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Disgusto e paura a confronto: analogie e differenze

4. Il disgusto e la paura

4.3 Disgusto e paura a confronto: analogie e differenze

È giunto ora il momento, dopo aver sviscerato anche il sentimento di paura, di mettere a confronto le due emozioni di cui ci stiamo occupando.

Come abbiamo visto precedentemente, al disgusto è essenziale la prossimità, ossia la massima vicinanza e la minima distanza dell’oggetto al soggetto percipiente. Si pensi ancora una volta che traendo il suo più intimo significato dal senso del gusto, il disgusto in principio nacque nel momento in cui un alimento non era confacente ai gusti e agli standard gastronomici della persona che fisicamente lo assaggiava. Giacché l’alimento va a toccare le papille gustative della persona in questione, questo oggetto è in intima connessione con essa e, a rigor di logica, nessuna distanza e nessuno spazio si frappone tra le due entità.

Anche quando il disgusto non viene suscitato primariamente dal senso del gusto ma da quello del tatto la situazione non cambia: quando tocco una cosa ogni distanza potenziale si annulla, nessuno spazio può esistere e disturbare la mia

96 relazione con l’oggetto avvertito. Solo in questo modo io posso percepire caratteristiche tattili disgustose come il viscido, il vischioso etc.

Quando siamo disgustati da un cattivo odore l’oggetto, l’animale o la persona che produce tale emanazione deve quanto più possibile essermi vicino dal momento che man mano che la distanza aumenta, la mia possibilità di percepire certe caratteristiche diminuisce fino a diventare pari a zero.

Lo stesso si può affermare per tutto ciò che concerne la vista, che come spiegato in precedenza, deve essere considerato più come senso della prossimità che della distanza. Per essere disgustato attraverso gli occhi io devo vedere particolari e dettagli che in lontananza non vedrei.

Laddove non è possibile l’intima connessione di soggetto e oggetto, nel disgusto è necessaria la più piccola distanza fra i due.

Questa una prima differenziazione tra la paura e il disgusto: se nell’esperienza di paura il pericolo è imminente, quindi abbastanza vicino, ma ancora abbastanza lontano da permettermi di reagire con pensieri e ragionamenti per trovare il miglior modo di salvarmi, nell’esperienza disgustosa l’oggetto viene localizzato nella più immediata sfera di influenza degli organi di senso del percipiente.

In ultima istanza, si è visto che la paura risponde e accetta il ruolo delle conoscenze e delle convinzioni che si annidano dietro a una situazione, inibendo o accelerando la formazione dell’emozione. Al contrario il disgusto, indipendentemente dai più svariati tipi di deliberazione e di ragionamento, rimane fermo sulle proprie posizioni e non può far altro che reagire di fronte alle impressioni sensoriali che gli si presentano davanti: sto mangiando una minestra di verdure, noto un filo lungo e sottile, penso sia un capello, lo prendo, lo guardo e

97 noto che non è un capello ma solamente un filamento di verdura, nonostante ciò la minestra ora mi appare più disgustosa e la finirò a fatica e solo con il tempo elaborerò la cosa e mi renderò conto dello sciocco fraintendimento.

Nell’analisi di Kolnai le differenze fra paura e disgusto emergono nel momento in cui il filosofo si dedica alla particolare relazione che intercorre fra soggetto e oggetto nelle due emozioni. Il risultato a cui egli giunge, dopo aver osservato accuratamente i due fenomeni, è che mentre il disgusto ha un solo oggetto intenzionale, la paura ha due oggetti intenzionali diversi tra loro e distinti: «L’angoscia possiede un doppio modo di intendere. Intende infatti due oggetti completamente diversi l’uno dall’altro: ciò che la provoca e il soggetto personale che la prova»142. Mentre la paura, solo in un primo momento, si concentra sul pericolo rappresentato da un oggetto, da una o più persone o da una situazione, in un secondo momento, dirige tutta la sua preoccupazione sul soggetto che percepisce tale pericolo in modo da elaborare tutte le migliori strategie per proteggerlo. Il pericolo è allora sì necessario per attivare l’emozione ma poi diviene superfluo concentrarsi su di esso e scandagliare minuziosamente tutte le sue caratteristiche dal momento che importante è essere coscienti della presenza di un pericolo, non di come esso sia nei particolari. Un’altra differenza tra i due fenomeni consiste nel fatto che, mentre la paura dirige tutta la sua attenzione alla situazione esistenziale del soggetto, il disgusto invece, si sofferma sugli aspetti qualitativi dell’oggetto, sul come si presenta. Inoltre si prova paura principalmente per se stessi, ci si preoccupa primariamente per la nostra esistenza, per la propria sicurezza personale che è stata minacciata:

98 «Provo angoscia alla vista o al pensiero di ciò che è minaccioso; ma anche, chiaramente, solo in rapporto a me stesso, alla mia persona […]. Lo stato di paura più tipico è fondato nel sé […]. Nell’angoscia autentica è sempre in qualche modo in questione l’intero, o meglio l’essere del sé […]. Il suo riferimento è sempre in qualche modo permeato dai grandi e ultimi interessi vitali, i quali appaiono in pericolo»143.

La paura è indifferente alle caratteristiche che il pericolo porta con sé, cioè a come esso si presenta ma gli interessa solo che ci sia o meno: «L’intenzione dell’angoscia ha qualcosa di astratto e indifferente all’essenza: ciò che è pericoloso viene qui principalmente inteso soltanto come pericolo»144.

Come già notato implicitamente nell’analisi aristotelica della paura fatta precedentemente, chi prova paura teme che la sua vita e che la sua intera esistenza vengano messe seriamente a rischio. La paura, infatti, si attiva solo quando i pericoli sono valutati e appaiono come gravi e, per questo stesso motivo, la cosa che abbiamo di più importante – che può divenire il bersaglio dell’emozione – è la vita stessa145.

Un’ulteriore e importante differenza tra il disgusto e la paura è che mentre il primo dirige la sua attenzione solo sull’oggetto e quindi verso qualcosa che è fuori da sé, la seconda è sì rivolta anch’essa verso l’oggetto, ma focalizza maggiormente il suo sguardo sul soggetto che percepisce il pericolo e che deve trovare il miglior modo per riuscire a sottrarvisi146. La paura si presenta allora come un’emozione più dinamica in quanto «la persona impaurita muoverà la

143 Ibidem, p. 39-40 e 42. 144 Ibidem, p. 42. 145

Cfr. Fussi A., Disgusto, paura, prossimità nell’analisi fenomenologica di Aurel Kolnai, cit., p. 273: «Chi prova paura si sente esistenzialmente messo in questione; dal momento che la paura riguarda pericoli gravi, ciò che è posto in gioco è la vita stessa».

146 Cfr. Kolnai A., Il Disgusto, cit., p. 43: «Rispetto all’angoscia la differenza fondamentale si

mostra in rapporto alla direzione dell’intenzione, che è molto più nettamente rivolta in fuori: […] manca la potente corrente intenzionale rivolta verso le profondità del soggetto, che è presente nell’angoscia […]. Il disgusto resta attaccato all’oggetto che lo causa».

99 propria attenzione dall’oggetto a sé e poi ancora all’oggetto, in un movimento oscillatorio finalizzato a cogliere la vera entità del pericolo e il modo possibile per sottrarsi ad esso»147.

È ormai chiaro che il disgusto si orienta verso l’esterno osservando l’oggetto che lo causa in ogni suo piccolo e minuzioso dettaglio. Statico rispetto alla paura, non ritorna a sé dopo aver percepito l’oggetto, e per questo gli viene attribuito un solo oggetto intenzionale. Ciò che è costitutivo nel disgusto è la conoscenza della natura dell’oggetto e non il rapporto con l’essere del percipiente. Nel caso della paura, una volta avvistato l’oggetto, l’emozione si immerge nel proprio sé e nel proprio destino futuro, cioè elabora quelle che potrebbero essere le soluzioni e le strategie di fuga per lo scopo finale, ossia la salvezza del soggetto. In questo secondo caso, l’oggetto rimane sullo sfondo o costituisce propriamente lo sfondo dell’emozione, mentre nel disgusto è il soggetto a diventar parte dello sfondo: questo dipende ancora una volta dalla diversa direzione verso cui noi ci rivolgiamo con maggior interesse.

