1961 1968 1969 1970 1971 1972 1973 1974 1975 1976 1977 1978 ISTAT x x
ALBO (dati globali) x x x x x x x x x x x F E D E R M U T U A x x x x
IRES x
Le fonti statistiche utilizzate presentano caratteristiche non omogenee. In parti-colare
l'Istat rileva imprese, unità locali, addetti per sesso, classi di dimensione, potenza installata (e tutte le variabili incluse nel censimento industriale); presenta inoltre una disaggregazione settoriale su base merceologica
l'Albo rileva le imprese iscritte, con una disaggregazione settoriale su base mer-ceologica, assimilabile parzialmente all'Istat
la Cassa Mutua rileva titolari, coadiuvanti e/o familiari a carico, distinti per ses-so ed età, con una disaggregazione settoriale su base merceologi-ca (22 settori) e di mestiere, difficilmente confrontabile con quel-la Istat
Inoltre, i dati sulle imprese delle tre diverse fonti non coincidono, in quanto di-versi sono i criteri di rilevazione:
- i dati Istat sono infatti sottostimati perché alcune attività sono inserite nel com-mercio, perché non vengono rilevate le imprese individuali «a domicilio» e per-ché, nell'edilizia, sono considerate unità locali i «cantieri» a prescindere dal nu-mero delle imprese che vi lavorano
- i dati dell'Albo sono sovrastimati, in quanto le cancellazioni non vengono effet-tuate tempestivamente
- i dati Cassa Mutua rilevano i titolari delle imprese e i coadiuvanti: questo dato non è assimilabile né a quello relativo alle imprese (o unità locali) né a quello relativo agli addetti. Come è noto, ai sensi della legge n. 1533 del 29 dicembre 1956, che estende l'assistenza agli artigiani, sono considerati tali i titolari di im-presa che abbiano i requisiti previsti dalla legge n. 860 del 25 luglio 1956 sulla «disciplina giuridica delle imprese artigiane».
Qualora l'impresa artigiana - anziché in forma individuale - sia costituita in forma societaria, per titolari di impresa si intendono tutti i soci che rivestono singolarmente i requisiti previsti dalla legge 860.
Con la presente pubblicazione si prendono in considerazione solo le unità atti-ve del lavoro autonomo artigiano, costituito appunto dai titolari d'impresa e
soci e dai familiari collaboratori.
Non sono considerati invece - oltreché i familiari a carico - i titolari d'impresa, e soci, e i familiari collaboratori, che, cessata ogni attività di lavoro, hanno otte-nuto la pensione di vecchiaia o di invalidità.
Per le ultime due fonti un sicuro effetto di sovrastima è determinato dal fatto che un discreto numero di lavoratori che non hanno un rapporto di lavoro dipen-dente regolare si iscrivono all'Artigianato per usufruire di alcune prestazioni pre-videnziali (mutua e pensione).
2. RELAZIONE DI SINTESI
2.1. Situazione e ruolo attuale dell'artigianato nel quadro delle attività regionali
Secondo il Censimento 1971 le aziende artigiane assommavano in Piemonte a 78.667 e l'occupazione a 184.156, dati corretti da uno studio dell'Unioncamere (1) in 84.000 unità locali e 195 mila addetti per le sottostime che prevalentemen-te intaccavano l'entità del settore edile.
Il ruolo apparente dell'artigianato sul tessuto imprenditoriale piemontese è rile-vante, incidendo per il 78,6% delle unità locali dei comparti in cui è rappresenta-to e per l'80% delle piccole imprese con meno di 50 addetti e ciò con particolare rilievo nel comparto manifatturiero. Però questo ruolo si ridimensiona in termini di capacità di assorbimento di manodopera al 18,4% del totale e al 50,7% di quella delle imprese con meno di 50 addetti. È un ruolo non determinante ma certamente non trascurabile soprattutto se riferito ai comparti di peculiare specia-lizzazione artigiana e tende a registrare comportamenti evolutivi speculari a quelli del sistema produttivo regionale con il quale condivide mediamente il saggio di crescita intercensuale.
Risultano invece differenziati gli andamenti dei singoli rami di attività e tali da dilatare lo spazio dell'artigianato in alcune specifiche figure professionali: officine
meccaniche, costruzioni ed impianti, servizi e trasporti che costituiscono da soli il
60% circa delle unità locali ed il 53,3% degli addetti (al 1971).
È in definitiva grazie a questa ventilazione nei processi di crescita che il ramo manifatturiero perde peso nell'artigianato in complesso, riducendosi nei settori tradizionali e in quelli che richiedono strutture e organizzazione industriale, ed espandendosi in tutte quelle attività che sono complementari allo sviluppo indu-striale (trasporto merci, riparazione e manutenzione impianti, ecc.) o alla doman-da delle famiglie. Ciò suggerisce l'ipotesi che gli spazi "produttivi" coperti tradi-zionalmente dall'artigianato si siano ridotti progressivamente, ad eccezione di al-cune aree di specializzazione, e che comunque l'involuzione dell'artigianato "tra-dizionale" non sia stato compensato sufficientemente da fenomeni di decentra-mento o di sviluppo di "nuovi mestieri", quanto dalla crescita dei comparti edile, impianti e servizi.
