosi sulla natura e il riconoscimento che questo diritto individuale riceve negli ordinamenti nazionali. Non c'è dubbio che nella maggior parte di questi ordinamenti, tra cui quello italiano con la previsione dell'art. 24 della Costituzione, il diritto di accesso al giudice riceva un riconoscimento costituzionale e che addirittura lo stesso debba essere accreditato come diritto fondamentale. Sulla base di questa qualificazione si potrebbe giungere alla conseguenza che la regola dell'immunità non potrebbe trovare applicazione negli ordinamenti statali in quanto incompatibile con i principi costituzionali dello stesso ordinamento. La teoria che dovrebbe trovare applicazione in questo caso è la cd teoria dei controlimiti secondo cui le norme comunitarie non possono violare i principi fondamentali e i diritti inviolabili riconosciuti dalle costituzioni internazionali. Il ruolo di "controllore" spetta ovviamente alla Corte Costituzionale che dovrà valutare se le norme internazionali introdotte nell'ordinamento sono o meno compatibili con le disposizioni costituzionali. Questo scenario non è meramente ipotetico, ma si è effettivamente concretizzato quando il Tribunale di Firenze ha adottato nel 2014 tre ordinanze di rimessione alla Corte Costituzionale34 in cui, tra i dubbi di costituzionalità sollevati, vi era anche quello relativo alla compatibilità della norma in materia di immunità giurisdizionale degli stati, così come interpretata dalla Corte Internazionale di Giustizia, e alcuni principi costituzionali fondamentali, primo tra tutti l'art. 24, 1° comma, Cost. che riconosce ad ognuno il diritto di agire in giudizio.

È evidente il limite di questa ricostruzione, ovvero che non è assoluta, ma dipende dalla ricostruzione e dalla qualificazione che il diritto di accesso alla giustizia riceve in un determinato ordinamento e se lo stesso è effettivamente riconosciuto nella relativa costituzione e si dovrebbe anche tenere in considerazione l'interpretazione che i giudici danno della determinata disposizione costituzionale. Volendo prendere in considerazione solo

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Ordinanze di remissione del Tribunale di Firenze, n° 84, n° 85 e n° 113 del 2014, 21 gennaio 2014. Sul punto si veda ad esempio Lieto Sara, "Il diritto al giudice e l'immunità giurisdizionale degli stati nella sentenza della Corte Costituzionale, n° 238 del 2014", Forum di Quaderni Costituzionali - Rassegna, http://www.forumcostituzionale.it/wordpress/; De Stefano Franco, "L’accesso alla giustizia per i crimini contro l’umanità commessi da uno Stato estero", www.questionegiustizia.it, 18 marzo 2014

182 l'esperienza italiana si deve sottolineare che la stessa non è stata costante, potendo idealmente distinguere in due diversi periodi. La giurisprudenza più risalente della Corte Costituzionale italiana si è infatti appoggiata principalmente al al criterio temporale introdotto dalla Corte stessa con la sentenza del caso Russel35. Nella sentenza in questione la Corte Costituzionale Italiana ha precisato che le norme consuetudinarie internazionali precedenti all'entrata in vigore del testo costituzionale debbano in ogni caso prevalere a titolo di specialità ad ogni disposizione costituzionale, anche fondamentale, mentre quelle successive troverebbero applicazione solo nei limiti di compatibilità delle previsioni fondamentali della Costituzione.36 Dunque le norme internazionali consuetudinarie che si siano formate successivamente all'entrata in vigore della Costituzione, e che siano incompatibili con le disposizioni costituzionali fondamentali, non dovrebbero trovare applicazione. Viceversa, qualora non sia possibile armonizzare i contenuti delle consuetudini internazionali con disposizioni costituzionali che non possono essere però qualificate come principi fondamentali, sono le ultime a soccombere in favore della applicazione delle consuetudini internazionali nell'ordinamento interno. Questa seconda evenienza è un indizio a favore della tesi secondo cui le norme internazionali introdotte nell'ordinamento nazionale per mezzo del meccanismo di adattamento previsto dall'art. 10,1° comma, Cost. posseggono rango costituzionale, anche se non tutti sono concordi nel riconoscimento di tale equiparazione tra norme costituzionali e consuetudini internazionali.37

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sentenza n° 48 dell'anno 1979, depositata in cancelleria il 18 giugno 1979.

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"Occorre comunque affermare, più in generale, per quanto attiene alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute che venissero ad esistenza dopo l'entrata in vigore della Costituzione, che il meccanismo di adeguamento automatico previsto dall'art. 10 Cost. non potrà in alcun modo consentire la violazione dei principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale, operando in un sistema costituzionale che ha i suoi cardini nella sovranità popolare e nella rigidità della Costituzione (art. 1, secondo comma e Titolo VI della Costituzione)."

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Per una analisi più approfondita del dibattito dottrinale attorno al rango attribuibile alle disposizioni internazionali introdotte nell'ordinamento si veda Deborah Russo, "Il rapporto tra norme internazionali generali e principi della Costituzione al vaglio della Corte Costituzionale: il Tribunale di Firenze rinvia alla Consulta la questione delle vittime dei crimini nazisti", Osservatoriosullefonti.it, fasc. 1/2014. Non tutti sono concordi nel sostenere la equiparazione delle consuetudini internazionali con le disposizioni costituzionali, in quanto si teme che tale equiparazione possa mettere a rischio l'integrità del testo costituzionale. Non è dunque pacifica, nella dottrina italiana, la posizione secondo cui le norme consuetudinarie introdotte nell'ordinamento abbiano lo stesso rango delle norme costituzionali. Alla luce della relativamente recente costituzionalizzazione dell'obbligo di adempiere agli obblighi internazionali all'art. 117, Cost, un'ulteriore posizione che è stata sostenuta, sia da dottrina che

183 Tra le disposizioni costituzionali fondamentali si potrebbe ben includere l'art. 24 della Costituzione Italiana, come noto dedicato al diritto riconosciuto ad ognuno di agire e di difendersi in giudizio.38 A titolo esemplificativo dunque, prendendo come riferimento proprio l'art. 24 della Costituzione, scelto non casualmente, ma perché evidentemente il più vicino alla trattazione che si sta svolgendo, essendo il principale ancoraggio costituzionale al riconoscimento del diritto di accesso al giudice nell'ordinamento italiano, non prevarrebbe nell'ordinamento italiano la norma consuetudinaria incompatibile introdotta in virtù del meccanismo di adattamento automatico ex art. 10 della Costituzione.39 In questo caso la consuetudine internazionale rimane inoperante nell'ordinamento, ovvero può (e deve) essere disapplicata senza la necessità di una pronuncia da parte della Corte Costituzionale40. Il problema è che questo non è il caso della norma relativa all'immunità degli stati, di risalente origine nell'ordinamento internazionale, in quanto coessenziale al mantenimento della stabilità delle relazioni in un ordinamento di carattere interstatale. Una qualunque norma internazionale incompatibile con l'art. 24 della Costituzione, e con il diritto di azione in esso sancito, dovrebbe essere disapplicata nell'ordinamento italiano, questo però solo nella misura in cui la norma costituzionale non sia soddisfatta "per equivalente".41

da giurisprudenza, è quella secondo cui le norme pattizie internazionali assumerebbero il rango di fonti interposte, subordinate alla Costituzione ma sovraordinate alla legge.

38

Focarelli Carlo, "Schemi delle lezioni di diritto internazionale", Morlacchi Editore, 2003. L'art. 24 della Costituzione Italiana recita "Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari."

39"L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale

generalmente riconosciute.". Si noti che il meccanismo di adattamento introdotto dall'art. 10 è un meccanismo particolare in quanto è automatico, completo e continuo e necessita dell'intervento dell'interprete per individuare concretamente "le norme del diritto internazionale generalmente riconosciute", nonché valutarne esistenza, contenuto, validità, legittimità ecc. Si ricorda che a queste disposizione, si introdotte nell'ordinamento italiano, si riconosce rango pari alla fonte che ne ha permesso l'ingresso, ovvero la Costituzione. Dunque le stesse si collocano su un livello superiore rispetto alla legge ordinaria nazionale.).

40È stata la Corte Costituzionale nella sentenza Baraldini del 2001 a precisare come, a fronte di

una incompatibilità tra una norma internazionale generalmente riconosciuta e un principio costituzionale fondamentale il giudice comune può procedere direttamente alla disapplicazione, mentre qualora il contrasto sorga rispetto ad una norma internazionale introdotta nell'ordinamento per mezzo di una legge ordinaria il giudice è tenuto a sollevare una questione di legittimità costituzionale

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Tale soddisfazione "per equivalente" si potrebbe ad esempio verificare qualora, a fronte della dichiarazione di incompetenza del giudice italiano che applicasse la regola dell'immunità dello stato e dei suoi organi, vi fosse la possibilità di rivolgersi a un diverso giudice che potesse assicurare la stessa garanzia processuale prevista e richiesta dall'art. 24 Cost.

184 Il caso Russel verteva su una controversia instaurata da una agenzia immobiliare romana ai danni del Colonnello Russel per il mancato pagamento dei canoni di locazione della sua abitazione. Il signor Russel, di cittadinanza canadese, ricopriva il ruolo di diplomatico presso l'ambasciata canadese a Roma, e invocò l'immunità giurisdizionale sia in base al diritto internazionale generale, sia in base alla Convenzione di Vienna del 1961 sulle relazioni diplomatiche42, con riferimento specifico ai paragrafi 1 e 3 dell'art. 31 secondo cui "L’agente diplomatico gode dell’immunità dalla giurisdizione penale dello Stato accreditatario. Esso gode del pari dell’immunità dalla giurisdizione civile e amministrativa dello stesso, salvo si tratti di: a) azione reale circa un immobile privato situato sul territorio dello Stato accreditatario, purché l’agente diplomatico non lo possegga per conto dello Stato accreditante ai fini della missione; b) azione circa una successione cui l’agente diplomatico partecipi privatamente, e non in nome dello Stato accreditante, come esecutore testamentario, amministratore, erede o legatario; c) azione circa un’attività professionale o commerciale qualsiasi, esercitata dall’agente diplomatico fuori delle sue funzioni ufficiali nello Stato accreditatario. [...] Contro l’agente diplomatico non può essere presa alcuna misura d’esecuzione, salvo nel casi di cui al paragrafo 1, capoversi a a c, purché non ne sia menomata l’inviolabilità della persona e della dimora.".43

Il Tribunale di Roma a questo punto sollevò dubbi di incompatibilità con la Costituzione della norma internazionale in materia di immunità diplomatica,