. . . 1968 1977 Variazione % Attività depurate „. „,
_ n. % n. % 1968-1967 Attività miste produzione
commercializzazione 22.064 20,5 17.012 12,8 - 22,9 Produzione netta 24.293 22,6 33.077 24,8 + 36,1 Costruzioni/impianti 17.441 16,3 26.741 20,1 + 53,3 Riparazioni 12.629 21,1 28.983 21,8 + 28,1 Servizi 21.036 19,5 27.315 20,5 + 29,8 Totale 107.463 100,0 133.128 100,0 + 23,9 FONTE: stime R.P.
Attraverso queste operazioni successive di "depurazione" possiamo dunque ar-rivare ad una stima del peso dell'artigianato di produzione sul totale delle attività artigiane alquanto ridimensionata rispetto a quella di partenza.
Infatti se nell'accezione più larga l'artigianato di produzione pesava sul totale il 61% nel 1968 e il 55% nel 1977, sottraendo le attività di riparazione e di installa-zione, il suo peso scende per il 1968 al 43,13% e per il 1977 al 37.6%.
A questa percentuale andrebbe ancora sottratta una quota relativa ad attività di distribuzione, quota che non può essere disaggregata ma che non è irrilevante (40% circa).
Ai fini dell'interpretazione della dinamica dell'artigianato è possibile quindi ipotizzare che nel 1977 meno del 37% dei titolari di imprese artigiane iscritti alla
Cassa Mutua operavano in settori di attività in qualche modo assimilabili alla fa-scia inferiore della piccola impresa manifatturiera e di questi il solo 25% svolgeva
attività di produzione esclusiva.
Non è quindi possibile assumere come unica linea interpretativa della crescita dell'artigianato quella del decentramento produttivo (inteso come delega all'ester-no dell'impresa industriale di funzioni scorporate del ciclo) quanto anche di de-centramento di funzioni non scorporate dal ciclo produttivo e acquisite all'esterno in una sempre più marcata divisione e specializzazione del lavoro (manutenzione,< riparazione, pulizia).
Il ridimensionamento è anche leggibile attraverso una lettura dimensionale, lad-dove gli artigiani strutturati in forma di microimpresa rappresentano non più di un terzo del totale, mentre il residuo è costituito da lavoro autonomo, assumendo per semplificazione (oltre ai dati dimensionali) che le strutture più semplici confe-riscano in genere servizi e quelle organizzate in forme aziendali forniscano produ-zioni.
Il fenomeno è facilmente desumibile da una lettura comparata di diversi indica-tori:
- il lavoro è organizzato prevalentemente come autonomo: infatti il 55,2% (pari a 101.684) dei lavoratori aveva status giuridico "indipendente".
- La microdimensione caratterizza la maggior parte delle aziende artigiane giac-ché al 1971 il 53% ha un solo addetto e il 20,9% due addetti (73,9% pari a 58mila unità locali), mentre le aziende già strutturate e con più di 10 addetti (assimilabili alla fascia inferiore della piccola-media impresa) rappresentano il solo 2,3% delle unità locali, prevalentemente nel tessile, metallurgico, fonderie di 2a fusione, macchine utensili, carta, editoriale; attività realmente strutturate in forma aziendale. Questi dati sono largamente confermati dall'indagine Ires
1976.
- Inoltre, come appare dal Censimento (confermato negli anni successivi dai dati dell'Albo), le imprese sono organizzate prevalentemente con lavoro individuale e non con quello familiare rappresentando familiari e coadiuvanti il solo 7,8% del lavoro totale; ancora elevata la quota di apprendisti e manovali sul totale del rapporto di dipendenza, indice della qualità non sofisticata delle prestazioni artigiane medie.
Imprenditori Familiari Dirigenti Operai Operai com. Appren- Altro Totale soci coop. coadiuv. impiegati spec/qual. e manov. disti
47,3 7,8 1,7 15,6 14,7 12,7 0,2 100
- L'impresa assume ancora forma individuale prevalente: individuali: 89,3%
societarie: 10,7% (Oxoop., 2,1: s.n.c., 8,6: s.s.)
Il tasso d'imprenditorialità femminile è basso e pari al 16,8% dell'imprendito-rialità artigiana in Piemonte, con più elevata presenza di titolari femmine nelle imprese individuali che in quelle societarie e nei settori tradizionalmente delega-ti alla donna come l'abbigliamento e il tessile o in quelli in cui più segnatamente l'artigiano nasconde fenomeni di decentramento produttivo (cuoio, pelli, materie plastiche, fiori artificiali, ecc.).
I titolari di aziende artigiane sono relativamente giovani (oltre il 50% è al di sot-to dei 40 anni) con tendenza al progressivo abbassamensot-to dell'età media. L'aspi-razione dei giovani ad un lavoro indipendente e creativo (quale in qualche misu-ra può realizzarsi in attività artigiane) è stato anche confermato da specifiche in-dagini motivazionali (1); questa inclinazione corrisponde alla sempre maggiore spinta a prediligere lavori elastici nell'orario e a concretizzare sotto il profilo economico la rapida realizzazione di un lavoro autonomo, magari facilitato da piccoli investimenti familiari, rispetto alle lunghe attese per un lavoro dipenden-te.
2.3. Distribuzione settoriale e territoriale
Alla crescita dell'artigianato partecipano in diversa misura i diversi comparti e le diverse parti del territorio regionale:
La più straordinaria crescita riguarda quel complesso arcipelago che sono l'edili-zia e gli impianti, nelle quali si traduce il passaggio dalla scala industriale alla scala artigianale di tutto un settore in crisi e confinato nella ristrutturazione de-gli immobili, nella produzione di seconde case nelle aree periferiche e turistiche, eseguite direttamente o in via decentrata dai piccoli cantieri.
- U n a certa stazionarietà media nel settore manifatturiero è dovuta alla riduzione di tutti i settori "tradizionali" (calzature, vestiario, legno, alimentari, ecc.) con-tro un relativo aumento dei settori relativamente "moderni" (chimica, foto, stampa).
- Esorbitante l'aumento degli spazi destinati ai servizi delle persone, al trasporto merci, alle riparazioni di macchine e macchinari.
- Le province in cui l'artigianato si è sviluppato di più sono Vercelli, Novara e Alessandria in ragione del processo di depolarizzazione dal capoluogo regionale verso altre aree a forte tessuto industriale (metalmeccanico nel novarese, tessile nel vercellese, meccanico e orafo nell'alessandrino).
Nella provincia di Torino si concentrano le imprese di servizio (oltreché le edi-li) in ragione del forte potere gravitazionale per gli acquisti di beni e servizi se-condari esercitato dal capoluogo sulla popolazione dell'intera regione.
- I comprensori a più alta densità artigiana sono: Biellese ( 6) Borgosesia ( 5) Verbania ( 8) Saluzzo (10) Alessandria (14) Alba-Bra (11) Casale M. (15) Cuneo ( 9)
in ragione della diffusione di tessuto imprenditoriale minore.
Meno intensa è la presenza di imprese artigiane là dove la grande industria as-sorbe i maggiori bacini potenziali di manodopera e ricorre a commesse di sub-lavorazione a carico di imprese già strutturate (Torino, Ivrea, Pinerolo, Vercel-li, Novara).
2.4. L'artigianato nel quadro del lavoro autonomo e decentrato
Il fenomeno della crescita tendenziale dell'artigianato si innesta nel più vasto fenomeno della crescita del lavoro indipendente che, secondo il CeSPE (1) costi-tuisce un fenomeno recente di rafforzamento di quell'area sociale a redditi misti (ottenuti col concorso di lavoro, rendita e profitto) operante all'interno dei com-parti industriali e dei servizi che è il «ceto medio produttivo».
