Categoria professionale 1971 1972 1973 1974 1975 1976 1977 Dirigente 100 119 192 222 258 273 309 Impiegato 100 101 142 168 196 254 290 Salariato agricolo 100 101 150 172 197 236 341 Salariato altri settori 100 113 160 188 219 286 364 Indipendente agricolo 100 110 150 181 203 292 345 Indipendente altri settori 100 102 196 211 258 290 405 Imprenditore, profess. 100 99 159 167 183 220 252 Condizione non profess. 100 118 152 218 226 301 370 Totale 100 108 160 192 210 283 342 FONTE: Elaborazione CeSPE su dati Banca d'Italia in Congiuntura Sociale, n. 8, 1978.
La sua area di autonomia si estende fino alla mancanza di qualsiasi possibilità di controllo di qualità da parte dell'utenza e da qualsiasi vincolo di carriera.
La crescita del lavoro autonomo, contrastando una tendenza di lungo periodo alla gerarchizzazione nelle strutture organizzate, è in definitiva legata alla crisi della grande dimensione da un lato e dall'altro alla crescita di tutte le funzioni di tipo terziario, sia interne alle imprese, sia scorporate dalle gestioni centrali.
Accanto a questo sembra potersi ritrovare anche l'emergere di una nuova e contrastata filosofia del lavoro che aspira a rompere gli schemi tayloristici di compartimentazione del lavoro intellettuale e di quello manuale attraverso una ricomposizione, in microstrutture controllabili a livello d'uomo, delle diverse fasi di un ciclo, che può essere di autentica produzione (l'artigianato nei suoi termini tradizionali), ma può rivelarsi invece come una parte di quel processo di scorporo ancora tayloristico che la grande produzione propone attraverso il decentramento delle funzioni complementari (manutenzione, ecc.).
Si può al proposito affermare, al seguito della ricerca, che le principali funzioni/ assegnate oggi all'artigianato sono di:
- terziarizzazione intesa nella sua accezione più lata di commercializzazione,
manutenzione, riparazione e servizi alle persone; il rapporto di commessa ap-plicato da oltre il 90% delle imprese definisce appunto una situazione di servi-zio o di piccola produservi-zione che sconfina nel serviservi-zio;
- decentramento fenomeno che l'indagine non consente di ritenere allargato a
tut-ti i compartut-ti e a tutte le aree regionali potendo essere individuate con sicurezza forme di scomposizione del ciclo e di conseguente decentramento alle imprese
artigiane o al lavoro a domicilio solo per alcune attività e per alcune zone (mo-bili, tessile, laniero e cotoniero, metalmeccanico).
Ciò che in definitiva è dato rilevare con qualche certezza che la trasformazione subita dall'artigianato piemontese consiste nella progressiva emarginazione dai settori tradizionali della produzione a favore dell'industria, mentre le sue funzioni oggi tendono a confinarsi sempre più nel terziario e nei servizi, ovvero come ulti-ma propaggine del decentramento industriale (di cui costituisce un aspetto parzia-le) e da ultimo, come settore assistito per quelle categorie largamente costituite da lavoratori autonomi non coperti da altri sistemi di garanzie sociali.
Se ne conclude che il «decentramento» comunemente inteso costituisce una spiegazione parziale della crescita dell'artigianato e comunque della microimpresa manifatturiera, crescita prevalentemente correlata alla dinamica dei consumi, so-prattutto delle famiglie e alla domanda di servizi delle imprese.
2.5. Alcuni indicatori di produttività
Nel quadro dell'economia italiana, così come è stato raffigurato anche dai più recenti studi della scuola di Ancona (1), viene così collocandosi la crescita del set-tore artigiano, costituito da un lato da lavoratori autonomi in larga misura forni-tori di servizi alle imprese e alle famiglie, dall'altro da una fascia di microimprese satelliti rispetto al sistema delle imprese leader e a queste collegate attraverso for-me occulte o esplicite di decentrafor-mento di fasi del ciclo produttivo e/o dei servizi inerenti la produzione.
Si tratta in genere di imprese:
- di piccolissima dimensione
- operanti nei settori tradizionali a inferiore capitalizzazione e con un livello di
produttività che diventa accettabile solo attraverso il ricorso a lavoro meno
oneroso che presso la grande impresa (sia per la minor presenza di quadri
supe-riori, sia per la maggior flessibilità dell'orario di lavoro, sia per la maggior fun-gibilità di mansioni fra operatori diversi, sia per la presenza di apprendisti). La presenza di questa fascia di microimprese (non necessariamente artigiane) costituisce il fenomeno evolutivo più esaltato negli ultimi anni (si pensi alla diffu-sione dello slogan «small is beautiful») in ragione della maggiore efficienza pro-duttiva conseguita, non tanto attraverso un processo di razionalizzazione nell'im-piego dei fattori, quanto attraverso il loro maggiore controllo interno e la flessibi-lizzazione rispetto alla domanda.
Pur mancando gli elementi per misurare la produttività del sistema artigiano (nonostante il vasto impegno di rilevazione dati dall'IRES) tentiamo di collocare le imprese artigiane del Piemonte nel quadro del sistema produttivo regionale. - Numericamente intese le imprese artigiane del Piemonte rappresentano una
struttura non trascurabile nel quadro delle imprese industriali di servizio sulle
quali incidono per il 78% delle unità locali e per il 18,4% degli addetti.
Sono però presenti in attività produttive reali per una entità inferiore al 37%, mentre il resto è costituito da attività di costruzioni e impianti, trasporti, servi-zi, riparazioni.
- Si tratta di microimprese giacché se si escludono gli assimilabili a operatori in-dipendenti (il 73% con meno di due addetti) il residuo è costituito per il solo
10% da imprese con più di 5 addetti.
- Si tratta, al netto delle imprese di servizio o riparazioni, di imprese operanti nei settori maturi dell'economia (vestiario, tessili, legno, alimentari, calzature, mobili), settori caratterizzati da tecnologia non avanzata, bassa capitalizzazione e produttività, consistente presenza di lavoratori manuali.
- Infatti l'economia dell'impresa artigiana, come di tutta l'area della piccola im-presa, è fondata sulla prevalenza dell'impiego di forza lavoro e in particolare di lavoro diretto e manuale. Il capitale fisso richiesto per la produzione è media-mente molto basso; secondo l'indagine diretta dell'IRES, il valore di sostituzio-ne attuale dei macchinari è mediamente pari a 26,6 milioni per azienda ovvero 8 milioni circa per addetto, comprensivi dei macchinari nuovi e di quelli usati, mentre il parco macchine risulta di età media piuttosto avanzata (6 anni) anche in ragione di una forte propensione per l'acquisto di usato.
- La minor dotazione di capitale fisso e il conseguente operare con impianti di dotte dimensioni, con processi di meccanizzazione e automazione minore ri-spetto alle grandi imprese, è dimostrato dal dislivello di potenza installata pari a 3,9 kwh per addetto contro valori assai più elevati nelle imprese con più di 10 addetti (da 4,74 kwh/add. per la classe 10-49 a 9,08 per la classe 500-999). Si tratta naturalmente di situazioni medie fra settori e classi dimensionali diver-se, ma che consentono di valutare attraverso indicatori sintetici le condizioni di produttività delle imprese in esame.
- II costo del lavoro è mediamente più basso, sia per i dipendenti (ma per entità
che riflettono le condizioni della trattativa privata e quindi non evidenziabili; lo scarto teorico del costo del lavoro fra industria e artigianato è stato da noi stimato in un 10-20%) sia per gli apprendisti (scarsamente presenti nell'indu-stria ma ancora largamente nell'artigianato), sia soprattutto per quella quota dominante rappresentata dal titolare-socio-coadiuvanti per i quali il minor co-sto è rappresentato dall'enorme dislivello di oneri sociali.
- Il rapporto capitali fissi/fatturato è un rapporto che tende all'unità contro valo-ri assai più esigui nelle piccole-medie imprese (0,50).
La misura più grezza della produttività è costituita ovviamente dal fatturato lor-do che l'indagine IRES ha accertato essere mediamente pari a 25 milioni per impresa e 8,5 per addetto, con escursioni assai ampie che privilegiano le impre-se maggiori e quelle dei comparti del trasporto merci, cartotecnica, alimentare, legno, metallurgia.
- È quindi una produttività lorda piuttosto bassa che secondo l'IRES nel periodo 1955-1970 tende ad evolversi meno che proporzionalmente a quella delle im-prese industriali di maggior dimensione in ragione della maggior capacità, negli anni di sviluppo economico accentuato, delle medio-grandi imprese di avvaler-si delle innovazioni tecniche e gestionali.
Peraltro, e soprattutto negli anni posteriori alla crisi del 1973, altre rilevazioni (1) indicano che l'accertata minor produttività aziendale della microimpresa viene largamente compensata dal minor costo complessivo del lavoro, con la conse-guenza che margini e rendimenti di capitali possono essere migliori (o uguali a quelli delle medie-grandi imprese).