«Pare che la voce paura derivi etimologicamente dai vocaboli che rispondono alle nozioni di improvviso e di pericoloso […]. Spesse volte la paura è preceduta
75 da stupore, ed è tanto affine a quest’ultimo sentimento, che istantaneamente risvegliano, sì l’uno che l’altra, i sensi della vista e dell’udito»113
.
La paura è un’emozione che può gelare il sangue nelle vene, far venire la pelle d’oca o paralizzare completamente il corpo, invadendo il viso di un disarmante pallore: la paura comporta questi aspetti ma il nostro corpo ha imparato a reagire prontamente con una serie di trucchi. Il più visibile, benché finora ignorato, è il “volto della paura”, cioè l’espressione che si stampa sul nostro viso quando siamo spaventati.
Questa condizione dello sguardo e del viso ha i suoi vantaggi pratici, infatti sembra esser fatta appositamente per acuire i nostri sensi e le nostre capacità percettive, in modo da darci un’arma in più contro ciò che ci spaventa.
Questo aspetto che potremmo definire di pragmatismo delle nostre reazioni fisiche, è la prima prova di un’ipotesi risalente a Charles Darwin, padre della teoria evoluzionistica, secondo cui le emozioni espresse con la mimica facciale non si sono sviluppate casualmente e nemmeno si sono conservate nel corso delle generazioni in modo accidentale, ma sono state attivamente selezionate e preservate perché utili: servono ad alterare l’esperienza sensoriale a seconda delle necessità del momento.
Dopo aver studiato anche un’altra emozione che si imprime sul volto, il senso del disgusto, si è scoperto che al contrario della paura, in esso i nostri sensi risultano attutiti, forse proprio per assorbire il meno possibile i fattori esterni che ci trasmettono disgusto, ad esempio qualcosa di maleodorante, o di ripugnante alla vista.
76 Le espressioni del viso sono un linguaggio del corpo prezioso e speciale che permette, ad esempio, al neonato di parlare con la mamma anche quando non ha ancora nessun rudimento verbale. Il nostro viso parla per noi in tante situazioni, spesso anche quando non vorremmo che lo facesse, mettendoci in difficoltà e tradendo le emozioni che cerchiamo di nascondere a chi abbiamo di fronte. Tuttavia la sua utilità è pregnante: un viso inespressivo è muto e quindi non in grado di suscitare empatia nel prossimo, un “potere” umano importante per manifestare agli altri le proprie emozioni e chiedere aiuto senza la parola.
Tornando all’ipotesi darwiniana, le espressioni del viso non sono frutto del caso ma sono figlie di un “disegno evolutivo” preciso, sono divenute nostro patrimonio come altri tratti fisici perché hanno un’indubbia utilità pratica che ne ha giustificato la conservazione nel corso di milioni di generazioni. Gli esperti hanno studiato a fondo le espressioni stampate sul nostro viso quando siamo spaventati e le conseguenze sensoriali di tali espressioni. Così, come abbiamo precedentemente accennato, hanno visto che – quando abbiamo paura – la mimica del nostro volto ci aiuta a reagire: gli occhi diventano capaci di movimenti più rapidi, acquisiscono un campo visivo più ampio e hanno maggiore capacità di vedere un bersaglio distante. Inoltre il volume nasale aumenta permettendo l’accelerazione della velocità del respiro e quindi una migliore ossigenazione, indispensabile quando dobbiamo pensare in fretta o essere pronti alla fuga. Di fatto il “volto della paura” aumenta le nostre capacità percettive e, di conseguenza, di azione.
Viceversa gli esperti hanno visto che l’espressione del disgusto riduce le nostre capacità percettive operando sul viso una “mimica” opposta a quella della paura,
77 diminuendo il volume nasale e restringendo il campo visivo. In questo modo ci si ripara da ciò che suscita ripugnanza.
Le espressioni del viso quindi non servono solo a favorire la comunicazione sociale ma sono originate per alterare l’interfaccia sensoriale col mondo fisico.
In sintesi, quando proviamo paura i nostri occhi sono sbarrati, la bocca semiaperta, le sopracciglia avvicinate e la fronte aggrottata. Questo stato di tensione dei muscoli del viso è ben riconoscibile anche in età precoce e nelle diverse culture. Ancora le palpebre superiori sono sollevate mentre quelle inferiori sono contratte. Il cuore inizia a martellare colpi rapidi e violenti e con esso aumenta anche il ritmo respiratorio. La superficie cutanea diventa bianca e pallida. Prosegue lo stesso Darwin:
«I peli si rizzano, e fremono i muscoli superficiali. Si turba la circolazione, e la respirazione precipita. Le glandole salivali agiscono imperfettamente; la bocca inaridisce; essa si apre e si chiude con frequenza. Io ho anche osservato che una leggera paura determina una forte disposizione allo sbadiglio. Uno dei sintomi più spiccati dello spavento è il tremito che signoreggia i muscoli tutti del corpo e che spesso compare, prima che altrove, sui labbri. Codesto tremore, al par dell’aridità della bocca, altera la voce, che si fa rauca, o indistinta, o disparisce affatto»114.
Le alterazioni psicofisiologiche sembrano differenziarsi fra quelle che si associano a stati di paura intensi, come il panico e la fobia, e quelle invece concomitanti alla preoccupazione e all’ansia. Precisamente, uno stato di paura acuta e improvvisa porta l’uomo spaventato a restare «in sul principio immobile al par d’una statua, soffocando il respiro, oppure istintivamente si rannicchia per togliere di venire scoperto»115.
114 Ibidem, p. 368. 115 Ibidem, p. 367.
78 Stati di paura meno intensi attivano invece tutte le reazioni muscolari, mimiche e respiratorie sopra descritte.
La paura, come abbiamo detto, ha un alto valore funzionale, finalizzato alla sopravvivenza. Per esempio, ricordarsi che un tipo di animale rappresenta un pericolo perché aggressivo e feroce, oppure velenoso, costituisce un innegabile vantaggio. Oppure, preparare il proprio corpo a un furioso attacco o a una repentina fuga può in certi casi garantire la sopravvivenza. Infine, anche uno stato di paralisi da paura può salvarci dall’attacco di un feroce aggressore che non attende altro che una nostra minima reazione.
Ne consegue che cure e terapie psicologiche o farmacologiche contro la paura, si rivolgono solo a quei casi in cui essa rappresenta uno stato patologico, come ad esempio attacchi di panico o di ansia, dovuti quasi sempre a uno stimolo assolutamente non pericoloso.