Tuttavia il motivo per il quale nel disgusto la nostra attenzione è diretta verso l’oggetto è che esso, a volte, attrae in modo a volte più forte di quanto respinga. Quando a prevalere è la repulsione, venendo meno il contatto che il soggetto instaura con l’oggetto, viene meno anche l’intera emozione: «mentre l’oggetto disgustoso è presente, il disgusto può crescere […], tuttavia la punta dell’intenzione resta fissa sull’oggetto e, per così dire, lo analizza, si immerge nel suo movimento o nella sua durata, nonostante la resistenza provocata da

147 Cit. Fussi A., Disgusto, paura, prossimità nell’analisi fenomenologica di Aurel Kolnai, cit., p.

100 un’essenziale esitazione, la quale, certamente, può anche portare alla sollecita interruzione del contatto e alla scomparsa del disgusto»148.

Ancora una differenza che intercorre tra paura e disgusto è che mentre la prima conduce a decisione ragionate (per esempio arrivando una tempesta, la paura mi fa correre e scappare in direzione opposta al pericolo), il disgusto per Kolnai ha una forte componente cognitiva che l’angoscia non ha: grazie a questa componente cognitiva l’emozione «è in grado di fornire immediatamente una conoscenza parziale del suo oggetto, e, può darsi, una conoscenza propriamente intuitiva»149. In altre parole, il disgusto intuisce, cioè percepisce immediatamente (senza mediazioni razionali), il vero tratto caratteristico dell’oggetto, la sua più intima natura, cioè il suo esser-così disgustoso. Il disgusto coglie la vera essenza del suo oggetto dal primo momento in cui lo percepisce e, con l’analisi successiva, scorge ulteriori particolari.

Possiamo notare come il disgusto, al pari dell’angoscia, sia «un’autentica reazione passiva, mediante cui il soggetto reagisce difendendosi da un’affezione che si dirige e, per così dire, tende inequivocabilmente verso di lui»150. Come l’odio, anch’esso si dirige all’oggetto nella sua essenzialità, studiandone tutti i particolari e non tralasciando nessun aspetto perché tutti gli elementi sono considerati necessari alla conoscenza globale e completa dell’oggetto, che assume un’importanza maggiore dello stesso soggetto percipiente151

. Il disgusto assume una posizione intermedia tra l’angoscia e l’odio: mentre la paura «ha per scopo di

148

Cit. Kolnai A., Il Disgusto, cit., p. 43.

149 Ivi.

150 Ibidem, p. 46.

151 Ivi: «Tuttavia, similmente all’odio, una volta suscitato, il disgusto va in cerca dell’oggetto nella

101 riuscire a staccarsi dal suo oggetto, di liberarsene, e l’odio di annientarlo oppure ridurlo in uno stato di debolezza o sfinimento simile all’annientamento»152

, al disgusto interessa maggiormente allontanare il suo oggetto dall’ambiente personale del soggetto che lo prova. L’oggetto del disgusto né si annienta, né si fugge, ma si toglie di mezzo, intendendo con queste parole non l’uccisione fisica di ciò che suscita disgusto, ma la sua espulsione e il suo allontanamento dalla sfera sensoriale del soggetto disgustato, spingendolo altrove. Dove? Laddove i nostri sensi non percepiscono più tale oggetto disgustoso.

L’ennesima differenza tra disgusto e paura riguarda propriamente i loro oggetti, oltre che il diverso modo in cui tali oggetti vengono guardati: l’oggetto dell’angoscia è visto come qualcosa di minaccioso e pericoloso; l’oggetto di disgusto è visto come qualcosa di spregevole, al quale è opportuno rapportarsi quindi con disprezzo e anche una certa superiorità. Sintetizza così Kolnai: «Il disgustoso per principio non è qualcosa di minaccioso, bensì di fastidioso, benché un mero fastidio non provocherà di per sé, per quanto possa aumentare, disgusto»153.

In conclusione l’intenzione dell’emozione di disgusto viene attivata per difendere il soggetto dall’oggetto percepito, tuttavia, dirige «la propria attenzione verso l’essenza di quest’ultimo e non verso il complesso esistenziale che a rigore andrebbe salvato»154. La paura, invece, d’accordo con il suo scopo – quello di difendere l’individuo preda della paura – si sofferma solo in modo contingente

152 Ivi. 153 Ivi.

102 sull’oggetto per poi dirigere la propria attenzione sul soggetto percipiente per cercare la soluzione migliore che adempia allo scopo prefissato.

4.4 Prossimità sostanziale: le affinità e il legame del disgusto con la vita e la