Nel periodo posteriore al Censimento, l'artigianato continua a svilupparsi al ritmo dell'I,8% - 2,0% a n n u o secondo le registrazioni all'Albo e alla C a s s a Mu-tua Artigiani, fino a raggiungere un'entità stimata in 11 Ornila unità e 250mila ad detti, circa.
Peraltro i saggi di crescita non sono uniformi nel tempo, poiché registrano una flessione tendenziale, accentuata nel biennio 1973/75, da mettersi in relazione con la crisi generale dell'economia che ha colpito in questi anni sia il Piemonte che l'Italia in complesso.
Ciò contrasta con le argomentazioni che attribuiscono all'artigianato la funzio-ne di settore polmofunzio-ne, correttivo delle fluttuazioni cicliche dell'economia; infatti da un lato appare come nei periodi di flessione generalizzata la dinamica delle iscrizioni - cancellazioni dell'Albo Artigiani registri saldi flessivi. Dall'altro lo sviluppo registrato nel corso degli ultimi quindici anni sembra rispondere più ad un riflusso verso dimensioni minime di impresa nelle quali si consolida una diffu-sione di economie interstiziali al livello della produzione ma soprattutto dei servi-zi.
La rilevata crescita dell'artigianato, largamente inteso di servizio, corrisponde - d a un lato - ad una crescita generalizzata di tutto il terziario nell'economia mo-derna, dall'altro allo scorporo delle funzioni terziarie dal contesto delle attività sia domestiche che industriali.
2.2. Struttura fittizia e struttura reale
L'artigianato è convenzionalmente fatto coincidere con attività di tipo produtti-vo e ciò anche in forza della stessa definizione legislativa che attribuisce una pre-valente manualità alle operazioni in cui si concreta l'attività dell'imprenditore e dei suoi familiari. Ne è discesa, come già anticipato nella nota preliminare, una visione "industriocentrica" del fenomeno artigiano interpretato esclusivamente in chiave di problematica industriale e il suo sviluppo in chiave di decentramento produttivo.
Con questa ottica collima la classificazione fatta dall'Istat delle attività artigiane costituite per il 58,5% di attività industriali, del 15,8% di attività edili e impianti-stiche e del 25,7% di servizi.
Peraltro il concetto stesso di artigianato da categoria che convenzionalmente in-dividua "un modo di produzione" schematicamente definibile pre-industriale, si è andato trasformando in una categoria sociologica a carattere residuale riferita di fatto a figure professionali non inserite in rapporti di lavoro dipendente e che tro-vano il loro elemento unificante nell'iscrizione all'Albo Artigiani e, correlativa-mente alla Cassa Mutua Artigiani, per costituire un insieme di garanzie alternati-ve a quello del lavoro subordinato o per usufruire di forme agibili non burocrati-camente di credito agevolato.
Ne consegue l'esigenza di una ridefinizione (che deve essere prioritariamente le-gislativa) dell'attività artigiana come prius, sulla quale fondare una classificazione delle attività in essa incluse più coerente con la realtà quale è venuta evolvendosi. Infatti, se l'esame della figura giuridica dell'artigiano consente di stabilire che esso:
- è sempre e comunque un imprenditore, normalmente, ma non necessariamente, un piccolo imprenditore (con le conseguenze ad esso collegate)
- la natura dell'attività svolta non serve in alcun modo a distinguere l'artigiano dagli altri imprenditori
- può coincidere con il lavoratore autonomo, nessun limite quantitativo minimo essendo posto alla impresa artigiana
poco perspicua o comunque inoperante, giacché ne mancano confini sufficiente-mente ristretti.
La categoria così individuata manca di una minima omogeneità, ritrovandosi al suo interno soggetti nelle condizioni più diverse, dall'artigiano ai confini della media impresa alla collaboratrice domestica che, iscrivendosi all'Albo usufruisce delle provvidenze in materia di assistenza e previdenza sociale.
È evidente che una simile situazione osta ad una seria politica in materia di ar-tigianato, giacché gli interventi diffìcilmente potranno perseguire precisi scopi di
sviluppo produttivo essendo forzatamente indirizzati ad una pluralità di soggetti in situazioni disomogenee e portatori di interessi diversi.
Peraltro, anche in relazione all'esigenza di definire linee e comportamenti di politica regionale in una materia di autonomia normativa primaria, si è ritenuto necessario procedere ad un tentativo di riclassificazione funzionale (cfr. Cap.l 11).
La ricomposizione, per mestieri e categorie delle attività, secondo i dati della Cassa Mutua Artigiani ha consentito di ottenere aggregati più coerenti di funzio-ni: