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Immunità dalle Misure Esecutive e Cautelar

Fino ad adesso ci si è limitati a prendere in considerazione l’immunità dalla giurisdizione solo per quanto riguarda la limitata ipotesi in cui lo stato straniero sia convenuto in un processo di cognizione. Per ragioni di completezza è opportuno sottolineare che tale immunità è invocabile dallo stato anche in relazione a procedimenti esecutivi e cautelari.

È bene tenere sempre presente che la questione in ordine alla possibilità o meno di assoggettare i beni dello stato estero a misure cautelari o esecutive nello stato del foro viene ad essere una questione diversa e autonoma rispetto a quella concernente il riconoscimento allo stato dell'immunità dalla giurisdizione cognitiva. In quest'ultimo caso il problema è quello di individuare in quali ipotesi lo stato estero possa essere convenuto in giudizio di fronte ai tribunali dello stato del foro senza il suo consenso, e dunque senza l'esplicita rinuncia dello stato al beneficio dell'immunità. L'immunità dalla giurisdizione cautelare ed esecutiva concerne, invece, le ipotesi in cui, per garantire la esecuzione di una eventuale sentenza di condanna contro il medesimo stato estero, si renda necessario procedere all'adozione di misure cautelari che abbiano ad oggetto i beni dello stato estero o all'adozione di misure esecutive sui medesimi beni55.

La problematica relativa al riconoscimento agli stati di una garanzia di immunità a fronte dell'adozione nei loro confronti di misure cautelari o

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Questo è l'auspicio espresso in relazione a tale delicata questione da Cassese Antonio, “Diritto intenazionale”, a cura di Paola Gaeta, Seconda Edizione, Il Mulino, 2013.

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Si noti che non c'è uniformità di vedute in merito alla autonomia della immunità dalla esecuzione rispetto alla immunità dalla giurisdizione, anche se la tesi dell'autonomia è sicuramente quella che incontra il maggior numero di sostenitori. Al titolo esemplificare, per rappresentare quella parte di giurisprudenza secondo cui non vi sarebbe autonomia, bensì l'immunità dall'esecuzione verrebbe ad essere una conseguenza del riconoscimento dell'immunità dalla giurisdizione, si può richiamare la decisione del Tribunale Federale svizzero nel caso Repubblica araba d'Egitto c. Cinetel del 20 luglio 1979, in cui la Corte ha affermato che " immunity from execution as simply the consequence of jurisdictional

immunity. A foreign State which in a particular case does not enjoy jurisdictional immunity is not entitled to immunity from execution either, unless the measures of execution concern assets allocated for the performance of acts of sovereignty".

36 dell'instaurazione nei loro confronti di procedimenti esecutivi non viene ad essere una novità sul piano del diritto internazionale, in quanto certamente sussisteva già quando l'orientamento maggioritario sosteneva la teoria della immunità assoluta degli stati esteri dalla giurisdizione cognitiva questo perché , sia nella misura in cui lo stato convenuto in giudizio avesse deciso di rinunciare alla immunità dalla giurisdizione, sottoponendosi volontariamente alla cognizione, che nei casi in cui lo stato si atteggiasse quale attore del giudizio, si venivano a delineare due situazioni in cui sorgeva il problema di stabilire se, a fini cautelari o di esecuzione forzata dell'eventuale sentenza di condanna emessa nei confronti dello stato estero, fosse possibile o meno assoggettare i beni dello stato estero alla giurisdizione cautelare o esecutiva dello stato del foro.

Ma certo è innegabile che la questione è diventata ancora più complessa dal momento in cui è venuta consolidandosi la regola della immunità relativa. Molto semplicemente è chiaro che con l'affermarsi di questa teoria si sono moltiplicate le possibilità di esercizio della giurisdizione cognitiva nei confronti degli stati esteri perché molto semplicemente, restringendosi i confini dell'ambito di operatività del principio di immunità sono aumentate le circostanze in cui viene ad essere legittimo il disconoscimento della garanzia dell'immunità nei confronti dello stato interessato.

Nonostante emerga questa sorta di rapporto di interdipendenza tra il modo di operare, o meglio, i limiti in cui opera, la regola in materia di immunità dalla giurisdizione e l'ambito di intervento dell'immunità dalle misure esecutive e dalle misure cautelari, non bisogna dimenticare mai che le due questioni del riconoscimento della immunità dal processo di cognizione e la sottoponibilità dei beni dello stato alla giurisdizione esecutiva o cautelare, sono e devono rimanere questioni concettualmente distinte. Vari indizi possono essere richiamati a sostegno di questa tesi, raccolti e analizzati principalmente da Cassese56.

Anche se è certamente vero che il brocardo par in parem non habet

iurisdictionem costituisce una base comune sia per quanto riguarda la norma

sull'immunità degli stati dalla giurisdizione civile e la norma che riconosce agli stati l'immunità dall'esecuzione in relazione ai suoi beni, è in ogni caso

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In relazione a tale distinzione si richiama la ricostruzione di Cassese Antonio, “Diritto intenazionale”, a cura di Paola Gaeta, Seconda Edizione, Il Mulino, 2013.

37 preferibile la tesi secondo cui le due regole rimangono autonome. L'autonomia delle due regole comporta che il giudice nazionale dell'esecuzione, anche nella misura in cui abbia accertato la sussistenza della giurisdizione cognitiva escludendo la relativa immunità, è in ogni caso tenuto ad accertare la destinazione dei beni interessati dai provvedimenti esecutivi e solo nella misura in cui questi abbiano una destinazione privatistica è legittimato a darvi esecuzione, altrimenti è chiamato a riconoscere allo stato l'immunità dall'esecuzione. Inoltre va precisato, sempre a sostegno della tesi dell'autonomia delle due regole, che l'evoluzione storica di queste è stata autonoma e diversa, visto che la teoria dell'immunità ristretta è stata accolta anche per l'immunità dall'esecuzione solo in tempi molto più recenti. Inoltre si noti che sono diversi i criteri che vengono utilizzati nel contesto della immunità dalla giurisdizione e nel contesto della immunità dall'esecuzione ai fini della individuazione delle attività immuni e delle attività non immuni. In merito alla questione la Corte Costituzionale italiana ha affermato che l'immunità dalla esecuzione opera in un ambito normativo più ampio rispetto a quello in cui si muove immunità dalla giurisdizione. Si noti che per negare allo stato il riconoscimento della immunità dalla esecuzione non è sufficiente la sussistenza di un titolo esecutivo efficace nel territorio dello stato del foro, oppure, nel caso in cui si renda necessaria l'adozione ed applicazione di una misura cautelare, la soggezione del rapporto controverso alla cognizione delle corti di questo o di un altro stato. Condizione essenziale è che i beni investiti dalla domanda di sequestro o dal procedimento esecutivo non siano beni destinati all'adempimento di funzioni pubbliche (iure imperii) dello stato estero e solo nella misura in cui questi beni abbiano una destinazione privatistica potrà essere legittimamente negata allo stato l'immunità dall'esecuzione57.

Si noti che, ad ulteriore conferma la autonomia delle due tematiche, anche la prassi giurisprudenziale degli stati in materia di immunità cautelare ed esecutiva, rispetto alla immunità dal processo di cognizione, ha avuto una evoluzione ben distinta. A titolo esemplificativo si può richiamare la Corte Costituzionale Italiana che, nella decisione relativa al caso Condor e Filvem

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38 c. Libia58, ha affermato che per lungo tempo "il carattere relativo dell'immunità dalla cognizione si è opposto, nella più diffusa convinzione giuridica degli stati il carattere, almeno tendenzialmente assoluto dell'immunità dalla esecuzione", così come nella stessa pronuncia la Consulta ha ritenuto di dover precisare che "l’immunità dalle misure cautelari e dalla esecuzione nello Stato del foro non costituisce una semplice estensione della immunità dalla giurisdizione".

Come si è precedentemente anticipato, solo recentemente la prassi è riuscita nel tentativo di accogliere la teoria della immunità ristretta anche in relazione all'immunità dall'esecuzione e dalle misure cautelari. In questo caso alla tradizionale distinzione tra atti iure imperii e atti iure gestionis si affianca la distinzione, precedentemente accennata, tra beni adibiti allo svolgimento di attività sovrane dello stato, e beni che attengono invece all'esercizio della attività privata dello stato.

Il diritto internazionale attuale, nello specifico, impedisce agli stati di sottoporre a misure coercitive i beni di stati esteri destinati all'esercizio di pubbliche funzioni, ossia destinate allo svolgimento di attività iure imperii. Per converso, ovviamente, tale immunità invece non ha ragione di operare quando ci si trovi davanti a beni destinati all'espletamento di attività iure

gestionis. È agevole dunque evidenziare come in relazione al fine del

riconoscimento dell'immunità che si sta discutendo rileva, non tanto il bene in sé, ma la sua specifica destinazione.

Si noti che, così come non è agevole la distinzione tra atti iure imperii e atti

iure gestionis, anche in relazione al riconoscimento della immunità

dall'esecuzione non è semplice procedere alla concreta distinzione tra beni adibiti ad una finalità pubblicistica e beni adibiti ad una finalità privatistica59. Visto l'emergere di tale difficoltà, analoga a quella che si era precedentemente incontrato in relazione al regime di immunità giurisdizionale, anche è deciso anche in questo caso di accogliere la medesima soluzione individuata in relazione a quest'ultima immunità, ovvero

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Caso Condor e Filvem c. Libia, sentenza n° 8868 del 1990, Cassazione civile, Sezioni Unite, Int. Law Reports, vol. 101, p. 402

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Tale difficoltà è stata evidenziata da Ronzitti Natalino, "Introduzione al Diritto Internazionale", Quarta Edizione Giappichelli Editore, 2013, che evidenzia l'incertezza dei criteri che possono essere utilizzati ai fini della distinzione.

39 il ricorso al criterio della lista che, anche in questa circostanza, appare il più opportuno60.

È evidente che la distinzione tra beni destinati ad attività pubblicistiche o ad attività privatistiche si rende ancora più complessa e ambigua nel momento in cui si fronteggiano i beni a destinazione promiscua. La qualificazione di conti corrente della missione diplomatica è stata, ad esempio, una questione di difficile risoluzione per il semplice fatto che questi potrebbero benissimo essere utilizzati sia per attività iure gestionis sia per attività iure imperii. In relazione a tale profilo controverso si è alternata una giurisprudenza ondeggiante tra una prima tesi che fa leva sulla presunzione secondo cui il denaro sarà utilizzato per attività sovrane dello stato, riconducendo dunque i conti corrente delle missioni diplomatiche tra i beni suscettibili di essere coperti da immunità, e una tesi, diametralmente opposta che fa leva, invece, sulla fungibilità del denaro, da cui consegue la impossibilità di dimostrare aprioristicamente che il denaro depositato nel conto corrente sia istituzionalmente destinato alle attività pubblicistiche dell'ente e che dunque, necessariamente, dovrà essere riconosciuta l'immunità a favore di questo bene. Sul tema è intervenuta anche la Corte di Cassazione italiana sostenendo che solo lo stato titolare del deposito può procedere, in via esclusiva, alla individuazione della destinazione delle somme depositate e che tale valutazione non può essere compiuta dal giudice. Nella misura in cui si

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Si noti che le difficoltà derivanti dalla applicazione in concreto della norma in materia di immunità dell'esecuzione erano state all'origine dell'introduzione della disposizione contenuta nell'articolo unico della L. 15 luglio 1926, n°1263 relativa agli atti esecutivi su beni di stati esteri che si trovavano sul territorio italiano, articolo che prevedeva il divieto di procedere ad atti esecutivi sopra beni mobili o immobili appartenenti a stati esteri senza la preventiva autorizzazione del Ministro di Giustizia e previa verifica della condizione di reciprocità. Tale disposizione non è più vigente nell'ordinamento italiano in quanto la Corte Costituzionale ne ha dichiarata la illegittimità costituzionale nella parte in cui richiedeva la autorizzazione del Ministro anche relativamente a procedure esecutive su beni non destinati all'esercizio della funzione sovrana o a fini pubblici. In sostanza la disposizione aveva assegnato in via esclusiva al ministro il compito di accertare, in via preliminare, se i beni dello stato estero rientrassero nella sfera di operatività degli atti iure imperii o iure gestionis. La Corte ha ritenuto che la norma che riconosceva la immunità da misure coercitive anche a favore di beni non destinati a funzioni pubbliche non era compatibile con l'art. 24 Cost. ed in relazione ai principi di uguaglianza e di ragionevolezza in quanto “il diritto del singolo alla tutela giurisdizionale esige che le condizioni della azione […] non possano essere accertate se non dallo stesso giudice con le garanzie dl procedimento giudiziario.”. Peraltro, fu la stessa Corte Costituzionale che per prima evidenziò le difficoltà che di fatto si potevano incontrare nel procedere alla distinzione tra beni destinati a fini pubblicistici, e beni destinati ad attività privatistiche, con la specificazione che le principali difficoltà applicative, si riscontravano soprattutto nel caso di beni a destinazione promiscua. Conclude la Corte affermando che, nonostante sia evidente la incertezza della distinzione tra beni a destinazione pubblicistica e beni a destinazione privatistica, in mancanza (e in attesa) di un intervento legislativo, tale distinzione doveva essere considerata l'unica disponibile.

40 ammettesse un ruolo del giudice in tale valutazione si giungerebbe ad ammettere una forma di indebita ingerenza di questi nelle prerogative dello stato61.

Passando agli strumenti internazionali convenzionali che si esprimo in materia di immunità dall'esecuzione si può evidenziare come l'art. 23 della Convenzione di Basilea62 esclude che possano essere assoggettati a misure esecutive i beni appartenenti a stati esteri affermando che "Sul territorio di uno Stato Contraente non può procedersi all’esecuzione forzata né ad alcuna misura conservativa sui beni di un altro Stato Contraente, salvo nei casi e nella misura in cui questo vi abbia espressamente consentito per iscritto.". La Convenzione di Basilea in questo non viene ad essere ricognitiva del diritto consuetudinario.

La Convenzione adottata in seno alle Nazioni Unite63, dal canto suo, ai suoi artt. 18 e 19 distingue tra misure cautelari adottate prima della sentenza (pre-

judgment measures) e misure esecutive da esperire dopo la pronuncia della

sentenza (post-judgment measures) affermando, che per quanto attiene alle prime, queste non sono ammesse, a meno che lo stato non vi consenta o non abbia appositamente destinato per queste una specifica categoria di beni64. Anche per quanto riguarda la seconda categoria di misure vale la regola generale della inammissibilità corredata però in questo caso di una serie di eccezioni. Tra tali eccezioni troviamo la possibilità di disporre misure esecutive su beni che non siano destinati a fini di servizio pubblico non commerciale65.

61

Sentenza n° 2085 del 1989, Corte di Cassazione Italiana, 4 maggio 1989; Sentenza n° 2316 del 1986, Corte di Cassazione Italiana, 4 aprile 1986.

62

Convenzione Europea sull'Immunità degli Stati, Basilea, 16 maggio 1972, entrata in vigore l'11 giugno 1976

63

Convenzione delle Nazioni Unite sull'immunità giurisdizionale degli Stati e dei loro beni, New York, 2 dicembre 2004.

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Art. 18 della Convenzione di New York, "Anteriormente alla sentenza non si può procedere ad alcuna misura coercitiva, quale il pignoramento o il sequestro, contro i beni di uno Stato in relazione a un procedimento davanti a un tribunale di un altro Stato, salvo se e nella misura in cui : a) lo Stato ha esplicitamente consentito l’applicazione di tali misure nei termini indicati da : i) un accordo internazionale ; ii) un patto d’arbitrato o un contratto scritto ; o iii) una dichiarazione davanti al tribunale o una comunicazione scritta fatta dopo l’insorgere di una controversia tra le parti ; o b) lo Stato ha riservato o destinato beni all’adempimento della richiesta oggetto del procedimento in questione.".

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Art. 19 della Convenzione di New York, "Alcuna misura coercitiva posteriore alla sentenza, quale il pignoramento, il sequestro o il sequestro esecutivo, può essere presa contro i beni di uno Stato in relazione a un procedimento promosso davanti a un tribunale di un altro Stato, salvo se e nella misura in cui : a) lo Stato ha esplicitamente consentito l’applicazione di tali misure nei termini indicati da : i) un accordo internazionale; ii) un patto d’arbitrato o un

41 All'art. 21 della Convenzione viene poi tracciato un elenco di beni che aprioristicamente vengono qualificati come immuni. Questi sono beni che, per utilizzare le parole della Convenzione "non sono segnatamente considerati beni specificamente utilizzati o destinati a essere utilizzati dallo Stato a scopi diversi da scopi di servizio pubblico non commerciali", e tra si ritrovano, ad esempio, i conti bancari utilizzati o destinati all'esercizio della sede diplomatica o consolare ed i beni militari o destinati ad essere utilizzati per funzioni militari.

Dal quadro che è stato sommariamente tratteggiato sembra che sia possibile affermare che anche per le misure esecutive valgono sostanzialmente gli stessi principi delineati per quanto riguarda la attività di cognizione, anche se è sempre necessario tenere a mente che si tratta comunque di questioni concettualmente distinte e che, in ogni caso, la immunità dall'esecuzione risulta tradizionalmente più ampia rispetto all'immunità dello stato nel giudizio di cognizione.

Il ultima analisi il risultato che si ottiene è che solo ed esclusivamente quei beni che non siano strumentali all'esercizio delle funzioni sovrane dello stato estero sono sottoponibili alla attività di esecuzione.