Leonzio, figlio di Aglaione, mentre saliva dal Pireo sotto il muro settentrionale dal lato esterno, si accorse di alcuni cadaveri distesi ai piedi del boia. E provava desiderio di vedere, ma insieme non tollerava quello spettacolo e ne distoglieva lo sguardo. Per un poco lottò con se stesso e si coperse gli occhi, poi, vinto dal desiderio, li spalancò, accorse presso i cadaveri esclamando: «Eccoveli, sciagurati, saziatevi di questo bello spettacolo»90.
Uno degli esempi tipici con cui viene spiegato al meglio il concetto di ambivalenza del disgusto è quello dell’incidente stradale: a tutti è capitato di
90 Platone, La Repubblica, trad. it. di F. Sartori, introduzione di Mario Vegetti, note di B.
59 assistere a un incidente tra alcuni veicoli oppure, anche se non abbiamo visto direttamente il momento dell’impatto, ne abbiamo potuto percepire le conseguenze (macchine e mezzi parzialmente o totalmente danneggiati a seconda della gravità dell’incidente; feriti di vario genere e soccorsi a lavoro; chilometri di coda inevitabili per i dovuti rilievi e per la riapertura della carreggiata). Per esperienza, quando ci troviamo in situazioni del genere, il nostro atteggiamento è duplice: da un lato non vogliamo sapere o vedere più del dovuto anche nel rispetto delle vittime coinvolte in tale avvenimento e per lasciare alle persone competenti il giusto tempo e il giusto spazio per lavorare e intervenire; dall’altro all’interno di noi stessi si apre un conflitto, spesso doloroso o quanto meno spiacevole e fastidioso, perché una parte di noi, quella più vulnerabile e più volgare, è attratta da questo spettacolo increscioso e – a causa di questa attrazione e polarizzazione quasi magnetica – siamo portati a guardare con occhi curiosi le scene più infelici e avvilenti della circostanza in questione e a raccogliere più informazioni possibili riguardanti l’evento.
Sono molteplici le situazioni in cui possiamo essere preda di un conflitto così lacerante: quando per esempio vogliamo mangiare una cosa che sappiamo essere molto appetitosa e succulenta ma non rientrante nella nostra dieta a causa di una malattia che abbiamo. Chi ha il diabete, per esempio, è attratto dai dolci ma si violenta e costringe se stesso a non mangiarli per il suo benessere o magari alcune volte cede alla tentazione allontanandosi da quello che è il suo bene. Anche nel campo etico e morale potrebbe presentarsi l’occasione per un conflitto interiore: potremmo venire a sapere che il ragazzo di una nostra amica l’ha tradita e trovarci, quindi, in grande difficoltà su come affrontare la situazione; se
60 raccontare tutto alla nostra amica oppure no. Saremo combattuti per ragioni opposte e contrarie ma che alla fine ci porteranno a prendere una decisione, sofferta ma ponderata.
Gli esempi potrebbero essere pressoché infiniti dal momento che tutta la nostra vita è caratterizzata da scelte complicate e da aspri conflitti, ma qui di seguito ci concentreremo più sulla conflittualità fisica che morale.
Anche per quanto riguarda gli oggetti disgustosi la faccenda non cambia e anch’essi producono in noi una duplicità complicata: nonostante si sia disgustati, è presente una peculiare forma d’attrazione per l’oggetto che disgusta.
«Il comportamento dell’oggetto in questa situazione è provocatorio»91: provocatorio perché il soggetto preda dell’emozione studiata è conteso tra un moto di attrazione92 e uno di repulsione.
Kolnai chiama questo atteggiamento bifasico il «paradosso del disgusto»93: paradossale è la contemporaneità di pulsioni antagoniste – il “divieto” e la “voglia” – che smarriscono lo spettatore e lo rendono il protagonista di una confusione che potrebbe anche portarlo alla pietrificazione e alla pura passività; in realtà, per fortuna, questo non succede, e anzi è «proprio e specifico del disgusto di allontanarsi non solo dal suo oggetto, ma anche dalla presunta attrazione che il soggetto prova per esso»94.
91
Cit. Kolnai A., Il Disgusto, cit., p. 45.
92
Ibidem, p.47: «Indubbiamente nel fatto di disgustare si trova come parte anche un certo invito, direi una macabra attrazione».
93 Ivi. Cfr. Tedeschini M., Il pre-giudizio del disgusto tra conoscenza e valutazione. A partire da
Aurel Kolnai, cit., p. 77: «Un paradosso perché, al contempo e inscindibilmente, il soggetto è attratto e respinto dall’unico oggetto disgustoso, che sembra così essere investito di una duplice valutazione, positiva e negativa. Un contrasto che resta vivo fin tanto che l’oggetto è presente e intuibile con le sue caratteristiche oggettive».
61 La caratterizzazione fenomenologica del disgusto non permette una netta divisione dei ruoli, cioè non prevede semplicemente che da un lato ci sia un oggetto che impone la sua vicinanza e dall’altro un soggetto che la respinge. Il soggetto che si perde nell’essenza – nell’esser-così – dell’oggetto ne viene sì respinto, ma al tempo stesso sembra esserne affascinato: «Non c’è solo avversione verso l’oggetto nel disgusto, ma anche una fascinazione che si manifesta nel soffermarsi su tutte le sue qualità, nell’atteggiamento scandagliante […]»95.
«Come la volontà di fuggire presuppone ovviamente che quel che mi spaventa possa venirmi vicino o, in generale, colpirmi o danneggiarmi, così anche la nausea presuppone che ciò che disgusta possa in qualche modo entrare nel mio stomaco o, comunque, innanzitutto nella mia bocca; del pari, nel disgusto i brividi […] presuppongono la possibilità di un contatto, la cui responsabilità non potrebbe certo essere dell’oggetto disgustoso ma soltanto mia»96.
L’osservazione che emerge da queste parole di Kolnai è molto acuta: mentre gli oggetti di cui abbiamo paura e che temiamo sono in grado di avvicinarsi a noi e danneggiarci indipendentemente dalla nostra volontà, non possiamo dire altrettanto degli oggetti che ci disgustano dal momento che non possono saltare da soli nella nostra bocca. In questo caso, cioè in quello in cui a disgustare siano i cibi, ambito di fertile approvvigionamento di oggetti disgustosi, è palese che l’idea del contatto debba partire da noi. Questo, a mio parere, è necessariamente vero in questo ambito, appunto, ma non per altri giacché potrei trovarmi di fronte a scene disgustose di un film che non ho scelto deliberatamente io di vedere; potrei camminare tranquillamente in un bosco o in un prato e vedere la carcassa di un animale in decomposizione, pur avendo scelto quel sentiero inconsapevole di
95 Cit. Fussi A., Disgusto, paura, prossimità nell’analisi fenomenologica di Aurel Kolnai, cit., p.
277.
62 quello che avrei potuto trovare. Per l’ambito gastronomico la cosa è diversa perché siamo noi a scegliere di cosa nutrirci e cosa ingerire. Anche qui l’eccezione è costituita dai bambini piccoli, i quali non sono ancora in grado di operare scelte in vista del loro bene e per questo stesso motivo sono i genitori ad adempiere a questi loro bisogni. Come abbiamo già visto, dal momento che a occuparsi dei bambini sono comunque altre persone, le loro decisioni in quanto a gusti potrebbero non coincidere con quelle del bambino e provocare in lui disgusto97.
«Nei termini della psicanalisi»98, il disgusto è definito da Kolnai come un fenomeno ambivalente: è ambiguo ed equivoco perché presuppone per così dire «una voglia (repressa) di ciò che lo provoca»99.
«Il nostro moto di repulsione e la percezione di eccessiva vicinanza sono dunque risposte che oscurano l’attrazione, ma non riescono a negarla del tutto»100
.
97
Per un approfondimento sul tema dell’immaturità dei bambini sempre bisognosi della tutela genitoriale con particolare riferimento all’ambito medico cfr. Casula D. Etica e infanzia. Una sfida per la riflessione bioetica, Editrice Apes, Roma 2013.
98
Cit. Kolnai A., Il Disgusto, cit., p. 49.
99 Ivi.
100 Cit. Fussi A., Disgusto, paura, prossimità nell’analisi fenomenologica di Aurel Kolnai, cit., p.
63