Capitolo 2: Il diritto di Accesso alla Giustizia
3. Evoluzione del Diritto di Accesso alla Giustizia: il primo passo nel Diritto in materia di Trattamento dello Straniero
Prima che il diritto internazionale sviluppasse una marcata attenzione in relazione alla materia dei diritti umani la questione dell'esistenza di un diritto individuale di accesso alla giustizia si era posto principalmente in relazione alla riconoscimento della responsabilità degli stati per danni cagionati agli stranieri.29 Nello specifico si ammetteva la possibilità per lo straniero di rivolgersi ai tribunali e agli organi amministrativi locali invocando il rispetto delle regole consuetudinarie in materia di trattamento degli stranieri e chiedere una riparazione qualora ritenesse che i suoi diritti fossero stati violati.
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"The Right of Access to Justice under Customary International Law" di Francesco Francioni, pubblicato in "Access to Justice as a Human Right", Oxford, 2007.
85 Nel caso in cui i rimedi locali fossero risultati inadeguati (o del tutto assenti) rimaneva la possibilità per lo straniero di rivolgersi al proprio stato nazionale che, ricorrendo all'istituto della protezione diplomatica, di cui si dirà più approfonditamente in seguito, poteva far propria la pretesa del proprio cittadino sulla base di un presento "diniego di giustizia". Con tale espressione si intende far riferimento al diniego, l'assenza o la non disponibilità di rimedi effettivi nello stato territoriale30.
Si può già a questo punto evidenziare che, fin dall'origine, e tutt'ora, l'accesso alla giustizia rientra nelle garanzie riconosciute allo straniero al fine di ottenere la riparazione dei danni sofferti nell'ambito territoriale di uno stato diverso dallo stato nazionale. Tale garanzia si muove nell'ambito più ampio della responsabilità degli stati. Tale diritto riconosciuto allo straniero non era (così come ancora non è), certo assoluto, ma limitato e soggetto a condizioni. Per iniziare, tale diritto era esperibile esclusivamente nei confronti dello stato nel cui territorio si era presumibilmente verificato il danno e in nessun caso nei confronti di uno stato terzo.
Ma forse ciò che è molto più rilevante notare è come, nella concezione classica delle norme sul trattamento dello straniero, non ci fosse proprio spazio per un diritto individuale di accesso alla giustizia. Si è infatti visto che una volta inutilmente esperiti i rimedi interni, l'individuo si poteva (e si può) rivolgere al proprio stato nazionale che, attivando il meccanismo della protezione diplomatica, assume su di se la pretesa del singolo, in qualche modo trasformandola e divenendone il titolare, fino a rendere quasi superfluo il ruolo dell'individuo.
Se questo scenario è perfettamente coerente con una tradizione positivistica del diritto internazionale, come insieme di regole create dagli stati e dagli stessi applicate certo non garantisce davvero la tutela dell'individuo, in quanto si deve evidenziare che lo stato, una volta assunta la titolarità dell'azione giudiziale è libero di esercitarla ma anche di non esercitarla. La lesione originariamente subita dall'individuo diviene secondaria rispetto alla lesione che lo stato subisce alla sua sovranità e alla asserita violazione del
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Si noti che nell'ambito delle norme sul trattamento dello straniero il diritto di "accesso alla giustizia" ha un ruolo essenziale, fino ad arrivare al punto in cui l'espressione ha assunto una valenza onnicomprensiva, tanto da riferirsi ad ogni violazione di diritti sostanziale e procedurale degli stranieri.
86 diritto internazionale. Ultimo, ma non meno importante, l'eventuale risarcimento come risultato dell'intervento diplomatico rimane nella disponibilità dello stato e non è detto che raggiunga l'individuo.
È poi da ricordare che la trasformazione da azione individuale in azione governativa regge fino a quando il singolo rimane cittadino dello stato agente in via diplomatica.
È facile scorgere le contraddizioni di questo sistema, ma ancora più facile è vedere come complessivamente il sistema manchi di quell'effettività che dovrebbe invece caratterizzare i rimedi messi a disposizione per tutelare l'individuo a fronte di lesioni subite all'estero. La consapevolezza di queste falle si è velocemente fatta spazio ed è sfociata nell'emersione di una serie di rimedi alternativi alla protezione diplomatica previsti in strumenti di diritto internazionale convenzionale, ma anche sviluppati nella prassi. Accanto a ciò si ricorda che la stessa Commissione di Diritto Internazionale ha avanzato la necessità di rivedere l'istituto della protezione diplomatica.
Ai fini della presente trattazione è particolarmente rilevante il concetto di "diniego di giustizia". Del concetto viene deve essere data una lettura procedurale. Questo è infatti inteso come diniego o mancanza di rimedi effettivi. Come esempio della tradizionale definizione di questo concetto si può richiamare la seguente secondo cui "il diniego di giustizia costituisce dunque un rifiuto a garantire agli stranieri libero accesso ai tribunali istituiti in uno stato per assolvere le loro funzioni giuridiche, o il fallimento a garantire libero accesso, in particolare modo, allo straniero che chiede di difendere i suoi diritti, anche se, nelle circostanze specifiche, i cittadini dello stato avrebbero il diritto a questo accesso"31.