Se nel periodo del grande sviluppo economico italiano si è assistito all'espan-sione del lavoro dipendente e integrato nella produzione socialmente organizzata, il rallentamento dello sviluppo sembra coincidere con una forte ripresa del lavoro autonomo nei canali del commercio e dell'artigianato. Infatti nel periodo
1951-1976 si sono registrati:
(in migliaia di unità)
Lavoratori indipendenti 1951 1961 1971 1972 Occupati indipendenti 1973 1974 1975 1976 Industria 959 952 1.113 980 975 983 993 1.002 Altre attività 1.479 1.643 1.953 2.719 2.732 2.787 2.815 2.852 Totale 2.438 2.595 3.066 3.699 3.707 3.770 3.808 3.854 FONTI: Istat - Censimenti Istat, Occupati per attività e
re-gione
(1) L. Zappella, "I ceti medi indipendenti in Italia", in Congiuntura Sociale, CeSPE, 1.1.1979.
Nella totale incomparabilità delle due fonti, appare comunque chiaro il feno-meno posteriore agli anni '70 della crescita dell'autonomo (fatta eccezione per l'a-gricoltura) in entrambe le componenti del terziario e del secondario interessanti in diversa misura l'artigianato.
La crescita del lavoro autonomo (artigianato e rete al dettaglio in particolare) si colloca nel quadro dualistico dell'economia italiana costituita da un lato da un si-stema di imprese moderne, ad elevata capitalizzazione, tecnologia sofisticata e competitiva sul piano internazionale; dall'altro da un sistema di imprese pre-moderne, caratterizzate da piccolissima dimensione, operanti nei settori cosiddetti «maturi» e con una produttività media che assume valori accettabili solo attra-verso il ricorso al lavoro meno oneroso ottenuto eludendo in forma esplicita od occulta il sistema salariale ufficiale, formalmente livellato.
La ripresa del lavoro non dipendente negli anni '70 si manifesta quindi, non tanto come fenòmeno generato dalla crisi, quanto dall'evoluzione di tipo dualisti-co dell'edualisti-conomia nazionale, in cui parte crescente di imprese tende ad assumere forme sempre più ridotte per poter conseguire, attraverso un più diretto controllo dei fattori produttivi, quelle economie di gestione che non coincidono affatto né con la crescita della produttività né con la crescita del livello tecnologico, che consente una internazionalizzazione della nostra economia.
La crescita del lavoro indipendente (e quindi del commercio, artigianato e ser-vizi) è comune a tutta Italia finendo col sopperire, attraverso un processo di mi-croinvestimenti diffusi, alla carenza di investimenti concentrati; è presente anche in Piemonte con la crescita di un artigianato che tende ad evolversi sempre più verso forme terziarie.
È quindi un artigianato sempre meno legato ai comparti effettivamente produt-tivi, presenta bassi indici di femminilizzazione, ma vede crescere la presenza di giovani anche in forme nuove e anomale con attività al confine tra commercio e artigianato (abiti usati, fotografia, piccola editoria, erboristeria, souvenirs e bigiot-teria, strumenti musicali e articoli sportivi).
Sembrerebbe intravvedersi, secondo la fonte citata, nuove vocazioni verso for-me di lavoro non dipendente in risposta ad un atteggiafor-mento critico verso struttu-re organizzate gerarchicamente, o anche come settostruttu-re rifugio per la manodopera espulsa negli anni della crisi, e infine come settore di applicazione di doppio la-voro.
Infatti il reddito da lavoro autonomo (soprattutto se nella forma di doppio la-voro) costituisce un'area di minor controllo fiscale oltreché di minori oneri socia-li. Il reddito delle attività genericamente denominate indipendenti (lavoro autono-mo del commercio e dell'artigianato) ha registrato, secondo tale fonte, il più ele-vato indice di crescita rispetto a tutte le altre categorie lavorative (+305% nel 1977 rispetto al 1971).