È però evidente che questa definizione è eccessivamente ristretta e formale, in quanto non fa accenno in alcun modo al fatto che una volta garantito l'accesso ai tribunali occorre parimenti, e forse ancora più, garantire che il sistema in cui viene riconosciuto il rimedio sia caratterizzato da imparzialità ed equità e che sia possibile vigilare sulla effettività e la legittimità del rimedio messo a punto.
Sotto questo profilo una definizione più aggiornata e completa di diritto di accesso alla giustizia è quella che si ritrova all'art. 9 dei lavori prepatori della
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Definizione di M.Guerrero, rapporteur del Salvador sul tema della responsabilità dello stato per il Comitato di esperti per la progressiva codificazione del diritto internazionale.
87 Harvard Law School sulla responsabilità dello stato per i danni agli stranieri, "Denial of justice exist when is a denial, unwarranted delay or obstruction of
access to courts, gross deficiency in the administration of judicial or remedia process, failure to provide those guarantees which are generally considered indispensable to the proper administration of justice, or a manifestly unjust judgment. An error of a nation court which does not produce manifest injustice is not a denial of justice"32.
Questa definizione meglio riesce ad esprimere la natura ma soprattutto la funzione del diritto di accesso alla giustizia, che è quella di garantire allo straniero un sistema di riparazione efficace in caso di danno subito fuori dallo stato nazionale, e non solo l'astratto diritto di porre la propria pretesa all'attenzione di un organo giurisdizionale che non possa, in concreto, dargli la dovuta soddisfazione. È chiaro che poi il problema si sposta nel capire sulla base di quali parametri possa essere accertata questa efficacia. Certo l'unico parametro di riferimento non può essere la legislazione locale, ma certo nemmeno si può dire che il criterio della efficacia ed efficienza è osservato per il solo fatto che non ci siano impedimenti per lo straniero nell'accedere ai tribunali o ad altri strumenti locali di risoluzione delle controversie.
Il giudizio di adeguatezza deve essere condotto tenendo conto di standard minimi di equità e imparzialità che in ultima analisi sono da ricercarsi nelle norme e nei principi internazionali33. Per ribadire un concetto già espresso, non è sufficiente che lo stato non frapponga ostacoli all'accesso ai suoi tribunali agli stranieri, ma deve garantire che il processo osservi le disposizioni di diritto internazionale, i principi dell'equo processo e fornisca rimedi efficaci. Ciò comporta che il processo, come anche la decisione che lo concluderà non potrà violare il diritto internazionale consuetudinario, con il diritto interno, così come non potrà porsi in rotta di collisione con gli obblighi internazionali che gravano sullo stato del foro. Al contempo la durata del processo non potrà essere eccessiva, ne l'accesso al rimedio processuale potrà risultare, nei fatti, in quanto non è sufficiente soffermarsi
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"The law of responsibility of state for damage done in their territory to the person or
property of foreigners", in AJIL, supplement: codification of international law, 1929, p. 134.
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Per fare un esempio banale, l'art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo si propone l'obiettivo proprio di imporre l'osservanza di standard minimi di garanzia che devono caratterizzare l'operato degli organi giurisdizionali.
88 sulle previsioni astratte, discriminatorio. È ovvio, ma è meglio precisarlo, che il rimedio processuale non è effettivo e dunque ci si trova davanti ad una ipotesi di diniego di giustizia, nell'ipotesi in cui il processo subisca in qualunque modo l'influenza dell'esecutivo o si integrino gli estremi di una o più forme di corruzione.
Il diritto di accesso in questa ampia definizione riesce a ricomprendere, e a garantire, tanto le azioni che gli stranieri intentano nei confronti degli stati territoriali o la loro pubbliche autorità, quanto le azioni intraprese nei confronti di privati. Nel caso in cui l'azione sia intentata nei confronti di un privato cittadino, perché si integrino gli estremi del diritto di accesso alla giustizia è necessario che sussista un valido titolo giurisdizionale, che può trovare specifico fondamento in un nesso territoriale, personale, o di qualunque altra natura, con lo stato territoriale.
Non mancano casi nella prassi internazionale in cui l'invocazione della mancanza di giurisdizione non è risultata sufficiente a sollevare lo stato territoriale dal suo obbligo di mettere a disposizione dello straniero ricorrente rimedi effettivi, integrandosi, in mancanza di questi ultimi, un vero e proprio diniego di giustizia. Tale prassi è emersa soprattutto nei casi in cui lo straniero non avesse a disposizione un foro alternativo a cui rivolgersi oppure laddove il rifiuto di garantire la protezione allo straniero si basava su una rigida interpretazione e applicazione del diritto locale.
Lo straniero può incontrare anche ostacoli di altra natura nella strada per la tutela giurisdizionale dei suoi diritti, primi tra tutti oneri di carattere finanziario. È in questo cotesto che si colloca l'istituto della cautio iudicatum
solvi, che presuppone che l'accesso ai tribunali sia condizionato al pagamento
di una cauzione. Si è aperta la questione della compatibilità di tale istituto con il diritto internazionale, e costantemente la risposta è stata orientata nel senso della compatibilità. Nell'affermare la conformità della cauzione agli
standard di trattamento degli stranieri previsti dall'ordinamento internazionale si usava far riferimento principalmente a due argomenti: da una parte la cauzione preliminarmente versata avrebbe coperto i costi del processo a cui lo straniero partecipava, e dall'altra avrebbe parificato la posizione della parti che si contrapponevano nel giudizio, nella misura in cui era molto probabile che lo straniero non fosse proprietario di alcun bene
89 patrimoniale presente nel territorio dello stato del foro, cosa che avrebbe reso molto più ardua, se non impossibile, in assenza della cauzione, l'esecuzione della eventuale sentenza sfavorevole per lo straniero, lasciando la controparte priva di altri strumenti per ottenere soddisfazione. Inoltre a rafforzare la legittimità della previsione della cauzione come condizione per l'accesso ai tribunali ci pensavano anche le disposizioni convenzionali, che impegnavano gli stati parti a garantire ai cittadini dell'altra parte "libero accesso ai tribunali". Tale visione restrittiva trovava un sostegno nel fatto che lo stato territoriale non poteva mettere a disposizione "neanche davanti a un ricorso ben fondato di uno straniero un aiuto economico che il governo del ricorrente potrebbe rifiutarsi di offrire nel caso reciproco" e soprattutto nel fatto che si era consolidata l'idea secondo cui la previsione del preliminare versamento della cauzione non poteva essere considerato, come si è detto, alla stregua di un limite al diritto di accesso alla giustizia.
Se poi dal piano teorico si passa a quello concreto, è facile intuire che de
facto la previsione del necessario versamento di una cauzione o altri depositi
o tasse rendesse di fatto inesigibile il diritto dello straniero all'accesso ai tribunali nella misura in cui l'entità della somma da versare a titolo di cauzione fosse spropositata, in assoluto o rispetto alla risorse economiche a disposizione del ricorrente. Ecco che allora la prassi più recente registra una inversione di tendenza sul tema, erodendo progressivamente la portata di questo principio e affermando il principio di pari accesso alle corti tanto per i cittadini quanto per gli stranieri. Oggi questo principio è ampiamente consolidato e codificato in molti strumenti sovranazionali. A titolo esemplificativo si possono richiamare l'art. 14 del Patto delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici34, così come l'art. 47 della Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione Europea35, la cd Carta di Nizza.
Nonostante ciò non si può ancora affermare con assoluta certezza che sia stato ormai superato il precedente meccanismo della cautio iudicatum solvi, molto semplicemente in quanto le disposizioni che codificano questo
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"Tutti sono eguali dinanzi ai tribunali e alle corti di giustizia. Ogni individuo ha diritto ad un'equa e pubblica udienza dinanzi a un tribunale competente, indipendente e imparziale, stabilito dalla legge, allorché si tratta di determinare la fondatezza di un'accusa penale che gli venga rivolta, ovvero di accertare i suoi diritti ed obblighi mediante un giudizio civile".
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"Ogni individuo i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell'Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo".
90 principio di parità di accesso alla giustizia di cittadini dello stato del foro e degli stranieri sono ancora presenti nel diritto internazionale.
Soffermandosi sulla portata del diritto dello straniero all'accesso alla giustizia, si deve sottolineare come lo stesso ricomprenda non solo rimedi civili e amministrativi, ma ricomprenda anche l'area penale. Rientra quindi nello stesso il diritto dello straniero di veder perseguito il responsabile di illeciti commessi nei suoi confronti. Al fine di garantire una efficiente protezione nei confronti dello straniero lo stato territoriale si dovrà impegnare a indagare a fondo sul fatto e a perseguire il suo presunto autore, oltre che a permettere allo straniero e ai suoi discendenti di intervenire nel processo penale come parti civili per ottenere il risarcimento del danno e dell'eventuale perdita conseguente all'illecito.
Dal canto suo il Capo dello Stato territoriale deve astenersi dall'adottare misure positive che prevengano il riconoscimento della responsabilità o che proteggano le persone o gli organi individuati come presunti responsabili del reato commesso a danno dello straniero. Questo vuol dire che il Capo dello Stato deve astenersi dall'adottare provvedimenti di amnistia o ogni altra misura che sia idonea porre fine all'esercizio dell'azione penale. Un comportamento del genere da parte dello stato territoriale senza troppe difficoltà potrebbe essere qualificato alla stregua di un vero e proprio diniego di giustizia, e conseguentemente portare al riconoscimento della responsabilità internazionale dello stato36. Nella recente tendenza del diritto internazionale, volta a valorizzare quanto più possibile la tematica dei diritti fondamentali, il principio si è ulteriormente rafforzato in quanto si è affermato il divieto di predisporre amnistie ad hoc non solo nel campo ristretto del trattamento dello straniero, ma anche in quello più ampio dei diritti dei cittadini e dei diritti umani.
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Tale principio è stato accolto e riconosciuto nei lavori della conferenza per la codificazione del diritto internazionale del 1930, ma è stato confermato anche in un certo numero di giudizi arbitrali.
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